Reato di omesso versamento delle ritenute: disciplina dichiarata incostituzionale
12 Maggio 2023
La pronuncia in commento trae origine dalle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7 d.lgs. n. 158/2015 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'art. 8, comma 1, l. n. 23/2014), nella parte in cui ha modificato l'art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'art. 9 l. n. 205/1999) introducendo nella rubrica, dopo la parola “ritenute”, le seguenti: “dovute o”; nonché introducendo nel primo comma, dopo la parola “ritenute”, le seguenti: “dovute sulla base della stessa dichiarazione o”.
Le censure del rimettente. Ad avviso del giudice a quo, l'ampliamento della fattispecie incriminatrice in relazione alla condotta dell'omesso versamento delle ritenute dovute sulla base della dichiarazione (“modello 770”) costituisce il frutto di una non corretta attività di completamento e sviluppo delle scelte del legislatore delegante, posto che, dai principi e criteri direttivi contenuti nella norma delegante, non si trae alcuna indicazione circa la possibile estensione delle condotte integranti la fattispecie di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000: pertanto, il contrasto tra norma delegata e norma delegante, per inosservanza dei principi e criteri direttivi, si tradurrebbe in una violazione dell'art. 76 Cost.
In particolare, il giudice a quo osserva che se, da un lato, la scelta di innalzare le soglie di punibilità da 50.000 a 150.000 euro è coerente con la delega, in quanto mira a restringere la rilevanza criminale delle condotte del sostituto, dall'altro, l'intervento legislativo opera in senso espansivo, in quanto l'introduzione nel computo dell'imposta non versata delle “imposte dovute sulla base della dichiarazione del sostituto” (“modello 770”) allarga lo spettro delle condotte punibili, estendendolo alle ritenute non certificate, ma semplicemente dovute.
Tale ampliamento, inoltre, sarebbe in contrasto anche con l'art. 3 Cost., essendo irragionevole – secondo il giudice a quo – che per l'omesso versamento di ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione del sostituto di imposta si preveda una sanzione penale, mentre la falsificazione e l'infedele predisposizione di tale dichiarazione sono penalmente irrilevanti.
Il quadro normativo. La prima disciplina organica del sistema sanzionatorio penale tributario risale al decreto-legge n. 429/1982, convertito, con modificazioni, nella l. n. 516/1982. In particolare, con riguardo alle condotte illecite attribuibili al sostituto di imposta, accanto alle contravvenzioni di omessa e infedele dichiarazione del sostituto di imposta, veniva sanzionato con la reclusione e con la multa chiunque non avesse versato all'erario le ritenute effettivamente operate a titolo di acconto o di imposta sulle somme pagate.
Su tale assetto sanzionatorio – nel frattempo novellato dal decreto-legge n. 83/1991 – è, poi, intervenuto il d.lgs. n. 74/2000, che, in via generale, ha limitato la rilevanza penale delle fattispecie in materia tributaria alle sole condotte caratterizzate da un comportamento fraudolento, richiedendo un quid pluris rispetto al semplice sottrarsi all'obbligazione tributaria. Tale più mite disciplina, per gli illeciti commessi dal sostituto di imposta, è rimasta inalterata fino a quando il legislatore è tornato a prevedere la sanzione penale con la legge n. 311/2004, che ha, in sostanza, reintrodotto, sia pure con alcune modifiche, il delitto di omesso versamento di ritenute certificate, lasciando però immuni da sanzione penale i casi di mancato versamento all'erario di ritenute che non fossero state certificate.
Successivamente, con la legge n. 23/2014, il Parlamento ha conferito un'ampia delega al Governo finalizzata a ridisegnare l'ordinamento tributario per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. In attuazione della legge delega, il d.lgs. n. 158/2015 ha modificato la previsione di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000, punendo con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta.
La disciplina censurata è stata già dichiarata (parzialmente) incostituzionale. Successivamente all'ordinanza di rimessione, la Consulta ha adottato una pronuncia di illegittimità costituzionale della disciplina censurata in senso conforme a quanto richiesto dal rimettente (C.cost., n. 175/2022). In quella occasione, il giudice delle leggi ha osservato che, nella materia penale, è più elevato il grado di determinatezza richiesto per le regole fissate nella legge delega, posto che il controllo del rispetto, da parte del Governo, dei princìpi e criteri direttivi, è anche strumento di garanzia della riserva di legge e del rispetto del principio di stretta legalità, spettando al Parlamento l'individuazione dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili (cfr. C.cost., n. 174/2021, C. cost., n. 127/2017 e C. cost., n. 5/2014).
La disciplina impugnata ha, per l'appunto, introdotto una nuova fattispecie di reato, nel senso che ha previsto come condotta penalmente perseguibile ciò che prima costituiva un illecito amministrativo tributario: l'omesso versamento, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, delle ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione per un ammontare superiore a una determinata soglia di punibilità (fissata in 150.000 euro per ciascun periodo d'imposta). Con la citata pronuncia n. 175/2022 cit., la disposizione censurata è stata, quindi, dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto lesiva dei princìpi e dei criteri direttivi della legge delega, nonché del principio di legalità.
A fronte della menzionata decisione della Consulta, la questione di legittimità costituzionale sollevata, ora, dal giudice a quo è divenuta priva di oggetto ed è, pertanto, manifestamente inammissibile (cfr., ad esempio, C.cost., n. 204/2022, C. cost., n. 102/2022 e C. cost., n. 184/2021).
*Fonte: DirittoeGiustizia |