Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia: tra cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico
05 Giugno 2023
Massima
L'art. 1 della Legge 4 maggio 1983, n. 184 attribuisce al diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine un carattere prioritario – considerandola l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico – e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare. Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la situazione di abbandono sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare sia l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva. Il caso
La vicenda trae origine dalla sentenza con cui la Corte di Appello di Napoli confermava la pronuncia di adottabilità emessa dal Tribunale per i Minorenni, individuando profili di grave inadeguatezza personale e genitoriale, la non recuperabilità delle funzioni in tempi compatibili con le esigenze evolutive dei minori, nonché la mancanza di un progetto di accudimento e accompagnamento nel percorso di crescita anche degli altri figli conviventi. In particolare, pur considerando il forte legame affettivo dei familiari ed il desiderio dei figli di tornare nella loro famiglia, accertava la situazione di abbandono, quale presupposto della dichiarazione di adottabilità, senza valutare le attuali condizioni dei genitori e la irreversibilità della privazione di assistenza morale e materiale degli stessi. La questione
La questione principale della pronuncia in commento può essere così riassunta: entro quali limiti è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono, quale presupposto giustificativo della dichiarazione di adottabilità? L'individuazione della soluzione alla problematica, però, richiede inevitabilmente di sciogliere alcuni preliminari dubbi interpretativi: come deve essere valutato e concretamente garantito il diritto del minore a crescere nell'ambito della propria famiglia di origine? E, ancora: il giudizio sulla incapacità di attendere alla funzione genitoriale può limitarsi al passato o, piuttosto, deve necessariamente essere rivolto al futuro, onde verificare anche mediante specifici percorsi la possibilità di non recidere i legami familiari? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte di Cassazione, nella ordinanza in commento, prende inevitabilmente le mosse dal diritto del minore a crescere nell'ambito della propria famiglia di origine e, di conseguenza, esamina le modalità con cui tale diritto deve essere concretamente garantito. L'ordinamento, in particolare, nel prevedere (art. 1, comma1, Legge 4 maggio 1983, n. 184, nel prosieguo anche l. ad.) che, da un lato il minore «ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia», vero e proprio ambiente preferenziale, e che dall'altro lato gli istituti dell'affidamento familiare e dell'adozione si applicano (solo) «quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore», riconosce un evidente favor per la famiglia di origine. L'adozione richiede, infatti, oltre alla sussistenza di taluni presupposti soggettivi degli adottanti (art. 6, l.ad.), che il minore sia stato giudizialmente dichiarato in stato di adottabilità (art. 7, l.ad.) in quanto privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi (art. 8, l.ad.). A fronte dell'accertamento di una «situazione di abbandono» (art. 8, l.ad.), al diritto fondamentale di «crescere nella propria famiglia» si contrappone allora l'altrettanto fondamentale diritto alla c.d. «adozione piena», che risponde quindi all'interesse del minore «di far parte di una nuova famiglia, idonea ad assicurargli la cura affettiva essenziale per la sua armoniosa crescita» (C.M. Bianca, Diritto civile, La Famiglia, II.1, Milano, 2017, pp. 451 ss.). L'istituto, così, permette a un minore dichiarato in stato di abbandono (M. Piccinni, Della famiglia. Leggi collegate, in Commentario Gabrielli, Torino, 2018, sub art. 8, L. n. 184/1983, pp. 602 ss.; A. Cordiano, R. Senigaglia, Diritto civile minorile, Napoli, 2022, pp. 327 ss.), di entrare a far parte di un nuovo nucleo familiare e di assumere la qualifica di figlio dei coniugi adottanti. Un tempo chiamata anche «adozione legittimante» (cfr. L. Dell'Osta, G. Spadaro, Adozione di minore di età, in IUS Famiglie), l'adozione piena instaura, in sostituzione del precedente ed originario legame, «un rapporto di filiazione che si identifica giuridicamente nel rapporto di filiazione di sangue» (C.M. Bianca, La Famiglia, cit., p. 455). Ebbene, l'importanza di questo tipo di misura di protezione (la quale «dà al minore abbandonato una nuova famiglia in sostituzione della famiglia di sangue» nonché «recide il vincolo sostanziale e formale … con la sua famiglia di sangue»: C.M. Bianca, La Famiglia, cit., p. 454), consiste nel determinare un integrale inserimento (V. Lojacono, Spunti critici e prospettive di riforma in tema di adozione, Milano, 1966, p. 57 ss.) del minore nella nuova famiglia (la quale «diventa l'unica famiglia»: C.M. Bianca, La Famiglia, cit., p. 454), e dunque impone di vagliare attentamente e con particolare rigore i presupposti giustificativi dell'atto di adozione e specialmente della situazione di abbandono. Ciò che emerge è il «carattere prioritario» del diritto fondamentale («riconosciuto come tale dalle convenzioni internazionali e dal diritto italiano»: Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2014, n. 16175), a vivere nella «propria famiglia di origine», la quale rappresenta senz'altro il luogo e «l'ambiente più idoneo» ove formarsi e crescere, per raggiungere un «armonico sviluppo psicofisico» (Cass. civ., sez. I, 06 aprile2023, n. 9501). Perciò, si ritiene che solo l'esigenza ed interesse «del minore abbandonato di ritrovare il bene-famiglia nella fase di formazione della sua personalità» (C.M. Bianca, La Famiglia, cit., p. 455) possa giustificare il ricorso ai mezzi giuridici di protezione. Ma tale esigenza potrà veramente dirsi sussistente solo nella misura in cui non risultino sufficienti ed idonei gli interventi diretti ad eliminare, con diverse modalità e tecniche, situazioni di difficoltà e disagio familiare; invero, lungi dal limitarsi a rilevare le insufficienze in atto nel nucleo familiare, gli organi preposti, ove possibile, debbono – con interventi di sostegno – proprio concorrere a rimuovere gli ostacoli che compromettono la crescita in esso del minore (Cass. civ., n. 9501/2023, cit.). A tal riguardo preme altresì specificare come, prima dell'intervento più radicale (il ricorso alla dichiarazione di adottabilità è del resto praticabile solo come «soluzione estrema»: L. Dell'Osta, G. Spadaro, Adozione di minore di età, cit.), il Giudice debba prioritariamente verificare, unitamente alla non transitorietà della situazione di abbandono, la fattibilità di interventi di sostegno e di aiuto ai genitori del minore (Cass. civile, sez. I, 26 marzo 2015, n. 6137), in ragione del fatto che le condizioni economiche non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia (art. 1, comma 2, l. ad.). Ecco che, come anticipato, «solo ove risulti impossibile … prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono, quale premessa dell'adozione» (Cass. civ., n. 9501/2023, cit.), con conseguente legittimo rigetto anche della domanda di affidamento etero-familiare (Cass. civ., n. 6137/2015, cit.). Il giudizio sulla incapacità di attendere alla funzione genitoriale è, però, svolto «anche in base ad un criterio di grande probabilità» (Cass. civ., n. 9501/2023, cit.). Ciò significa che occorre esprimere una prognosi sulla effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali. Decisiva rilevanza assumerà, dunque, la possibile attuazione di un percorso di crescita e sviluppo, l'elaborazione di un progetto di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore (ancorché con l'aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell'intervento dei servizi territoriali). Non si tratta, come è ovvio, di un giudizio ancorato esclusivamente o prevalentemente al passato, ed incentrato sulla incapacità dei genitori di attendere alla funzione genitoriale; essendo piuttosto necessario soffermarsi sulla imprescindibilità di una «valutazione prognostica della recuperabilità del ruolo genitoriale e della necessità per i minori di non recidere i legami familiari» (Cass. civ., n. 9501/2023, cit.). Il rilievo appare decisivo poiché le diverse circostanze che emergono dall'esame della concreta vicenda, così come quelle che si presentano in altre ipotesi, appartengono inevitabilmente al passato. Il rilievo per cui i genitori non sono stati all'altezza dei loro compiti (magari caricando taluni figli di ruoli e responsabilità non adeguati alla loro età e pregiudizievoli per gli altri) ovvero quello sulla sussistenza di una discontinua partecipazione ai programmi di sostegno, riguardano – come è stato detto con formula sempre attuale e capace di illuminare ogni discorso – un «incancellabile e nudo accadere: incancellabile, poiché ormai appartiene al mondo passato, alle cose che non possono più non essere; nudo, poiché esso sta lì, ed ha in sé la propria “verità”» (N. Irti, Un diritto incalcolabile, Torino, 2017, p. 195). E, tuttavia, un qualunque comportamento di vita, più o meno genuino e schietto, non può restare trattenuto nei confini (e, finanche, negli errori) di un tempo, quasi a voler condizionare per sempre ogni decisione futura; del pari, non assume rilevanza che in passato i genitori abbiano vissuto con altri figli vicende analoghe, perché lo stato di abbandono deve essere valutato concretamente e deve «necessariamente basarsi su di una reale, obiettiva situazione esistente in atto, nella quale soltanto vanno individuate, e rigorosamente accertate e provate, le gravi ragioni che, impedendo al nucleo familiare di origine di garantire una normale crescita, ed adeguati riferimenti educativi, al minore, ne giustifichino la sottrazione al nucleo stesso» (Cass. civ., sez. I, 28 giugno 2006, n. 15011). Ma, vi è di più. È nella situazione di base compromessa ma migliorabile, e nella volontà di realizzare un progetto di crescita comune (Cass. civ., sez. I, 09 giugno 2017, n. 14436), che si palesa il giudizio – proiettato nel futuro – sulla idoneità genitoriale. Così inquadrate le problematiche preliminari e, per dir così, di confine (quelle sul diritto del minore a crescere nell'ambito della propria famiglia di origine e sul giudizio prognostico relativo alla incapacità dei genitori di attendere alle funzioni e responsabilità proprie) si comprende altresì la soluzione offerta al quesito principale. A tal riguardo, al fine di stabilire il limite e la misura (e dunque la legittimità e correttezza) dell'accertamento della situazione di abbandono, quale presupposto giustificativo della dichiarazione di adottabilità, non si può prescindere – alla luce delle considerazioni e premesse svolte – dal considerare percorribile la via della dichiarazione di adottabilità solo quando «ogni altro rimedio appaia inadeguato con l'esigenza dell'acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l'esigenza del minore» (Cass. civ., n. 9501/2023, cit.). La spiegazione è presto detta, e l'ordinanza da cui si sono prese le mosse affronta il tema sin dall'inizio della parte motivazionale. In particolare, richiamando un proprio precedente, afferma che, la situazione di abbandono, poiché comporta il sacrificio dell'esigenza primaria di crescita in seno alla famiglia biologica, è «configurabile solo quando si accerti che la vita offerta al minore dai genitori naturali sia inadeguata al normale sviluppo psico-fisico così da fare considerare la rescissione del legame familiare come strumento necessario» (Cass. civ., sez. I, 29 marzo 2011, n. 7115), o più precisamente «l'unico strumento» (Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2010, n. 7959) adatto ad evitargli un più grave pregiudizio e ad assicurargli assistenza e stabilità affettiva (Cass. civ., n. 7115/2011, cit.), in sostituzione di quella negatagli nella famiglia originaria (Cass. civ., n. 7959/2010, cit.). L'inadeguatezza, peraltro, potrà verificarsi – oltre al caso di rifiuto intenzionale e irrevocabile dell'adempimento dei doveri genitoriali (Cass. civ., n. 7115/2011, cit.), o di rifiuto a collaborare con i servizi sociali (Cass. civ., n. 9501/2023, cit.) – anche in considerazione di «una situazione di fatto obiettiva del minore, che a prescindere dagli intendimenti dei genitori, impedisca o ponga in pericolo il suo corretto sviluppo psicofisico» (Cass. civ., n. 7115/2011, cit.). Tale analisi implica che, come anticipato, l'adottabilità del minore non può essere pronunciata in assenza della preventiva verifica della possibilità del recupero della funzione genitoriale, da compiere mediante l'attuazione di un valido e programmato progetto, posto in essere dalle autorità pubbliche competenti, valutato e monitorato dal Giudice nella sua esecuzione fino alla decisione finale del procedimento (Cass. civ., n. 16175/2014, cit.). Al termine del «percorso esistenziale» intrapreso, e diretto ad un recupero della relazione con i figli nonché al miglioramento delle condizioni di vita da offrire agli stessi, si impongono poi successive indagini e approfondimenti fondati sulla situazione presente e non passata: si tratterà di una valutazione attuale della idoneità genitoriale, della condizione psicologica e della effettiva stabilizzazione, volta a verificare se i cambiamenti ed i miglioramenti intrapresi siano da ritenere frutto di un definitivo approdo, di mutamenti irreversibili, o se invece siano insufficienti al fine di garantire ai minori un corretto sviluppo psicofisico (così Cass. civ., sez. I, 01 dicembre 2015, n. 24445). Discorrere di vita offerta al minore, infine, consente di introdurre ulteriori elementi, che sembrerebbero porsi come una sintesi degli altri requisiti; la Corte di Cassazione rammenta invero come occorra verificare l'effettiva ed attuale possibilità di recupero dei genitori (non solo con riferimento alle condizioni psichiche, ma) specialmente con riferimento alle condizioni economico-abitative; nella duplice consapevolezza, tuttavia, che l'attività lavorativa svolta e il reddito percepito non possano assumere valenza discriminatoria, e che la predetta verifica debba essere estesa anche al nucleo familiare (di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore). Osservazioni
Prima di svolgere talune osservazioni suscitate dalla lettura dell'ordinanza de qua, e relative a tematiche limitrofe al diritto di crescere nella propria famiglia, pare opportuno accennare alla adozione in casi particolari e segnatamente alla ipotesi di «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» (art. 44, comma 1, lett. d, l. ad.). Si tratta, del resto, di fattispecie particolarmente rilevante e che, come tale, ha impegnato l'attenzione della dottrina e giurisprudenza. Eppure, in questa sede (cfr., più in generale, A. Figone, Adozione in casi particolari, in IUS Famiglie) preme rilevare solamente l'evoluzione interpretativa che ha accompagnato la fattispecie, in quanto si è passati dalla tradizionale e più rigorosa impostazione secondo cui la norma avrebbe riguardo a quelle situazioni in cui il minore versa in stato di abbandono, ma di fatto non risulta praticabile la sua adozione piena, ad una maggiormente aderente alla realtà sociale (tanto che si è parlato di «auspicato ampliamento dell'ambito di operatività dell'adozione»: C.M. Bianca, La Famiglia, cit., p. 455). Per tale via, in particolare, si tende a dilatare, nei diversi contesti, la nozione di «impossibilità di affidamento preadottivo», superando lo stesso stato di abbandono, sicché l'adozione sarebbe praticabile, pure quando la predetta impossibilità assuma natura giuridico-formale: pertanto la locuzione, in tale ottica, «deve essere interpretata non già, restrittivamente, come impossibilità “di fatto”, bensì come impossibilità “di diritto”, così da comprendere anche minori non in stato di abbandono ma relativamente ai quali nasca l'interesse al riconoscimento di rapporti di genitorialità» (Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962). Definita come «clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l'adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando», tale forma di adozione (c.d. “mite”) non rappresenta una extrema ratio, non presuppone lo stato di abbandono del minore e non comporta la recisione dei rapporti del minore con la famiglia di origine: essa «risponde piuttosto all'esigenza di assicurare il rispetto del preminente interesse del minore» (Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2018, n. 9373). Resta da considerare, in questo contesto, come una recente pronuncia (Cass. civ., sez. I, 01 luglio 2022, n. 21024; M. Rizzuti, L'adozione mite fra nuovi paradigmi e incertezze applicative, in Fam. Dir., 3/2023, pp. 260 ss.), abbia ulteriormente posto in luce le relazioni fra istituti non sovrapponibili, rilevando come il giudizio di accertamento dello stato di adottabilità di un minore in ragione della sua condizione di abbandono (artt. 8 ss., l.ad.) e il giudizio volto a disporre un'adozione mite (art. 44, comma 1, lettera d, l.ad.), costituiscono due procedimenti autonomi; se il primo, infatti, è funzionale alla successiva dichiarazione di un'adozione cd. piena e determina un rapporto sostitutivo di quello con i genitori biologici, con definitivo ed esclusivo inserimento in una nuova famiglia del minore, il secondo crea un vincolo di filiazione giuridica coesistente a quello con i genitori biologici, non estinguendo il rapporto del minore con la famiglia di origine pur se l'esercizio della responsabilità genitoriale spetta all'adottante. Ne deriva, secondo tale ricostruzione, che – pur dovendosi verificare se l'interesse del minore a non recidere il legame con i genitori naturali debba prevalere o recedere rispetto al quadro deficitario delle loro capacità genitoriali (che potrebbe essere integrato, almeno in via temporanea, da un regime di affidamento extrafamiliare potenzialmente reversibile o sostituibile da un'adozione c.d. mite) – «la diversità dei procedimenti e delle statuizioni adottate all'esito degli stessi impedisce che nell'ambito del giudizio di accertamento dello stato di adottabilità sia assunta alcuna statuizione che faccia applicazione dell'articolo 44 legge n. 184 del 1983» (Cass. civ., n. 21024/2022, cit.). L'interesse del minore, allora, sembrerebbe richiedere – vuoi nella famiglia di origine, vuoi in una nuova famiglia – non solo assistenza materiale ma soprattutto assistenza morale: legami affettivi e sentimenti vari. Ebbene, se non deve trascurarsi l'adeguata assistenza materiale, quale necessaria condizione di vita, l'accento va comunque adeguatamente posto sull'esigenza del minore di poter crescere dignitosamente «nella propria famiglia» e ricevere da questa la carica affettiva di cui l'essere umano non può fare a meno nel tempo della sua formazione (locuzioni di C.M. Bianca, La Famiglia, cit., p. 462). Ecco che il «legame affettivo» nei confronti di tutti i familiari (non solo dei genitori) – filo conduttore dell'ordinanza annotata – penetra con forza nel rigoroso giudizio che accompagna la valutazione dell'interprete. La Corte di legittimità, nel cassare con rinvio la sentenza impugnata, spiega conseguentemente che «lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità» (Cass. civ., n. 9501/2023, cit.). Ma la concreta valutazione (si aggiunge in maniera senz'altro condivisibile), giammai potrebbe trascurare «la perdita del forte legame che lega i minori con tutti gli altri fratelli», o il «pregiudizio che deriverebbe loro dalla recisione del legame genitoriale e più ampiamente familiare» ovvero in chiave unitaria «il desiderio di tornare nella loro famiglia» (Cass. civ., n. 9501/2023, cit.). Per concludere, su di un diverso piano di indagine, può dirsi come l'interesse pregnante del diritto – specialmente in materia di famiglia (o, al plurale, delle famiglie: M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Milano, 2023, pp. 1 ss.) – per i moti dell'animo, non potrebbe che riflettersi sulla scelta compiuta dal giurista; il quale, tuttavia, sarà portato (forse, e più o meno consapevolmente), nello studio della vicenda, a sovrapporre i propri valori e (spesso) pregiudizi, le proprie aspettative ed intuizioni, a riversare in definitiva i propri sentimenti. Qui, nel mondo del diritto, la scelta che scioglie il dubbio, lungi dall'essere compiuta una volta per tutte, è però pur sempre legata ad uno specifico ed individuale caso concreto; ad una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito: al giudice del rinvio. |