Domanda di condanna del convenuto al pagamento da parte del terzo interventore cessionario del credito

Mattia Caputo
19 Giugno 2023

L'ordinanza che qui si annota affronta la questione relativa alla sussistenza oppure no, in capo al terzo interventore, cessionario del credito “sub iudice” del diritto ad ottenere la condanna diretta a proprio favore nel medesimo giudizio del quale il rapporto di credito-debito tra le parti originarie è oggetto.
Massima

Qualora il cessionario di un credito intervenga nella controversia promossa dal cedente contro il debitore, anche in grado d'appello, come consentitogli dall'art. 111, comma 3, c.p.c. in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, può pronunciarsi la condanna del convenuto all'adempimento direttamente in favore di detto cessionario, indipendentemente dalla mancata estromissione dalla causa del cedente, ove il cessionario medesimo abbia formulato una domanda in tal senso con l'adesione del cedente e non vi siano contestazioni da parte del debitore ceduto neppure in ordine al verificarsi della cessione stessa.

Il caso

Tra il Consorzio Alfa e la Società Beta – subentrata “ex lege” nella posizione della prima - insorgeva un contenzioso avente ad oggetto la condanna al pagamento di somme di denaro per la costruzione di alloggi e la realizzazione di altre opere; contenzioso che si concludeva con la pronuncia di un lodo arbitrale che condannava la Società al pagamento di quanto dovuto in favore del Consorzio.

Avverso il predetto lodo arbitrale la Società proponeva appello principale ed il Consorzio impugnazione incidentale.

La Corte d'Appello di Napoli accoglieva alcuni dei motivi dell'appello principale, ritenendo assorbiti gli altri così come il gravame incidentale, ed accertava che il contratto di appalto stipulato tra le parti prevedesse il corrispettivo in favore del Consorzio “a corpo”, e non “a misura”, come ritenuto in sede arbitrale.

Il Consorzio proponeva ricorso per cassazione contro la decisione della Corte d'Appello partenopea e la Suprema Corte annullava con rinvio la sentenza impugnata, imponendo al giudice del rinvio la valutazione circa l'avvenuta stipulazione di un contratto a misura.

Medio tempore” nel giudizio di rinvio si costituivano degli interventori, assumendo di essere divenuti cessionari del credito oggetto del contenzioso con atto di cessione del credito precedente, chiedendo espressamente alla Corte d'Appello, previo accoglimento delle domande del Consorzio, condannarsi la Società beta a pagare direttamente gli importi dovuti, appunto, in veste di successori a titolo particolare nel lato attivo del rapporto obbligatorio.

La Corte d'Appello di Napoli, quale giudice di rinvio, concludeva il giudizio con sentenza con cui, dopo aver applicato il principio di diritto e ritenuto che il compenso per i lavori doveva essere calcolato “a misura”, riteneva ammissibile l'intervento spiegato dai terzi.

I terzi interventori interponevano ricorso per Cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte d'Appello di Napoli in sede di rinvio, lamentando la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c., lamentando l'omessa pronuncia circa la domanda di condanna al pagamento da essi ritualmente formulata, avendo essi diritto ad esigere il pagamento del credito direttamente, anche in via esecutiva, essendone divenuti titolari nella pendenza della lite e prima dell'adozione della pronuncia.

La questione

L'ordinanza che qui si annota affronta la questione relativa alla sussistenza oppure no, in capo al terzo interventore, cessionario del credito “sub iudice” del diritto ad ottenere la condanna diretta a proprio favore nel medesimo giudizio del quale il rapporto di credito-debito tra le parti originarie è oggetto.

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in commento la Prima Sezione della Cassazione Civile, confermando l'orientamento già espresso in precedenza, ha dato risposta negativa alla questione sottoposta al suo vaglio.

Partendo dal dato letterale della norma di cui all'art. 111 del codice di procedura civile la Suprema Corte, premesso che l'intervento del terzo, nella qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, è applicabile in ogni grado o fase del processo - dunque anche nel giudizio di rinvio, senza che rappresenti un ostacolo a ciò il carattere “chiuso” di questo giudizio, vincolato all'esito del giudizio di legittimità – ha ribadito che costituisce ormai “ius receptum” (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 22727/2011; Cass. civ., n. 22503/2014) nella giurisprudenza della Suprema Corte che la successione “inter vivos” a titolo particolare nel diritto controverso di cui all'art. 111 c.p.c. riguarda la sola titolarità attiva e passiva dell'azione, e non anche la capacità di agire applicata al processo, con la conseguenza pratica che essa non far venir meno né l'interesse ad agire o a resistere ex art. 100 c.p.c. in capo agli originali attori e convenuti, né tantomeno la legittimazione dell'originario titolare del diritto. Tale legittimazione, tuttavia, ha portata meramente “sostitutiva” e “processuale”, di talché gli effetti sostanziali della pronuncia si spiegano solo nei confronti dell'effettivo nuovo titolare, sia o meno il medesimo intervenuto in giudizio, come del resto sancito dal quarto comma dell'art. 111 del Codice di rito.

Fatta questa premessa, la Corte di Cassazione ha poi rilevato come sia ben possibile che laddove il cessionario di un credito “sub iudice” spieghi intervento nella controversia intrapresa dal creditore cedente nei confronti del debitore ceduto (anche in appello, come consentitogli dall'art. 111, comma 3, c.p.c.) quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, può pronunciarsi la condanna del convenuto all'adempimento direttamente in favore del cessionario, indipendentemente dalla mancata estromissione dalla causa del cedente, purché il cessionario stesso abbia formulato una domanda in tal senso (in ossequio al principio della domanda di cui all'art. 99 c.p.c. e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato), che vi sia l'adesione del cedente e che non vi siano contestazioni da parte del debitore ceduto, neppure in ordine al verificarsi della cessione stessa.

In presenza di tutti questi presupposti cumulativamente tra loro, cioè la domanda del cessionario del credito terzo interventore/successore a titolo particolare, l'adesione alla stessa dell'attore-cedente ed in mancanza di contestazioni provenienti dal convenuto-ceduto, il Giudice “può”, ha cioè facoltà, di condannare direttamente a quest'ultimo al pagamento in favore del cessionario, divenuto nel frattempo titolare del lato attivo del rapporto obbligatorio originariamente dedotto nel processo.

Tuttavia, come chiarito dalla Prima Sezione, non vi è un obbligo in tal senso da parte del Giudice (ma solo una facoltà), stante proprio il disposto dell'art. 111, comma 3, c.p.c., in forza del quale la sentenza pronunciata contro l'alienante del credito litigioso spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare.

Sulla base di questo iter argomentativo la Suprema Corte ha quindi ritenuto infondato il ricorso dei terzi interventori, cessionari del credito poiché, pur sussistendo nella fattispecie la titolarità di questi ultimi in relazione al credito controverso, nonché la loro domanda di condanna della Società Alfa al pagamento direttamente in loro favore di quanto spettante, e non essendovi contestazioni sul punto, non vi è comunque alcun obbligo del giudice di accogliere tale domanda, ma solo una facoltà, fermo restando che la sentenza resa produce i suoi effetti anche nei confronti del successore a titolo particolare che, dunque, potrà poi ottenere dal dante causa il pagamento di quanto dovuto.

Osservazioni

L'ordinanza in commento si segnala per essere pervenuta, coerentemente con il disposto normativo dell'art. 111 c.p.c. ed alla interpretazione già fornita in precedenza dalla stessa Corte di Cassazione, ad una ricostruzione assolutamente condivisibile.

In particolare, appare meritevole di essere segnalato quello che può essere definito lo snodo “cruciale” della pronuncia, cioè il passaggio in cui la Suprema Corte evidenzia come costituisca ormai principio giurisprudenziale consolidato quello per cui la successione tra vivi a titolo particolare nel diritto controverso ai sensi dell'art. 111 c.p.c. riguarda soltanto il profilo della titolarità attiva e passiva dell'azione, e non anche la capacità di agire applicata al processo, in quanto il subentro nella titolarità, appunto, del diritto di credito, non comporta il venir meno della condizione dell'azione dell'interesse ad agire o a resistere in capo alle parti originarie del giudizio, né determina l'esclusione della legittimazione dell'originario titolare del diritto (i.e.: cedente).

In questo senso, dunque, la Corte di Cassazione chiarisce che a seguito di fenomeni successori – segnatamente, a titolo particolare – nel diritto controverso, si pone un problema di “titolarità”, che attiene al merito della controversia, come già sancito in precedenza dalle Sezioni Unite Civili con sentenza n. 2951 del 2016, che non incide in alcun modo sulla legittimazione, qui attiva, (intesa come coincidenza tra chi agisce in giudizio e chi afferma di essere titolare del diritto per cui intraprende l'azione giudiziaria), del dell'originario attore-cedente. Rispetto al successore a titolo particolare, dunque, si configura una legittimazione definita dalla Cassazione come meramente “sostitutiva” e “processuale” avuto riguardo alla posizione dell'attore-cedente, atteso che gli effetti sostanziali della pronuncia si produrranno poi, di fatto, soltanto nei confronti dell'effettivo nuovo titolare del diritto (cioè l'avente causa), sia che questi sia intervenuto nel processo, sia che ciò non abbia avuto luogo, come sancito dall'ultimo comma dell'art. 111 c.p.c.

Proprio in considerazione delle conseguenze, stabilite “a monte” dal legislatore, che si producono sempre e comunque nella sfera giuridica del terzo interventore cessionario del credito, quindi, si spiega l'assenza di un obbligo in capo al Giudice, sia pure allorquando vi sia una domanda in tal senso, ricorra l'adesione alla stessa dell'attore-cedente e pure in mancanza di contestazioni circa la cessione stessa da parte del convenuto-debitore ceduto, di condannare quest'ultimo al pagamento (o, comunque, ad eseguire la prestazione dedotta in obbligazione) direttamente in favore del cessionario. Infatti, anche in assenza di una siffatta statuizione, il disposto del quarto comma dell'art. 111 c.p.c. implica sempre e comunque che l'eventuale pronuncia di accoglimento della domanda inizialmente proposta dall'attore-cedente produca i suoi effetti (favorevoli) anche nei confronti dell'interventore.

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