Collegio sindacale di s.p.a.: nomina e composizione

Cristina Cengia
28 Agosto 2018

Il Collegio sindacale è l'organo di controllo interno della società per azioni nel sistema tradizionale, cui sono attribuite funzioni di vigilanza sull'amministrazione della società. Introdotta per la prima volta con il codice di commercio del 1882, la disciplina relativa al collegio sindacale è stata oggetto nel tempo di numerosi interventi legislativi modificativi volti a garantire la funzionalità e l'efficienza di tale organo, che ha via via assunto un ruolo sempre più pregnante. Scopo del presente contributo è quello di analizzare la disciplina relativa alla composizione, nomina, ineleggibilità, decadenza, revoca, rinuncia e cessazione del Collegio sindacale delle S.p.A. e, dunque, i presupposti fondamentali che caratterizzano l'organo di controllo e che stanno alla base del suo funzionamento.
Inquadramento

Il Collegio sindacale delle società per azioni è l'organo societario cui sono demandati poteri di controllo sull'amministrazione della società. Più specificamente i sindaci devono vigilare sull'osservanza della legge e dello statuto da parte degli organi sociali nonché sull'adeguatezza e sul rispetto dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.

È evidente che lo svolgimento proficuo delle suddette funzioni può essere conseguito soltanto se le stesse siano affidate a soggetti che presentino determinati requisiti di adeguatezza. Consapevole di una tale necessità, il legislatore del 1882 – che per la prima volta aveva disciplinato la figura dei sindaci all'interno del codice di commercio – aveva individuato proprio nei sindaci i soggetti idonei a vigilare sulla società, come “un efficace strumento di moderazione, cioè quasi una forza centripeta che, insieme a quella delle assemblee generali, temperi e governi la forza centrifuga degli amministratori” senza essere “tale da rendere impossibile o troppo difficile, una amministrazione vigorosa ed ispirata ad unità di intendimenti e di azione” (E. Vidari, Corso di diritto commerciale, 1881, 522 ss.).

Una tale parentesi storica non vuole essere una mera elucubrazione dottrinale, ma appare piuttosto utile a comprovare la ratio dell'istituto in esame, che ha via via assunto un ruolo sempre più pregnante. I numerosi interventi modificativi legislativi succedutisi nel tempo hanno infatti confermato, da un lato, la necessità dell'organo sindacale e, dall'altro lato, la necessità che tale organo sia regolato da una disciplina che gli consenta di operare in maniera funzionale ed efficiente.

Ciò posto, il presente contributo è volto ad esaminare l'attuale disciplina generale del Collegio sindacale e cioè i presupposti fondamentali che caratterizzano l'organo di controllo e che sono volti ad assicurarne l'efficace funzionamento. Si analizzano dunque le regole di composizione, nomina, ineleggibilità, decadenza, revoca, rinuncia e cessazione del Collegio sindacale, contenute negli artt. 2397-2402 c.c. (all'interno della Sezione VI-bis, Capo V, Titolo V).

La composizione del Collegio sindacale

La composizione del Collegio sindacale è oggetto di una specifica disposizione normativa, l'art. 2397 c.c.che prevede, al primo comma, che il Collegio sindacale di una società per azioni sia costituito da tre o cinque sindaci effettivi, soci o non soci, e due sindaci supplenti. Come verrà meglio illustrato di seguito, con tale previsione, il legislatore ha disposto che i sindaci supplenti sostituiscano i sindaci effettivi nell'eventualità che questi vengano meno nel corso del loro mandato.

Dalla lettura della disposizione citata emerge che i sindaci effettivi presenti in ogni società devono essere, alternativamente, in numero pari a tre o cinque, non possono essere di numero inferiore o superiore e, soprattutto, non in numero pari. Quest'ultima asserzione trova evidenza nell'intento di scongiurare eventuali stalli nell'attività dell'organo di controllo.

Si tratta, dunque, di una struttura semirigida per cui è esclusa la possibilità di deroga da parte dei soci nell'atto costitutivo.

La scelta del numero dei sindaci è indicata nell'atto costitutivo della società, come stabilito non solo dall'art. 2328, comma 2, n. 10 – disposizione relativa al contenuto di tale atto -, ma è altresì ribadito dalla norma 1.1 delle norme di comportamento delle società del Collegio Sindacale nelle società non quotate.

Ne deriva, pertanto, la illegittimità di clausole pattizie che stabiliscano il minimo e il massimo del numero dei sindaci e attribuiscano la relativa decisione all'assemblea in analogia a quanto previsto dal comma 4 dell'art. 2380 bis c.c. che con riguardo agli amministratori prevede che se lo statuto non stabilisce il numero degli amministratori, ma ne indica solamente un numero massimo e minimo, la determinazione spetta all'assemblea (A. Bertolotti, I controlli nella S.p.A., Torino, 2018, 25).

Può accadere che durante lo svolgimento dell'incarico si verifichino degli eventi in forza dei quali il numero dei sindaci possa mutare, si pensi, a titolo esemplificativo, all'intervento di una modifica statutaria o di una delibera assembleare che comporti la variazione del numero dei componenti dello stesso. In tali evenienze si ritiene che:

  • in caso di variazione in diminuzione del numero dei sindaci, gli stessi rimangono in carica fino alla naturale scadenza, salvo che l'assemblea non disponga diversamente. La modifica statutaria o la delibera assembleare che prevede la diminuzione dei componenti del Collegio sindacale non comporta la cessazione immediata del Collegio;
  • in caso di variazione in aumento del numero dei sindaci, l'assemblea provvede a nominare i sindaci necessari a completare il Collegio sindacale in carica. I nuovi componenti del Collegio sindacale scadono insieme a quelli già in carica (Norme di comportamento del Collegio sindacale delle società non quotate, settembre 2015).

A differenza dell'organo amministrativo che può essere costituito da un unico soggetto, ossia l'amministratore unico, il Collegio sindacale non può risultare composto da un unico membro.

Al riguardo non si può tacere sul tentativo operato dapprima dalla Legge n. 183/2011 (Legge di stabilità 2012) e dal successivo D.L. n. 5/2012 (c.d. Decreto semplificazioni) di limitare a un solo soggetto la composizione dell'organo di controllo, ovviamente con riferimento alle società aventi piccole dimensioni.

Tant'è vero che la prima normativa citata aveva previsto la possibilità in favore delle società aventi ricavi o patrimonio netto inferiori a un milione di euro di nominare un unico sindaco. Successivamente, con il Decreto semplificazioni tale facoltà venne estesa anche ad altre società, in particolare a quelle stesse società che in forza del disposto dell'art. 2435-bis c.c. hanno la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata.

È del tutto evidente che una tale impostazione avrebbe garantito il contenimento dei costi legati al funzionamento dell'organo di controllo (M. Vietti, Le società commerciali: organizzazione, responsabilità e controlli, Profili applicativi a dieci anni dalla “Riforma Vietti”, Torino, 2014, 393); tuttavia, la Legge n. 35/2012, in sede di conversione del D.L. n. 5/2012 ha abolito il sindaco unico nelle S.p.A. e la scelta del metodo collegiale con riferimento all'organo di controllo è stata ribadita in sede di Riforma (si rimanda alla Bussola sul funzionamento del collegio sindacale di s.p.a., in questo portale).

In evidenza: la composizione del Collegio sindacale nelle S.r.l.

Come noto, nelle S.r.l. la nomina di un organo di controllo non è obbligatoria, può essere prevista dallo statuto e se non è disposto diversamente, l'organo di controllo è costituito da un solo membro effettivo.

Pertanto, contrariamente a quanto avviene nelle S.p.A., è ammessa la nomina di un sindaco unico, in ogni caso, sia che l'organo di controllo sia collegiale o monocratico, ad esso si applicano le norme sul Collegio sindacale previste per le società per azioni

La nomina di tale organo, tuttavia, diventa obbligatoria nei casi stabiliti dall'art. 2477, comma 3, c.c., ossia nelle seguenti ipotesi:

  • la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
  • la società controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti;
  • non ricorrono le condizioni stabilite dall'art. 2435 bis c.c. per la redazione del bilancio di esercizio in forma abbreviata.

In evidenza: la composizione del Collegio sindacale nelle società quotate

Due importanti differenze intercorrono tra la disciplina del Collegio sindacale delle società non quotate e quella delle società quotate.

In primo luogo, secondo quanto disposto dall'art. 154 del d.lgs. n. 58/1998 (T.U.F.) concernente le norme non applicabili, alle società non quotate non si applica l'art. 2397 c.c., occorre, dunque, fare riferimento alle prescrizioni contenute all'148 T.U.F. che, segnatamente, si occupa della composizione del Collegio sindacale.

Per quel che rileva in questa sede, la norma citata prevede che le società in questione possano liberamente fissare nell'atto costitutivo il numero dei membri effettivi e di quelli supplenti nel rispetto del numero minimo indicato e, nello specifico, il comma 1, lett. a) e b) dell'art. 148T.U.F. prevede che l'atto costitutivo della società stabilisce per il collegio sindacale: a) il numero, non inferiore a tre, dei membri effettivi; b) il numero, non inferiore a due, dei membri supplenti.

Pertanto, il Legislatore ha fissato un minimo pari a tre per i sindaci effettivi e a due per quelli supplenti, attribuendo ai soci la scelta del numero in relazione alle dimensioni della società.

In secondo luogo, l'art. 148, comma 2, T.U.F. prevede, secondo le modalità stabilite da Regolamento della Consob, l'elezione, con voto di lista, di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci di minoranza che non siano collegati, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti. Si applica l'articolo 147-ter, comma 1-bis.

Inoltre, secondo il disposto di cui al comma 1 bis dell'art. 148 T.U.F., l'atto costitutivo della società stabilisce, inoltre, che il riparto dei membri del Collegio sindacale sia effettuato in modo che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei membri effettivi del collegio sindacale, prevedendo altresì che tale criterio di riparto si applichi per tre mandati consecutivi e le conseguenze derivanti dal mancato rispetto di tale previsione.

Dal momento che la legge che pone quest'ultimo vincolo scadrà tra pochi anni, il Comitato per la corporate governance ha aggiornato il codice di autodisciplina delle società quotate prevedono che sia il consiglio di amministrazione che il collegio sindacale siano costituiti per almeno un terzo da componenti del genere meno rappresentato sia al momento della nomina sia nel corso del mandato (Il Sole 24 ore, 18 luglio 2018).

I requisiti soggettivi

L'art. 2397, comma 2, c.c. prescrive dei requisiti di professionalità, al fine di garantire che la carica di sindaco sia assunta da soggetti tecnicamente preparati e idonei ad affrontare la particolare difficoltà insita nella verifica dell'altrui operato.

Viene, infatti, previsto che almeno uno dei sindaci effettivi e uno dei supplenti siano scelti tra i revisori legali iscritti nell'apposito registro tenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze, mentre i restati membri, se non iscritti in tale registro, devono essere scelti fra gli iscritti negli albi professionali individuati con decreto ministeriale (avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, consulenti del lavoro) o fra i professori universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche.

Nel complesso la norma consente una composizione diversificata del collegio, che può constare di sindaci con qualità professionali diverse: ciò risponde all'esigenza che il Collegio sindacale nel suo complesso presenti le competenze tecniche specifiche (contabili, giuridiche, economiche, ecc.) necessarie per l'efficace assolvimento del controllo nel settore di operatività della società che li nomina. L'obbligo che almeno un sindaco sia iscritto al registro dei revisori si spiega osservando che, anche quando il Collegio non effettua la revisione legale dei conti, deve comunque assolvere alcuni compiti di tipo contabile, quali la redazione della relazione al bilancio.

Si discute sull'ammissibilità della nomina di società quali sindaci. Se è vero che le disposizioni sui sindaci contenute nel codice civile risultano riferite alle persone fisiche (come evidenziato da Ambrosini, Le “società di revisori contabili” nella nuova disciplina del controllo legale dei conti, in Gco, 1996, I, 942), è pur vero che l'art. 2397, comma 2, c.c. non distingue tra persone fisiche e società, sicché gran parte della dottrina ammette che il Collegio sindacale possa essere formato anche da società di revisione (Campobasso, Diritto commerciale, Torino, 2015, 398; Ferrara, Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001, 536). Tale tesi è avvalorata dalla considerazione per cui nel registro dei revisori legali di cui all'art. 2397 sopra citato possono iscriversi sia persone fisiche sia società di persone o di capitali che rispondano a determinati requisiti riguardanti soci, amministratori e soggetti responsabili dell'attività di revisione.

Secondo una parte della dottrina, lo statuto della società può prevede ulteriori requisiti rispetto a quelli previsti dalla legge (Valensise, Il «nuovo» collegio sindacale, 41 e 70 ss.).

In evidenza: differenza con le società quotate

I requisiti di professionalità dei sindaci sono diversamente articolati per le società quotate e non quotate. Per le quotate i requisiti dei membri del Collegio sindacale sono requisiti non solo di professionalità ma anche di onorabilità. Tali requisiti sono stabiliti dal T.U.F., all'art. 140, comma quarto, che a sua volta ne demanda la fissazione ad un regolamento del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti la Consob, la Banca d'Italia e l'Ivass. Il Ministro della giustizia ha provveduto con l'emanazione del D.M. 30 marzo 2000, n. 162, il quale prevede all'art. 1 i requisiti di professionalità e all'art. 2 i requisiti di onorabilità.

Ruolo dei sindaci supplenti: la sostituzione. Collegio sindacale incompleto

Come si evince dall'art. 2401 c.c., il ruolo dei sindaci supplenti consiste nel garantire la sostituzione dei sindaci effettivi in caso di morte, rinuncia e decadenza degli stessi.

La ratio di tale previsione e, in generale, della figura dei sindaci supplenti potrebbe quindi ravvisarsi nella finalità di assicurare, da un lato, la continuità dell'organo di controllo e, dall'altro, la collegialità del Collegio sindacale.

Infatti, sotto il primo profilo, l'istituto della sostituzione consente il subingresso di un sindaco supplente nel ruolo ricoperto dal precedente sindaco effettivo senza soluzione di continuità, permettendo che non vengano interrotti i lavori del Collegio sindacale.

Sotto il secondo profilo, inoltre, si evita il rischio di infrangere la regola della collegialità che, nell'ambito delle società per azioni e per effetto dell'art. 2397 c.c., impone che l'organo di controllo sia formato da tre o cinque membri effettivi - soci o non soci - e da due sindaci supplenti al fine di garantire un adeguato grado di ponderatezza nello svolgimento dei compiti di controllo.

Orbene, al fine di meglio comprendere la disciplina in esame, è utile analizzare, dapprima, i presupposti al ricorrere dei quali interviene la sostituzione di un sindaco effettivo con un sindaco supplente e, in seconda battuta, il meccanismo di subentro.

La disciplina contenuta nell'art. 2401, comma 1, c.c. si applica in ipotesi di:

1- morte;

2- rinuncia, che coincide con le dimissioni volontarie del sindaco che possono intervenire in qualsiasi momento;

3- decadenza, che si verifica nelle ipotesi indicate agli artt. 2399, 2404 e 2405 c.c. e, segnatamente, deriva dal verificarsi delle cause di ineleggibilità, di mancata partecipazione alle riunioni del collegio sindacale per due volte consecutive e di mancata partecipazione alle assemblee, alle riunioni del Consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo.

Quanto al meccanismo di subentro, l'art. 2401 c.c. prevede, al comma 1, il subentro automatico e temporaneo dei sindaci supplenti in ordine di età, nel rispetto dell'art. 2397, comma 2, c.c. e, in via subordinata, al comma 3, se con i sindaci supplenti non si completa il Collegio sindacale, deve essere convocata l'assemblea perché provveda all'integrazione del Collegio medesimo.

Quanto alla prima ipotesi, nel silenzio della legge si è posto il problema di coordinare i due criteri relativi all'individuazione del sindaco supplente che debba subentrare: l'età anagrafica e la qualifica di revisore legale che deve necessariamente ricoprire almeno un membro effettivo ed uno supplente dell'organo di controllo.

In dottrina si è ritenuto che il rapporto tra i due criteri potrebbe essere risolto in base a quanto stabilito al riguardo nello statuto (Bertolotti, Le nuove s.p.a., I sistemi di amministrazione e controllo, 269; Bertolotti, Società per azioni, Collegio sindacale Revisori Denunzia al tribunale, 133, citati in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017) Tuttavia, si ritiene che, in ogni caso, non può essere violato il disposto di cui all'art. 2397, comma 2, c.c. e, conseguentemente, il criterio dell'anzianità risulterebbe subordinato all'obbligo di rispettare la composizione del Collegio sindacale da un punto di vista delle qualifiche professionali ricoperte ed indicate nella norma citata.

Pertanto, la scelta del sindaco supplente che andrà a sostituire quello uscente ricadrà, in primis, sul soggetto che, in virtù dei propri requisiti professionali, sia in grado di garantire il rispetto della composizione del Collegio sindacale e, in secondo luogo, a parità di qualifiche, la scelta cadrà sul sindaco più anziano (Ambrosini, Comm. Cottino, 875 e 889; Domenichini, Niccolini Stagno D'Alcontres, 744; Magnani, Comm. Marchetti, 148; Tedeschi, Il collegio sindacale, Comm. Schlesinger, 84; Cavalli, Tr. Colombo Portale, 67; Norme di comportamento del Collegio sindacale delle società non quotate, settembre 2015, citati in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017)

Il nuovo sindaco, così individuato, resta in carica fino all'assemblea successiva, la quale provvederà alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per l'integrazione del Collegio.

La durata della carica dei nuovi sindaci coincide con quella dei sindaci già in carica.

Per quel che qui rileva è necessario stabilire il momento in cui si verifica il subingresso del sindaco supplente. La sostituzione è automatica, non essendo necessaria né un'apposita delibera dell'assemblea, né una specifica accettazione da parte del sostituto, poiché si tiene conto della dichiarazione resa all'atto di nomina (A. Cotto, M. Meoli, F. Tosco, R. Vitale, Società, 2014) In ogni caso, ciò non toglie che al sindaco supplente debba essere assicurata la possibilità di venire a conoscenza della rinuncia per consentirgli l'adempimento dei doveri e l'esercizio dei poteri che la carica comporta dal momento che la conoscenza effettiva dell'entrata in funzione ne costituisce il presupposto (A. Bertolotti, I controlli nella S.p.A., Torino, 2018,, 2018, 96 ss.).

Come accennato, se il meccanismo del subentro automatico dei sindaci supplenti non consente di completare la composizione dell'organo di controllo nel rispetto delle indicazioni fornite dalla legge, diviene necessario convocare l'assemblea affinché provveda all'integrazione del Collegio, sempre nel rispetto dell'art. 2397, comma 2, c.c.

In questo caso, facendo applicazione delle regole generali, l'assemblea è convocata dagli amministratori e, in caso di omissione, spetta al Collegio sindacale e, nella specie, ai sindaci rimasti indire l'assemblea, ai sensi dell'art. 2406 c.c.

In evidenza: la sostituzione del presidente

L'art. 2401, comma 2, c.c. stabilisce che in caso di sostituzione del presidente, la presidenza è assunta fino alla prossima assemblea dal sindaco più anziano.

In evidenza: la sostituzione dei sindaci nominati dallo stato o dagli enti pubblici

Come noto, ai sensi dell'art. 2449 c.c. se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare un numero di sindaci, oltre che di amministratori, proporzionale alla partecipazione al capitale sociale.

Mentre il legislatore si occupa di disciplinare, nel testo della norma citata, la revoca, i diritti, gli obblighi e la durata e la scadenza della carica dei sindaci in questione, nella è detto in merito all'eventualità della loro sostituzione in caso di morte, rinuncia o decadenza degli stessi.

È certo che non si può applicare l'art. 2401 c.c. per effetto del quale il sindaco di nomina pubblica verrebbe sostituito con il sindaco di nomina privata, pertanto si prospetta che il sindaco (i) possa venire sostituito da un supplente avente in comune con il primo la nomina da parte dello Stato o di altri enti pubblici, se ovviamente, tra i supplenti vi sia un soggetto munito dei requisiti indicati, (ii) in alternativa, l'ente che ha provveduto alla nomina del sindaco si occuperà di nominare il sostituto (Magnani, Comm. Marchetti, 152; Cavalli, Tr. Colombo Portale, 67 citati in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 837) (iii) o, ancora, il sindaco rimarrà in carica per assicurare la composizione del Collegio sindacale sia costituito in via maggioritaria da membri legati all'ente (Cass., 20831/2015, citata in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017)

In evidenza: la sostituzione dei sindaci nominati dai possessori di strumenti finanziari partecipativi

Analogo discorso vale con riferimento ai sindaci nominati dai possessori di strumenti finanziari partecipativi ai sensi dell'art. 2351, comma 5, c.c.: in luogo del sindaco effettivo uscente il sindaco supplente nominato dalla stessa categoria di soggetti, se a suo tempo individuato ovvero la nomina del sostituto spetta all'assemblea speciale di categoria (A. Bertolotti, I controlli nella S.p.A., Torino, 2018, 95).

Da ultimo va rilevato che nell'ipotesi in cui “l'organo di controllo diventi incompleto e non sia possibile ricostituirlo integralmente per incapacità dell'assemblea o per non reperibilità di sindaci disposti ad accettare l'incarico, la società si scioglie” (Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle tre Venezie, Massima n. H.E.1).

Presidenza

L'art. 2398 c.c. prevede che il presidente del Collegio sindacale sia nominato dall'assemblea.

Quanto alla scelta del presidente, è opinione pressoché unanime che l'assemblea non sia soggetta a particolari vincoli nella scelta del presidente, ma possa liberamente indicare il soggetto designato a ricoprire tale ruolo, a prescindere dalla qualifica professionale rivestita. Inoltre non vi è neanche una norma che preveda che il presidente debba necessariamente essere scelto tra coloro che sono iscritti nel registro dei revisori legali (A. Cotto, M. Meoli, F. Tosco, R. Vitale, Società, 2014).

Tuttavia, non è da escludersi che in statuto vengano previsti particolari requisiti per la nomina del presidente cui l'assemblea dei soci debba attenersi.

Nulla è detto da parte del Legislatore laddove l'assemblea non provveda alla nomina del presidente, si ritiene però che l'assemblea debba essere immediatamente riconvocata per nominarlo (tra gli altri, Cavalli, Tr. Colombo Portale, 79; Bertolotti, Le nuove s.p.a., I sistemi di amministrazione e controllo, 224, citatati A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 815).

Con riferimento ai compiti spettanti al presidente non vi è alcuna norma che se ne occupi, tuttavia si ritiene che a tale soggetto spettino ruoli di impulso, organizzazione e coordinamento del Collegio sindacale.

Vi sono, però, alcune norme all'interno del codice che attribuiscono al presidente del Collegio sindacale il ruolo di destinatario di alcune comunicazioni, tra cui:

  • la comunicazione con la quale l'amministratore manifesta la volontà di rinunciare al proprio ufficio (art. 2385, comma 1, c.c.);
  • la comunicazione con cui il medesimo riferisce il proprio dissenso a una deliberazione consiliare, dopo averlo fatto annotare nel libro delle adunanze e delle deliberazioni di Consiglio (art. 2392, comma 3, c.c.).

In generale sembra potersi affermare che il presidente non abbia un ruolo prevalente rispetto a quello degli altri sindaci, ad esempio, in sede di votazione si esclude che il voto del presidente abbia un valore decisivo (Cavalli, Giur. sist. Bigiavi, 759; Simone, Comm. Grippo, 537; Ambrosini, Comm. Cottino quotate, 264 citati in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 815).

In evidenza: il presidente del Collegio sindacale nelle società quotate

L'art. 2398 c.c. non si applica alle società quotate. Con riguardo a queste ultime, ai sensi dell'art. 148, comma 2 bis T.U.F., il presidente del collegio sindacale è nominato dall'assemblea tra i sindaci eletti dalla minoranza. Al riguardo occorre tenere in conto che il comma precedente della medesima disposizione prevede che un membro effettivo del collegio sindacale venga eletto da parte dei soci di minoranza mediante il meccanismo del voto di lista, secondo le modalità stabilite dalla Consob con regolamento; pertanto è ragionevole ritenere che la scelta dell'assemblea debba ricadere su questo soggetto, salvo che lo statuto, nel rispetto del regolamento emittenti Consob, preveda che la minoranza possa nominare più sindaci.

La nomina dei sindaci

Ai sensi dell'art. 2400, comma 1, c.c., i sindaci sono nominati per la prima volta nell'atto costitutivo (art. 2328, comma 2, n. 11) e successivamente dall'assemblea (art. 2364, comma 1, n. 2), salve le eccezioni di cui agli artt. 2351, 2449 e 2450 c.c.

La designazione dei componenti del Collegio sindacale da parte di coloro che si apprestano a costituire la società e, in seguito, all'assemblea, rende, di fatto, il Collegio sindacale espressione dello stesso gruppo di comando che nomina gli amministratori sottoposti al controllo interno, finendo per contraddire in maniera radicale la stessa ratio dell'istituto in esame. Si tratta di un motivo di scarsa funzionalità del Collegio sindacale, già avvertito sin dai primi dibattiti relativi all'introduzione dell'istituto: “Si dice, che i membri suoi, essendo eletti da quelle stesse assemblee generali che eleggono gli amministratori e il direttore, sosterranno le ragioni della maggioranza di quelle, né saranno disposti a combatterla” (E. Vidari, Corso di diritto commerciale, 1881, 522 ss.).

In evidenza: differenza con le società quotate

La situazione è diversa nelle società quotate, in cui un membro effettivo del Collegio sindacale deve essere eletto da parte dei soci di minoranza attraverso il sistema del voto di lista. In tal modo il Collegio sindacale risulta espressione dell'intera compagine azionaria, offrendo maggiori garanzie di effettivo svolgimento del controllo. La norma del T.U.F. che prevede la nomina di un sindaco espresso dalla minoranza non è stata estesa alla generalità delle società per azioni, nelle quali tutti i sindaci continuano ad essere espressi solo dalla maggioranza assembleare.

L'antinomia tra la regola generale della competenza assembleare e le finalità tutorie del Collegio sindacale è attenuta da due elementi.

In primo luogo, occorre considerare che la caratteristica tipica dell'organo assembleare, nella sua accezione corporativa di riunione degli azionisti in cui si forma la volontà, quasi oggettivata, della società si è gradualmente attenuata nel corso del tempo, in particolare con l'affermarsi di società di grandi dimensioni in cui la maggior parte dei soci si mostra disinteressata allo svolgimento della vita sociale (A. Bertolotti, I controlli nella S.p.A., Torino, 2018, 27-28).

In secondo luogo, l'articolo 2400 del codice civile prevede alcune eccezioni tassative (fatto salvo quanto previsto in altre leggi speciali) alla suddetta regola di nomina mediante il richiamo degli artt. 2351, 2449 e 2450 c.c. (tale ultimo articolo – a norma del quale il diritto di nomina di uno o più sindaci poteva essere conferito allo Stato o a enti pubblici, per espressa previsione statutaria o per disposizione di legge, anche in mancanza di una partecipazione azionaria dello Stato o dell'ente nella società – pur se tuttora richiamato dall'art. 2400 c.c., è stato abrogato dall'art. 3, comma 1, d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, conv. in l. 6 aprile 2007, n. 46). Più specificamente:

  • ai sensi dell'art. 2351, comma 5, c.c.lo statuto può riservare la nomina di un sindaco ai possessori degli strumenti finanziari partecipativi di cui all'art. 2346, comma 6, c.c. (emessi dalla società a seguito dell'apporto di soci o di terzi di un'opera o di servizi) e all'art. 2349, comma 2, c.c. (assegnati ai dipendenti della società o di sue controllate). Quanto alla procedura di nomina, lo statuto dovrebbe contenere apposite previsioni;
  • secondo l'art. 2449 c.c., poi, la legge o lo statuto possono riservare la nomina di uno o più sindaci allo Stato o a enti pubblici che abbiano partecipazioni nella società.

Occorre infine sottolineare, in via generale, che ai sensi dell'art. 2368, comma 1, c.c., lo statuto può stabilire norme particolari per la nomina dei sindaci. Tale previsione deve essere interpretata nel senso che tali norme particolari non siano intese, in ogni caso, a sottrarre all'assemblea il potere di nomina al di fuori delle eccezioni di cui agli articoli sopra indicati. A tal proposito occorre dare atto di una parte della dottrina che ritiene che lo statuto della società possa prevedere particolari norme per la nomina dei sindaci da parte dell'assemblea, e quindi anche clausole che prevedano la nomina di uno o più sindaci espressi dalla minoranza con il metodo del voto di lista (Bertolotti, Le nuove s.p.a., I sistemi di amministrazione e controllo, 215; Caselli, G. comm. 03, 259; cit. in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 828).

L'accettazione della carica

Una questione particolare su cui pare opportuno soffermare l'attenzione riguarda l'accettazione della carica da parte dei sindaci nominati. Il legislatore non prevede nulla al riguardo, sicché la dottrina e la giurisprudenza hanno a lungo dibattuto sulla necessità o meno di un'accettazione e dei requisiti della stessa. L'orientamento maggioritario ritiene che l'accettazione sia un atto dovuto, sebbene non espressamente previsto.

Non varrebbe eccepire il noto brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, per cui il legislatore, non avendo previsto in maniera espressa la necessità dell'accettazione, non avrebbe inteso semplicemente accoglierla, sicché l'accettazione sarebbe in ogni caso dovuta. Conforta questa conclusione un triplice ordine di considerazioni:

  • l'art. 2400, comma 3, c.c. prevede che la nomina dei sindaci (oltre che la cessazione dall'ufficio) deve essere iscritta, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese nel termine di trenta giorni. Una dottrina accreditata ritiene che tale termine decorra dalla data dell'accettazione: ciò in quanto l'adempimento dell'iscrizione nel registro risponderebbe ad un'esigenza di pubblicità dichiarativa connessa all'interesse dei terzi alla conoscenza dei sindaci della società, a nulla rilevando, invece, la conoscenza di chi, chiamato a ricoprire l'incarico, non abbia ancora manifestato il proprio assenso (A. Bertolotti, I controlli nella S.p.A., Torino, 2018, 29). Peraltro, se può ritenersi pacifica la natura di pubblicità dichiarativa dell'iscrizione della nomina nel registro delle imprese, la nomina dei primi sindaci costituisce invece condizione di validità dell'atto costitutivo della società, che andrebbe preliminarmente accertata dal notaio (Magnani, Comm. Marchetti, 135, cit. in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 828);
  • l'art. 2400, comma 4, c.c., inserito dalla c.d. Legge sul Risparmio (L. 28dicembre 2005, n. 262) prevede espressamente che i sindaci devono rendere noti gli incarichi di amministrazione e controllo da essi ricoperti presso altre società al momento della nomina e prima dell'accettazione;
  • l'accettazione della carica costituisce un requisito indispensabile per il sorgere dei poteri-doveri inerenti alla carica, non potendo la delibera di nomina incidere sulla sfera giuridica del sindaco senza la sua volontà o addirittura a sua insaputa.

Quanto ai requisiti di forma, la prassi raccomanda che l'accettazione – sia per la nomina dei primi sindaci effettuata nell'atto costitutivo, sia per le nomine successive – avvenga per iscritto (Norme di comportamento del Collegio sindacale delle società non quotate, settembre 2015). Non manca, tuttavia, chi ritiene che essa possa avvenire in qualunque forma (Cavalli, Il collegio sindacale, Giur. Sist. Bigiavi, 654; ID. Tr. Colombo Portale, 11; Tedeschi, Il collegio sindacale, Comm. Schlesinger, 58; Domenichini, Tr. Rescigno, 549; cit. in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 827).

Durata della carica

Per quanto riguarda la durata dell'incarico, i sindaci restano in carica per tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica. La cessazione dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito (art. 2400, comma 1, c.c.).

La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie ritengono che il termine triennale di durata in carica dei sindaci sia inderogabile, in quanto ha la funzione di garantire ai sindaci l'indipendenza dagli amministratori e dalla maggioranza dei soci e di assicurare loro una certa continuità del Collegio sindacale nell'esercizio delle sue funzioni.

Mentre viene espressamente previsto il termine finale della carica, che coincide con l'assemblea in cui deve essere approvato il bilancio del terzo esercizio, nulla è detto con riferimento al termine iniziale. A tal proposito, vi è chi ritiene che la decorrenza della carica coincida con la data dell'accettazione (a ulteriore conferma della necessità di quest'ultima).

Alla scadenza del triennio gli stessi sindaci possono essere riconfermati in carica per uno stesso periodo di tempo. Non è possibile un rinnovo tacito dell'incarico (Trib. Palermo, 6 giugno 1962, Giur. Sic. 62, 504), ma essendo il termine triennale, come detto, inderogabile, sarà necessaria a tal fine una nuova delibera assembleare. I sindaci cessati sono legittimati a convocare l'assemblea allo scopo di nominare i loro successori, in caso di omissione o inerzia degli amministratori (art. 2406 c.c.).

A beneficio della continuità del controllo interno i sindaci cessati restano in carica fino alla nomina dei nuovi: si tratta dell'estensione ai sindaci dell'ipotesi di prorogatio prevista dall'art. 2385, comma 2, c.c. per gli amministratori (Ambrosini, sub art. 2400, in Comm. Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, 885). Inoltre, i Principi del CNDCEC (Norme di comportamento del Collegio sindacale delle società non quotate, settembre 2015) sottolineano l'importanza della collaborazione tra i sindaci in carica e quelli cessati, tramite lo scambio delle informazioni acquisite e l'illustrazione delle esperienze maturate nel corso del loro incarico.

Retribuzione

L'art. 2402 c.c. è dedicato alla retribuzione dei sindaci e prevede che la retribuzione annuale è stabilita nello statuto o, in mancanza di previsioni statutarie, dall'assemblea all'atto della nomina per l'intero periodo di durata dell'ufficio.

La carica di sindaco è onerosa (Cass. 10 aprile 2015, n. 7299, in questo portale; Cass. 27 ottobre 2014, n. 22761, in Giust. Civ. Mass. 2014), a tutela dell'indipendenza dell'organo. Peraltro in dottrina e in giurisprudenza si discute sulla possibilità di rinuncia del sindaco al proprio compenso.

Il compenso dei sindaci deve essere predeterminato e invariabile in corso di carica, potendo aumentare o diminuire – secondo l'orientamento maggioritario – solo per variazioni legate ad elementi oggettivi predeterminati, come, ad esempio, gli indici di rivalutazione monetaria. Una parte della dottrina ammette, invece, la variazione del compenso in conseguenza di variazioni delle tariffe professionali.

Il legislatore non ha fissato criteri per la determinazione dell'ammontare del compenso, lasciando ampia libertà allo statuto e all'assemblea.

Secondo l'opinione prevalente, in assenza di una esplicita previsione normativa (come l'art. 2389 relativo agli amministratori), il compenso dei sindaci non può che essere determinato in una somma fissa di denaro, in assenza di una esplicita previsione normativa come l'art. 2389 relativo agli amministratori, e non può invece essere determinato come partecipazione agli utili, anche parziale.

La giurisprudenza si è espressa nel senso che la disposizione per cui il compenso del sindaco deliberato dall'assemblea per l'intera durata dell'incarico tenda a evitare una soggezione economica dell'organo di controllo all'assemblea, tale per cui sia inficiata l'indipendenza operativa dei sindaci, che non devono essere soggetti a pressioni in rapporto al maggiore o minore rigore di controllo esercitato nello svolgimento delle loro funzioni (Cass. 9 agosto 2004, n. 15354, in Soc. 2005, 745).

In mancanza della determinazione del compenso nello statuto o da parte dell'assemblea, secondo la Suprema Corte, spetta all'autorità giudiziaria determinare il compenso ai sensi dell'art. 2233 c.c. (Cass. 10 aprile 2015, n. 7299).

Cumulo di incarichi

Il legislatore non ha previsto un'espressa disposizione legislativa che vieti il cumulo degli incarichi sindacali. Un tale divieto sembra potersi rinvenire nell'art. 2400, comma 4, c.c., il quale richiede che al momento della nomina i sindaci comunichino all'assemblea gli incarichi di amministrazione e controllo dagli stessi ricoperti presso altre società. A ben vedere la ratio della norma sembra riferirsi più all'esigenza di adeguata conoscenza dei sindaci che all'esclusione del cumulo degli incarichi (A. Bertolotti, I controlli nella S.p.A., Torino, 2018, 55-56).

Peraltro, i già menzionati Principi di comportamento elaborati dal CNCDEC affermano che il sindaco deve valutare se accettare o meno la nomina tenendo in debita considerazione la natura, la complessità e la struttura organizzativa del compito che lo stesso è chiamato a svolgere. Ne deriva che qualora altri incarichi dallo stesso già assunti non consentano di espletare in maniera efficace il compito al quale il sindaco è designato, egli dovrà sicuramente rinunciarvi.

Ad ogni modo il sindaco deve garantire un controllo efficace, che non risulta evidentemente possibile in caso di sovrapposizione di numerosi impegni.

È comunque possibile che i limiti al cumulo degli incarichi da parte dei sindaci siano contenuti in una previsione statutaria (art. 2399, comma 3, c.c.).

In evidenza: differenza con le società quotate

Nelle società quotate è la legge a fissare un tetto massimo di incarichi (art. 144-terdecies reg. emittenti).

Il sindaco di fatto

La giurisprudenza di merito si è occupata più volte negli ultimi anni della questione della possibile esistenza del sindaco “di fatto”, cioè di un soggetto che, nell'ambito del controllo, si trovi nella stessa condizione in cui agisce l'amministratore di fatto nell'ambito della gestione.

Contrariamente a detta giurisprudenza – espressasi in senso positivo – la Corte di Cassazione è intervenuta per la prima volta sulla questione con la sentenza n. 22575 del 23 ottobre 2014 pronunciandosi in senso negativo, peraltro non senza sollevare critiche e perplessità. Il caso di specie riguardava un sindaco di una società cooperativa, poi fallita, chiamato in giudizio dal curatore fallimentare nell'ambito di un'azione di responsabilità. Il sindaco era resistito in giudizio eccependo di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze della società e, pertanto, di essere decaduto dalla carica ovvero di essere stato ineleggibile ab origine. La Suprema Corte ha respinto la richiesta del curatore fallimentare affermando che non è ipotizzabile lo svolgimento di fatto delle funzioni sindacali, che la legge ricollega alla nomina di un soggetto rispetto al quale non sussista alcuna causa di ineleggibilità secondo la norma imperativa e inderogabile di cui all'art. 2399 c.c.

Ineleggibilità: cause ed effetti

Nonostante il fatto che i componenti dell'organo di controllo interno siano espressione della maggioranza dell'assemblea dei soci, ossia del medesimo organo che nomina anche gli amministratori della società, la disciplina codicistica prevede una serie di cause d'ineleggibilità e di decadenza poste a tutela dell'indipendenza e della neutralità dei sindaci e del Collegio intero. In particolare, ai sensi dell'art. 2399 c.c., non possono essere nominati sindaci – e se eletti, decadono ex lege:

(i) i soggetti che versino nelle cause d'ineleggibilità previste per gli amministratori;

(ii) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; abbiano determinati rapporti di parentela con gli amministratori delle società;

(iii) i soggetti che abbiano rapporti lavorativi o economici con le medesime società tali da comprometterne l'indipendenza.

Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità.

Con specifico riferimento alla lett. (i), ai sensi dell'art. 2382 c.c. - esplicitamente richiamato dall'art. 2399 c.c. - non possono essere sindaci:

  • l'interdetto o l'inabilitato: tale incapacità ha effetto dal giorno della pubblicazione della sentenza ai sensi dell'art. 42 c.c.;
  • il fallito: tale incapacità decorre dal momento del deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa di fallimento e termina con la cancellazione dell'albo dei falliti, cui segue la riabilitazione civile o la revoca passata in giudicato della sentenza di fallimento;
  • il condannato ad una pena che importi l'interdizione anche temporanea dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.

Per quanto riguarda invece le cause sub (ii), sul punto è necessario operare una doppia precisazione:

  • da un punto di vista soggettivo la parentela rilevante deve interessare solo gli amministratori della società, risultando estranei dalla fattispecie anche i sindaci, i direttori generali, i revisori o altre figure connesse con la stessa. Si discute se rilevino altresì i rapporti familiari di fatto (in senso negativo Ambrosini, L'amministrazione e i controlli nelle società per azioni, 2003, 319);
  • da un punto di vista oggettivo, rilevano invece solo le situazioni di controllo diretto o indiretto (ovvero di comune controllo – a differenza di quanto è previsto per le società quotate).

Sul punto indicato con la lettera (iii), l'art. 2399, co. 3 c.c. dispone che siano ineleggibili “coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza”. In particolare la giurisprudenza ha precisato che anche un rapporto consulenziale non continuativo, debba essere equiparato ad un'ingestione nell'attività amministrativa della società interessata, se non altro per l'influenza dei pareri che essa comporta (Cass. 28 marzo 2013, n. 7902, in Foro it. 2013, 12, I, 3534).

Gli effetti

Qualora l'assemblea dei soci nomini soggetti per i quali ricorrono cause d'ineleggibilità, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie ritengono che la delibera sia invalida (A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 821-822; Cass. 23 ottobre 2014, n. 22575, in Giur. Comm. 2016, 3, II, 592; Cass. 9 maggio 2008, n.11554, in Foro it. 2009, 7-8, I, 2175).

Decadenza: cause ed effetti

Dal momento che la decadenza dalla carica presuppone la preventiva nomina nonché l'accettazione del soggetto interessato, la stessa si riferisce necessariamente ad un momento successivo a quello rilevante in tema di cause d'ineleggibilità.

Peraltro, proprio le cause di ineleggibilità rappresentano alcune delle condizioni che determinano la decadenza del sindaco. In particolare – oltre alle fattispecie di cui all'art. 2382 c.c. – ai sensi del comma 2 dell'articolo in esame, i sindaci decadono:

(i) per la cancellazione o sospensione dal registro dei revisori legali e delle società di revisione legale;

(ii) per la perdita dei requisiti di cui all'art. 2397, ultimo comma, c.c., ossia: (ii.a) iscrizione agli albi professionali individuati con decreto del Ministero della giustizia; (ii.b) professori universitari di ruolo in materia economiche o giuridiche.

Gli effetti della decadenza

Le cause di decadenza legate al venir meno dei requisiti di ineleggibilità operano automaticamente (A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 823).

L'obbligo di accertamento di dette cause spetta agli amministratori entro il termine di 30 giorni previsto per l'iscrizione della nomina nel Registro delle Imprese.

La giurisprudenza ha inoltre precisato che le delibere di un Collegio sindacale adottate con la presenza di un sindaco decaduto ex lege sono invalide, anche se il voto di tale sindaco non sia stato determinante nell'adozione delle decisioni dell'organo di controllo (Cass. 9 maggio 2008, n.11554, in Foro it. 2009, 7-8, I, 2175).

Secondo la giurisprudenza, inoltre, la ricorrenza di cause d'ineleggibilità non esonera da responsabilità i sindaci che abbiano accettato la carica e l'abbiano mantenuta per la durata dell'incarico (Trib. Catania 5 novembre 1999, in Giur. comm. 2001, II, 510; Trib. Genova, 19 luglio 1993, in Giur. it. 1994, I, 2, 327).

Cessazione, revoca e rinuncia

Il Collegio sindacale cessa anche nelle seguenti ipotesi:

  • scadenza della carica alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica;
  • estinzione della società;
  • delibera di variazione del sistema di governance, con passaggio dal sistema tradizionale ad un diverso sistema di amministrazione e controllo (monistico e dualistico);
  • in caso di trasformazione di una società dotata di organo sindacale e/o di revisore legale dei conti in un tipo societario che non preveda tali organi, i relativi componenti decadono dalla data di efficacia della trasformazione.

(Segue) La cessazione dei sindaci per scadenza del termine

L'art. 2400, comma 1, c.c. disciplina la cessazione dei sindaci per scadenza del termine, prevedendo che i membri del Collegio sindacale restino in carica per tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica.

Il Legislatore, quindi, fissa con puntualità e in modo inequivocabile la data di scadenza della carica di sindaco al fine di assicurare la continuità di funzionamento del Collegio sindacale.

In stretta connessione con tale finalità si pone anche il proseguo del comma primo dell'art. 2400 c.c. laddove è previsto che la cessazione dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il Collegio è stato ricostituito, introducendo in questo modo il regime della c.d. prorogatio.

È evidente il chiaro intento del Legislatore di evitare che si crei un vulnus nell'attività di controllo del Collegio sindacale, e per questa ragione è stato impedito il verificarsi di un periodo di vacanza dei sindaci prevedendo che la cessazione spieghi i suoi effetti non immediatamente alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica, ma dal momento in cui i nuovi componenti dell'organo di controllo si siano insediati.

Al verificarsi della scadenza del termine, la cessazione, al pari della nomina dei sindaci, deve essere iscritta nel registro delle imprese nel termine entro trenta giorni a cura degli amministratori, ai sensi dell'art. 2400, comma 3, c.c.

Laddove gli amministratori non procedano o ritardino l'iscrizione di cessazione dei sindaci scatta la sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 2630 c.c. (Ministero dello Sviluppo Economico, Circolare n. 3687/C del 9 febbraio 2016).

Contestualmente, incombe sui sindaci l'obbligo di accertare l'assolvimento del dovere di dare pubblicità alla cessazione dell'ufficio da parte degli amministratori. Laddove gli amministratori siano rimasti inerti, i sindaci sono legittimati a provvedere anche individualmente (Norme di comportamento del Collegio sindacale delle società non quotate, settembre 2015).

Una volta cessati dall'incarico, i sindaci devono prestare la massima collaborazione ai nuovi sindaci in carica, fornendo loro le informazioni e la documentazione eventualmente richieste (Norme di comportamento del Collegio sindacale delle società non quotate, settembre 2015).

(Segue) La revoca

L'art. 2400, comma 2, c.c. contiene la disciplina relativa alla revoca dei membri del Collegio sindacale stabilendo che i sindaci possono essere revocati solo per giusta causa e che la relativa deliberazione debba essere approvata con decreto dal Tribunale, sentito l'interessato.

Affinché l'atto di revoca dei sindaci produca effetti e il sindaco cessi dalla carica occorre, quindi, che vengano rispettate due condizioni: il ricorrere di una giusta causa che porti l'assemblea dei soci a destituire il sindaco e l'approvazione da parte del Tribunale.

Entrambe le citate condizioni rispondono all'esigenza di assicurare l'indipendenza dell'organo di controllo.

Dalla suindicata previsione discende, infatti, che nessun sindaco possa venire revocato ad nutum e che, eccezionalmente, la deliberazione di revoca dell'assemblea non assuma immediata efficacia, ma necessiti, per potere dispiegare i propri effetti, dell'approvazione da parte del Tribunale.

È pacifico che i motivi alla base della revoca siano indicati dalla stessa assemblea ordinaria cui compete adottare la decisione; in questo modo s'intende evitare che gli amministratori nel ricorso con cui si rivolgono al Tribunale per richiedere l'approvazione dell'atto possano operare una propria valutazione eventualmente discostandosi dalla volontà dei soci (A. Bertolotti, I controlli nella S.p.A., Torino, 2018,).

Secondo l'opinione prevalente, il compito riservato all'autorità giudiziaria non si limita a un mero controllo formale della regolarità della delibera, ma implica una verifica nel merito e un'analisi dei motivi che possa portare il Tribunale a ritenere sussistenti nel caso concreto gli estremi della giusta causa (A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 830). Quest'ultima, secondo la giurisprudenza, può essere ravvisata a fronte non solo di violazione di doveri connessi all'incarico, ma anche in particolari circostanze che riguardino la persona, che pur non costituendo cause di ineleggibilità o di decadenza, siano obiettivamente rilevanti nell'ambito del rapporto che lega la società ai suoi organi di controllo, come l'affidabilità che deve contraddistinguere la persona del sindaco sul piano tecnico e sul piano dell'immagine che egli - quale membro dell'organo di controllo – concorre a dare della trasparenza e della corretta gestione sociale (Trib. Milano, 29 aprile 2009, in Giur. Comm. 2010, II, 150).

A titolo esemplificativo, è stata considerata legittima dalla giurisprudenza la revoca del presidente del Collegio sindacale di una società operante nella gestione collettiva del risparmio poiché coinvolto in procedimento penale e sottoposto a misura cautelare personale (Trib. Milano, 29 aprile 2009, in Giur. Comm. 2010, II, 150).

Ad ogni modo, per revocare i sindaci non è necessario che si sia verificato un danno nei confronti della società per effetto del comportamento degli stessi (Sciuto, in AA.VV., Il collegio sindacale 402; Bertolotti, Le nuove s.p.a., I sistemi di amministrazione e controllo, 261, citati in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 830).

Nell'ipotesi in cui non ricorrano gli estremi della giusta causa, secondo la dottrina prevalente, la delibera s'intende nulla e un'eventuale dichiarazione di illegittimità della revoca non comporta la reintegra dei sindaci revocati (Tedeschi, Il collegio sindacale, Comm. Schlesinger, 67 e ss., citato in A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 830), i quali potrebbero comunque richiedere il risarcimento dei danni.

In evidenza: la revoca dei sindaci nominati dallo stato o da altri enti pubblici

Ai sensi dell'art. 2449, comma 2, c.c. i sindaci nominati dallo stato o da enti pubblici possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati. La dottrina e parte della giurisprudenza di merito hanno ritenuto che il provvedimento di revoca dell'ente pubblico non sia soggetto all'approvazione del tribunale ai sensi dell'art. 2400 c.c. (A. Maffei-Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 831).

(Segue) La rinuncia

Come già accennato, la rinuncia coincide con le dimissioni volontarie del sindaco che possono intervenire in qualsiasi momento.

Di tale istituto il Legislatore si limita a fare cenno all'art. 2401 c.c., nell'ambito della disciplina della sostituzione dei sindaci in caso di morte, rinuncia o decadenza.

Tale causa di cessazione anticipata dalla carica di sindaco si estrinseca in un atto unilaterale recettizio che è opportuno, secondo l'opinione pressoché unanime in dottrina, che venga redatto in forma scritta, come del resto risulta anche dalle Norme del CNDCEC che indicano che la rinuncia avvenga in forma scritta o risulti negli atti sociali.

L'atto di dimissioni volontarie deve contenere, oltre alla volontà di dimettersi dall'incarico, anche i motivi a sostegno della decisione e la relativa comunicazione è rivolta agli amministratori e al Collegio sindacale (Norme del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, settembre 2015).

Nel silenzio della legge sul punto si è posta la questione se si possa fare applicazione del regime della prorogatio. Al riguardo occorre dare atto di ricostruzioni contrapposte.

In primo luogo, secondo l'opinione che sembra essere prevalente, il regime della prorogatio non dovrebbe applicarsi in caso di dimissioni volontarie in quanto il disposto dell'art. 2400 c.c., con riferimento alla cessazione per scadenza del termine prevede che questa abbia effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito, mentre nessuna precisazione è stata effettuata con riguardo alla cessazione per rinuncia (Trib. Napoli 15 ottobre 2009, citata in A. Cotto, M. Meoli, F. Tosco, R. Vitale, Società, 2014, 1223).

Si tratterebbe, dunque, di un meccanismo eccezionale che non può essere applicato in via analogica ad altre fattispecie non previste dalla legge.

Secondo l'orientamento in commento, in forza delle dimissioni, la cessazione del sindaco si realizza anche prima della sostituzione da parte del sindaco supplente (FNC, La rinuncia del sindaco, 1.12.2014) e ciò può verificarsi anche in mancanza di sindaci supplenti idonei ad integrare il Collegio sindacale (Trib. Milano, 2 agosto 2010, in Giur. comm., 2012 II, 171; Trib. Treviso 19 maggio 2011, in Riv. dir. impresa, 2012, 388).

I sostenitori della tesi contraria, invece, si pongono il problema dell'applicabilità analogica dell'art. 2385, comma 2, c.c. che, con riguardo all'organo amministrativo, prevede che la cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito.

Gli stesso concludono nel senso che sembrerebbe preferibile ritenere applicabile il regime della prorogatio anche all'ipotesi di cessazione della carica di sindaco per rinuncia, pur essendo prevista tale ipotesi solo ed esclusivamente dall'art. 2400 c.c. in riferimento alla cessazione del sindaco per scadenza del termine e nonostante il silenzio del Legislatore rispetto all'ipotesi de qua. Nel caso in cui più sindaci si dimettano simultaneamente e con l'ingresso dei supplenti non sia completato il collegio, ovvero anche questi ultimi presentino le dimissioni, dovranno considerarsi in carica i sindaci ultimi dimissionari (Consiglio nazionale del Notariato, Quesito di Impresa n. 194-2010/1, “Dimissioni e prorogatio del collegio sindacale nella S.r.l. Essenzialità della relazione dell'organo di controllo nella riduzione di capitale ex art. 2482 – bis, in CNN Notizie del 20.01.2010).

In evidenza: rinuncia del sindaco unico di S.r.l.

In caso di rinuncia del sindaco unico di S.r.l., se lo statuto lo prevede, subentra il sindaco supplente, altrimenti spetterà agli amministratori provvedere alla convocazione dell'assemblea per la nomina dell'organo di controllo (Norme di comportamento del Collegio sindacale delle società non quotate, settembre 2015).

Riferimenti

Normativi

  • Artt. 2397, 2398, 2399, 2400, 2401, 2402 c.c.

Giurisprudenza

  • Cass. 10 aprile 2015, n. 7299
  • Cass. 23 ottobre 2014, n. 22575
  • Trib. Milano, 29 aprile 2009
  • Trib. Milano, 2 agosto 2010
  • Cass. 10 aprile 2015, n. 7299

Prassi

  • Norme di comportamento del Collegio sindacale – principi di comportamento del Collegio sindacale di società non quotate del CNDCEC – settembre 2015
Sommario