Genitori e responsabilitàFonte: Cod. Civ. Articolo 2048
28 Maggio 2014
Nozione BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE La fattispecie della responsabilità dei genitori è contemplata dal primo comma dell'art. 2048 c.c. secondo il quale il padre e la madre (e ad essi è equiparata la figura del tutore) sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei minori non emancipati (o delle persone soggette alla tutela) che abitano con essi. Detta speciale responsabilità è poi estesa all'affiliante. Soggetti responsabili
I soggetti responsabili vengono individuati nel padre e nella madre oppure nel tutore. La responsabilità prevista dalla fattispecie in esame, a differenza di quanto disposto dall'art. 1153 del codice civile del 1865, ha carattere solidale ex art. 2055 c.c. per entrambe le figure genitoriali in virtù degli artt. 30 Cost. e 147 c.c., mentre nei loro rapporti interni la responsabilità si presume uguale. Ai genitori legittimi sono equiparati per legge quelli adottivi (assumendo l'adottato uno status parificato a quello di figlio legittimo ai sensi dell'art. 27, comma 1, l. n. 184/1983) e quelli naturali, giusta previsione dell'art. 261 c.c. che estende a questi ultimi, a seguito dei riconoscimento, tutti i doveri e diritti che essi hanno nei confronti del figlio legittimo. Sul punto ogni differenza tra figli legittimi e naturali oggi risulta stata definitivamente eliminata a seguito dell'entrata in vigore della l.n. 219/12. Discussa è la posizione del genitore naturale nei confronti figlio naturale non riconosciuto, posto che per una parte della dottrina l'inoperatività dell'art. 261 c.c. non consente al primo di assumere la “posizione di garanzia” prevista dalla fattispecie in esame, collegata all'esercizio della potestà genitoriale. Per altri più semplicemente la disposizione codicistica richiede la qualità di genitore e il fatto della coabitazione del minore con il primo, per cui sarebbe sufficiente l'esistenza del rapporto “naturale” genitore-figlio che sorge per il semplice fatto della procreazione, oltre alla coabitazione prevista dalla disposizione codicistica che qui ci occupa. Ove il minore sia affidato ad un terzo ai sensi dell'art. 2, l. n. 184/1983, questi, pur avendo il compito di prendersene cura temporaneamente in attesa del rientro in famiglia sia pur con poteri più ridotti anche perchè soggetti al controllo dell'autorità affidante oppure dei genitori, potrebbe rispondere ex art. 2048 c.c. ove coabitante con il minore. Gli istituti previsti dall'art. 3, l.cit. e presso i quali il minore è stabilmente inserito possono certamente essere equiparati al tutore, in quanto lo sostituiscono nell'esercizio dei poteri sino al momento della sua nomina. La coabitazione
Perchè poi possa operare la responsabilità prevista dall'art. 2048 c.c. è necessario che il minore coabiti con i genitori, perchè tale stato di fatto è sintomatico sia dell'assenza di un patrimonio del minore idoneo a garantire il risarcimento degli eventuali danni da lui arrecati a terzi, sia dell'esistenza di condizioni ambientali minime perché i genitori possano proficuamente esercitare i doveri di educazione e vigilanza (Cass. civ. sez. III,n. 6741/1998), consentendo di fatto l'adozione di quelle attività di sorveglianza e di educazione, il cui mancato assolvimento giustifica la responsabilità medesima (Cass. civ. sez. III, n. 2195/1979). La giurisprudenza ha elaborato un concetto “elastico” del ridetto requisito, specificando sul punto per es. che la temporanea assenza dalla residenza familiare del minore (Cass. civ., n. 1895/1978 e Cass. civ., n. 2115/1976 e Cass. civ. sez. III, n. 7050/2008) anche per impedimento (Cass. civ. sez. III, n. 13424/1992) non è causa interruttiva della coabitazione ai fini della responsabilità ex art. 2048 c.c., in ragione della peculiare “prova liberatoria” gravante sui genitori e comunque dell'onere di assicurarsi che il minore si possa assentare da casa pur non essendo in grado di potersi adeguatamente “gestire” autonomamente ovvero che questi venga affidato a soggetti idonei a badare a lui. La responsabilità verrà quindi esclusa nel caso in cui il minore abbia lasciato la casa familiare per fatto non imputabile ai genitori (vedi in senso contrario l'ipotesi in cui uno di essi sia stato destinatario di ordine di allontanamento ex art. 342 ter c.c.) e questi abbiano fatto il possibile per farlo rientrare a casa. Nel caso di genitori separati o divorziati, la giurisprudenza di merito rimane divisa, posto che, anche se - a seguito della riforma dell'art. 155 c.c. - per il caso di affido condiviso permane in capo ad entrambi i genitori l'esercizio congiunto della potestà genitoriale, vi è indubbiamente da considerare la circostanza che il minore di fatto convive solo con il genitore cd “collocatario”. Alcune pronunce di merito (anche anteriori alla riforma di cui alla l. n. 54/2006) hanno “superato” il problema facendo leva sulla responsabilità del genitore non affidatario per colpa per cd “carenza di educazione”, specie se questi ha intrattenuto rapporti costanti con il figlio; in altri casi, invece, il genitore separato che non coabita è stato ritenuto esente da responsabilità. La responsabilità del coniuge non collocatario dovrebbe comunque ritenersi sussistente anche perchè questi è sempre messo in grado di intervenire sull'educazione del figlio, vigilando sulla stessa, sia perchè rimane titolare della potestà genitoriale ai sensi degli artt. 317, comma 2 c.c., 155 e 155 bis c.c., sia perchè (anche ove non collocatario) puo' adire il giudice ai sensi dell'art. 316, comma 3 e art.155, comma 3 c.c. vecchia formulazione laddove le decisioni assunte non siano da lui condivise (sul punto Cass. civ. sez. I, n. 14360/2000). Il fatto illecito compiuto dal minore
L'art. 2048 c.c. prevede che i genitori rispondano per i danni cagionati dal fatto illecito dei figli minori non emancipati. Da ciò consegue che la norma si riferisca solo ai danni cagionati a seguito di illecito di natura extracontrattuale e non p.es. da inadempimento contrattuale, salvo la responsabilità per il fatto doloso o colposo del minore quale ausiliario ove ricorrano gli estremi dell'art. 1228 c.c. Ovviamente la responsabilità è esclusa ove emergano circostanze volte ad escludere l'illiceità del fatto (caso fortuito, legittima difesa). La giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale contrasto, ha precisato che l'art. 2048 c.c. ha per oggetto esclusivamente quelle condotte antigiuridiche lesive della sfera giuridica di terzi e non si applica al risarcimento del danno che il minore abbia cagionato a se stesso (Cass. civ. S.U., n. 9346/2002, ribadita da Cass. civ. sez. III, n. 3242/2012, e Cass. civ.sez. III, n. 12966/2005) e in tal caso opererà la responsabilità prevista dall'art. 2043 c.c. nei rapporti tra figlio e genitori. La fattispecie di cui all'art. 2048 c.c. opera anche quando il minore abbia cagionato con il suo comportamento un illecito amministrativo del quale non puo' rispondere ex art. 2, l. n. 689/1981, in virtù del dovere di sorveglianza e vigilanza gravante sui genitori (tra le tante Cass. civ., sez. I, n. 4286/2002; Cass. civ.sez. I, n. 572/1999; Cass. civ. sez. I, n. 10282/1997; e Cass. civ. sez. I, n. 6302/1996). La norma non distingue tra i minori a seconda della loro età p.es. graduando la loro responsabilità, ma non opera solo ove il minore che abbia superato i 16 anni sia stato emancipato, non valendo quali equipollenti all'emancipazione le particolari abilitazioni previste da altre leggi speciali, rilevanti ai meri fini amministrativi, quali p.es. il conseguimento di patente di abilitazione alla guida di particolari categorie di veicoli o motocicli previsto per i minori di anni 18 dall'art. 115, comma 1 lett. a) e b) C.d.S. come modificato dall'art. 2, comma 1 d.lgs. 59/2011 (vedi Cass. civ., n. 3725/1976). Il fatto illecito deve essere stato cagionato da minore capace di intendere e di volere. Ove tale condizione soggettiva non sussista, i genitori potranno rispondere del danno da lui cagionato ai sensi dell'art. 2047 c.c. quali sorveglianti dell'incapace, trattandosi di forme di responsabilità in rapporto di alternatività tra di loro (Cass. civ. sez. III, n. 1148/2005). Al fine di stabilire se il minore fosse capace di intendere e volere al momento del fatto, va ricordato che “in tema di imputabilità del fatto dannoso opera, nel campo civile, un sistema diverso ed autonomo rispetto a quello previsto dal legislatore per l'imputabilità in campo penale, nel quale è la legge stessa che fissa le cause che la escludono, mentre, a norma dell'art. 2046 c.c., compete al giudice civile accertare caso per caso, se, in relazione all'età, allo sviluppo psico-fisico, alle modalità del fatto o ad altre ragioni, debba escludersi o meno la capacità di intendere o di volere. Tale accertamento, se correttamente e adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.” ( Cass. civ. sez . III, n. 11163 /1990 , e Cass. civ. sez. III, n. 1259/1980, Cass. civ. n. 2425/1975). L'incapacità non può presumersi per il solo fatto che il minore si di età inferiore ai 14 anni, dovendosi tener presente non solo l'età dello stesso e le modalità del fatto, ma anche il suo sviluppo intellettivo, l'assenza (eventuale) di malattie ritardanti, la forza del carattere, la capacità del minore di rendersi conto dell'illiceità della sua azione, la capacità del volere con riferimento all'attitudine ad autodeterminarsi; spetta al giudice compiere il relativo accertamento alla stregua dei criteri tratti dalla comune esperienza e dalle nozioni della scienza (Cass. civ., n. 1642/1975; Cass. civ. sez. III, n. 8740/2001). I minori possono essere divisi in tre grandi categorie: 1) minori prossimi al raggiungimento della maggiore età (cd “grande minore”), ritenuti per maturità psicofisica e intellettiva equiparabili al maggiorenne; 2) soggetti di età compresa tra i 12 e i 16 anni in cui va verificato se è ingrado, per caratteristiche soggettive ed oggettive, di badare a sè; 3) minori, che pur capaci di intendere e volere, rientrino nella cd “tenera età”. Pur sulla base di questa tripartizione, la giurisprudenza non ha fornito risultati “univoci” posto che un dodicenne è stato ritenuto dalla giurisprudenza capace (Cass. civ. sez. III, n. 8740/2001) come pure un minore di anni 10 (Cass. civ. sez. III, n. 6687/1998). In qualche caso si è considerato anche il rendimento scolastico (in motivazione Cass. civ. sez. III, n. 5485/1997). Ove il minore sia capace di intendere e di volere, questi potrà rispondere dell'illecito compiuto in proprio ed ai sensi dell'art. 2043 c.c. e in questo caso la responsabilità di quest'ultimo concorre con quella dei genitori (Cass.civ.,n. 8623/1996) in rapporto di solidarietà ex art. 2055 c.c.
Elemento soggettivo
Sul punto si registrano difformi orientamenti della dottrina:
La giurisprudenza prevalente ritiene che la fattispecie di cui all'art. 2048 c.c. abbia natura di responsabilità diretta per fatto proprio colpevole, consistente nella specie nel non avere, con idoneo comportamento, impedito il fatto dannoso (Cass. civ. sez. III, n. 20322/2005, Cass. civ. sez. III, n. 4481/2001, e Cass. civ. sez. III, n. 9815/1997). Essa è fondata su di una duplice presunzione di colpa di natura specifica (cd culpa in vigilando e culpa in educando) , la quale non consiste tanto nel non aver impedito il verificarsi del fatto ma in una condotta anteriore alla commissione dell'illecito, consistente nella violazione dei doveri inderogabili posti a loro carico dall'art. 147 c.c. (obbligo di istruire, mantenere ed educare la prole) a mezzo di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti ed a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito (Cass. civ. sez. III, n. 15706/2010, e Cass. civ. sez. III, n. 9556/2009). Non è prevista una responsabilità dei genitori per dolo, poichè in tal caso le conseguenze, penali e civili, risulterebbero diversamente disciplinate dagli ex artt. 111 e 185 c.p. (Cass. civ. sez. III, n. 9815/1997) e art. 2055 c.c. Mentre l'obbligo di educazione scaturisce direttamente da quanto previsto dall'art. 147 c.c. e 29 e ss. Cost., l'obbligo di vigilanza va rapportato evidentemente alle condizioni sociali e familiari, all'età, al carattere e all'indole del minore (Cass. civ. sez. III, n. 26200/2011; Cass. civ. sez. III, n. 20322/2005; Cass. civ. sez. I, n. 6302/1996); a tal fine non occorre che i genitori provino la propria costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio - ricadendosi, altrimenti, nell'obbligo di sorveglianza che l'art. 2047 c.c. impone ai genitori di minore incapace - quando per l'educazione impartita, per l'età del figlio e per l'ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l'ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli per sè e per i terzi (Cass. civ. sez. III, n. 4481/2001). L'obbligo in questione viene di solito sospeso quando il figlio è affidato agli insegnanti, anche se le due ipotesi di responsabilità possono concorrere, posto che l'affido a terzi non esclude la culpa in educando dei genitori (Cass. civ., n. 12501/2000). Secondo quanto previsto dall'art. 2048 c.c., spetta al danneggiato provare che il fatto illecito sia stato commesso dal minore ed il danno subito (Cass. civ. sez. III, n. 15419/2004), nonché che il minore fosse capace al momento del fatto. Della singola fattispecie si applicherà la relativa disciplina anche per quanto concerne le eventuali presunzioni di responsabilità (ad esempio l'art. 2054 c.c. per il caso di danni derivanti da sinistro stradale come precisa Cass. civ. sez. III, n. 6686/1998) e il relativo onere della prova. Ove sia oggetto di specifica contestazione anche il requisito della coabitazione, anche questo deve essere provato dal danneggiato ai sensi dell'art. 2967 c.c. anche eventualmente con il ricorso a presunzioni semplici. In ossequio al medesimo principio, l'attore deve anche dimostrare il danno subito e il nesso di causalità con la condotta del minore. Quanto a quest'ultimo aspetto, vi è da evidenziare che l'operatività della disposizione in esame trova fondamento non su di un comportamento o una specifica attività del genitore, quanto piuttosto sul dovere di educare e vigilare che spetta ai genitori nei confronti dei figli minori secondo quanto precisato in premessa che pone a loro carico una presunzione di responsabilità superabile con la positiva dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto. Tale onere probatorio va inteso come prova positiva dell'osservanza dei precetti imposti dall'art. 147 c.c. relativo ai doveri verso i figli, tra i quali quello di educare la prole, in particolare di aver impartito al figlio un'educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità (Cass. civ. sez. III, n. 26200/2011; Cass. civ. sez. III, n. 9556/2009). La giurisprudenza in alcune pronunce ha ulteriormente precisato che l'inadeguatezza dell'educazione impartita può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle stesse modalità del fatto illecito (sul punto Cass. civ. sez. III, n. 26200/2011; Cass. civ. sez. III, n. 18804/2009; Cass. civ. sez. III, n. 7270/2001), le quali ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell'art. 147 c.c. Non è conforme a diritto, invece, per evidente incompatibilità logica, la valutazione reciproca, e cioè che dalle modalità del fatto illecito possa desumersi l'adeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza esercitata. (Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20322). E' chiaro che in ogni caso puo' operare la “diminuente” di cui all'art. 1227 c.c. derivante dal concorso di colpa della vittima nella produzione del danno ovvero della non risarcibilità del danno che la vittima avrebbe potuto evitare utilizzando l'ordinaria diligenza e che i genitori hanno l'onere di fornire ogni prova atta a dimostrare l'insussistenza del fatto dannoso (perchè per esempio scriminato per legittima difesa, cagionato da caso fortuito). Aspetti medico legali
Ove la condotta del minore abbia cagionato un danno alla persona, è necessario disporre consulenza tecnica d'ufficio che accerti l'entità del danno biologico temporaneo e permanente con la formulazione di appositi quesiti (D. Spera, La prova del danno – L'opinione del giurista, in Tabelle milanesi 2013 e danno non patrimoniale D. Spera, Giuffrè, 2013, 44). Criteri di liquidazione
In punto di quantum debeatur spetta al danneggiato l'integrale risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Quanto alle modalità di liquidazione del danno, in assenza di specifici criteri, si applicano le tabelle del Tribunale di Milano, le quali ormai costituiscono il parametro di riferimento per tutti i giudici di merito in grado di garantire parità di trattamento nel rispetto dell'art. 3 Cost. ( Cass. civ. sez . III, n. 12408 /2011 ; Cass. civ. sez . III, n. 28290/2011 ). Alcuni uffici giudiziari, nel caso di micropermanente, applicano i parametri di cui all'art. 139 Cod. Ass., nonostante detta disposizione si riferisca (Cass. civ. sez. III, n. 12408/2011) unicamente alla quantificazione del danno patito in conseguenza di sinistro stradale.
Aspetti processuali
Il giudizio va radicato innanzi al giudice competente per materia e per valore ex artt. 7 e 40 c.p.c. L'attore dovrà enucleare la causa petendi, allegando le modalità di verificazione dell'evento dannoso anche al fine di ricostruire il fatto illecito con riferimento al nesso di causalità tra la condotta tenuta dal minore e il danno, oltre alla qualità soggettiva dei convenuti quali genitori e, se contestate, provare la coabitazione del minore con i genitori (anche con indici presuntivi) e la capacità del minore-danneggiante al momento del fatto. Opportuno appare il richiamo all'art. 2048 c.c. in riferimento alla specifica veste di genitori dei convenuti e l'indicazione di tutti gli elementi idonei a consentire la successiva prova dei danni subiti. Invece i genitori convenuti dovranno prendere posizione rispetto a quanto allegato dall'attore, difendendosi in punto di nesso di causalità tra la condotta del figlio e l'evento dannoso anche al fine di escludere (es. per caso fortuito) o ridurre il danno risarcibile ex art. 1227 c.c., oppure in merito all'assenza del requisito della coabitazione nonchè, quale prova liberatoria loro spettante, dimostrare l'adempimento dei doveri di cui all'art. 147 c.c. e di adeguata sorveglianza del minore, contestando anche le specifiche voci di danno indicate dall'attore. Trattasi di mere difese rilevabili d'ufficio che non richiedono la costituzione tempestiva del convenuto ai sensi dell'art. 166 c.p.c.
Profili penalistici
Ove il fatto sia stato compiuto dal minore e questo integri anche fattispecie rilevante sotto l'aspetto penale (p.es. lesioni personali), l'eventuale sentenza di condanna passata in giudicato all'esito di processo celebrato in sede penale contro il figlio puo' essere utilizzata dal giudice come fonte del proprio convincimento ove in sede civile si agisca nei confronti dei genitori del condannato ex art. 2048 c.c., esaminandone direttamente il contenuto ovvero ricavandolo dalla sentenza o dagli atti del processo penale ed effettuando la relativa valutazione con ampio potere discrezionale, senza essere vincolato dalla valutazione che ne abbia fatto il giudice penale (Cass. civ. sez. lav., n. 6347/2000; Cass. civ. sez. III, n. 623/1995) ai soli fini del risarcimento del danno. Possono essere utilizzate anche le risultanze derivanti da atti di indagini preliminari, da considerarsi semplici indizi (Cass. civ. sez. III, n. 15714/2010; Cass. civ. sez. III, n. 16069/2001). Le medesime considerazioni valgono per il caso in cui il Tribunale per i Minorenni dichiari estinto il reato a seguito di esito positivo di messa alla prova dell'imputato ex artt. 28 e 29 DPR 488/88 ovvero emetta sentenza di non luogo a procedere per avvenuta concessione del perdono giudiziale ex art. 169 c.p., trattandosi di cause di estinzione del reato che non incidono nè sul diritto al risarcimento del danno da avanzarsi in sede civile nei confronti nè del minore, nè, di conseguenza, dei genitori. Casistica
Sull'obbligo di educazione e di vigilanza
Altre ipotesi
|