Liquidazione del danno nel caso di premorienza del danneggiato per cause sopravvenute ed estranee alle menomazioni cagionate dall'evento lesivo
22 Giugno 2023
Inquadramento
Ogni lesione personale determina una temporanea alterazione della integrità psicofisica, all'esito della quale può residuare una invalidità permanente; nei casi più gravi, le menomazioni fisiche possono causare la morte immediata del danneggiato, ovvero questa può sopraggiungere dopo un intervallo temporale più o meno lungo. Infine, il decesso può non dipendere dall'evento, ossia può non essere in rapporto di causalità con le originarie lesioni e può avverarsi prima che il danno sia stato liquidato in sede giudiziale.
Il danno da invalidità (temporanea e/o permanente) è liquidato applicando la tabella ministeriale, se si tratta di lesioni di lieve entità causate dalla circolazione stradale ovvero da responsabilità sanitaria, e le tabelle del Tribunale di Milano, alle quali ancora oggi la Cassazione riconosce preminenza “paranormativa” (Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 2022 n.5763; Cass. civ., sez. III, 2 dicembre 2021 n.38077; Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011 n.12408 ), in tutti gli altri casi. Se le lesioni causano la morte del danneggiato, la giurisprudenza suole parlare di danno tanatologico quando questa è immediata (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2019 n.4146) ovvero di danno morale terminale (anche denominato “catastrofale”), quando è preceduta da uno stato di lucida agonia, e di danno biologico terminale quando è successiva ad un apprezzabile intervallo temporale (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2021 n.11719). Se il danno tanatologico non è risarcibile, nel senso che la immediatezza dell'evento fatale non consente che entri a far parte nel patrimonio della vittima il diritto al risarcimento e la sua successione iure hereditatis, non potendosi confondere il bene salute con il bene vita (Cass. civ., sez. Un., 22 luglio 2015 n. 15350; Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019 n. 28989), sono invece indennizzabili sia il danno morale terminale sia il danno biologico terminale.
È apprezzabile – nella sua accezione medicolegale – quell'intervallo temporale che non sia inferiore alla 24 ore (Cass. civ., sez. lav., 28 novembre 2022 n. 34987; Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2019 n. 18056; ed in senso conforme cfr. Corte appello Venezia 22 ottobre 2021 n. 2672). Si può configurare, invece, la percezione della fine imminente – in quanto tale risarcibile come danno morale terminale – quando, indipendentemente dalla durata della sopravvivenza che è dunque circostanza ininfluente, la vittima sia rimasta “manifestamente lucida” tra il momento dell'evento lesivo (o anche da un momento successivo, ad esempio quando la vittima esca dallo stato di coma) ed il decesso (Cass. civ., sez. lav., 28 novembre 2022 n. 34987) ovvero sia stato accertato nel processo “la sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine” (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2021 n. 11719). Se vi è sostanziale accordo sul fatto che il danno morale terminale debba essere liquidato secondo un criterio equitativo puro (Cass. civ, sez. III, 26 maggio 2020 n. 9888), non lo stesso può dirsi per la determinazione del risarcimento del danno biologico terminale.
La Suprema Corte, assimilando il danno biologico terminale al danno da invalidità temporanea assoluta, ha individuato il parametro di riferimento nel valore monetario espresso dalle tabelle relative (Cass. civ, sez. III, 26 maggio 2020 n. 9888; Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2020 n. 9861; Cass. civ., sez. Lav., 28 giugno 2019 n. 17577; Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2019 n. 16592). Le note tabelle meneghine e quelle capitoline, invece, propongono un criterio di liquidazione che si discosta sensibilmente dalle indicazioni della Cassazione.
Le prime sono state elaborate sulla base dei seguenti principi: a] la unitarietà e onnicomprensività del danno, nel senso che il danno terminale è composto da una componente morale e da una componente biologica; b] la durata limitata, non potendosi immaginare un danno “terminale” che possa protrarsi oltre un certo lasso temporale, che le tabelle individuano in non più di cento giorni, e – al contempo – che comunque tra l'evento lesivo ed il decesso vi sia stato un apprezzabile intervallo temporale, seppure minimo ma non convenzionalmente individuabile; c] la coscienza, consistente nella dimostrazione della percezione della fine imminente; d] la intensità decrescente ed il metodo tabellare, basata sulla esperienza medico legale secondo cui in questi casi la intensità della percezione (e dunque della correlata sofferenza) della fine imminente tende a decrescere con il trascorrere del tempo e può essere espressa attraverso un sistema tabellare che preveda una liquidazione, qualora il decesso avvenga nei primi tre giorni, determinata dal giudice secondo una valutazione personalizzata ed equitativa ma nel rispetto di un tetto massimo convenzionalmente stabilito in € 30.000; e che preveda, dal quarto giorno di sopravvivenza al centesimo, un valore monetario progressivamente decrescente; e] la personalizzazione dell'ammontare del risarcimento, nel senso che a partire dal quarto giorno il Giudice può adeguare il valore tabellare alle circostanze del caso concreto, incrementandolo in misura non superiore al 50%; f] la individuazione di un valore convenzionale, nel caso di sopravvivenza della vittima per più di tre giorni, pari ad € 1.000 per il quarto giorno di “lucida agonia” che decresce all'aumentare del tempo di sopravvivenza sino a ridursi, al centesimo giorno, al valore giornaliero della invalidità temporanea assoluta, ossia € 99,00.
Le tabelle romane sono basate parzialmente sulle medesime premesse, nel senso che anche queste riconoscono il danno terminale, nella duplice componente morale e biologica, solo se tra l'evento lesivo ed il decesso vi sia stato un apprezzabile intervallo temporale e sempre che il danneggiato sia rimasto cosciente, rendendosi conto dell'aggravarsi della sua condizione. Un punto di sostanziale divaricazione tra quelle di Milano e le tabelle romane è costituito dalla individuazione del momento in cui si avvera il danno: questo, infatti, non si accrescerebbe in maniera costante per ogni giorno di sopravvivenza ma immediatamente nel momento in cui si acquisisce la consapevolezza della propria esistenza che si spegne. Sicché la parte più consistente del danno si acquisirebbe nella immediatezza, mentre la restante parte dipenderebbe dal numero di giorni di effettiva sopravvivenza. Tradotto in termini monetari, il criterio romano di liquidazione del danno terminale riconosce al danneggiato un importo pari ad € 10.000 per ogni giorno di sopravvivenza fino a cinque; un ulteriore importo di € 5.000 pro die per i successivi 10 giorni; un ulteriore importo giornaliero di € 2.000 per i successivi 15 giorni ed un importo – sempre giornaliero - di € 1.000 dal trentunesimo giorno. Il tutto fatta salva la eventuale personalizzazione. È evidente, quindi, sia che i criteri proposti dalle due tabelle si discostano sensibilmente dalle indicazioni della Cassazione sia che ben diverso sarà l'ammontare del risarcimento se si opterà per l'una piuttosto che per l'altra: assumendo come esempio il caso della vittima che sopravviva 100 giorni (tetto massimo, oltre il quale, per le tabelle di Milano non è più configurabile il danno terminale), si avrà un risarcimento che oscillerà tra € 200.000 (Roma) ed € 83.235 (aumentabili fino ad Euro 109.852,50 con la massima personalizzazione prevista in tabella). Il danno da premorienza per cause diverse
Non meno problematica è la liquidazione del danno da morte quando la vittima sia deceduta prima di ottenere il risarcimento e per cause naturali e/o accidentali diverse, e dunque quando non vi è nesso di causalità tra evento, lesioni e morte della vittima. Poiché il danno biologico è calcolato su basi probabilistiche, ossia sulla probabile durata della vita del danneggiato in base alle tabelle di mortalità, vi è sostanziale accordo che – quando è noto il decesso della vittima perché prematuro –si deve avere riguardo alla durata effettiva della vita della vittima; non vi è accordo sul criterio in concreto da adoperare per liquidare l'ammontare del risarcimento spettante al defunto e trasmissibile iure hereditatis. La Cassazione, dopo avere criticato le tabelle milanesi sul danno da premorienza, propone un diverso criterio, ritenendolo più aderente ai principi di proporzionalità ed equità che devono orientare sempre la liquidazione del danno non patrimoniale: sostanzialmente, dovendosi calcolare il danno biologico non rispetto alla durata probabile della vita per un soggetto di una data età, bensì a quella effettivamente vissuta, il Giudice dovrà assumere come valore l'ammontare del risarcimento corrispondente – in base alle tabelle milanesi – per un dato grado di invalidità ed una data età, quindi dovrà dividere questo valore per il numero di anni residui (e cioè la differenza tra la probabile aspettativa di vita e l'età della vittima al momento del sinistro) e quindi moltiplicare l'importo così ottenuto per il numero di anni di effettiva sopravvivenza (Cass. civ., Sez. III, 29 dicembre 2021 n. 41933). La Corte lascia aperta la possibilità di fare ricorso ad altri criteri, in particolare a quelli che applicano il criterio proporzionale soltanto sulla parte residua, riconoscendo che una quota di risarcimento si matura immediatamente e l'altra in ragione proporzionale al numero di anni effettivamente vissuti. Sembra abbastanza esplicito – in questo passaggio della motivazione - il riferimento alla tabella romana, la quale si basa su una premessa, e cioè che il danno biologico risarcibile è costituito da due voci: a) una prima, che si acquisisce immediatamente per effetto della lesione subita; b) una seconda che si acquisisce nel tempo e può essere calcolata in relazione alla sopravvivenza concreta rispetto all'aspettativa di vita.
Quindi, una frazione del danno biologico sarà calcolata applicando un valore percentuale (che varia in misura crescente all'aumentare della invalidità permanente) all'intero danno tabellare; la restante parte – quella che si acquisisce non immediatamente ma per il trascorrere del tempo – si calcola sul residuo danno tabellare, dividendolo per un numero di anni pari alla differenza tra l'età del danneggiato all'epoca del sinistro e la probabile aspettativa di vita e moltiplicando questo dato per il numero di anni di effettiva sopravvivenza. Il criterio suggerito dalla Suprema Corte si applicherebbe solo se il decesso è sopravvenuto prima della liquidazione giudiziale per cause estranee all'evento lesivo, perché altrimenti non sarebbe esatto discorrere di danno da premorienza e si dovrebbe fare uso delle “tecniche di valutazione probabilistica” (Cass. civ., Sez. III, 9 novembre 2022 n. 32916) e quindi riconoscere iure successionis agli eredi del danneggiato l'intero danno calcolandolo in base alla probabile (e non effettiva) sopravvivenza della vittima. Sempre in materia di danno da premorienza, appare opportuno soffermarsi su un'altra recente pronuncia della Corte Suprema che, cassando la censurata sentenza di merito nella parte in cui agli eredi della vittima, deceduta prima della liquidazione del danno per cause diverse, era stato liquidato iure hereditatis il danno morale avendo riguardo alla sua effettiva sopravvivenza e non invece alla probabile aspettativa di vita, ha affermato che “la liquidazione del danno morale, quale sofferenza interiore patita dalla vittima dell'illecito, deve effettuarsi con riferimento al momento dell'evento dannoso ed alle caratteristiche dello stesso, mentre non incidono su di essa fatti ed avvenimenti successivi, quale la morte del soggetto” (Cass. civ., Sez. VI, 13 aprile 2022 n. 12060).
Sembrerebbe di capire che la Cassazione, muovendo dalla premessa che è oramai fuori discussione la autonoma natura ontologica del danno morale rispetto a quello dinamico – relazionale e che tanto più è grave la entità della lesione biologica tanto più si dovrà presumere la sussistenza del danno morale inteso come sofferenza interiore, predichi – quanto alla componente non biologica del danno – una liquidazione che, in caso di premorienza della vittima, tenga conto della istantaneità del pregiudizio, rispetto alla quale – dunque – sarebbe del tutto irrilevante il sopravvenire del decesso del danneggiato per cause diverse. Si tratta di un precedente che, almeno per il momento, pare isolato ma che – se la Corte vi desse continuità – introdurrebbe nuovi contrasti interpretativi: le tabelle meneghine sono strutturate per la liquidazione “proporzionale” del danno non patrimoniale nella sua duplice componente, nel senso che anche il valore tabellare del danno morale decresce all'aumentare dell'età. Alla luce del recente arresto della Cassazione, invece, la componente morale del danno alla persona sarebbe del tutto insensibile allo scorrere del tempo e quindi all'eventuale e prematuro decesso della vittima per cause diverse. Se così fosse, allora non sarebbero adeguati i criteri tabellari tarati proprio sulla probabile aspettativa di vita del danneggiato e sarebbero più coerenti con le indicazioni della Cassazione le tabelle romane. Queste, infatti, determinano la componente morale del danno non patrimoniale in una misura percentuale del danno biologico che cresce all'aumentare della entità della componente dinamico – relazionale ma non decresce all'aumentare dell'età del danneggiato.
La liquidazione del danno da premorienza secondo le Tabelle Milanesi
Poiché il criterio orientativo offerto dalla Cassazione per liquidare il danno da premorienza si risolve in una aperta critica alle tabelle elaborate dall'Osservatorio di Milano, tanto che un autore lo ha definito come un altro colpo alla vocazione nazionale delle dette tabelle (Molinaro F., La quantificazione del danno da premorienza: un altro “colpo” alla vocazione nazionale delle tabelle milanesi, in Giustizia Civile.com, 28 febbraio 2022), pare opportuno dare conto del criterio meneghino.
Questo poggia su due premesse metodologiche. Innanzitutto, la inidoneità del singolo punto tabellare a rappresentare il danno da premorienza perché “costruito”, quanto alla componente anagrafica, tenendo conto di un dato incerto, ossia la vita futura del danneggiato, che invece in questo caso è nota. Pertanto, nel caso di premorienza liquidare il danno biologico adoperando il singolo valore per punto senza alcun correttivo sarebbe metodologicamente errato. Le tabelle milanesi propongono di utilizzare quale parametro un valore medio, ossia il risarcimento annuo mediamente corrisposto ad ogni percentuale invalidante secondo i valori monetari individuati dalle dette tabelle. Dunque, ed in via esemplificativa, la tabella del danno da premorienza individua un valore medio per ciascun anno di sopravvivenza che è dato dal rapporto tra il risarcimento medio (ossia il quantum liquidato per una data percentuale invalidante) e l'aspettativa di vita media (ossia la somma delle aspettative di vita di tutte le fasce di età diviso 100).
La seconda premessa metodologica è la natura del danno, che non è una funzione costante del tempo ma è ragionevolmente maggiore in prossimità dell'evento per poi decrescere fino a stabilizzarsi. Pertanto, le tabelle in questione aumentano del 100% il valore del risarcimento medio annuo per il primo anno e del 50% per il secondo. Il pregio di questo sofisticato criterio è quello di liquidare in maniera omogenea la medesima invalidità permanente sia che il danneggiato sia un soggetto giovane sia che invece sia un soggetto avanti negli anni. Al riguardo è illuminante l'esempio tratto da una recente sentenza di merito (Trib. Milano, G.I. dr. D. Spera, 16 novembre 2022 n. 9042) in cui si compara la liquidazione della medesima invalidità permanente (pari al 62%) a seconda che il danneggiato – sopravvissuto cinque anni – avesse all'epoca del sinistro 72 anni oppure 16 anni. Se si liquida il danno seguendo il criterio indicato dalla Cassazione con la sentenza del dicembre 2021 sopra richiamata, si avrà un risarcimento di € 169.484,60 per il soggetto anziano e di € 45.793,75 per il soggetto giovane (somme che includono anche la componente morale del danno). Viceversa, applicando le tabelle milanesi per il danno da premorienza, si avrà che ad entrambi i danneggiati sarà riconosciuta la medesima somma, ossia € 95.472,00 comprensivi anche del danno morale, ferma ed impregiudicata la possibilità per il giudice di adeguare il risarcimento aumentandolo sino al 50% sulla base delle concrete circostanze. Pare opportuno, a questo punto, simulare una liquidazione del medesimo danno applicando anche il metodo romano. Per semplificare, sarà liquidato solo il danno dinamico relazionale. Poiché il valore per punto di invalidità del solo danno biologico delle tabelle romane è maggiore di quello delle tabelle milanesi e poiché la Cassazione, optando per il criterio proporzionale puro, ha applicato i valori delle tabelle milanesi, occorre innanzitutto assumere questi ultimi a base del calcolo. Inoltre, poiché sempre le tabelle romane determinano il periodo di concreta sopravvivenza riconoscendo ad un settantaduenne una aspettativa di vita di anni 90 invece di anni 85, occorrerà assumere questo secondo dato al fine di rendere omogeneo il confronto. Agli eredi del settantaduenne sarà liquidata una somma pari ad € 169.033 così determinata: invalidità permanente senza la componente danno morale € 293.773; € 91.070 percentuale (31%) acquisita immediatamente; € 77.963 danno biologico residuo, pari al rapporto tra l'ulteriore danno biologico (€ 202.704) ed il numero degli anni di aspettativa di vita (13) moltiplicato per il numero degli anni di vita effettiva (5). Agli eredi del sedicenne, invece, sarà liquidata una somma pari ad € 151.669 così determinata: invalidità permanente € 421.303; € 130.604 percentuale (31%) acquisita immediatamente; € 21.065 danno biologico residuo (421.303 – 130.604 = 290.699/69*5). Ebbene, a me pare che anche le tabelle romane non soddisfino l'equità predicata dalla Cassazione. Se per la Suprema Corte non è equo quel criterio che, in caso di premorienza del danneggiato, attribuisca agli eredi di costui un risarcimento inferiore a quello che sarebbe liquidato ad altra persona della stessa età e con le stesse lesioni per lo stesso intervallo temporale di sopravvivenza, questa esigenza non pare garantita neppure dalle tabelle romane, le quali violerebbero “per eccesso” il menzionato principio.
Per meglio comprendere gli esiti della comparazione, si vedano le seguenti tabelle.
In conclusione
È molto difficile stabilire, ancora una volta, quale sia, in materia di danno alla persona, il criterio di liquidazione più equo.
Optando per quello suggerito dalla Cassazione si assicurerà al danneggiato (rectius, agli eredi del danneggiato) una somma non inferiore a quella che gli sarebbe stata riconosciuta se fosse stato ancora in vita al momento della liquidazione e che sarà inversamente proporzionale alla età della persona lesa, nel senso che più giovane sarà la vittima del sinistro minore sarà l'ammontare del risarcimento. Optando per il criterio suggerito dalle tabelle milanesi si assicurerà al danneggiato una somma identica a quella spettante a qualunque danneggiato a parità di menomazione ed indipendentemente dalla età anagrafica, nel senso che una data lesione darà diritto al medesimo risarcimento. Optando, infine, per il criterio suggerito dalle tabelle romane gli eredi del danneggiato otterranno molto più di quanto avrebbe ottenuto il danneggiato nel medesimo intervallo temporale se fosse sopravvissuto sino al momento della liquidazione. Il metodo meneghino probabilmente ha il pregio di garantire l'uniformità del risarcimento a parità di lesione e di periodo di sopravvivenza, che invece non sarebbe assicurata se si utilizzassero gli altri due metodi. |