Famiglie
ilFamiliarista

Procedimento: l’istruttoria

Alberto Figone
19 Giugno 2023

Il procedimento sulle persone, minorenni e famiglie, salvo che non esistano disposizioni ad hoc nel titolo IV bis, è assoggettato alla disciplina generale del rito di cognizione, ciò vale anche (e soprattutto) per quanto attiene l'istruttoria. Il legislatore delegato ha dunque ritenuto di dedicare particolare attenzione ad alcuni strumenti istruttori, anche propri della disciplina generale, proprio per evidenziarne i caratteri di specialità.

Generalità

Il d.lgs. 149/2022 ha introdotto il nuovo titolo IV bis, relativo ai procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie, nel libro secondo del codice di rito, dedicato al processo di cognizione. La novità è assai importante e non si esaurisce ad un mero formalismo. In precedenza i procedimenti in questione erano infatti per lo più inseriti nel libro quarto, tra quelli speciali (es. separazione dei coniugi; giudizi assoggettati al rito camerale, pur se incidenti su posizioni di diritto soggettivo; interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno), ovvero in leggi autonome (es. l. 898/1970 sul divorzio, l. 76/2016 sulle unioni civili); residuale era invece l'uso del rito ordinario (si pensi alle azioni di stato, ovvero al risarcimento del danno endofamiliare). Dalla coesistenza di più riti derivavano regole processuali differenti e plurimi mezzi di impugnazione. In oggi, il procedimento sulle persone, minorenni e famiglie, salvo che non esistano disposizioni ad hoc nel suddetto titolo IV bis, è assoggettato alla disciplina generale del rito di cognizione. Ciò vale anche (e soprattutto) per quanto attiene l'istruttoria. Sta di fatto che il legislatore delegato, nel titolo or ora ricordato, ha ritenuto in ogni caso di dedicare particolare attenzione ad alcuni strumenti istruttori, anche propri della disciplina generale, per evidenziarne i caratteri di specialità, onde evitare usi distorti o eccentrici, sui quali aveva già avuto occasione di intervenire la giurisprudenza. Ci si riferisce alla consulenza tecnica ed alle relazioni dei servizi sociali, ma pure alla richiesta di informazioni patrimoniali, che si andranno ad esaminare, con l'intesa che per tutti gli altri mezzi di prova (costituiti o costituendi) si dovrà far riferimento alle previsioni di portata generale.

È necessario peraltro premettere che, in base al primo comma dell'art. 473-bis.21 c.p.c., all'udienza fissata per la comparizione delle parti, il collegio o il giudice delegato verifica d'ufficio la regolarità del contraddittorio e, quando occorre, pronuncia i provvedimenti opportuni. Salvo che il processo sia introdotto con ricorso del pubblico ministero, se l'attore non compare o rinuncia e il convenuto costituito non chiede che si proceda in sua assenza, il procedimento si estingue. La norma è strutturata sulla falsariga della fase presidenziale nei pregressi giudizi di separazione o divorzio. All'esito della prima udienza possono prospettarsi scenari plurimi. Il giudice (per lo più nei procedimenti della crisi della famiglia) emetterà i provvedimenti temporanei e urgenti (art. 473-bis.22 c.p.c.), ammetterà poi i mezzi di prova e ne calendarizzerà l'assunzione nei termini fissati dal comma 3 dell' art. 473-bis.22 c.p.c.; la previsione richiama quella di cui all'art. 183 comma 4, c.p.c. Potrebbe tuttavia anche accadere che il Giudice non emetta i provvedimenti temporanei e urgenti qualora ravvisi l'opportunità di rinviare le parti davanti ad un mediatore familiare (art. 473-bis.10 c.p.c.) nel tentativo di trovare un accordo (soprattutto nell'interesse dei figli minori), ma in questo caso deve procurarsi il loro consenso. In ultimo potrebbe il giudice ritenere la causa già matura per la decisione (art. 473-bis.28 c.p.c.) e, solo se necessario, assumere i provvedimenti temporanei e urgenti che regolamenteranno i rapporti nelle more del deposito della sentenza.

La consulenza tecnica (Introduzione)

Come è noto, il consulente tecnico è l'ausiliare del quale il giudice si serve quando la sua attività si svolge in un campo ove si richiedono particolari cognizioni tecniche e non giuridiche. Dispone all'uopo l'art. 61 comma 1, c.p.c. che il giudice può farsi assistere per il compimento di singoli atti, ovvero per tutto il processo, da uno o più consulenti tecnici. Tradizionalmente si afferma che la consulenza tecnica non è mezzo di prova, dal cui catalogo esula, ma uno strumento di valutazione di elementi di prova già acquisiti agli atti. Essa, dunque, non è destinata ad esonerare le parti dalla prova dei fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive richieste, fatti, che devono essere dimostrati dalle medesime parti alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onus probandi ex art. 2697 c.c., senza che la consulenza possa consentirne l'aggiramento.

Già da questa premessa, si evince la peculiarità della consulenza tecnica in materia familiare, siccome inserita, quale mezzo istruttorio, all'interno di un rito di cui condivide elementi di peculiarità. Il nuovo procedimento di cui agli artt. 473-bis.1 ss. c.p.c., sulla base del diritto vivente già in essere, esclude l'operatività delle neo-introdotte preclusioni in ordine alle domande e alle prove, in presenza di diritti indisponibili e nel contempo autorizza il giudice ad assumere mezzi di prova anche d'ufficio e a derogare ai limiti delle domande di parte, ove debba pronunciare su questioni afferenti un minore. In conformità ad una prassi in essere, il consulente tecnico in materia minorile può essere autorizzato, sempre in funzione di un miglior accertamento della situazione di un minore, ad acquisire lui stesso elementi di prova da tutti i soggetti che possano fornire utili informative (docenti scolastici, pediatri, ecc.). Volendo seguire un'impostazione più generale, può dirsi che alla figura di un consulente “deducente” si sia ormai sovrapposta quella di un consulente “percipiente”.

La necessarietà dell'ausilio tecnico, condizione di ammissibilità della c.t.u. viene intesa come obiettiva difficoltà di provare aliunde situazioni di fatto rilevabili unicamente con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche, ma anche, in maniera molto più attenuata, come maggiore funzionalità ed efficienza dello strumento della consulenza tecnica rispetto ad altri mezzi istruttori, ai fini della dimostrazione del fatto, o ancora, con accezione ancor più blanda, come mera concludenza dell'indagine peritale rispetto al fatto da accertare.

Intesa la consulenza tecnica come strumento di accertamento di situazioni rilevabili con il concorso di determinate cognizioni tecniche, l'onere della parte si riduce dunque all'allegazione della vicenda fattuale da acclarare, spettando poi al giudice decidere se ricorrono o meno i presupposti per l'ammissione della ctu. È pacifico che l'accoglimento o la reiezione di un'istanza di ammissione di una consulenza tecnica rientra nell'ambito del potere discrezionale del giudice di merito, senza che l'eventuale provvedimento negativo possa in alcun modo essere censurato in sede di legittimità. Vero è peraltro che il giudice è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell'istanza di ammissione di ctu, proveniente da una delle parti, dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione. Il giudice, dunque, non può limitarsi a disattendere l'istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare.

In evidenza

Nella consulenza tecnica relativa a minori, attesi i poteri d'ufficio del giudice, l'accertamento di fatti diversi da quelli principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, come pure l'acquisizione nei predetti limiti di documentazione non è fonte di nullità, come avverrebbe nel giudizio ordinario di cognizione (Cass. sez. un. 1° febbraio 2022, n. 3086).

(Segue) Ambito operativo

Già si è visto che, per espressa previsione normativa, la ctu può riguardare l'assistenza al giudice per singoli atti, ovvero per tutto il procedimento. In linea generale, l'intervento del ctu si è sempre risolto nella risposta ad uno o più quesiti specifici demandati dal giudice. Quantomeno fino all'introduzione dell'affidamento condiviso (ex l. 54/2006), anche nei procedimenti della crisi familiare con figli minori, i giudici erano soliti demandare ad una consulenza tecnica quesiti standard, dove era richiesto, in buona sostanza, quale fosse il genitore da individuare come affidatario, perché maggiormente in grado di farsi carico dei figli, così limitando fortemente l'intervento dell'ausiliare. Successivamente, si è imposta una doverosa modifica del quesito, richiedendosi se l'affidamento condiviso potesse risultare pregiudizievole per il minore, all'interno di un accertamento finalizzato di regola all'individuazione del genitore collocatario (o di residenza prevalente) e di un contemporaneo regime di gestione della relazione con l'altro genitore. Malgrado la rilevante innovazione introdotta nel 2006, l'oggetto sostanziale della consulenza non ha fatto registrare per molto tempo una modifica intrinseca, a parte la sempre più frequente delega dell'ascolto del minore da parte del giudice al suo ausiliare.

Ben poco attuata l'assistenza del ctu per tutto il corso del procedimento, realizzata se mai in presenza di richieste di chiarimenti, ovvero di supplementi o integrazioni peritali; ciò può spiegarsi con il fatto che la ctu rappresenta pur sempre un mezzo istruttorio, inserito in un procedimento giudiziale e non deve essere quindi confusa con un setting terapeutico. L'avviamento dei figli, ma ancor prima dei genitori, ad un percorso terapeutico e di sostegno alle loro capacità ben potrà essere suggerito o caldeggiato una volta definito il giudizio, al di fuori di consulenze tecniche prolungate nel tempo, con l'auspicio del raggiungimento di una conciliazione. Se è vero che compito di ogni ctu è quello di favorire un accordo tra le parti, nondimeno non è ammissibile abiurare alla natura “processuale” dell'intervento dell'ausiliare del giudice.

In oggi si assiste peraltro nelle varie realtà giudiziarie ad un approccio più dinamico e pragmatico alla ctu, che trova una conferma nella nuova disciplina normativa, per il tramite di protocolli o linee guida, sottoscritte dai rappresentanti delle istruzioni a vario titolo coinvolte (Uffici Giudiziari, Consigli dell'Ordine degli avvocati, ovvero dei medici o degli psicologi). La consulenza d'ufficio perde così la funzione trasformativa o risolutiva della crisi, benché possa contribuire naturalmente ad una elaborazione delle dinamiche familiari connesse ad essa nel corso del suo svolgimento; può allora essere parte naturale del mandato esplorativo del consulente d'ufficio, con l'ausilio delle difese tecniche delle parti, valutare e comprendere se vi siano margini di composizione delle divergenze all'interno del nucleo familiare, tenendo però conto che la ctu rappresenta sempre un mezzo istruttorio.

In evidenza

Si richiamano in particolare i protocolli di: Milano 6 ottobre 2021; Napoli 30 settembre 2021; e già prima Verona 3 dicembre 2018; Torino 2 ottobre 2019

Nel contempo il quesito al CTU ha iniziato a perdere quegli elementi di genericità o di successiva ampiezza, che per anni l'hanno connotato, e che hanno legittimato ampia discrezionalità in capo all'ausiliare (e di conseguenza al giudice). Sempre più spesso, nel quesito di chiede al consulente, previo esame degli atti di causa ed espletamento di colloqui clinici con le parti, singoli e di coppia, nonché con il minore, ed esperito ogni accertamento ritenuto funzionale, ivi compresa l'eventuale somministrazione di test, di: accertare l'attuale stato psicofisico del minore, evidenziando la natura, l'intensità e la qualità delle relazioni intrattenute con la coppia genitoriale e con ciascuna delle due figure adulte; indicare la causa di eventuali criticità nel sereno sviluppo psicofisico del minore o di situazioni di disagio; esplicitare le risorse, potenzialità, carenze e limiti dei genitori, insieme con il grado di “accesso” che ogni adulto consente all'altro nelle dinamiche di vita del minore; accertare il possesso o meno di specifiche ed idonee competenze genitoriali (sotto il profilo della cura, protezione, educazione, funzione riflessiva, empatica/affettiva ed organizzativa, e della garanzia del rispetto della bigenitorialità); suggerire eventuali interventi a sostegno della genitorialità, anche in un'ottica prognostica; indicare, all'esito degli accertamenti espletati, il miglior regime di affido del minore e, ove opportuna o necessaria la deroga al principio generale dell'affido condiviso, individuarne le migliori modalità, anche in relazione all'eventuale affido a figure terze; verificare l'eventuale sussistenza di gravi pregiudizi per il minore tali da giustificare l'adozione di provvedimenti di sospensione o decadenza dalla responsabilità genitoriale, per uno o per entrambi i genitori, ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c.

Si manifesta vieppiù l'incongruità della sempre frequente disposizione di una CTU nell'ambito del diritto di famiglia per l'indicazione specifica tempi di frequentazione, ma anche del collocamento e vieppiù del regime di affidamento, dato che tali accertamenti non riguardano questioni di tipo psicologico, psichiatrico o relazionale, bensì di carattere giuridico. Il CTU, nel rispondere ai quesiti formulati, dovrebbe orientare il giudice nella decisione, senza che il suo elaborato costituisca già il contenuto della decisione, che sovente ad esso fa un mero rinvio, come parte integrante, anche per il tramite di una, più o meno ampia, letterale trascrizione

(Segue) La nomina del CTU e dei CTP

Il già citato art. 61 comma 1, c.p.c. prevede che i consulenti possano essere più di uno (senza precisarne il numero massimo, lasciato al buon senso e alla logica); in base all'art. 191 comma 2, c.p.c., la nomina di più consulenti può avvenire in caso di gravi necessità, ovvero quanto sia la legge stessa a prevederlo.

La nomina plurima, in materia familiare, è proponibile quando si richiedano accertamenti di competenza di differenti professionalità (ad es. un neuropsichiatra, anche infantile, ed uno psicologo), tali da postulare l'impiego di conoscenze scientifiche e professionali di differente genere, oppure si presentino indagini complesse e articolate, talché la designazione di un solo consulente non ne consentirebbe l'esaurimento in un lasso temporale ragionevole. Le parti stesse potrebbero poi chiedere la nomina di più ctu.

È affermazione costante in giurisprudenza, confermata a livello di protocolli o linee guida che la parte possa nominare più CTP solo qualora il giudice abbia nominato più CTU. appartenenti a diverse specializzazioni professionali.

A sua volta, il secondo comma dell'art. 91 c.p.c. precisa che la scelta dei consulenti tecnici debba essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali, formati a norma delle disposizioni di attuazione al codice di rito. All'uopo l'art. 1 comma 34, l. 206/2021, entrato in vigore già nel giugno del 2022, ha modificato le norme del r.d. 1368/1941 (di attuazione del c.p.c), prevedendo che, nell'albo dei consulenti tecnici, istituto presso ogni tribunale di cui all'art. 13, sia compresa la categoria della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell'età evolutiva e della psicologia giuridica o forense; la speciale competenza professionale dei membri di questa nuova categoria dovrà essere accertata in base ai criteri di cui al novellato art. 15 dip. att. c.p.c.. Di regola, la scelta del CTU deve avvenire fra quelli iscritti nell'albo del locale tribunale, ex art. 22 disp. att. c.p.c.. Nel caso di nomina di consulente tecnico iscritto in albo tenuto presso un tribunale di altra circoscrizione, ovvero in caso di nomina di persona non iscritta in alcun il predetto art. 22 prevede che "Il giudice istruttore che conferisce un incarico a un consulente iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo, deve sentire il presidente e indicare nel provvedimento i motivi della scelta."

L'art. 1 della l. 206 del 2021 ha a sua volta individuato come oggetto di delega al governo una revisione della disciplina sui consulenti tecnici, in modo da: favorire l'accesso alla professione anche per i più giovani; distinguere meglio le varie figure professionali in relazione ai percorsi formativi; costituire un albo nazionale unico; incentivare la formazione continua. L'art. 24-bis disp. att. c.p.c., introdotto dal d.lgs. 149/2022, ha così disposto che presso il Ministero della giustizia sia istituito un elenco nazionale dei consulenti tecnici, suddiviso per categorie e contenente l'indicazione dei settori di specializzazione di ciascuna di esse, nel quale, tramite i sistemi informatici di cui all'articolo 23, secondo comma, confluiscano le annotazioni dei provvedimenti di nomina. Detto elenco è tenuto con modalità informatiche ed è accessibile al pubblico attraverso il portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia. L'art. 1 comma 23 lett. b) è intervenuto direttamente sul contenuto della ctu, come meglio vi vedrà infra.

(Segue) La disciplina dopo il d.lgs. 149/2022

Già si è anticipato come la legge delega sia intervenuta specificamente sulla consulenza tecnica in ambito familiare. Il nuovo art. 473-bis.25 c.p.c. al primo comma conferma quanto già esaminato in precedenza: quando dispone consulenza tecnica d'ufficio, il giudice è innanzitutto tenuto a precisare l'oggetto dell'incarico e, dunque, a formulare i quesiti in modo specifico, prospettando una pluralità di possibili opzioni in relazione agli accertamenti da compiere, delineando la cornice entro cui le indagini del consulente devono essere condotte. Il giudice deve scegliere il consulente tra quelli dotati di specifica competenza in relazione all'accertamento e alle valutazioni da compiere, potendosi avvalere dell'elenco costituito a livello nazionale, di cui si è detto.

Una rilevante previsione è contenuta nel secondo comma della norma. Si specifica infatti che nella consulenza psicologica le indagini e le valutazioni su caratteristiche e profili di personalità delle parti sono consentite nei limiti in cui hanno ad oggetto aspetti tali da incidere direttamente sulle capacità genitoriali, e sono fondate su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica. È dunque esclusa ogni indagine generalizzata (anche attraverso la somministrazione di test) sulla personalità dei soggetti, ammissibile solo quando l'indagine stessa vada ad impattare direttamente sulle capacità genitoriale. Il richiamo a metodiche riconosciute dalla comunità scientifica equivale ad un implicito ripudio della Pas, ossia la sindrome da alienazione genitoriale (in inglese Parental Alienation Syndrome), controversa dinamica psicologica disfunzionale elaborata dal medico statunitense Richard Gardner, secondo il quale essa insorgerebbe nei figli minori coinvolti in contesti molto conflittuali di separazione e divorzio dei genitori. Come noto, la Pas sarebbe frutto di una supposta «programmazione» dei figli da parte di un genitore patologico (genitore cosiddetto «alienante»), una sorta di lavaggio del cervello che porterebbe i figli stessi a perdere il contatto con la realtà degli affetti, e a esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l'altro genitore (cosiddetto «alienato»), schierandosi apertamente con l'altro. Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, noto anche con la sigla DSM, giunto nel 2013 alla quinta edizione, non contempla espressamente tra detti disturbi la Pas, ancorché secondo parte della letteratura scientifica esso contenga una descrizione della relativa problematica relazionale. L'esigenza di intervenire su detta patologia, o comunque su manifestazioni esteriori ad essa riconducibili, ha condotto talora certe consulenze tecniche a propugnare rimedi più o meno drastici, quali l'allontanamento del minore dal genitore” alienante” in funzione di una collocazione presso l'altro, ovvero in luogo neutro, a volta con la giustificazione di interventi di “bonifica” interiore.

La Corte di Cassazione ha mostrato un atteggiamento oppositivo nei confronti della PAS in quanto tale, per il suo difetto di scientificità. Si è così rivendicato al giudice, quale peritus peritorum, il potere di accertare la capacità genitoriale attraverso i mezzi di prova, escludendosi una sorta di delega in bianco a consulenze eccentriche rispetto alla letteratura consolidata. Nel contempo, si è precisato che, nei giudizi in cui sia stata esperita ctu medico-psichiatrica, il giudice di merito, nell'aderire alle conclusioni dell'accertamento peritale, non può, ove all'elaborato siano state mosse specifiche precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, ma è tenuto a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e risulti oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale; si deve allora escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare- All'uopo la Cassazione ha evidenziato come il richiamo alla sindrome d'alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre. Con questa affermazione tuttavia la Suprema Corte ha cura di precisare di non voler sindacare valutazioni proprie della disciplina della psicologia o delle scienze mediche, ma solo verificarne la correttezza applicativa sulla base di criteri universalmente conosciuti ed approvati. È allora di tutta evidenza come l'attuale richiamo normativo a metodologie o protocolli riconosciuti dalla letteratura scientifica rappresenti un formale memento indirizzato al CTU, perché mantenga la sua indagine sulle posizioni accreditate della comunità internazionale, ma anche al Giudice a non farsi sedurre da teorie psicologiche o psichiatriche “stravaganti” o innovative, rivendicando il ruolo di perito dei propri periti, sempre nella comune prospettiva che un approccio della relazione tra il minore ed il proprio genitore in chiave solamente relazionale, ben potrebbe dare adito ad un'istruttoria confusa, a livello meramente teorico orientata a comprendere e salvaguardare quali siano i best interests of the child. (Cfr. Cass. 17 maggio 2021. n. 13217; Cass. 24 marzo 2022, n. 9691).

(Segue) Espletamento delle operazioni peritali e contenuto della consulenza

Il terzo comma dell'art. 473-bis.25 dispone che il consulente svolga le indagini che coinvolgono direttamente il minore in orari compatibili con gli impegni scolastici, e con durata e modalità che garantiscano la serenità del minore stesso e siano adeguate alla sua età. Si tratta di una regola di buon senso, già prevista in alcuni protocolli, la cui formalizzazione in un testo di legge pare però significativa. Al centro della consulenza vi è il minore; è necessario dunque metterlo il più possibile a suo agio, senza distoglierlo dagli impegni scolastici, che ne connotano la socialità; l'intervento del consulente dovrà essere inoltre declinato sulla base dell'età del minore e delle sue caratteristiche personali.

Il quarto comma interviene sul contenuto della consulenza, con una previsione corrispondente a quella della relazione dei servizi sociali e sanitari, di cui si dirà. Si richiede che, nella relazione il consulente tenga distinti i fatti osservati direttamente, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le valutazioni da lui formulate. Ciò per evitare sovrapposizioni di piani diversi, tali da poter anche portare a travisare il contenuto della ctu, finendo con attribuire natura accertativa a semplici giudizi. Una prima parte è dedicata ai fatti, ossia agli avvenimenti storici che il ctu in modo diretto ha avuto occasione di osservare; la seconda alle dichiarazioni rese da tutti i soggetti coinvolti; la terza ed ultima attiene alle valutazioni del ctu, che, in quella prospettiva più dinamica di cui già si è dato atto, non necessariamente dovranno estrinsecarsi in una risposta a quesiti, ben potendo altrimenti offrire elementi di lettura ragionata al giudice, peritus peritorum. È da ritenere non essere richiesta una distinzione a compartimenti stagni dei profili sopra esaminati; quello conta che ognuno sia espresso in maniera intellegibile, senza “sconfinamenti” di campo.

Il terzo comma dell'art. 473-bis.25 c.p.c. dispone che la relazione del ctu indichi altresì le metodologie e i protocolli seguiti; la previsione è coerente con quanto già esaminato in relazione al primo comma, quanto al dovere di uniformarsi agli orientamenti accreditati dalla comunità scientifica, ma pure alle metodiche condivise nei diversi uffici giudiziari ed enucleate in protocolli e linee guida. L'elaborato peritale deve esplicitare anche “eventuali specifiche proposte di intervento a sostegno del nucleo familiare e del minore”. Si parla di “eventuali” proposte, nel senso che le stesse potrebbero anche mancare. La previsione pare avere un suo significato intrinseco, opponendosi ad una prassi molto frequente nelle consulenze in materia minorile; dopo la risposta ai quesisti, ma anche in ottemperanza ad essi, le consulenze tecniche sovente contengono una serie di suggerimenti più o meno standard, quali terapia a dinamiche disfunzionali all'interno del gruppo familiare (avviamento ad una terapia psicologica, o nei casi più gravi, anche di tipo neuropsichiatrico per il minore, inizio di un percorso di sostengo alla genitorialità per uno o entrambi i genitori, insieme con una terapia di carattere psicologico o psichiatrico, inizio di una mediazione, ecc.). Detti suggerimenti, specie quando riguardano i genitori, possono essere preziosi, pur dovendosi tenere conto che nessuno di essi può essere imposto dal giudice, pena la violazione dei diritti fondamentali di cui agli artt. 13 e 32 Cost., ovvero un'intrinseca contraddittorietà (la mediazione può avere come noto solo un'adesione volontaria delle parti) (Così Cass. 5 luglio 2019, n. 18222; Cass. 1° luglio 2015, n. 13506) . Del resto, mentre l'intervento per diminuire la conflittualità, richiesto dal giudice al servizio sociale, è collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell'interesse del minore, quelle prescrizioni risultano connotate dalla finalità, estranea al giudizio, di realizzare la maturazione personale delle parti, rimessa esclusivamente al loro diritto di autodeterminazione. Si vuole evitare così che la ctu, da mezzo istruttorio per coadiuvare il giudice, allorquando deve decidere su materie molto specialistiche, possa diventare il prodromo di un setting di un percorso psicologico o psichiatrico. In questa prospettiva si giustifica vieppiù il testo della nuova norma: le proposte di intervento non solo devono essere eventuali, ma pure specifiche, espungendosi indicazioni generiche, che talora si riducono ad orpelli formalistici.

Le indagini dei servizi sociali e sanitari (Introduzione)

Tra gli ausiliari di cui il giudice può giovarsi per legge nei procedimenti relativi a minori, al fine del compimento di atti che non è in grado di compiere da solo, rientrano i servizi sociali e quelli sanitari: norma di riferimento è l'art. 68 c.p.c. Come è noto, i primi fanno capo al Sindaco e la loro istituzione è stata attuata con il d.P.R. 616/1977, in esecuzione della delega di cui alla l. 382/1975. Agli operatori del servizio è attribuita frequentemente una serie d'incarichi, di varia natura: istruttoria, con le indagini psico-sociali sul nucleo familiare e la valutazione delle capacità genitoriali; esecutiva di provvedimenti decisori, mediante l'organizzazione di incontri protetti e l'erogazione di interventi di sostegno; di controllo con il monitoraggio sulla tenuta degli accordi tra genitori o attraverso l'affidamento del minore al servizio sociale con collocamento presso uno dei due genitori. Da ausiliare tipico del tribunale minorile, il servizio sociale ha assunto la medesima qualifica anche per il giudice ordinario, che assume il ruolo sostanziale di giudice minorile, tutte le volte in cui affronta questioni che attengano a soggetti minori di età. Quando invece ci si riferisce ai servizi sanitari, si dovrà fare riferimento alla struttura ed alle competenze del servizio sanitario nazionale.

(Segue) Indagini dei servizi e ctu

Tra l'indagine dei servizi e la consulenza tecnica vi è un comune denominatore: entrambi gli strumenti istruttori concorrono a fornire informazioni e valutazioni sulle parti e sui minori, integrative e prodromiche ai provvedimenti del giudice. Gli elementi comuni finiscono qui: solo in via teorica e astratta può pensarsi ad una fungibilità delle indagini del servizio sociale (o sanitario) ad una ctu; le differenze sono infatti assai rilevanti, come ben noto agli operatori del settore. Ciò dipende non tanto dalle specifiche professionalità dei soggetti coinvolti (basti pensare che, solo a seguito del d.m. 270/2004 è richiesta all'assistente sociale la necessità della laurea nel relativo corso di studi, triennale o magistrale, ed il superamento dell'esame di Stato, per l'iscrizione nell'albo, strutturato in categorie diverse a seconda del tipo di laurea conseguito) quanto da altri elementi. Il consulente è scelto dall'autorità giudiziaria tra i professionisti elencati in un apposito albo, sempre più articolato come si è visto, ed è individuato nominalmente nella persona che gode della stima e della fiducia del giudice, instauratesi nel tempo e con l'esperienza; il servizio, diversamente, viene designato sulla base del collegamento territoriale di residenza/domicilio dei genitori o dei figli, sicché il margine di scelta attribuito al giudice è irrilevante, essendo l'attribuzione di competenza precostituita e tendenzialmente immodificabile.

L'attività del servizio, al contrario della ctu, non prevede il contraddittorio e lascia ampio margine discrezionale all'operatore; nello svolgimento delle operazioni non è consentita la difesa tecnica, affidata, nel corso della ctu ad un consulente di parte, e di regola nemmeno è ammessa di regola la presenza dei difensori dei genitori (o dell'unico difensore che li rappresenta entrambi), ma solo del curatore speciale del minore. La figura dell'avvocato, per ragioni ataviche, non sempre è considerata come quella di chi svolge un ruolo fondamentale per la tutela dei diritti, a causa di un certo pregiudizio diffuso (soprattutto negli anni scorsi) per cui l'avvocato sarebbe portato a trascurare l'interesse del minore, pur di conseguire un risultato positivo per i propri assistiti, siccome tendenzialmente portato al conflitto. Si tratta di approcci relativi ad un momento storico in cui mancava ancora una adeguata specializzazione delle professionalità tutte chiamate ad intervenire in procedimenti relativi ai minori: il servizio, quale longa manus del giudice (soprattutto di quello minorile) si sentiva spesso l'unico soggetto in grado di comprendere la condizione dei minori e di individuare gli strumenti adeguati per superare le criticità: l'avvocatura, per parte sua, non aveva ancora acquisito la consapevolezza della specificità della materia minorile, onde era frequente la figura dell'avvocato “tuttologo”, capace di trattare ogni profilo del diritto (fosse anche solo quello civile), ivi compresi i procedimenti de potestate e quelli della crisi familiare della coppia con figli, con lo stesso approccio causidico. Il giudice minorile, da parte sua, riteneva di essere l'unico depositario della tutela dell'interesse del minore, accumulando in sé, oltre alla funzione giudicante, anche quella requirente, insieme con la difesa.

Con il passare del tempo, grazie anche all'associazionismo delle categorie professionali e alla specializzazione in ogni settore, che la riforma Cartabia, ha giustamente valorizzato e implementato, l'avvocatura ben ha inteso l'importanza della competenza nelle materie in cui su trova ad operare, al punto che l'art. 1 del Codice deontologico forense ne individua il ruolo nella tutela, in ogni sede, del diritto alla libertà, dell'inviolabilità e dell'effettività della difesa, nel rispetto del contraddittorio. Inparticolare l'avvocato “familiarista” o “minorilista” ha oggi ben chiaro che, fermo restando il rispetto del vincolo contrattuale con l'assistito, assunto in forza di contratto di mandato, il suo operato deve contemperare le esigenze della difesa tecnica con quelle della protezione del minore coinvolto nel procedimento, una volta ritenuto mero destinatario di decisioni assunte dal giudice, ed oggi sempre più parte nel procedimento stesso come parte, dapprima sostanziale e poi processuale.

Può oggi dirsi in gran parte superata quella risalente giurisprudenza che attribuiva alle relazioni degli assistenti sociali, non solo valore di prova indiziaria, ma pure di consulenza tecnica, per legittimare la loro piena utilizzabilità dal giudice in sede di libera formazione del suo convincimento, sia quanto ai fatti obiettivamente constatati dall'ausiliare, sia quanto ai pareri che, sulla base di quei fatti, egli abbia espresso e che il giudice, condividendoli, faccia propri con adeguata motivazione. Se infatti l'attività delegata al servizio fosse assimilabile a quella del CTU, ne discenderebbe l'obbligo dell'operatore dei servizi di rispettare le disposizioni quantomeno degli art. 194 c.p.c. e 90. disp. att. c.p.c., che prevedono la facoltà delle parti di intervenire alle operazioni “in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e dei difensori”, come pure l'obbligo del consulente di dare comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali. Così purtroppo non è.

Sta di fatto che, nonostante i voti dell'avvocatura specializzata, nemmeno la recente riforma del rito ha ritenuto di strutturare l'attività del servizio sociale, mancando così di realizzare in essa il principio del contraddittorio, che avrebbe potuto condurre l'utenza ad una maggiore fiducia nel servizio, realizzando al meglio i principi sul giusto processo di cui all'art. 111 Cost. Si era infatti sperato che la riforma equiparasse o tendesse ad equiparare, sotto il profilo operativo. l'indagine del servizio a quella del ctu, ma ciò non è stato realizzato, con la previsione di un contraddittorio, magari con la possibilità di una preventiva sottoposizione alle parti di una bozza di relazione, in previsione di eventuali osservazioni. Ciò avrebbe potuto rafforzare la fiducia dell'utenza nell'operato del servizio sociale, nel contempo valorizzandone le professionalità.

(Segue) Le modifiche ex l. 206/2021 e d.lgs. 149/2022

Già si è anticipato come il legislatore delegante, con l. 206/2021 abbia ritenuto di garantire la massima obiettività e trasparenza del servizio, con previsioni fin troppo orientate relative alla persona dell'assistente sociale, ma che non hanno risposto all'esigenza di una disciplina rispettosa del contraddittorio e dell'esercizio del diritto di difesa nell'ambito dell'attività d'indagine. La novella ha cercato di equiparare le indagini dei servizi sociali alla ctu, ma solo sotto l'aspetto formale. L'art. 473-bis.27, al primo comma, prevede che, “quando dispone l'intervento dei servizi sociali o sanitari, il giudice indica in modo specifico l'attività ad essi demandata e fissa i termini entro cui i servizi sociali o sanitari devono depositare una relazione periodica sull'attività svolta, nonché quelli entro cui le parti possono depositare memorie”. L'incarico al servizio (sociale e sanitario) deve essere, dunque, specifico; ciò che richiede un preciso perimetro di compiti assegnati ai servizi, ad evitare indebiti interessamenti e più ancora mancanze rispetto ai compiti loro attribuiti. Il contraddittorio continua a realizzarsi, purtroppo, non durante l'evasione dell'incarico, ma in modo sfalsato o differito: i servizi depositano la loro relazione nel termine fissato dal giudice, mentre alle parti è data la facoltà di presentare memorie, verosimilmente per contestare o aderire alle conclusioni dell'indagine, in un ulteriore termine. Non è previsto il deposito di una risposta da parte del servizio, posto che quella da essi depositata non è una bozza, ma già l'elaborato definitivo. Nulla certo esclude che il giudice, d'ufficio, ovvero su richiesta di parte, abbia a richiedere precisazioni al servizio, magari fissando un'udienza nel contraddittorio delle parti: questa però non è la regola.

È del tutto auspicabile che, in mancanza di espressa previsione normativa, sia definitivamente tramontata la prassi giudiziale di tenere secretate, in tutto o in parte, le relazioni dei servizi; ciò potrà avvenire in casi marginali, ove si richieda una specifica protezione per il minore (ad es. in casi di violenza, con inserimento del minore, magari anche con l'altro genitore, in casa protetta, la cui identificazione potrebbe vanificare la protezione stessa). Del resto, l'abolizione del segreto sulle relazioni del servizio sociale e il rispetto del contraddittorio erano state caldeggiate dalla stessa Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, presentando a suo tempo le linee programmatiche alla Commissione parlamentare bilaterale.

Vero è che la giurisprudenza della Corte di cassazione negli ultimi anni, comparando indagini dei servizi e ctu, ha mostrato un ben preciso favore nei confronti di quest'ultima; si è affermato infatti che, ove i genitori facciano richiesta di una consulenza tecnica relativa alla valutazione della loro personalità e capacità educativa nei confronti del minore, per contestare elementi, dati e valutazioni dei servizi sociali, il giudice, che non intenda disporre tale consulenza, deve fornire una specifica motivazione che dia conto delle ragioni che la facciano ritenere superflua, in considerazione dei diritti personalissimi coinvolti nei procedimenti in materia di filiazione e della rilevanza accordata in questi giudizi, anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, alle risultanze di perizie e consulenze (Cass., 26 marzo 2015, n. 6138; Cass. 7 maggio 2019, n. 12013; Cass. 26 giugno 2019, n. 17165). Il medesimo principio è stato esteso di recente anche alle richiesta istruttoria di ctu, avanzata da nonni, che si proponevano come collocatari dei nipoti, a seguito di decadenza dalla responsabilità genitoriale dei loro figli: si è ribadita la decisività di uno strumento di indagine come la ctu in ambito minori (Cfr. Cass. 29 settembre 2022, n. 28372, ove si evidenzia il diverso grado di accertamento e, di conseguenza, di attendibilità, tra relazione dei servizi e ctu).

Il secondo comma dell'art. 473-bis.27 c.p.c. estende alle relazioni del servizio i criteri già previsti per la ctu: nelle relazioni sono tenuti distinti i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le eventuali valutazioni formulate dagli operatori che, ove aventi oggetto profili di personalità delle parti, devono essere fondate su dati oggettivi e su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica, da indicare nella relazione.

Indagini patrimoniali (Generalità)

Nel nuovo rito uniforme, gli atti introduttivi devono specificare, le domande proposte da ambo le parti, i documenti che si intendono produrre e le istanze istruttorie; il maturare delle decadenze si attuerà però solo nei termini di cui all'art. 473-bis.17 c.p.c.. Il rigore della norma subisce un necessario temperamento quando si tratti di diritti indisponibili ed in particolare , per quanto riguarda i diritti (di natura personale e patrimoniale) di soggetti minorenni. Dispone infatti l'art. 473-bis.2 c.p.c. al primo comma che, a tutela dei minori, il giudice può d'ufficio oltre che nominare il curatore speciale, adottare i provvedimenti opportuni in deroga all'articolo 112 c.p.c. e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria. Ciò non vuol dire certo che il giudice possa “inventare” mezzi di prova o ammettere prove illecite: le eccezioni potrebbero ad es. riguardare il disposto degli artt. 2721 o 2726 c.c.

(Segue) Assegno per i figli ed indagini sui patrimoni dei genitori

In modo coerente, il secondo comma del cit. art. 473-bis.2 c.p.c. precisa che, con riferimento alle domande di contributo economico per i figli minori, il giudice può d'ufficio ordinare l'integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria. La norma deve ritenersi applicabile a tutti i provvedimenti che dispongono contributi periodici di somme di denaro, e in particolare tutte le diverse forme di assegno previste nell'ordinamento.

Essa non è certo innovativa, riprendendo previsioni già in essere nell'ordinamento, come pure principi consolidati in giurisprudenza. Basta qui rammentare il disposto dell'art. 337- ter ult. comma c.c., nella disciplina sull'affidamento dei figli nella crisi familiare, in base al quale, qualora le informazioni di carattere economico, fornite dai genitori, non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi. Detta previsione non contempla in modo diretto gli ordini di esibizione o le indagini sui redditi, di cui al d.lgs. 149/2022; sta di fatto che entrambi questi mezzi istruttori ben potevano ritenersi ricompresi nella più ampia formulazione codicistica, che costituisce una deroga ai principi generali in materia di onere della prova.

(Segue) Assegno per il coniuge

Diversa è invece la fattispecie afferente l'assegno per il coniuge in sede di separazione o divorzio, In questi casi, l'art. 5 comma 9 l. 898/1970, applicabile anche a giudizi di separazione prevede che il tribunale possa disporre indagini sui redditi e sui patrimoni dell'obbligato, anche per il tramite della polizia tributaria, ma solo in caso di contestazioni sulla documentazione fiscale e reddituale prodotta, escludendosi così un intervento puramente ex officio, ovvero una consulenza di carattere meramente esplorativo. La giurisprudenza ha più volte affermato che un eventuale diniego delle indagini in questione non è sindacabile, purchè esso sia correlabile, anche per implicito, ad una valutazione di superfluità dell'iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti (per tutte, v. Cass. 28 marzo 2019, n. 8744; Cass. 6 giugno 2011, n. 14336). Pare, tuttavia, evidente che tale valutazione di superfluità debba fondarsi su corretti presupposti giuridici, tra cui quelli inerenti alla individuazione degli elementi che rilevano ai fini della decisione, tra i quali anche i redditi sottratti al fisco e goduti dalla famiglia, come di recente affermato in sede di legittimità (Cfr. Cass. 19 luglio 2022, n. 22616).

Sussiste inoltre un limite alla menzionata discrezionalità del giudice, rappresentato dal fatto che questi, pur potendosi avvalere delle indagini della polizia tributaria, non può rigettare le richieste delle parti relative al riconoscimento ed alla determinazione dell'assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione, da parte loro, degli assunti sui quali le richieste si basano, avendo in tal caso l'obbligo di disporre tali accertamenti). Se, dunque, la parte ha offerto elementi concreti e specifici a sostegno della richiesta di indagini della polizia tributaria, il giudice non potrebbe rigettare la richiesta e, nel contempo, rigettare anche le domande su di essa fondate.

In sintesi

PAS

In tema di affidamento del figlio di età minore, qualora un genitore denunci i comportamenti dell'altro tesi all'allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), nella specie nella forma della sindrome della cd. "madre malevola" (MMS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova comprese le consulenze tecniche e le presunzioni, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (Cass. 17 maggio 2021, n. 13217)

Il richiamo alla sindrome d'alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale (Cass. 24 marzo 2022, n. 9691).

La decisione del Giudice di merito che recepisca le conclusioni del C.T.U. in ordine al carattere pregiudizievole per il benessere psico-fisico del minore dei comportamenti materni impeditivi dell'esercizio di visita del minore da parte del padre non implica adesione alla scientificità della P.A.S. ma si limita ad accertare dei fatti che, nella loro storicità e materialità, sono potenzialmente forieri di conseguenze negative sulla crescita armoniosa della prole (Cass. 7 settembre 2022, n. 26352).

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