L'interesse personale antitetico a quello sociale ovvero l'attività fraudolenta dei soci maggioritari a svantaggio dei soci di minoranza

Antonio Franchi
27 Luglio 2023

La pronuncia in commento si concentra su una fattispecie di abuso di potere nelle deliberazioni assembleari, i.e. abuso della maggioranza, evidenziandone gli elementi costitutivi e le conseguenze sul piano dell'invalidità della delibera; particolare attenzione viene riservata all'indagine degli aspetti probatori.
Massima

L'abuso o eccesso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società - per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale - ovvero sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza ‘uti singuli' .

È necessario dimostrare l'esercizio “fraudolento” ovvero “ingiustificato” del potere di voto, non potendo l'abuso consistere nella mera valutazione discrezionale del socio dei propri interessi, ma dovendo concretarsi nella intenzionalità specificatamente dannosa del voto, ovvero nella compressione degli altrui diritti in assenza di apprezzabile interesse del votante. Ricade, inoltre, sul socio di minoranza l'onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto.

Il caso

Nel giudizio oggetto della pronuncia del Tribunale di Roma, gli attori, soci di minoranza di una S.p.A., chiedevano l'annullamento della deliberazione assunta dall'assemblea dei soci di tale società nella parte in cui si prevedeva la destinazione degli utili a nuovo anziché a dividendo, lamentando un abuso di maggioranza e l'assenza di motivazione.

Gli attori indicavano che la scelta di non dividere gli utili non fosse giustificata da alcun interesse economico della S.p.A. e che tale scelta determinasse consapevolmente l'adozione di una deliberazione lesiva degli interessi sociali dei soci di minoranza; mentre la convenuta sottolineava che, in ogni caso, era stata adottata una delibera sostitutiva di quella impugnata, contenente un'ampia ricognizione delle ragioni economiche giustificative dell'adozione delle scelte compiute in materia di dividendi, così venendo superate le censure di parte attrice in ordine alla assenza di motivazione e alla condotta abusiva dei soci di maggioranza.

Per effetto dell'allegazione di tale fatto sopravvenuto (la nuova deliberazione corredata di adeguate motivazioni a sostegno delle scelte compiute), peraltro in assenza da parte degli attori di alcuna impugnazione della nuova delibera e di alcuna allegazione in merito alla infondatezza della motivazione addotta dalla convenuta, il Tribunale di Roma, dunque, ha ritenuto che si fosse determinato il riconoscimento dell'inesistenza del diritto azionato e, quindi, il difetto dell'interesse ad agire, così giungendo a dichiarare la cessazione della materia del contendere.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Gli elementi costitutivi del cd. abuso di maggioranza

Nel nostro ordinamento non esiste una norma che identifichi espressamente la figura dell'abuso di potere nelle deliberazioni assembleari, indicato anche come abuso di maggioranza (o abuso di minoranza nelle situazioni infra sinteticamente indicate).

Tuttavia, la dottrina ha da tempo riconosciuto l'esistenza della fattispecie dell'abuso di maggioranza, individuandola nelle ipotesi di applicazione non corretta del principio maggioritario (sull'abuso del potere o del diritto, si veda P. Rescigno, L'abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 205; C. Salvi, Abuso del diritto, in Enciclopedia Giuridica Treccani, I, Roma, 1988; G. Alpa, La buona fede integrativa: note sull'andamento parabolico delle clausole generali, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza storica e contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese (a cura di) L. Garofalo, Padova, I,2003, 156; F. Galgano, Qui suo iure abutitur neminem laedit?, in Contratto e Impresa, 2011, 311; G. Alpa, Appunti sul divieto dell'abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi riflessi negli ordinamenti degli stati membri, in Contratto e Impresa, 2015, 2, 245. Con riferimento al diritto commerciale, si veda A. Ferrari, L'abuso del diritto nelle società, Padova, 1998; P. Montalenti, L'abuso del diritto nel diritto commerciale, in Riv. dir. civ. 2018, 4, 873).

Nell'ambito delle società, dunque, il cd. abuso di maggioranza si verifica nelle ipotesi nelle quali la decisione assunta dai soci in assemblea (i) non trovi giustificazione nell'interesse della società per il perseguimento da parte dei soci maggioritari di un interesse personale contrastante con l'interesse della società, ovvero (ii) costituisca il portato di una attività fraudolenta diretta esclusivamente a provocare la lesione dei diritti spettanti ai soci di minoranza uti singuli.

Merita qui osservare che nello stesso ambito societario sussiste anche la diversa forma di abuso da parte della minoranza, che si estrinseca nell'esercizio da parte di coloro che sono minoritari nelle votazioni assembleari (e, dunque, estromessi dall'esercizio del potere societario interno) di un potere che impedisca una deliberazione, mediante la manifestazione di voto contrario ovvero la mancata partecipazione alla riunione assembleare ovvero l'impugnativa pretestuosa avverso la delibera assembleare di approvazione del bilancio di esercizio.

Entrambe tali ipotesi di abuso di potere costituiscono una species del ben più ampio genus dell'abuso del diritto, al quale vengono ricondotte tutte quelle ipotesi in cui un comportamento, che formalmente rappresenta l'esercizio di un diritto soggettivo, è considerato contra legem in quanto svolto in violazione delle regole generali di buona fede e correttezza, ritenute concordemente da giurisprudenza e dottrina di applicazione generale a tutti i rapporti giuridici obbligatori e tra questi anche a quelli derivanti dal contratto di società. E tanto più applicabili in ambito societario, giacché “con il contratto di società viene costituita, in effetti, una comunione di interessi, la cui esistenza, mentre dà ragione della subordinazione della volontà del singolo socio a quella della maggioranza (in base alla considerazione che il voto, pur essendo rimesso al libero apprezzamento di ciascuno, è pur sempre attribuito in funzione del perseguimento di uno scopo comune), esclude al tempo stesso che il voto stesso possa essere legittimamente esercitato per realizzare finalità particolari, estranee alla causa del contratto di società; come è confermato dall'art. 2373 c.c., che non va pertanto riguardato come norma eccezionale, ma quale espressione dell'esigenza che i rapporti all'interno della società si realizzino attraverso comportamenti coerenti con gli scopi per i quali il contratto sociale è stato stipulato” (si veda Cass. 26 ottobre 1995,n. 11151, in Giur it. 1996, I, 1, 574).

Ricorre, pertanto, una violazione dei principi di buona fede giuridicamente rilevante qualora sussista un'intenzionalità specificamente dannosa del voto da parte dei soci maggioritari a danno dei soci minoritari ovvero nell'ipotesi in cui il voto degli stessi soci maggioritari sia ispirato al perseguimento di un interesse personale contrastante con l'interesse della società, conseguendone, dunque, che la delibera assembleare risulterà sprovvista di tutela qualora essa non abbia una propria autonoma giustificazione sulla base dei legittimi interessi dei soci di maggioranza o la finalità fraudolenta in danno della minoranza costituisca l'unica ragione della delibera (si veda Cass. 5 maggio 1995, n. 4923, in Mass. giur. it., 1995; Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151, cit.; Cass. 19 aprile 2003, n. 6361; Cass. 12 dicembre 2005, n. 27387, in Mass. giur. it., 2005; Cass. 17 luglio 2007, n. 15942, in Società, 2008, 3, 306; Cass. 17 luglio 2007, n. 15950; Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361; Cass. 17 febbraio 2012, n. 2334, in Riv. notariato 2012, 2, 448; Cass. 12 dicembre 2017, n. 29792, in Massima redazionale, 2018; Cass. 28 giugno 2020, n. 10096 in questo portale; Cass. 29 settembre 2020, n. 20625 in questo portale; Trib. Milano 21 giugno 2021, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano 11 novembre 2021; Trib. Napoli 3 gennaio 2023; Trib. Torino 4 gennaio 2023; Trib. Bologna 13 marzo 2023).

L'onere della prova

L'onere di dimostrare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto grava sul socio di minoranza e la prova non può ritenersi limitata ai sintomi manifestatisi prima dell'adozione della delibera impugnata, ma deve, invece, fare leva, anche e principalmente, su comportamenti o indizi successivi alla deliberazione, in grado di rivelare ex post l'intervenuto abuso (si veda Cass. civ., Sez. I, 12 dicembre 2005, n. 27387, cit.; così anche Cass. 29 settembre 2020, n. 20625, cit.; Trib. Napoli 3 gennaio 2023, cit.).

Il socio di minoranza dovrà motivare in maniera analitica i motivi della deliberazione assembleare contra legem indicando le ragioni e gli interessi che hanno determinato le decisioni prese (si veda, oltre alla sentenza del Tribunale di Roma in commento e alle tante pronunce di legittimità, Cass. 19 aprile 2003, n. 6361; Cass. civ., Sez. I, 16 novembe 2007, n. 23823, in Società, 2008, 6, 700; Cass. civ., Sez. I, 20 gennaio 2011, n. 1361).

La dimostrazione che è stato leso un interesse del socio individualmente tutelato non esaurisce, poi, l'onere probatorio dell'attore, dovendo egli altresì soddisfare il convincimento del giudice circa la mancanza di un concomitante interesse in capo alla società.

Si precisa, infine, che l'anzidetta configurazione dell'onere della prova non sembra trovare applicazione nella particolare fattispecie individuata nell'art. 2441, comma 5, c.c. In effetti, in virtù di questa disposizione, l'impugnante risulterebbe esonerato dall'onere probatorio relativo alla non giustificabilità della lesione dell'interesse protetto, competendo alla società convenuta di fornire la dimostrazione della sussistenza dell'interesse “esigente”, in assenza del quale l'esclusione o la limitazione del diritto di opzione si rivelerebbero illegittime. Configurazione dell'onere della prova, questa, che risulta applicabile, ai sensi dell'art. 2441 comma 6 c.c., anche alla fattispecie dell'aumento di capitale mediante conferimenti in natura: la legge impone, infatti, l'onere di informazione preventiva agli azionisti per quanto concerne “le ragioni del conferimento e in ogni caso i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione”; si prevede quindi un onere di anticipata allegazione, da parte della società, del concreto interesse a giustificazione del quale viene sacrificato il diritto di opzione. Nell'eventuale sede contenziosa l'impugnante non avrà più l'onere di dimostrare l'irragionevolezza o l'incongruità della deliberazione, essendo stato preventivamente individuato l'interesse della società; competerà, comunque, all'attore provare l'inesistenza o la non-necessità/adeguatezza delle “ragioni” concretamente addotte dalla società, in mancanza delle quali si avrà il rigetto dell'azione.

La legittimazione all'impugnazione e la sostituzione della delibera invalida

E' qui utile sottolineare che i diritti di impugnazione e di risarcimento del danno nelle società per azioni devono ritenersi estesi a chiunque abbia per legge la legittimazione al voto (dunque, soci, titolari di strumenti finanziari partecipativi, creditori pignoratizi e usufruttuari – si vedano gli artt. 2351, 2352, 2373 e 2377 c.c.), mentre nelle società a responsabilità limitata la deliberazione può essere impugnata, oltre che dai soci ai sensi dell'art. 2479-ter c.c., dai creditori pignoratizi o dagli usufruttuari in base all'art. 2352 c.c. come richiamato dall'art. 2471-bis c.c.

Nelle S.p.A., poi, (ove sono previste soglie di sbarramento all'impugnazione - assenti, invece, nelle società a responsabilità limitata, in funzione delle diverse caratteristiche di tale tipo societario – che, si sottolinea, devono permanere in capo agli impugnanti per tutta la durata del procedimento) in base all'art. 2377, comma 4 c.c., coloro che non siano legittimati all'impugnazione in quanto, appunto, non rappresentino la percentuale di capitale richiesta oppure non siano titolari del diritto di voto hanno la possibilità di ricorrere ad una forma di tutela risarcitoria.

Ed è anche interessante osservare che, ai sensi dell'art. 2377, comma 8 c.c. l'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto (si veda Cass. 7 febbraio 1979, n. 818, in Giust. civ. mass., 1979, 2; Cass. 4 maggio 1994, n. 4323, cit.; Cass. 21 novembre 1998, n. 11801, in Giur. it., 1999, 562; Cass. 7 novembre 2008, n. 26842, cit.; Cass. Ord., 27 febbraio 2013, n. 4946; Trib. Roma, Sez. spec. Imprese, 17 novembre 2017; Trib. Milano, 5 settembre 2018, n. 8861, in giurisprudenzadelleimprese.it).

Dovendosi, qui, sottolineare che nelle ipotesi di abuso della maggioranza, così come anche stabilito dal Tribunale di Roma, la conformità alla legge della nuova deliberazione sostitutiva della delibera impugnata potrà ottenersi mediante l'indicazione di tutti quegli elementi utili a fornire una esaustiva ed adeguata motivazione delle scelte che hanno determinato il voto dei soci maggioritari nella delibera oggetto di scrutinio.

Osservazioni

Il Tribunale di Roma, dunque, ha opportunamente sottolineato che una analitica indicazione dei motivi sottostanti ad una decisione assembleare oggetto di censura per l'esercizio abusivo del voto può determinare un utile superamento delle censure in ordine all'assenza di motivazione e alla condotta contra-legem dei soci di maggioranza.

Occorre, peraltro, precisare che resta in ogni caso preclusa al giudice ogni possibilità di controllo del merito o dell'opportunità dei motivi che hanno indotto la maggioranza ad assumere una certa delibera, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare in una determinata maniera, fatta eccezione, appunto, per il caso in cui la deliberazione risulti ingiustificatamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci (si veda Cass. 4 maggio 1994, n. 4323, in Foro it. 1995, I, 2219; Cass. 5 maggio 1995, n. 4923, cit.; Cass. 11 giugno 2003, n. 9353, in Riv. notariato 2004, 216; Cass. civ., Sez. I, 12 dicembre 2005, n. 27387, cit.; Cass. 29 settembre 2020, n. 20625, cit.; Trib. Milano 21 giugno 2021, cit.; Trib. Torino 4 gennaio 2023, cit.; Trib. Bologna 13 marzo 2023, cit.).

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra indicato, infine, si ritiene utile sottolineare l'importanza degli aspetti probatori in relazione alla condotta abusiva dei soci di maggioranza e alla sua emersione, giacché, al fine di consentire al Giudice di verificare le reali motivazioni della delibera assembleare e se effettivamente sia stato commesso un abuso, il socio di minoranza dovrà indicare tutti i sintomi di illiceità della delibera, deducibili sia da elementi di fatto esistenti al momento della decisione sia da circostanze verificatesi successivamente, che conducano all'accertamento dell'insussistenza di una autonoma giustificazione causale di tale delibera sulla base dei legittimi interessi dei soci di maggioranza.

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