Responsabilità degli amministratori per prosecuzione dell'attività gestoria al verificarsi di una causa di scioglimento

Federica Sisca
29 Agosto 2023

La Cassazione chiarisce a quali condizioni la violazione dell'obbligo, gravante sugli amministratori, di attivarsi immediatamente al verificarsi di una causa di scioglimento, e la contestuale prosecuzione dell'attività gestoria, possa essere fonte di responsabilità.
Massima

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2484, comma 3 e 2485, comma 1, c.c. gli amministratori devono accertare, senza indugio, il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimenti di cui all'art. 2484, comma 3, c.c., ossia all'iscrizione della dichiarazione di accertamento di tale causa di scioglimento nel registro delle imprese, derivandone, in caso di ritardo od omissione, una loro responsabilità verso la società, i soci ed i creditori per i danni che ne siano derivati. Nel caso di specie, la sentenza impugnata non individua alcun danno per la omessa o tardiva segnalazione agli amministratori delegati dell'obbligo di effettuare siffatto incombente.

La previsione di un risarcimento ex art. 2485 c.c. è, peraltro, di improbabile applicazione, essendo difficile che l'omissione o il ritardo di iscrizione nel registro dell'imprese possano, di per sé, essere produttive di danno. Il danno potrebbe, in effetti, derivare esclusivamente dal compimento, da parte degli amministratori, di atti di gestione incompatibili con i vincoli di cui all'art. 2486, comma 1, c.c., ossia eccedenti la finalità di conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale. Ebbene, colui (società o terzi) che agisce in giudizio con azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell'art. 2486 c.c., ha l'onere di allegare e provare l'esistenza dei fatti costitutivi della domanda, ma non è tenuto a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d'impresa e non abbiano una finalità liquidatoria. Infatti, è onere degli amministratori dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d'impresa.

Il caso

Una S.p.A. in amministrazione straordinaria ha promosso azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci, succedutisi nei relativi incarichi a partire dall'esercizio 2002, nonché nei confronti di una società di revisione ritenendoli tutti responsabili della perdita integrale del capitale sociale sin dalla chiusura dell'esercizio 2001. I convenuti si sono costituiti in giudizio respingendo gli addebiti e formulando, in via subordinata, domanda di accertamento delle rispettive quote di responsabilità. Con sentenza n. 786/2017, il Tribunale di Milano ha argomentato in ordine alle rispettive responsabilità dei convenuti, delimitando l'arco temporale nell'ambito del quale potesse configurarsi una responsabilità nei confronti delle parti citate in giudizio e facendolo coincidere con i soli mesi di novembre e dicembre 2004. Così individuato l'intervallo temporale di rilievo, i Giudici di prime cure hanno riconosciuto quale principale responsabile della perdita integrale del capitale sociale uno degli amministratori convenuti (Tizio) la cui responsabilità è stata affermata non solo sulla base della sua durata in carica in qualità di amministratore, ma anche (soprattutto) alla stregua di una serie di comportamenti ritenuti contrari agli obblighi su di esso gravanti.

Avverso tale sentenza hanno proposto appello due degli amministratori convenuti (Tizio e Caio). In particolare, l'appellante Tizio ha inteso censurare la sentenza per aver il Giudice di primo grado affermato una sua responsabilità e valutato (in via equitativa) il danno pur non avendo la società attrice allegato alcunché in merito. Di contrario avviso, la Corte di Appello di Milano ha ritenuto corretta la pronuncia del primo grado desumendo la responsabilità dell'appellante dalle risultanze probatorie della CTU e dalle relazioni semestrali degli amministratori sull'andamento della società nell'anno 2004 dalle quali (a parere dei Giudici di secondo grado) non poteva l'amministratore (Tizio) non avvedersi della presenza di una situazione di rischio così da attivarsi nel prendere le misure necessarie ad evitare la perdita del capitale sociale.

Avverso la decisione emessa dalla Corte di Appello di Milano (n. 2513/2019) Tizio ha promosso ricorso in Cassazione, censurando anche questa seconda sentenza per aver riconosciuto una sua responsabilità pur non avendo la società istante allegato o provato un suo comportamento commissivo od omissivo causativo di danno.

Le questioni

Il ricorrente ha trovato in sede di legittimità pieno riconoscimento delle proprie ragioni. Infatti, la Corte di Cassazione ha censurato la sentenza di secondo grado in quanto priva di qualsiasi accertamento in merito alla causazione effettiva di un danno alla società per non aver l'amministratore prontamente adempiuto agli incombenti di cui all'art. 2484, comma 3, c.c. (iscrizione nel registro delle imprese) in presenza di una causa di scioglimento. In tal senso, la pronuncia in commento ribadisce il principio di diritto in base al quale: “Colui che agisce in giudizio con azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell'art. 2486 c.c., ha l'onere di allegare e provare l'esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioè la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori” (Cass. civ., sez. I, 05/01/2022, n.198. Conforme anche Cass. civ., sez. I, 05/02/2015n.2156; Cass. civ., SS.UU., 06/05/2015, n. 9100; Cass. civ., 08/02/2000, n. 1375).

La pronuncia, pur non aggiungendo nulla di nuovo nel presente panorama giurisprudenziale, offre comunque l'occasione per esaminare due interessanti questioni: 1) il riparto dell'onere della prova tra attore e convenuto in tema di violazione delle previsioni di cui all'art. 2486 c.c.; 2) quando può ravvisarsi una responsabilità exart. 2485c.c.

Osservazioni

Sul riparto dell'onere della prova in merito al compimento di atti gestori non meramente conservativi del patrimonio sociale

La Corte ha specificato che chi agisce in responsabilità (in questo caso la società) ha l'onere di dimostrare: a) la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società; b) il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuta a dimostrare che gli atti compiuti non hanno una finalità liquidatoria determinandosi in tal caso un'inversione dell'onere della prova spettante questa volta agli amministratori convenuti in giudizio.

Nella valutazione di tale prova occorre, peraltro, considerare che gli amministratori non sono solo tenuti all'ordinario adempimento delle obbligazioni assunte in epoca antecedente allo scioglimento della società (art. 2449, comma 2, testo previgente, e attuale art. 2486, comma 2, c.c.), ma hanno anche il potere-dovere di compiere, in epoca successiva al suddetto scioglimento, quegli atti negoziali di gestione della società necessari a preservarne l'integrità del patrimonio (cfr. Cass. civ., sez. I, 05/02/2015n.2156).

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha sempre affermato la necessità di avere riguardo alla finalità dell'operazione compiuta dagli amministratori che può essere diretta al compimento di nuovi atti d'impresa o al conseguimento di nuovi utili e di finalità diverse dalla liquidazione della società (cfr. Cass. civ. n. 3694/2007 cit., n. 5275/1997, n. 9887/1995).

Sull'applicazione della previsione di cui all'art. 2485c.c.

La decisione si fonda altresì sul fatto che la sola omessa e/o ritardata iscrizione nel registro delle imprese da parte degli amministratori non fosse di per sé idonea a causare un danno per la società.

Sul tema, esistono diverse pronunce giurisprudenziali in cui è stata riconosciuta una responsabilità in capo agli amministratori ex art. 2485 c.c. per i danni subiti dalla società a motivo dell'omesso accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento, o anche del suo ritardo, provocando così un aggravamento delle perdite (cfr. T. Venezia, sez. impresa, 15 febbraio 2017, n. 362; T. Bologna, sez. IV, 22 ottobre 2015, n. 3034). Nonostante il tenore delle suddette pronunce vi è, tuttavia, da rilevare come il danno alla società fosse in concreto ascrivibile agli atti di gestione compiuti dagli amministratori e incompatibili con i vincoli di cui all'art. 2486 c.c. più che al semplice ritardo od omesso adempimento agli obblighi ex art. 2485 c.c.

Conclusioni

Sembra condivisibile il principio espresso dalla pronuncia qui commentata e che, anzi, ben si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale affinché la condotta inadempiente degli amministratori possa integrare un'ipotesi di responsabilità rilevante è necessario che la stessa causi un danno alla società, fermo restando che spetta a chi agisce in giudizio dare prova degli elementi costitutivi.

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