L'opposizione dei creditori nella scissione societaria

05 Settembre 2023

La scissione societaria può potenzialmente danneggiare i creditori della società scissa. Per questa ragione il nostro ordinamento consente ai creditori di opporsi. In questo articolo analizziamo le disposizioni che regolano l'opposizione dei creditori alla scissione ed esaminiamo i più recenti interventi giurisprudenziali sul punto.
Il quadro normativo

La scissione di società può implicare dei rischi per i creditori? E, in caso affermativo, di quale tutela godono i creditori? Per una comprensione di questa tematica, è utile partire dalla stessa definizione di scissione: “con la scissione una società assegna l'intero suo patrimonio a più società, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo patrimonio, in tal caso anche a una sola società, e le relative azioni o quote ai suoi soci” (art. 2506 comma 1 c.c.). L'assegnazione di patrimonio da Alfa (società scissa) a Beta (società beneficiaria) implica un depauperamento di Alfa e dunque un rischio per i creditori di Alfa.

Importante nell'ambito della scissione è il progetto di scissione, redatto dall'organo amministrativo. Il progetto deve contenere “l'esatta descrizione degli elementi patrimoniali da assegnare a ciascuna delle società beneficiarie e dell'eventuale conguaglio in danaro” (comma 1 dell'art. 2506 bis c.c.). Con riguardo invece al passivo, la legge chiarisce che “degli elementi del passivo, la cui destinazione non è desumibile dal progetto, rispondono in solido, nel primo caso, le società beneficiarie, nel secondo la società scissa e le società beneficiarie. La responsabilità solidale è limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria” (comma 3 dell'art. 2506 bis c.c.). In altre parole, la scissione consiste in una distribuzione dell'attivo e del passivo di una società fra quella medesima società e una seconda società. La responsabilità solidale tra le società attutisce i rischi per i creditori.

Il patrimonio del debitore costituisce la garanzia generica per i creditori. L'art. 2740 comma 1 c.c. prevede che “il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. Se il debitore è la società Alfa, ma il patrimonio di Alfa, anche solo in parte, viene trasferito – a seguito della scissione – a Beta, vi è una riduzione della garanzia patrimoniale offerta da Alfa. I creditori di Alfa possono patire un pregiudizio, e il legislatore ha predisposto due tutele:

- il diritto dei creditori di fare opposizione (così l'art. 2503 c.c.);

- ferma restando la responsabilità solidale di ambedue le società coinvolte nella scissione (così l'art. 2506 quater c.c.).

Poiché l'assegnazione del patrimonio ad altra società potrebbe pregiudicare i creditori della società scissa, il legislatore estende alla scissione l'istituto dell'opposizione dei creditori, già previsto per il distinto caso di fusione (sull'opposizione dei creditori nell'ambito della scissione cfr. S. Pepe, L'opposizione alla scissione ex art. 2503 c.c., in Riv. not., 2018, 387). Più precisamente, l'art. 2506 ter comma 5 c.c. afferma l'applicabilità alla scissione – tra gli altri – dell'art. 2503 c.c., e specifica che “tutti i riferimenti alla fusione contenuti in detti articoli s'intendono riferiti anche alla scissione”.

Poi vi è un'apposita disposizione sulla responsabilità post scissione (sulla responsabilità solidale delle società partecipanti alla scissione o risultanti dalla medesima cfr. M. Ghilardi, Funzione dell'opposizione alla scissione e rapporto con la responsabilità delle altre società partecipanti all'operazione, in Banca borsa tit. cred., 2022, II, 700), prevedendo la legge che “ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico”: così l'art. 2506 quater comma 3 c.c.

Il primo rimedio di cui dispongono i creditori è l'opposizione. Come accennato sopra, detto rimedio è disciplinato nell'ambito della fusione, ma l'art. 2506 ter comma 5 c.c. lo estende anche alla scissione. Ma cosa prevede l'art. 2503 c.c.? L'art. 2503 comma 1 c.c. stabilisce che “la fusione può essere attuata solo dopo sessanta giorni dall'ultima delle iscrizioni previste dall'articolo 2502 bis, salvo che consti il consenso dei creditori delle società che vi partecipano anteriori all'iscrizione o alla pubblicazione prevista nel terzo comma dell'articolo 2501 ter, o il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso, ovvero il deposito delle somme corrispondenti presso una banca, salvo che la relazione di cui all'articolo 2501 sexies sia redatta, per tutte le società partecipanti alla fusione, da un'unica società di revisione la quale asseveri, sotto la propria responsabilità … che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti rende non necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori”.

Il comma 2 dell'art. 2503 c.c. prevede poi che: “se non ricorre alcuna di tali eccezioni, i creditori indicati nel comma precedente possono, nel suddetto termine di sessanta giorni, fare opposizione. Si applica in tal caso l'ultimo comma dell'articolo 2445”. La disposizione di legge sull'opposizione dei creditori alla fusione (o alla scissione) vuole evitare che i creditori possano essere pregiudicati dall'operazione. A questo fine viene prevista un'alternativa:

- o i creditori vengono pagati prima della fusione/scissione (o vi è la garanzia che vengano pagati);

- oppure essi hanno il diritto di opporsi alla fusione/scissione.

Se i creditori vengono pagati, non sussiste alcun interesse all'opposizione. Del resto, chi è stato pagato perde perfino la qualifica di creditore. L'equivalente (o meglio: quasi equivalente) del pagamento è la sussistenza di una garanzia di pagamento. Sul punto è intervenuto il Consiglio Notarile di Milano (Massima n. 57 – 19 novembre 2004, Deposito delle somme in caso di fusione o scissione anticipata, in consiglionotarilemilano.it), il quale ha stabilito che, ai fine di consentire il perfezionamento dell'atto di fusione o di scissione prima del termine per l'opposizione dei creditori, il deposito delle somme a garanzia dei creditori deve essere vincolato sino alla scadenza del termine medesimo e deve prevedere che il vincolo perduri sino all'estinzione del debito, relativamente ai crediti vantati da coloro che facciano opposizione.

Ai fini di questo articolo è importante ricordarsi che l'art. 2503 c.c. si applica – oltre che alla fusione (contesto nel quale si colloca la disposizione) – anche al distinto caso della scissione.

Le banche quali creditori tipici interessati all'opposizione alla scissione

I creditori possono dunque fare opposizione alla scissione. Tra i creditori rientrano tipicamente le banche: gli istituti di credito hanno erogato finanziamenti (di volta in volta con modalità tecniche diverse) e se la società finanziata si scinde, il recupero del credito può risultare più difficile.

Il Tribunale di Milano (Trib. Milano, 23 ottobre 2020, in Giur. it., 2021, 637, con nota di F. Petritaj) si è occupato di un caso di opposizione alla scissione presentata da una banca creditrice. La banca aveva erogato un mutuo fondiario di 2.000.000 di euro a una s.r.l. attiva nel settore immobiliare, a fronte del quale era stata concessa un'ipoteca per 3.600.000 di euro. A un certo punto, durante il periodo di ammortamento del mutuo, l'assemblea straordinaria della società finanziata deliberava l'approvazione di un progetto di scissione. La banca creditrice ritiene che la scissione possa pregiudicarla e presenta opposizione ai sensi dell'art. 2503 c.c.

Bisogna in primo luogo comprendere se la banca sia qualificabile come creditore ai sensi dell'art. 2503 c.c. La risposta è positiva, anche se - nel caso di specie - si tratta di un credito particolarmente garantito. L'art. 38 t.u.b. consente alle banche di erogare mutui fondiari, ovvero assistiti da ipoteche di primo grado su immobili. La tutela della banca è data in primo luogo dalla capacità di produrre reddito del debitore, ma in secondo luogo anche dall'immobile concesso in garanzia. Se il debitore cessa di pagare le rate del mutuo, il contratto viene dichiarato risolto e la banca creditrice può vendere l'immobile all'asta. Il mutuo, inoltre, ha una durata nel tempo e finché le rate del finanziamento non sono state integralmente restituite la banca continua ad essere creditrice. È dunque indubbio che la banca fosse (ancora) creditrice della società immobiliare al momento della scissione: il requisito soggettivo di applicazione dell'art. 2503 comma 1 c.c. sussiste.

L'operazione di scissione progettata aveva le seguenti caratteristiche. Dentro la prima società (che chiamiamo, convenzionalmente, Alfa) vi erano degli immobili, alcuni dei quali erano gestiti sotto forma di attività alberghiera. Il progetto di scissione prevedeva la costituzione di una nuova società (che chiamiamo, convenzionalmente, Beta). A Beta sarebbero stati conferiti alcuni immobili prima dentro Alfa. All'esito della scissione, si sarebbe avuta la seguente situazione:

- dentro Alfa sarebbe rimasto l'immobile ipotecato a favore della banca + il relativo debito verso la banca + l'azienda alberghiera;

- dentro Beta sarebbero entrati alcuni terreni e unità immobiliari per un valore complessivo di 717.253,90 euro + il debito residuo derivanti dai finanziamenti soci per l'acquisto di tali immobili per un importo complessivo di 665.089,04 euro.

La banca presenta opposizione perché reputa di essere pregiudicata dall'operazione di scissione e il Tribunale di Milano le dà ragione. A seguito della scissione, una parte del patrimonio immobiliare di Alfa finirebbe dentro Beta, e apparentemente verrebbe così sottratto alla soddisfazione dei creditori di Alfa, di cui la banca è il più importante. In realtà, il giudice milanese osserva che questo risultato pregiudizievole non si produce, in quanto vi è il regime di responsabilità solidale di tutte le società coinvolte nella scissione (art. 2506 quater comma 3 c.c.). Ciò nonostante, il Tribunale di Milano ritiene che l'art. 2506 quater comma 3 c.c. non possa valere ad abrogare “implicitamente” il diritto dei creditori all'opposizione previsto dall'art. 2503 c.c. Il fatto che le società risultanti dalla fusione rispondano dei debiti che prima erano in capo alla società scissa non vale a escludere la possibilità che il creditore – quale forma di tutela aggiuntiva – si opponga alla scissione.

Per opporsi con successo all'operazione di scissione, il creditore deve dimostrare il pericolo di pregiudizio derivante dalla scissione. Nel caso affrontato dal Tribunale di Milano, l'autorità giudiziaria considera dimostrati i rischi di mancato pagamento conseguenti alla scissione. Nel momento della progettata scissione, il debito residuo da mutuo fondiario era di 1.876.436 euro. Viene disposta una consulenza tecnica d'ufficio, dalla quale risulta che l'immobile per il quale era stato concesso il mutuo aveva perso di valore: oggi il valore di mercato stimato dell'immobile è di 1.607.000 euro e, nella prospettiva di una vendita forzata, il valore minimo d'offerta sarebbe di 1.145.000 euro. Rispetto al debito residuo potrebbe mancare un imposto oscillante fra circa 270.000 euro e circa 730.000 euro. Viene inoltre evidenziata la crisi di mercato del settore alberghiero, con scarse prospettive reddituali dell'attività.

In conclusione, il Tribunale di Milano ritiene la scissione pregiudizievole, in quanto alcuni immobili prima contenuti in Alfa verrebbero trasferiti a Beta. L'immobile ipotecato rimane sempre sotto il vincolo della banca, tuttavia gli altri immobili - non ipotecati - verrebbero trasferiti da Alfa a Beta. Poiché la banca ha un rapporto contrattuale solo con Alfa, gli immobili che passano a Beta escono dalla garanzia patrimoniale generica che può offrire Alfa. L'art. 2740 comma 1 c.c. prevede la responsabilità del debitore con tutti i propri beni e, nel caso trattato dal giudice milanese, gli altri immobili passerebbero da Alfa a Beta, fuoriuscendo dall'oggetto della garanzia patrimoniale a disposizione della banca. Il Tribunale di Milano osserva che i soci di Alfa e di Beta sono gli stessi. La scissione fa sì che parte del patrimonio di Alfa passi a Beta: ciò potrebbe danneggiare la banca senza danneggiare i soci delle due società. In definitiva, il giudice milanese accoglie l'opposizione alla scissione proposta dalla banca e dichiara inefficace la delibera di approvazione del progetto di scissione adottata da Alfa.

Un secondo interessante precedente di opposizione alla scissione che vede coinvolto come creditore una banca è una sentenza del Tribunale di Napoli (Trib. Napoli, 19 febbraio 2016, in expartecreditoris.it). Una banca ha erogato due diversi finanziamenti a una società: un'anticipazione su conto corrente nonché un mutuo fondiario. La società approva un progetto di scissione e la banca presenta opposizione del creditore. La banca aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per l'importo di 3.779.000 euro (risultante dalla somma dei due crediti da anticipazione e mutuo fondiario). A seguito della scissione, la maggior parte del patrimonio immobiliare sarebbe stato trasferito da Alfa (società scissa) a Beta (società beneficiaria). Il giudice napoletano rileva che i beni che resterebbero nel patrimonio della società scissa sarebbero insufficienti a garantire l'adempimento delle obbligazioni assunte dalla medesima società nei confronti della banca opponente. In conclusione, in accoglimento dell'opposizione presentata dalla banca creditrice, il Tribunale di Napoli dichiara inefficace la deliberazione approvata dalla società debitrice avente a oggetto il progetto di scissione.

L'opposizione dei creditori alla scissione nella giurisprudenza

Anche al di fuori del contesto bancario, la giurisprudenza mostra come capiti che i creditori facciano opposizione alla scissione. Merita di essere esaminato un caso affrontato dal Tribunale di Roma (Trib. Roma, 28 dicembre 2017, in giurisprudenzadelleimprese.it). È corrente una s.r.l. (che chiamiamo, convenzionalmente, Alfa), proprietaria di alcuni immobili. La società delibera un'operazione di scissione, in forza della quale detti immobili verrebbero trasferiti a una seconda società (che chiamiamo, convenzionalmente, Beta). Una terza società, che risulta creditrice di Alfa, presenta opposizione alla scissione. In primo luogo il Tribunale di Roma si chiede se la terza società sia effettivamente creditrice di Alfa. La risposta è positiva, anche se non così scontata, in quanto – nel caso concretamente esaminato dal giudice romano – il credito vantato dal terzo era un credito risarcitorio. Non si trattava di un comune credito, liquido ed esigibile, al pagamento di una somma di danaro per la fornitura di beni o servizi. Inoltre il credito era litigioso, nel senso che pendeva una separata causa fra le parti, all'esito della quale il terzo avrebbe potuto ottenere dal giudice il titolo giudiziale di riconoscimento della sussistenza del credito verso Alfa. Nonostante il terzo possa reputarsi creditore della società Alfa, il Tribunale di Roma rigetta l'opposizione, sulla base della considerazione che non vi può essere un reale pregiudizio per il creditore, in quanto la scissione contempla il trasferimento non solo di attività (gli immobili) ma anche di passività (debiti). Più precisamente, dal progetto di scissione risulta che vengono trasferiti alla conferitaria debiti della scissa per 513.880,49 euro. Il giudice romano ritiene che l'operazione di scissione non sia finalizzata a depauperare la scissa con lesione della garanzia patrimoniale generica, alla luce della situazione debitoria indicata nel progetto di scissione che è stata trasferita alla beneficiaria.

Il medesimo Tribunale di Roma, in un'altra sentenza del 2017 (Trib. Roma, 12 giugno 2017, in giurisprudenzadelleimprese.it), si è occupato dell'opposizione alla scissione presentata da uno studio professionale. Uno studio professionale asseriva di vantare un ingente credito di 3.890.880 euro nei confronti di una s.r.l. Una parte del credito era già esigibile (era stato addirittura ottenuto un decreto ingiuntivo), mentre un'altra parte del credito era sottoposto a condizione sospensiva. La società debitrice approvò un progetto di scissione che prevedeva la costituzione di una nuova società. Lo studio professionale creditore, nel timore di perdere la garanzia del proprio credito, presentò opposizione. In primo luogo il Tribunale di Roma si domanda se lo studio professionale possa essere effettivamente considerato come creditore. La risposta è positiva, in quanto la giurisprudenza – come si è visto nell'altro caso appena esaminato - tende ad adottare una nozione ampia di creditore, facendovi rientrare anche il titolare di un credito litigioso ovvero sottoposto a termine o condizione. Il credito, aggiunge il giudice romano, non deve nemmeno risultare dalle scritture contabili. Con riferimento ai crediti contestati, l'autorità giudiziaria può limitarsi a una cognizione sommaria circa l'esistenza e la fondatezza delle ragioni di credito dell'opponente. Lo studio professionale viene dunque considerato dal Tribunale di Roma come un creditore della società scissa. Tuttavia, nel merito, il giudice romano rigetta l'opposizione: non vi è difatti il rischio che la scissione pregiudichi le aspettative di credito. Più precisamente, a seguito della scissione la società avrà sì debiti per circa 15 milioni di euro, ma avrà altresì elementi attivi (immobilizzazioni finanziarie e crediti) per circa 33 milioni di euro. In conclusione, l'opposizione del creditore viene rigettata.

Il rapporto tra opposizione dei creditori e responsabilità solidale delle società partecipanti alla scissione

Finora ci siamo occupati di casi in cui i creditori, particolarmente diligenti e preoccupati per gli effetti potenzialmente negativi della scissione, hanno fatto ritualmente opposizione contro il progetto di scissione. Ma se i creditori non hanno fatto tempestiva opposizione, perdono qualsiasi diritto nei confronti della società scissa? La risposta a questo quesito è negativa, in quanto sovviene il già menzionato comma 3 dell'art. 2506 quater c.c., che prevede la responsabilità solidale di scissa e beneficiaria. Poiché questa disposizione prevede che ambedue le società sono responsabili, il creditore non soddisfatto può agire:

- nei confronti della sola società scissa;

- nei confronti della sola società beneficiaria;

- nei confronti di ambedue.

Il patrimonio originario (che era dentro la scissa) si divide in due blocchi (una prima parte rimane nella scissa, una seconda parte finisce nella beneficiaria), ma rimane pur sempre a disposizione dei creditori.

La norma prevede che le due società (scissa e beneficiaria) sono “solidalmente” responsabili. Secondo i canoni generali, la solidarietà implicherebbe che Alfa e Beta rispondano per tutto il debito originario. Tuttavia, interviene l'ultimo passaggio della disposizione a chiarire che la responsabilità è limitata al patrimonio netto, rispettivamente, “assegnato” o “rimasto”. L'obiettivo della regola è quello di attenuare la solidarietà della responsabilità, nel senso che - ferma restando la responsabilità di ambedue le società - ciascuna di esse risponde nei limiti del patrimonio rimasto dentro la scissa oppure trasferito dentro la beneficiaria.

Per comprendere meglio il senso della disposizione, si analizzi il seguente esempio. Alfa viene scissa e una parte del suo patrimonio finisce dentro Beta, società di nuova costituzione. Si ipotizzino i seguenti valori:

- patrimonio originario di Alfa: 1.000.000 di euro;

- patrimonio trasferito nella beneficiaria Beta: 700.000 euro;

- patrimonio rimasto dentro la scissa Alfa: 300.000 euro.

Si immagini ora che un creditore vanti un credito di 100.000 euro nei confronti di Alfa: in questo caso l'operazione di scissione non danneggia il creditore, in quanto tanto nella scissa quanto nella beneficiaria continua a esserci patrimonio sufficiente. Si ipotizzi invece che il credito del terzo ammonti a 500.000 euro: in questo caso, post scissione, il patrimonio di Alfa non è più sufficiente, essendo stato trasferito prevalentemente a Beta. Tuttavia sovviene il patrimonio di Beta (nel senso di quello trasferito a Beta: 700.000 euro), che basta – nell'esempio fatto - al creditore per essere soddisfatto. Sotto questo profilo, l'operazione di scissione è “neutrale”, nel senso che il patrimonio viene solo diviso fra la prima e la seconda società: il patrimonio complessivo - nell'esempio fatto - è sempre di 1.000.000 di euro, con l'unica differenza che ora è distribuito in due società.

Una recentissima sentenza della Corte di appello di Perugia (App. Perugia, 29 marzo 2023, in dirittopratico.it) si è soffermata anche sul rapporto tra opposizione dei creditori e responsabilità solidale delle società coinvolte. All'esito della procedura di scissione, un creditore agisce nei confronti della società risultante dalla scissione. Questa società eccepisce che il creditore sarebbe decaduto dal diritto di agire in giudizio contro di essa non avendo fatto opposizione alla scissione. La questione trattata è dunque se l'esercizio del rimedio dell'opposizione costituisca un presupposto necessario per poter poi agire nei confronti delle società risultanti dalla scissione. La Corte di appello di Perugia afferma che l'azione ex art. 2506 quater comma 3 c.c. e l'opposizione al progetto di scissione costituiscono due rimedi tra di loro complementari e distinti. La mancata opposizione dei creditori al progetto preclude solo la successiva dichiarazione di invalidità dell'operazione, ma non implica in alcun modo che i creditori medesimi non possano poi invocare la responsabilità solidale delle società partecipanti alla fusione.

Anche il Tribunale di Milano (Trib. Milano, 5 agosto 2016, in giurisprudenzadelleimprese.it) si è occupato del rapporto tra l'opposizione dei creditori e la responsabilità solidale di scissa e beneficiaria, giungendo a una soluzione analoga. Un'impresa individuale emette due fatture per un totale di 42.419,70 euro a una s.r.l. Il credito non viene pagato spontaneamente, cosicché il creditore ottiene contro la s.r.l. decreto ingiuntivo, che non viene opposto e diventa così esecutivo e definitivo. Nelle more del recupero del credito, la s.r.l. debitrice avvia una procedura di scissione, all'esito della quale quasi tutto il patrimonio di Alfa (società scissa) viene trasferito dentro Beta (nuova società beneficiaria della scissione). Il creditore, non riuscendo a essere soddisfatto dalla prima società, agisce in giudizio contro la seconda società.

La beneficiaria eccepisce che il creditore sarebbe decaduto dal diritto di far valere la sua responsabilità in quanto non ha fatto opposizione alla scissione. Il Tribunale di Milano, nella sentenza dell'agosto 2016, chiarisce che l'opposizione è una facoltà, non un obbligo, del creditore. Se il creditore non presenta opposizione, per qualsiasi motivo (ad esempio perché vuole evitare i costi connessi), ciò non implica che il suo credito venga meno; egli potrà comunque agire sia nei confronti del debitore originario (società scissa) sia nei confronti del nuovo debitore (società beneficiaria). Si tratta di due rimedi ben distinti (opposizione e responsabilità solidale), già per il fatto che l'opposizione opera prima della scissione, mentre la responsabilità solidale opera dopo la scissione. Inoltre l'opposizione “blocca” l'intera operazione di scissione, mentre la responsabilità solidale non tocca la scissione, limitandosi a ristorare il creditore. Il giudice milanese si chiede poi se esista un beneficium excussionis delle società risultanti dalla scissione, ossia se il creditore sia obbligato ad agire prima contro l'una o contro l'altra delle due società. La risposta del Tribunale di Milano è negativa: ciò che la legge stabilisce è solo che la responsabilità è solidale e che le società rispondono nei limiti del patrimonio ante scissione. Per il resto non ci sono regole particolari che impongano di procedere prima contro una o contro l'altra delle due società coinvolte. Il giudice milanese distingue fra responsabilità solidale pura e responsabilità solidale sussidiaria.

- il caso della responsabilità solidale “pura” è quello classico: Alfa e Beta rispondono ambedue nella stessa misura dell'intero debito originario, potendosi il creditore rivolgere indistintamente ad Alfa oppure a Beta oppure a entrambe le società;

- il caso della responsabilità solidale “sussidiaria” è la fattispecie prevista nell'art. 2506 quater comma 3 c.c.: Alfa e Beta rispondono ambedue, ma ciascuna nei limiti del patrimonio rimasto o assegnato.

Nella fattispecie trattata dal Tribunale di Milano, il debitore aveva chiesto il pagamento prima alla società scissa e poi alla società beneficiaria. Essendo il patrimonio della prima incapiente, il creditore si era rivolto alla società beneficiaria. Poiché il patrimonio della beneficiaria, trasferito dalla scissa, è capiente per soddisfare il credito, il giudice milanese condanna la seconda società a pagare le due fatture emesse dal creditore per 42.419,70 euro.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario