Turni oltre le regole fissate dal CCNL: può configurarsi un danno alla vita personale del lavoratore?

Teresa Zappia
06 Settembre 2023

Sebbene la contrattazione collettiva non ponga un limite fisso alla richiesta di turni di disponibilità, il datore deve garantire il riposo del lavoratore e non pregiudicarne in modo significativo la vita personale.

Nel caso in cui la contrattazione collettiva consenta di richiedere, mensilmente, turni di pronta disponibilità oltre quelli “di regola” stabiliti, può dirsi che il datore è legittimato a chiedere un numero di turni indefinito? Può configurarsi un danno da usura psico-fisica?

In linea con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in casi analoghi, la previsione secondo cui “di regola” non possono essere previsti più di un certo numero di turni di pronta disponibilità nel mese deve intendersi come precetto di natura programmatica e non come limite invalicabile, fermo restando il diritto alla retribuzione per i turni eccedentari e salvo il risarcimento del danno nel caso di pregiudizio per il recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore.

Pertanto, sebbene la contrattazione ammetta il superamento dei limiti da essa stessa fissati, deve guardarsi al concreto atteggiarsi della fattispecie, in particolare all'eventuale mancata fruizione piena dei riposi, ciò facendo sorgere in capo al lavoratore il diritto al risarcimento in ragione del carattere usurante e della lesione della personalità morale che deriva dall'impedimento al ristoro ed alla conduzione di una vita compatibile con gli impegni lavorativi.

In sintesi, il superamento del limite “normale” di turni, rectius di quello previsto come “di regola”, non è ex se ragione di inadempimento datoriale, ma può diveltarlo se, in concreto, si determini un'interferenza tale, rispetto alla vita privata del lavoratore, da determinare un significativo pregiudizio al diritto al riposo.

Tale pregiudizio, tenuto conto dell'elasticità della previsione contenuta nel contratto collettivo, per essere individuato necessita di un superamento significativo di quel limite, fino al punto di poter dire che la vita personale del lavoratore, in ragione di ciò, sia stata inevitabilmente compromessa, comunque non rilevando il fatto che, trattandosi di prestazione di mera disponibilità, il suo impatto sulla vita del lavoratore (per non essere direttamente impegnato nel lavoro) è minore, considerato che “riposo” nel suo significato più pieno e completo, significa allontanamento anche mentale dalla necessità di mantenersi a disposizione del datore.

La giurisprudenza ha precisato, inoltre, che al di là dello sfociare del pregiudizio (danno-conseguenza) in condizioni di patologia psicofisica, qualora venga in gioco la violazione del diritto al riposo e, dunque, della personalità del lavoratore – nei termini sopra indicati - il danno deve ritenersi in re ipsa, essendo pregiudicato il bene “vita personale” in quanto tale.

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