Infondata la domanda di revocazione della donazione per “ingiuria grave” se il donante ha creato un clima altamente conflittuale
20 Settembre 2023
Massima
Non si ravvisano gli estremi della ingiuria grave, lesiva del decoro e della reputazione del donante, se quest'ultimo con la propria condotta ha indubbiamente generato uno stato di sofferenza nel donatario ed ha contribuito, in modo determinante, a creare un clima altamente conflittuale. Le valutazioni in ordine alla sussistenza della causa di revocazione della donazione presuppongono una compiuta indagine in ordine al contesto temporale e personale delle parti all'epoca degli accadimenti, non essendo consentito parcellizzare una condotta al fine di trarne un elemento di prova in quanto ciò che deve emergere, in realtà, deve risultare dal vaglio complessivo degli elementi di prova acquisiti in sede istruttori. Il caso
Tizio ha donato alla moglie le quote dell'azienda di ristorazione e le partecipazioni della società immobiliare. Successivamente l'ha convenuta in giudizio dinnanzi al Tribunale di Bergamo per chiedere, ai sensi dell'art. 801 c.c., la revoca per ingratitudine dell'atto di donazione. L'attore ha sollevato preliminarmente eccezione di nullità della donazione per mancanza dell'elemento soggettivo (deducendo di essere stato obbligato dalla moglie a donarle le quote) e poi ha dedotto, a fondamento dell'azione proposta, che la moglie, con cui il rapporto era già incrinato da tempo, si era resa responsabile di ingiuria grave nei suoi confronti per aver, dopo l'intervenuta donazione, iniziato a diffamarlo in ambito lavorativo ed extralavorativo (proferendo epiteti offensivi e denigratori verso la sua persona) nonché a maltrattarlo a causa di dissidi legati alla crisi coniugale. Caia, costituendosi in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda deducendo l'anteriorità della crisi coniugale rispetto all'intervenuta donazione, di aver presentato ricorso per separazione giudiziale con richiesta di addebito nei confronti del marito, una denuncia penale per i maltrattamenti subiti da quest'ultimo evidenziando, altresì, di aver vissuto in un clima di sopraffazione e che il marito è stato colpito anche da un ordine di allontanamento dalla casa familiare e dal divieto di avvicinamento alla moglie e ai figli emesso dal GIP del Tribunale di Bergamo Il Tribunale ha respinto l'eccezione di nullità, riconoscendo la validità dell'intervenuta donazione, e rigettato la domanda di parte attrice ritenendo non integrati i presupposti dell'ingiuria grave. Il Giudice ha evidenziato, nei motivi della decisione, che non possono ritenersi integrati i requisiti previsti dall'art. 801 c.c. poiché dall'istruttoria espletata è emerso che le espressioni denigratorie si ricollegano ad un contesto familiare di esasperata conflittualità alimentata anche dalle condotte del donante. La questione
La fattispecie oggetto della pronuncia giudiziale solleva diverse questioni giuridiche che nel caso in esame si intersecano tra loro. La sentenza del Tribunale di Bergamo, richiamando gli orientamenti consolidati della giurisprudenza in materia, fornisce preliminarmente una disamina chiara degli elementi essenziali dell'atto di donazione per poi soffermarsi a chiarire quando possono ritenersi integrati i requisiti dell'”ingiuria grave” ai fini della revoca della donazione per ingratitudine. Le soluzioni giuridiche
La donazione è un contratto disciplinato dall'art. 769 c.c. con il quale una persona (detto donante) trasferisce per spirito di liberalità un bene patrimoniale o un proprio diritto ad altra persona (detto donatario). Si tratta di un tipico atto di liberalità che implica un incremento patrimoniale del donatario (colui che riceve la donazione) con un corrispondente sacrificio patrimoniale del donante (colui che trasferisce il bene). La donazione è caratterizzata da due elementi essenziali: — lo spirito di liberalità; — l'arricchimento del donatario. L'elemento soggettivo consiste, in particolare, nell'animus donandi. Quest'ultimo è l'elemento psicologico sottostante al negozio della donazione e consiste nella volontà di compiere un atto di liberalità, ossia di arricchire il beneficiario della donazione senza ricevere alcun corrispettivo. Colui che pone in essere la liberalità è consapevole di non essere obbligato a trasferire il bene o ad assumere l'obbligo. La prestazione viene, quindi, eseguita in piena libertà con la coscienza e la volontà di compiere un atto che non costituisce adempimento di una obbligazione contrattuale od extracontrattuale. Quindi lo spirito di liberalità che connota il depauperamento del donante e l'arricchimento del donatario va ravvisato nella mera consapevolezza dell'uno di attribuire all'altro un vantaggio patrimoniale in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o morale. Ne discende, pertanto, che i motivi sottesi a tale atto rimangono estranei alla causa e non sono idonei ad incidere sulla nullità dell'atto. Nella pronuncia in commento viene valorizzata questa lettura (c.d. “lettura oggettivista” dello spirito di liberalità) e chiarito che anche una donazione eseguita ob torto collo o magari senza una “spontanea generosità” è comunque ritenuta valida sul piano dell'elemento causale salvo che la coartazione del donante non assuma quel grado di efficacia necessario per invalidare il negozio giuridico. In tal caso i vizi della volontà rilevano come motivi di annullamento del contratto. La giurisprudenza è infatti univoca nel ritenere che la spontaneità dell'attribuzione patrimoniale non è incompatibile con l'esasperata conflittualità, anche violenta, esistente tra le parti al momento del contratto, la quale si atteggia come elemento fattuale del tutto neutro rispetto alla causa della donazione, non integrando né un'ipotesi di cogenza giuridica, né un'ipotesi di costrizione morale, salva l'eventuale rilevanza di motivi di annullamento del contratto per vizio della volontà. (Cfr. Trib. Milano 15 settembre 2022 n. 7173 e Cass. civ. 21 maggio 2012 n. 8018). La causa, la cui mancanza o illiceità comporta la nullità della donazione, deve quindi tenersi ben distinta dai c.d. "motivi" che, nella situazione concreta, inducono i contraenti a concludere un dato negozio. La causa della donazione è riconducibile al depauperamento del donante, cui corrisponde l'arricchimento del donatario, intendendo il termine arricchimento in senso non economico ma giuridico (mancanza di corrispettivo dell'attribuzione patrimoniale c.c.). I motivi sono, invece, di norma irrilevanti, salvi i casi previsti dalla legge: motivo erroneo (787 c.c. ), motivo illecito (788 c.c.) e motivo remuneratorio (770 c.c.).
La revocazione della donazione è disciplinata negli artt. 800-808 c.c. ed è generalmente definita quale diritto ex lege attribuito al donante e ai suoi eredi al fine di ottenere l'inefficacia della donazione nelle ipotesi di ingratitudine o sopravvenienza di figli. In particolare, attraverso la revoca per ingratitudine (art. 801 c.c.), l'ordinamento ha previsto la possibilità per il donante di eliminare valore giuridico al contratto per fatti riguardanti il donatario che si siano verificati successivamente alla sua conclusione. In considerazione degli interessi coinvolti il legislatore ha inteso contrastare l'atteggiamento del donatario non perché non abbia mostrato riconoscenza, pur moralmente dovuta, nei riguardi del donante, ma per il fatto che abbia, invece, posto in essere comportamenti particolarmente riprovevoli, negativi e penalmente rilevanti nei di lui confronti, tanto da essere questi garantito contro tali eventualità proprio attraverso l'azione di revocazione per ingratitudine. Infatti. come correttamente evidenzia il Giudice nella pronuncia in commento, “l'azione di revocazione della donazione trova la propria ratio nel fatto che ripugna alla coscienza morale che un soggetto possa conservare il patrimonio di una persona nei confronti della quale ha assunto comportamenti gravemente disdicevoli ed ostili”. È anche bene precisare come tale «ingratitudine» opportunamente non sia rimessa alla valutazione personale e soggettiva del donante, posto che la legge ha previsto alcune cause tassative solo in base alle quali è possibile attivare il rimedio previsto dall'art. 801 c.c. ovvero:
Il Tribunale di Bergamo con la sentenza in commento, richiamando gli orientamenti giurisprudenziali in materia chiarisce, inoltre, quale siano i requisiti che deve avere l'ingiuria per potersi definire “grave”, e quindi legittimare la revocabilità di una donazione ex art. 801 c.c., rilevando in particolare cona la stessa abbia sul piano civilistico una portata differente. La Corte di Cassazione ha precisato che l'ingiuria grave richiesta dall'art. 801 c.c. quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all'onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la «manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento, a prescindere, peraltro, dalla legittimità del comportamento del donatario» (Cass. civ., n. 20722/2018). Essa deve consistere dunque in un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e nell'irrispettosità della dignità del donante (Cfr. Cass. ord. n. 13544/2022) e cioè in un comportamento con il quale si rechi allʼonore e al decoro del donante unʼoffesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, sì da rilevare un sentimento di avversione che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha beneficiato lʼagente, che ripugna alla coscienza comune. L'ingiuria, pertanto, dove essere espressione di radicata e profonda avversione o di perversa animosità verso il donante. Da ciò è possibile dedurre l'irrilevanza , sotto il profilo giuridico, ai fini dell'applicazione dell'art. 801 c.c. di tutte quelle condotte assunte dal donatario successivamente alla stipula del contratto che possono ritenersi solo moralmente devianti o riprovevoli ma che non sono anche state assunte allo scopo di offendere intenzionalmente e in via diretta il donante e che quindi non dimostrano una posizione di animosità del donatario contro il donante (Cass., 28 maggio 2008, n. 14093; Cass., 24 giugno 2008, n. 17188).
Nella pronuncia in commento il Giudice evidenzia che ai fini della revocabilità di una donazione per ingratitudine non è sufficiente il verificarsi di un singolo accadimento, sia pur offensivo e censurabile, essendo necessario che dallo stesso consegua anche un danno effettivo nei confronti del patrimonio morale del donante, da valutare in concreto, sia in relazione alla sua sfera affettiva e spirituale sia in relazione alle condizioni sociali ed ambientali delle parti avendo riguardo al contesto temporale ed ambientale. (Cfr. App. Palermo 20 luglio 2017, n. 1390; Cass. civ. 21 maggio 2012, n. 8018; Trib. Ivrea 19 ottobre 2020, n. 784; App. Torino 11 maggio 2020, n. 492). Il comportamento del donatario deve essere valutato, quindi, non solo dal punto di vista oggettivo ma anche per per la sua «potenzialità offensiva del patrimonio morale del donante» tale da essere contrario a quel sentimento di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbe caratterizzare l'atteggiamento del donatario secondo una formula evidentemente aperta al mutamento dei costumi sociali. Nel caso affrontato dal Giudice con la pronuncia in commento era emerso, a seguito dell'espletamento dell'attività istruttoria, che i fatti addotti dall'attore a fondamento della domanda di revocazione ( ovvero le espressioni denigratorie pronunciate dalla moglie nei suoi confronti) si sono verificati in un contesto caratterizzato: a) da aspri contrasti e aggressioni fisiche e verbali che hanno convolto le parti e i figli in un clima di elevata tensione e conflittualità, insorto già prima dell'atto di donazione, acuitosi con il giudizio di separazione e poi con ulteriori controversie giudiziarie. b) da un clima di sopraffazione e di vessazioni psicologiche e fisiche poste in essere dal donante ai danni della donataria Correttamente, pertanto, il Tribunale di Bergamo ha applicato i principi sopra esposti e respinto la domanda di parte attrice evidenziando che le espressioni denigratorie della donataria non possano integrare gli estremi dell'” ingiuria grave lesiva del decoro e della reputazione del donante” in quanto pronunciate nell'ambito di un rapporto coniugale ampiamente deteriorato da tempo e caratterizzato da un clima fortemente conflittuale alimentato anche dai comportamenti di vessazione tenuti nei suoi confronti dal donante. Il Tribunale ha evidenziato, infatti, che il presupposto dell'ingiuria grave non può essere ravvisato in singoli accadimenti, sia pur censurabili, dovendo essere anche tenuto in considerazione il contesto spazio-temporale di riferimento in cui gli stessi si sono verificati. L'ingiuria grave richiamata dall'art. 801 c.c. non può quindi essere genericamente allegata dal donante nelle sue manifestazioni vaghe, ma richiede, viceversa, una puntuale e circostanziata esplicitazione, sia in termini di tempo che di luogo, attraverso fatti concreti e specifici. Osservazioni
In conclusione, viene da considerare che la revoca della donazione prevista dall'art. 801 c.c. assume certamente una sua indiscussa peculiarità. Nel silenzio della legge, deve ritenersi che l'ingiuria grave prescinda dalla nozione che assume rilievo in materia penale, trattandosi, infatti, di un concetto più ampio che va comunque ricavato dalla realtà dei rapporti sociali. Il Giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda di revocazione della donazione per ingratitudine ex art. 803 c.c. non deve limitarsi unicamente a valutare la condotta del donatario sotto il profilo oggettivo e soggettivo ma anche raffrontarla con gli eventuali comportamenti tenuti dal donante prestando adeguata attenzione al contesto in cui la stessa è attuata valorizzando tutte le circostanze contingenti inclusi i rapporti esistenti tra i protagonisti della vicenda. È proprio da tali elementi che il Giudicante potrà appurare se il comportamento tenuto dal donatario sia o meno espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento della revocazione della donazione per ingratitudine.
|