La regolamentazione del diritto di abitazione in favore del coniuge superstite in caso di separazione personale

25 Settembre 2023

La questione affrontata dalla Corte attiene alla valutazione dei diritti da riconoscersi in favore del coniuge superstite per il caso di separazione legale.
Massima

Alla separazione legale tra i coniugi non può attribuirsi l'effetto di incidere sull'esistenza del diritto di uso o abitazione della casa coniugale qualora al momento dell'apertura della successione il giudizio di separazione sia ancora pendente. Allo stesso modo detto effetto non potrà realizzarsi qualora l'immobile non sia assegnato al coniuge superstite, potendo lo stesso conseguire al solo caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata abbandonata da entrambi i coniugi o abbia perduto ogni collegamento con l'originaria destinazione familiare.

Il caso

A seguito della proposizione di giudizio di divisione giudiziale, conseguente all'apertura di successione legittima, il giudice di primo grado, verificata l'indivisibilità dell'immobile oggetto di causa – in comunione tra il coniuge e i tre figli della coppia e originariamente adibito a residenza familiare – ne disponeva la vendita all'asta.

Nell'assumere tale decisione il Tribunale adito riteneva l'insussistenza del diritto di abitazione in capo al coniuge superstite a causa dello stato di separazione della coppia, a partire dal 2005, e dell'allontanamento di quest'ultima dal citato immobile già dal 2004.

Alcuna rilevanza, inoltre, veniva attribuita alla ripresa della convivenza dedotta dall'attrice a fondamento della rassegnata richiesta, per essere – a parere del Tribunale - detta circostanza sfornita di prova, così come il Tribunale adito rigettava la domanda, formulata in via subordinata, volta al riconoscimento delle spese sostenute per i miglioramenti apportati all'immobile, stante la sua genericità.

Le motivazioni addotte in primo grado venivano condivise dalla Corte di Appello di Brescia, adita a seguito di gravame proposto dalla coniuge superstite, che rigettava l'impugnazione confermando le statuizioni assunte da Tribunale.

Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per Cassazione con la formulazione di ben dodici motivi di censura per mezzo dei quali la ricorrente lamentava l'erroneità della sentenza impugnata sia in relazione all'attribuzione in capo a sé dello status di coniuge separata che alla mancata valorizzazione della ripresa della communio coniugalis e delle prove offerte a sostegno di tale circostanza.

Parimenti la ricorrente censurava le motivazioni addotte dalla Corte territoriale relativamente al mancato riconoscimento in suo favore delle somme sostenute per la ristrutturazione dell'immobile, che innalzando il valore economico dell'immobile erano, di fatto, andate a favore dei figli e dei terzi acquirenti, così come la condanna alle spese in quanto il rigetto della proposta azione era avvenuto sulla scorta di un orientamento giurisprudenziale formatosi successivamente rispetto all'introduzione del giudizio.

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte accoglieva l'interposto gravame con rinvio del giudizio ad altra sezione della Corte territoriale ai fini del riesame della fattispecie in esame alla luce del principio di diritto enunciato e per la regolamentazione delle spese di lite.

La questione

La questione affrontata dalla Corte attiene alla valutazione dei diritti da riconoscersi in favore del coniuge superstite per il caso di separazione legale e in particolare, alla possibilità che in pendenza del giudizio di separazione dei coniugi possa procedersi al riconoscimento del diritto di abitazione ex art. 540, 2 comma, c.c.

Le soluzioni giuridiche

Con il proposto ricorso per Cassazione la ricorrente formulava vari motivi di censura, lamentando – tra gli altri e per quanto qui di interesse - l'errata valutazione compiuta dalla Corte territoriale in relazione all'omesso riconoscimento del diritto di abitazione ex art. 540, 2 comma, c.c., ostandovi lo stato di separazione di essi coniugi.

A fondamento della decisione assunta, i giudici di appello avevano posto – analogamente a quanto fatto in primo grado – lo stato di separazione della coppia e l'allontanamento della ricorrente dalla casa familiare e, dunque l'inesistenza dei presupposti di cui al secondo comma dell'art. 540 c.c.; ciò anche in considerazione della mancata prova fornita dalla stessa circa la ripresa della convivenza tra essi coniugi.

La motivazione addotta sul punto è stata oggetto di censura da parte della ricorrente sia in considerazione dello stato del giudizio di separazione nel cui nell'ambito si era celebrata unicamente l'udienza presidenziale.

Ciò impediva, secondo la prospettazione attorea, di poter ritenere sussistente lo status di coniuge separato, dovendosi, peraltro, applicarsi la disciplina previgente alla riforma del 2006, in virtù della quale ai provvedimenti assunti all'udienza presidenziale poteva riconoscersi solo valenza anticipatoria.

Tale motivo di impugnazione è stato ritenuto fondato dalla Suprema Corte alla luce del diverso orientamento giurisprudenziale applicato ai fini della risoluzione della controversia.

Ad avviso degli Ermellini, infatti, la regolamentazione della fattispecie in esame non poteva avvenire in analogia a quanto previsto per la diversa ipotesi di separazione consensuale o, comunque, di separazione senza addebito, poiché tra i coniugi pendeva giudizio di separazione giudiziale.

Siffatto aspetto rappresenta lo snodo principale intorno al quale si è sviluppata la decisione della controversia e che ha reso particolarmente dubbia l'applicabilità o meno delle disposizioni di cui all'art. 540, 2 comma - che in sede di successione riconosce al coniuge il diritto di abitazione sulla casa familiare - in combinato disposto alle previsioni di cui al successivo art. 548 c.c. a tenor del quale al coniuge separato senza addebito spettano i medesimi diritti successorio di colui che non è separato.

In particolare, il dubbio interpretativo attiene alla possibilità di poter procedere all'applicazione delle previsioni di cui all'art. 540, 2 comma, anche in caso di separazione legale, stante la mancanza di una esplicita disciplina per la regolamentazione di tale aspetto.

Detta carenza normativa ha portato alla formazione di diversi orientamenti giurisprudenziali rispetto ai quali la Corte ha ritenuto di aderire alla tesi secondo cui l'adibizione della casa familiare non deve necessariamente essere in atto al momento dell'apertura della successione e pertanto non viene meno per effetto della separazione legale.

Per la Corte diretto corollario di tale impostazione è il venir meno del diritto di abitazione solo qualora, dopo la separazione, la casa sia stata abbandonata da entrambi i coniugi o abbia perso l'originaria destinazione familiare, poiché diversamente opinando si finirebbe per attuare una disparità di trattamento nei confronti del coniuge senza prole o cha abbia rinunciato all'assegnazione o in favore del quale tale provvedimento non sia stato assunto, pur in assenza di addebito.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha accolto il proposto ricorso, ritenendo assorbiti e/o inammissibili gli ulteriori motivi di censura formulati e rimettendo gli atti ad altra Sezione della Corte di Appello territorialmente competente ai fini della rivalutazione della fattispecie in esame in applicazione del principio di diritto enunciato.

Osservazioni

Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha enunciato un principio di diritto di rilevante importanza in quanto volto a colmare un vuoto normativo relativamente ad una fattispecie che ben può verificarsi a seguito dell'insorgenza di situazioni di crisi familiare.

Va detto, infatti, che, in virtù della disciplina codicistica, al coniuge separato senza addebito, spettano i medesimi diritti successori del coniuge non separato, tra i quali vi è anche il diritto di abitazione.

Presupposto indefettibile ai fini del riconoscimento del diritto da ultimo indicato è che l'immobile in questione sia adibito, al momento dell'apertura della successione, a residenza familiare.

Si tratta, come appare evidente, di un requisito che sicuramente potrà dirsi sussistente in favore del coniuge che, a seguito dello stato di separazione, abbia ricevuto l'assegnazione della casa familiare.

Per nulla pacifica è, invece, l'esistenza del citato presupposto allorché colui che chiede il riconoscimento del diritto di abitazione non sia stato destinatario di tale provvedimento, pur se non sia stato colpito da una pronuncia di addebito della separazione poiché – come nel caso in esame - il relativo giudizio sia ancora pendente.

Ebbene, per tali fattispecie la Suprema Corte ha precisato che il diritto di abitazione spetterà al coniuge superstite separato senza addebito pur nel caso in cui, al momento dell'apertura della successione, lo stesso non occupava l'immobile in questione a condizione che lo stesso non abbia perso ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale con l'originaria destinazione familiare.

In tal modo la Suprema Corte ha tentato di superare il contrasto giurisprudenziale esistente sul punto cercando di dare una soluzione univoca alla questione.

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