Il figlio ultra maggiorenne è sempre tenuto ad attivarsi con ogni mezzo per ricercare la propria autonomia economica lavorativa: vale il principio dell’autoresponsabilità

Gabriele Scuffi
06 Novembre 2023

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento ha fornito nuovi e importanti chiarimenti sulla delicata e dibattuta tematica del mantenimento a favore del figlio già maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente.

Massima

In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente.

I principi della funzione educativa del mantenimento e dell'autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l'estensione dell'obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un'occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel "figlio adulto" l'attesa ad ogni costo di un'occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata".

La malattia del genitore convivente bisognoso di particolare accudimento può solo giustificare dei "ritardi" nel conseguire l'autonomia economica ma mai costituire, nel "figlio adulto" ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura.

Il caso

Il Tribunale di Roma, nell'ambito di un giudizio di divorzio, ha posto a carico del padre l'obbligo di contribuire al mantenimento della figlia maggiorenne versandole un assegno di € 500.00.

La Corte d'appello di Roma, a seguito dell'impugnazione proposta dall'ex marito, ha ridotto a € 350,00 la misura dell'assegno dovuto alla figlia maggiorenne sostenendo che gravava sull'obbligato l'onere di provare il venire meno dei presupposti del mantenimento e rilevando che la ragazza avrebbe ancora diritto ad essere mantenuta non avendo assunto un atteggiamento di inerzia o rifiuto ingiustificato nel reperimento del lavoro anche in ragione dell'accudimento prestato alla madre convivente affetta da patologia psichiatrica.

Avvero tale sentenza l'ex marito ha presentato ricorso per Cassazione eccependo tra i motivi proposti la violazione e falsa applicazione degli artt. 337-septies, comma 1, 2697 c.c., 155, comma 1, 116 c.p.c.

La ricorrente ha censurato, in particolare, la decisione della Corte nella parte in cui ha riconosciuto a carico dell'obbligato l'onere di provare il venir meno dei presupposti per il mantenimento della figlia maggiorenne e ritenuto ancora sussistente il permanere dell'obbligo di mantenimento della stessa benché quest'ultima avesse affrontato un percorso di studi universitari discontinuo (cambiando anche diverse facoltà senza sostenere tutti gli esami e conseguire la laurea) e non si fosse attivata per ricercare un lavoro coerente con il titolo di studio (diploma di odontotecnico) conseguito nella scuola superiore.

Il giudicante avrebbe quindi attribuito rilievo alla mancata dimostrazione della capacità reddituale della figlia, senza considerare la colpevole inerzia di quest'ultima.

La Suprema Corte di cassazione, con l'ordinanza in commento, ha accolto il motivo di ricorso ritenendo fondata la censura sollevata dal padre.

La questione

La Corte di cassazione, con la sentenza in commento ha fornito nuovi e importanti chiarimenti sulla delicata e dibattuta tematica del mantenimento a favore del figlio già maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente.

Le questioni affrontate dalla Corte sono tre:

  • La prima riguardante la ripartizione dell’onere della prova ai fini dell’accertamento del diritto del figlio maggiorenne ma non economicamente indipendente ad essere mantenuto;
  • La seconda concernente, invece, la circoscrizione dell’obbligo del genitore di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica;
  • La terza attinente invece al mantenimento dei c.d. figli caregiver che si prendono cura del genitore malato con loro convivente.

Le soluzioni giuridiche

1) Il mantenimento del figlio maggiorenne

Si premette che l'obbligo dei genitori di mantenere i figli, previsto dalla Costituzione (art. 30) e dal Codice Civile (art. 315-bis c.c.), non cessa con il raggiungimento della maggiore età.

Tale obbligo permane sino a che i figli non abbiano raggiunto una propria indipendenza economica.

La Cassazione ha più volte chiarito che l'autosufficienza economica sussiste nel momento in cui il soggetto percepisce un reddito corrispondente alla sua professionalità acquisita, connessa ad un attività lavorativa remunerata (o quantomeno dall'avvio della stessa) con prospettive concrete che siano tali da assicurare al figlio maggiorenne un futuro sicuro e stabile per l'avvenire (Cass. n. 8221/2006; Cass. n. 22214/2004; Cass. n. 18974/2013).

Per giurisprudenza costante, infatti, il conseguimento di una borsa di studio per un dottorato di ricerca, il contratto di apprendistato e/ o il tirocinio formativo non integrano il requisito dell'indipendenza economica (Cass. ord. n. 1448/2020; Cass. ord. n. 18/2011)

La giurisprudenza ha fissato però dei limiti chiarendo che l'obbligo di mantenimento dei figli, anche maggiorenni, sussiste solo nel caso in cui non abbiano ancora raggiunto l'autosufficienza reddituale, senza loro colpa.

L'obbligo perdura, quindi, sino a quando il mancato raggiungimento dell'autosufficienza economica non sia causato da negligenza o non dipenda da fatto imputabile al figlio.

Per cui, è configurabile l'esonero dalla corresponsione dell'assegno, laddove, posto in concreto nelle condizioni di raggiungere l'autonomia economica dai genitori, il figlio maggiorenne abbia opposto rifiuto ingiustificato alle opportunità di lavoro offerte (Cass. n. 4765/2002; Cass. n. 1830/2011; Cass. n. 7970/2013), ovvero abbia dimostrato colpevole inerzia prorogando il percorso di studi senza alcun rendimento.

Secondo i precedenti di legittimità (Cass. 5088/2018; Cass. 12952/2016), la valutazione, in ordine alla sussistenza del diritto della prole al contributo assistenziale, deve avvenire considerando: l'accertamento della condizione economica dei figli, la loro età, il conseguimento effettivo di un livello di competenza professionale e tecnica, l'impegno profuso nella ricerca di un lavoro, a complessiva condotta da loro tenuta, a partire dal compimento del diciottesimo anno d'età.

2) L'onere della prova

Il regime degli oneri probatori è certamente rilevante per decretare il decadimento o la conferma del mantenimento del figlio maggiorenne.

Nell'affrontare l'argomento la Corte di cassazione, con la pronuncia in esame, richiama il precedente orientamento (Cass. 12952/2016) che aveva distinto il momento in cui viene costituito il diritto al mantenimento, per il quale l'onere della prova è a carico del beneficiario, rispetto all'iniziativa di revoca, richiesta dall'obbligato, gravato in tali circostanze della necessità di dimostrare il venir meno delle circostanze che hanno dato titolo al diritto, coerentemente con l'art. 2697 c.c.

In tale pronuncia era stato in particolare chiarito che:

a) resta a carico del genitore obbligato l'onere di dimostrare il raggiungimento dell'indipendenza economica (o del colpevole mancato raggiungimento) dei figli. (Cfr. Cass. civ. sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952; Trib. Taranto, 07 luglio 2016, n. 2257; Cfr. Cass. civ. sez. VI, 09 ottobre 2020, n. 21752; Cass. civ. sez. VI, 20 dicembre 2017, n. 30540; Cass. civ. sez. I – 26 maggio 2017, n. 13354; Cass. civ. sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952).

L'obbligo del genitore di concorrere al mantenimento del figlio perdura, quindi, finché il genitore interessato non dia prova che il figlio sia stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (Cass. civ. sez VI-1, 25 settembre 2017, n. 22314; id. 26 aprile 2017, n.10207; Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. civ., sez. I, 08 febbraio 2012, n 1773).

b) Di contro, spetta al figlio maggiorenne che ha richiesto il mantenimento dimostrare la mancanza di indipendenza economica ma anche che, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, si è adoperato effettivamente per rendersi autonomo, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa “gradita” (Cfr. Cass. civ., sez. VI, 29 dicembre 2020, n. 29779; App. Perugia, 10 settembre 2020, n. 398; Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183; Cass. civ., sez. VI, 05 marzo 2018, n. 5088).

La Corte di cassazione con la pronuncia in esame segna la fine dell'attribuzione dell'onere della prova sempre e comunque al genitore obbligato chiarendo che è il figlio maggiorenne richiedente a dover dimostrare le condizioni che fondano il suo diritto al mantenimento.

Il richiedente, anche a fronte dell'istanza di revoca del contributo di mantenimento da parte del genitore obbligato, deve pertanto provare:

  • sia la mancanza di indipendenza economica, precondizione del diritto preteso;
  • sia di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione, professionale o tecnica, e di essersi con pari impegno attivato nella ricerca di un lavoro.

Non è dunque il genitore obbligato – soggetto passivo del rapporto – onerato della prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o della circostanza che questi abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni soggettive.

Infatti, raggiunta la maggiore età, si presume l'idoneità al reddito, che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore.

3) L'età del figlio quale fattore influenzante l'onere probatorio

In merito alla prova richiesta, la sentenza delle Corte riconosce centrale rilievo all'età del figlio.

La legge non fissa un'età limite oltre la quale il genitore non è più tenuto a provvedere al mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente.

Tale obbligo però non può durare sine die e non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo.

Secondo la Corte l'onere di dimostrare la mancanza di indipendenza economica è:

  • più agevole per il figlio in prossimità della sua maggiore età appena compiuta o se è stato da lui intrapreso un percorso di studi.

Tali circostanze sono peraltro già idonee a fondare il suo diritto al mantenimento.

È stato, infatti, più volte chiarito che il mantenimento del figlio maggiorenne è sempre assicurato se quest'ultimo risulti impegnato proficuamente in un progetto educativo o inserito in un iter di formazione, non potendo tale scelta ritorcersi a suo danno in quanto i genitori sono comunque tenuti ad assecondare le inclinazioni della prole, eccetto il caso in cui si dimostri che il cambio di scelte mascheri in realtà la volontà di non lavorare né di studiare. (Vedi anche Cass. n. 32406/2021).

Un'altra sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., sent. 22 luglio 2019 n. 19696) ha stabilito, ad esempio, che i genitori sono obbligati a mantenere i figli sino a quando non abbiano concluso il percorso di studi e acquisito la capacità lavorativa che gli permetta di essere autosufficienti.

  • più gravosa, invece, man mano che l'età del figlio aumenti atteso che il c.d. “figlio adulto” dovrà dimostrare, per poter continuare ad essere mantenuto, di essersi attivato con tutte le sue forze e possibilità per la ricerca di un'occupazione lavorativa e, se del caso, anche scendendo a compromessi laddove l'impiego offerto non dovesse essere totalmente rispondente alle proprie inclinazioni.

Se il figlio maggiorenne ha raggiunto un'età nella quale il percorso formativo e di studi è ampiamente concluso, la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico-reddituale – in mancanza di ragioni individuali specifiche – costituisce infatti un indicatore di inerzia colpevole.

Tale presunzione può essere vinta, dimostrando la sussistenza di situazioni in cui vi siano ragioni individuali specifiche, quali problematiche di salute o peculiari contingenze personali o motivi oggettivi, quali le difficoltà di reperimento o di conservazione di un'occupazione.

La giurisprudenza ha chiarito che l'obbligo del genitore continua a vigere solo se il figlio “incolpevolmente” non raggiunge l'autonomia economica (ex multisCass. civ., sez. I, ord. 14 agosto 2020, n. 17183; Cass. civ., sent. 13 ottobre 2021, n. 27904; Cass. civ., sez I, ord. 11 marzo 2022, n. 8049; Cass. civ., ord. 14 dicembre 2018, n. 32529).

In conclusione, il diritto al mantenimento si perde non solo quando il figlio raggiunge l'indipendenza economica ma anche quando non riesce a dimostrare di essersi preoccupato di ricercare un'occupazione o di frequentare con profitto gli studi

4) La funzione educativa del mantenimento e il principio di autoresponsabilità

La Suprema Corte di cassazione con la sentenza in commento ha altresì introdotto il principio di “autoresponsabilità del figlio verso sé stesso” circoscrivendo l'estensione dell'obbligo del genitore di contribuzione del figlio maggiorenne non economicamente indipendente anche tenuto conto della funzione educativa del mantenimento.

  • Il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento si giustifica all'interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, tenendo conto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni (Cass. 5088/2018; Cass. 12952/2016).

I figli maggiorenni che rivendicano, quindi, il diritto al mantenimento da parte dei genitori devono dimostrare il loro impegno nello studio o in un'attività lavorativa/professionale che gli consenta anche in minima parte un' indipendenza economica.

Il mantenimento deve, quindi, avere un valore educativo che non può essere dato per scontato ma deve essere uno strumento inserito in un progetto più ampio, sfruttato a livello formativo per inserirsi gradualmente nella società e nel mondo del lavoro (Cfr. Cass. n. 32406 dell'8 novembre 2021).

  • I giudici di legittimità rimarcano, inoltre, il dovere del figlio adulto di dimostrare un impegno attivo nella ricerca di un'occupazione e nella propria formazione professionale o tecnica contemperando le sue aspirazioni lavorative con quello che è il mercato del lavoro, non essendo giustificabile l'attesa “ad ogni costo” di un'occupazione equivalente a quella desiderata.

Per il "figlio adulto", in ragione del principio dell'autoresponsabilità, sarà ovviamente più rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa.

Il principio di autoresponsabilità, che la Corte di Cassazione definisce come “assunzione della responsabilità in capo a sé e per sé” presuppone, quindi, non solo che il figlio maggiorenne si attivi con ogni mezzo per la ricerca di un'indipedenza economica ma che sia anche in grado di adattare le proprie ambizioni alle possibilità concrete presenti sull'attuale mercato del lavoro.

Il figlio maggiorenne non ha infatti il diritto di essere mantenuto fino a quando non trovi un lavoro che soddisfi le sue aspettative dovendo lo stesso essere in grado di ridimensionare le proprie pretese e/o aspirazioni.

Ciò in quanto il richiamato principio della autoresponsabilità impone al figlio di non abusare del diritto ad essere mantenuto dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura. (Cfr. Cass. 1783/2020).

La Corte di Cassazione evidenzia, infatti, nella pronuncia in commento, che “ad un dato momento è esigibile l'utile attivazione del figlio a un dato momento, è esigibile l'utile attivazione del figlio nella ricerca comunque di un lavoro, al fine di assicurarsi il sostentamento autonomo, nelle more dell'attesa per il reperimento di un impiego più aderente alle proprie soggettive aspirazioni, attesa che non si giustifica più resti inerte ed improduttiva; non potendo egli, di converso, pretendere che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto, in vece sua, il genitore, anche per offrirgli il mantenimento sine die”.

Il lavoro ricercato dal figlio non deve, dunque, necessariamente essere in linea con la sua preparazione teorica essendo, al contrario, prioritaria e più importante la ricerca da parte di quest'ultimo dell'autosufficienza economica, secondo il principio di autoresponsabilità, contemperando le sue aspirazioni con il concreto mercato che il lavoro offre.

Il figlio deve pertanto dimostrare l' impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro e la concreta assenza di personale responsabilità nel ritardo a conseguirla (cfr. Cass. 7 ottobre 2022, n. 29264; Cass. 3 dicembre 2021, n. 37366; Cass. 20 agosto 2020, n. 17380; Cass. 14 agosto 2020, n. 17183).

La Corte di cassazione chiarisce, da ultimo, che la malattia del genitore convivente con il figlio maggiorenne potrebbe giustificare al più un ritardo nel conseguimento della propria autonomia economica ma non anche l'elisione del dovere di quest'ultimo di attivarsi per reperire un lavoro. I giudici di legittimità hanno specificato, infatti, nella sentenza in commento che “i doveri di solidarietà nei confronti del genitore convivente, il quale necessiti di particolari attenzioni o cure, lascia permanere i doveri del figlio verso sé stesso”.

Osservazioni

La sentenza n. 26875/2023  della Corte di Cassazione rappresenta un punto di svolta nella giurisprudenza italiana stabilendo nuovi limiti al mantenimento dei figli maggiorenni.

In primo luogo ha invertito l'onere della prova rendendo più rigoroso l'accertamento dei presupposti per il riconoscimento di assegni di mantenimento ai figli maggiorenni.

Inoltre, richiamando principi già noti all'ordinamento, ha ulteriormente esaltato la dimensione di responsabilità personale chiarendo che il dovere del genitore di mantenere il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente non è illimitato sussistendo il dovere dei figli adulti, non impegnati in un percorso formativo o di studi, di ricercare quanto prima l'indipendenza economica e compiendo responsabilmente ogni sforzo possibile per trovare un'occupazione.

Non necessariamente deve trattarsi dell'occupazione ambita, se questa ritarda la loro indipendenza economica, ma di un lavoro che gli consenta di mantenersi in vista di futuri miglioramenti.

Il principio di autoresponsabilità non ammette, dunque, deroghe anche in presenza di situazioni familiari complesse avendo la Suprema Corte chiarito nella sentenza in commento che neppure l'accudimento del genitore malato convivente da parte del figlio maggiorenne (c.d. figli caregiver) potrebbe legittimare la rinuncia di quest'ultimo al lavoro e alla ricerca dell'autosufficienza economica.

Un figlio maggiorenne, ancora di più se in possesso di un titolo di studio, deve, quindi, attivarsi proattivamente per la ricerca di un lavoro, anche se questo non è in linea con la sua formazione e/o i suoi desideri.

Il pregio di questa sentenza è quello di aver chiaramente messo in risalto la funzione educativa dell'assegno di mantenimento del figlio maggiorenne e il fatto che detto assegno si fonda sui canoni dell'autoresponsabilità e non dell'assistenzialismo.

Il genitore ha si l'obbligo di sostenere economicamente un figlio adulto per il tempo mediamente necessario affinché quest'ultimo trovi un lavoro, ma detto obbligo tiene conto non solo delle aspirazioni del figlio ma anche della realtà del mercato del lavoro.

La Suprema Corte ha quindi enfatizzato i principi della “funzione educativa del mantenimento” e di autoresponsabilità per richiamare l'attenzione sul dovere del figlio maggiorenne di prendersi cura di sé stesso e di cercare attivamente di raggiungere una posizione lavorativa ed economica autonoma bilanciando le proprie aspirazioni e/o aspettative con le opportunità lavorative concrete.

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