La falsa dichiarazione nella Certificazione unica da parte del datore di lavoro integra la fattispecie di reato di falsità ideologica in atto pubblico

22 Novembre 2023

Il datore di lavoro che, nella Certificazione unica, si trovi ad attestare il falso commette il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico di cui all'art. 483 c.p. E ciò anche se la detta certificazione, atta a certificare i redditi percepiti dal dipendente, non possa essere considerata in sé atto pubblico. La falsa attestazione in essa contenuta inciderebbe sulla conseguente tassazione applicata al contribuente e, quindi, sul contenuto di un atto che, seppur redatto per uno scopo diverso da quello di conferire pubblica fede, avrebbe comunque l'attitudine ad assumere rilevanza giuridica ed un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione.

Massima

La nozione di atto pubblico rilevante ai fini dell'art. 483 c.p. racchiude un'ampia estensione tipologica di scritti, ricomprendendo anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato nell'esercizio delle loro funzioni che, seppur redatti per uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, abbiano comunque attitudine ad assumere rilevanza giuridica ed un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (cfr. Cass. pen., sez. V, n. 15901 del 15 febbraio 2021).

Il caso

Falso nella Certificazione unica e sua punibilità

Il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata unipersonale veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 483 c.p. in quanto, nella compilazione della certificazione unica relativa ad un dipendente, aveva attestato, falsamente, la corresponsione del trattamento di fine rapporto mai elargito.

Il Tribunale di Cassino aveva ritenuto di assolvere l'imputato sul presupposto che la certificazione unica non era un atto pubblico.

Il Procuratore generale della Repubblica ricorreva avverso tale sentenza, ritenendo, invero, che la certificazione unica era rilevante non solo nei rapporti tra privati, datore di lavoro e dipendente, ma anche tra datore di lavoro e pubbliche amministrazioni, in quanto l'avvenuto versamento della ritenuta veniva certificata proprio di fronte all'Agenzia delle Entrate.

La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, accoglieva il ricorso ritenendolo fondato.

La questione

La Certificazione unica è un atto pubblico rilevante ex art. 483 c.p.?

Ci si domanda quale possa essere la natura della certificazione unica predisposta dal datore di lavoro; se la certificazione unica sia infatti da considerarsi atto pubblico, allora le attestazioni in essa contenute non corrispondenti al vero possono far sorgere in capo a colui che la emette una responsabilità penale a titolo di falsità ideologica.

Le soluzioni giuridiche

Il falso nella certificazione unica configura reato

Il datore di lavoro è tenuto alla compilazione della Certificazione unica, un documento fiscale attestante i redditi percepiti dal dipendente nell'anno precedente. Più in generale, i sostituti d'imposta utilizzano la Cu per attestare i redditi di lavoro dipendente e assimilati, i redditi di lavoro autonomo, le provvigioni e i redditi diversi nonché i corrispettivi derivanti dai contratti di locazione brevi.

La Certificazione unica deve essere rilasciata al percettore delle somme mediante l'utilizzo del modello “sintetico” entro il 16 marzo di ogni anno e trasmessa telematicamente all'Agenzia delle Entrate mediante l'utilizzo del modello “ordinario”, venendo così trasfusa nella dichiarazione dei redditi.

Premesso ciò, la Corte di cassazione in commento indaga in ordine alle conseguenze penali in cui potrebbe incorrere il datore di lavoro che si trovi ad attestare il falso nella Certificazione unica.

Il reato che astrattamente potrebbe configurarsi è quello di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. L'art. 483 c.p. stabilisce che «Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni».

In senso stretto, atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da un pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli la pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato (art. 2699 c.c.).

Orbene, detto ciò, occorre considerare che la Certificazione unica non è in sé atto pubblico. Secondo l'opinione della Corte di cassazione in commento che non si possa parlare di profili pubblicistici per la detta certificazione è dato anche dalla circostanza che la relativa controversia, in ordine alla legittimità di una ritenuta fiscale di acconto, anche se è devoluta alle commissioni tributarie (dovendo essere decisa con efficacia di giudicato e nel contraddittorio con l'Amministrazione finanziaria) rimane comunque una controversia tra privati (Cass. civ., sez. un., n. 1200 del 05 febbraio 1988).

Agli effetti della tutela penale, il concetto di atto pubblico è però più ampio di quello desumibile dal citato art. 2699 c.c., dovendo rientrare in detta nozione non soltanto i documenti redatti da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, ma anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato, nell'esercizio delle loro funzioni, per uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, purché aventi l'attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (Cass. pen., sez. V, n. 3542 del 17 dicembre 2018; Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2021, n. 15901).

E la falsa attestazione contenuta nella Certificazione unica incide direttamente sul conseguente atto dell'Amministrazione finanziaria (connesso alla determinazione delle imposte) che, seppur formato per uno scopo diverso da quello di conferire pubblica fede alle attestazioni del privato, assume comunque rilevanza giuridica nel rapporto pubblicistico che lega l'Amministrazione finanziaria. In sintesi, la falsa attestazione riguarda la conseguente tassazione applicata al contribuente e, quindi, il contenuto di un atto che presenta l'attitudine ad assumere rilevanza giuridica ed un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione.

Osservazioni

Dubbi sulla punibilità per falso ideologico della Certificazione unica non veritiera

La Certificazione unica, documento che riepiloga i redditi percepiti e le ritenute fiscali subite, viene predisposta dal datore di lavoro e consegnata ai dipendenti con la conseguenza che, quando a rilasciarla è un imprenditore privato, la stessa non nasce come atto pubblico.

La Corte di cassazione, anche per un differente reato, ha avuto modo di affermare che: «non integra il reato di falsità materiale ex art. 477 c.p. la condotta di falsificazione del certificato unico del certificato unico dei redditi da lavoro dipendente (CUD) emesso da una ditta dovendosi escludere che tale documento abbia natura pubblicistica e sia riconducibile alla nozione di certificato penalmente rilevante. (In motivazione la Corte ha aggiunto che, in ogni caso, il falso in certificato presuppone la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio del soggetto da cui proviene l'atto)» (Cass. pen., sez. V, n. 44879 del 15 settembre 2015).

Va, tuttavia, rimarcato che il datore di lavoro oltre che consegnare la certificazione al percettore del reddito ha anche l'obbligo di trasmetterla all'Agenzia delle Entrate; è allora evidente che il documento di cui si tratta, geneticamente di natura privatistica, una volta trasmesso e ricevuto dall'Amministrazione Finanziaria, viene ad acquisire una valenza pubblicistica (Cass. civ., sez. VI, 2 novembre 2022, n. 32303).

Questo, in sintesi, il ragionamento che pervade l'intera pronuncia in esame e che conduce il giudice a sancire che la falsa attestazione della Certificazione unica incida sulla conseguente tassazione applicata e quindi su un atto che ha attitudine ad assumere rilevanza giuridica e valore probatorio all'interno della pubblica amministrazione, rendendo così punibile l'autore della falsità del delitto di cui all'art. 483 c.p.

Detto ciò, occorre però prestare attenzione alla ulteriore circostanza, non espressamente indagata dalla sentenza in commento ma sancita dalla giurisprudenza della sezione penale della Corte di cassazione, secondo la quale il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico è configurabile solo nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all'atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l'efficacia probatoria dell'atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero (Cass., sez. un., n. 28 del 15 dicembre 1999, Gabrielli e poi Cass., sez. V, n. 39215 del 4 giugno 2015, Cremonese; Cass., sez. V, n. 18279 del 2 aprile 2014, Scalici; Cass., sez. V, n. 5365 del 4 dicembre 2007, Bonventre; Cass., sez. V, n. 17363 del 12 febbraio 2003, Ferrante).

Talune delle sentenze che hanno trattato il tema si sono riferite espressamente alla fattispecie di cui al d.P.R. n. 445/2000, ex art. 76 in relazione all'art. 483 c.p.

Un principio ormai consolidato stabilisce che integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico la condotta di colui che dichiara il falso in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa ai sensi dell'art. 47 del d.P.R. n. 445/2000 (ex multis, Cass. pen., sez. V, n. 24866 del 25 febbraio 2011; Cass. pen., sez. V, n. 7857 del 26 ottobre 2017). Secondo l'art. 76 del d.p.r. n. 445 del 2000, infatti, le dette dichiarazioni sostitutive sono considerate come rese a pubblico ufficiale, essendo la qualità del destinatario del tutto idonea a sancirne la destinazione ad essere trasfuse in atto pubblico (Cass. pen., sez. V, n. 20570 del 10 maggio 2006).

Di conseguenza, è la presentazione di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà avente contenuto ideologicamente falso in forza dell'obbligo di dichiarare il vero sancito dal d.P.R. n. 445 del 2000, art. 76 ad integrare il reato di cui all'art. 483 c.p.

Ed allora, integra il delitto la presentazione di una falsa dichiarazione dei redditi nell'ambito della procedura volta alla regolarizzazione del lavoro irregolare, atteso che l'art. 1-ter, comma 15, della l. n. 102/2009, richiamando la previsione dell'art. 76 del d.P.R. n. 445/2000, equipara la mera presentazione di false dichiarazioni o attestazioni alle dichiarazioni sostitutive rese in sede di autocertificazione (Cass. pen., sez. fer., n. 43792 del 21 agosto 2018).

Integra, infine, la fattispecie di reato la falsa dichiarazione del privato, in sede di atto sostitutivo di notorietà, in ordine ai propri redditi preordinata ad ottenere la percezione degli assegni familiari (Cass. pen., sez. V, sentenza n. 26182 del 8 luglio 2010).

In altre parole, si configura il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex art. 483 c.p. laddove l'attestazione non veridica viene resa a fronte dell'obbligo giuridico di affermare il vero e l'atto deve provare la verità dei fatti. L'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è trasfusa, deve essere destinato a provare la verità dei fatti attestati e ciò avviene quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente.

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