Il nuovo assetto dei procedimenti speciali con la riforma Cartabia

27 Novembre 2023

L'ennesimo naufragio legislativo o una nuova rivoluzione giudiziaria?

Se è indubbio che la riforma Cartabia abbia rappresentato un turning point nel sistema processuale e sanzionatorio italiano, dall'altro non può negarsi come la delega al Governo per l' efficienza del processo penale, per il perseguimento di un principio ideale di giustizia riparativa e di celere definizione dei procedimenti giudiziari con un maggiore ricorso ai procedimenti speciali , si sia rivelata a tratti utopica e poco rispondente alla voluntas ispiratrice.

Premessa

Nonostante le sfaccettate controversie che hanno accompagnato, fin dai primi giorni della sua diffusione, la pubblicazione del testo della riforma approvata dal Parlamento italiano, di cui si è fatta primaria rappresentante la Ministra Marta Cartabia, tale novella, concepita con l'obiettivo di ridurre del 25%, entro il 2026, i tempi del giudizio penale, come da ultimo PNRR, ha, indubbiamente, risvegliato la coscienza assopita dell'opinione pubblica, politica e giudiziaria.

Il patteggiamento

L'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, disciplinato dagli artt. 444 e ss. c.p.p., si configura in presenza di un accordo tra l'imputato ed il Pubblico Ministero per l'applicazione, da parte del Giudicante, di una pena concordata tra le parti, utilizzando le prove emerse nella fase d'indagine e bypassando, così, la fase dibattimentale.

Si sostanziano due tipologie di patteggiamento, quello tradizionale, introdotto fin dal 1981, con una riduzione, fino ad un terzo, della pena detentiva o pecuniaria che non supera due anni, sola o congiunta alla pena pecuniaria (per un approfondimento sull'”aspetto preponderante dei benefici”, Tonini, Lineamenti di diritto processuale penale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 375) e quello allargato, di cui alla Legge 12 giugno 2003, n. 134, che offre la possibilità alle parti di arrivare ad un accordo su una sanzione da due anni e un giorno fino a cinque anni di pena detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria, al netto della riduzione operata fino ad un terzo (circa i benefici, Tramontano, Lineamenti di diritto penale, Halley, Matelica, 2006, p. 375).

Laprima innovazione concerne una sorta di flessibilità che viene riconosciuta all'accordo tra le parti, dal momento che, ai sensi del nuovo secondo periodo dell'art. 444, comma 1, c.p.p. , «l'imputato e il Pubblico Ministero possono altresì chiedere al giudice di non applicare le pene accessorie o di applicarle per una durata determinata, salvo quanto previsto dal comma 3-bis, e di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato».

Risulta palese come, dietro a tale importante modifica, vi fosse l'intenzione di promuovere il ricorso a tale rito alternativo, alla luce del carattere maggiormente afflittivo percepito (sul punto, Mazzacuva, La giustizia penale inter pares: logiche di scambio e percorsi di incontro. Uno studio a partire dalla “Riforma Cartabia”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, n. 2, pp. 673 e ss.), rispetto alle pene accessorie e alla confisca (basti pensare, a titolo esemplificativo, all'interdizione o alla sospensione dall'esercizio di una determinata professione ex art. 30 c.p.) fermo restando l'impianto preesistente nell'ambito dei procedimenti per reati avverso la Pubblica Amministrazione , come dal succitato comma 3-bis e delle sanzioni amministrative (tra le decisioni più rilevanti, rispetto all'ultimo profilo, Cass. pen., sez. un., n. 21369/2019, dep. 2020, Melzani, Rv. 279349).

Con tale modifica è stato consentito alle parti di accordarsi anche rispetto alle pene accessorie e confisca facoltativa , sempre di natura penale (nella contrarietà di un indirizzo di legittimità ben consolidato, ex multis Cass. pen., sez. II, n. 1934/2015, dep. 2016, Spagnuolo, Rv. 265823), con un controllo giudiziale più esteso, ai sensi dell'art. 444, comma 2, c.p.p., rispetto alle negoziazioni delle parti circa la verifica del rispetto della confisca e del carattere congruo delle pene pattuite.

Se tale modifica ha avuto un riscontro positivo ed apprezzabile, dall'altro un elemento critico potrebbe ravvisarsi nella formulazione di accordi che potrebbero assurdamente prevedere la non applicazione delle pene accessorie pur nell'ambito di un dovere giudiziale di controllo circa la congruità dello stesso, a fronte di una mancata previsione in pari termini rispetto all'istituto della confisca.

Un'altra novazione è da ravvedersi nella modifica dell'art. 445, comma 1-bis, c.p.p., secondo cui la sentenza di patteggiamento «non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna» (sul punto, le preoccupazioni del CNDCEC con il pronto ordini del 9 giugno 2023, su www.commercialisti.it/pronto-ordini), rimanendo, comunque, la possibilità di utilizzo probatorio della sentenza di patteggiamento nell'ambito di altri procedimenti penali, ai sensi dell'art. 238-bis, c.p.p. (ex plurimis, Cass. pen., sez. V, n. 12344/2017, dep. 2018, Nicho Casas, Rv. 272665) e limitando, così, rispetto al passato, anche la smisurata esaltazione di una pronuncia di patteggiamento in ambiti extra penali, ove non veniva accertata la responsabilità della persona.

Tale cambiamento ha avuto un impatto molto rilevante anche in ambito politico .

Con la Circolare n. 29/2023 del 17/03/2023, il Ministero dell'Interno, a fronte dei plurimi quesiti rivolti dalle Prefetture, in merito alla permanenza delle cause di incandidabilità previste dal d.lgs. n. 235/2012 (c.d. “Decreto Severino”), a seguito delle modifiche apportate all'art. 445, comma 1-bis c.p.p., circa la situazione di incandidabilità, a causa di una sentenza di patteggiamento a carico dell'imputato (salvo il caso di applicazione di pene accessorie), si avvaleva del parere dell' Avvocatura dello Stato .

Quest'ultima constatava come «tutti i soggetti, per i quali sia stata pronunciata sentenza di patteggiamento ex art. 444 cit., non incorrono più in una situazione di incandidabilità, potendo così concorrere alle prossime elezioni. Solo nel caso di applicazione di pene accessorie tale favor non può operare», operando, la novella, retroattivamente (vd. Circolare Ministero dell'Interno DAIT n. 29/2023 del 17 marzo 2023 ).

Ulteriori modifiche possono essere annoverate in relazione all'art. 458 c.p.p. tramite l'aggiunta del comma 2-bis che dispone la facoltà di richiesta del giudizio abbreviato non condizionato, del patteggiamento o della sospensione del procedimento con messa alla prova nell'eventualità di rigetto del giudizio abbreviato condizionato dopo la notifica del decreto di giudizio immediato. Invero, alla luce di tale mutamento, anche l'art. 446 c.p.p. ha subito una variazione, con l'indicazione dell'udienza di cui sopra, quale fase procedimentale utile alla formulazione della richiesta di patteggiamento.

In aggiunta, l'abrogazione dell'art. 583 c.p.p., in materia di spedizione dell'atto di impugnazione, ha, di riflesso, comportato la modifica dell'art. 446, comma 3, c.p.p., secondo cui, ad oggi la volontà dell'imputato può essere manifestata personalmente o tramite procuratore speciale, con autentica della sottoscrizione da parte di un notaio, altra persona autorizzata o difensore.

Circa il decreto di fissazione dell'udienza a seguito della richiesta di patteggiamento durante la fase delle indagini preliminari di cui all' art. 447 c.p.p ., è stato modificato il comma 1 , prevedendo l'emissione del decreto di fissazione dell'udienza non più in calce alla richiesta bensì tramite provvedimento autonomo con obbligo di inserimento dell'informazione della facoltà, per l'indagato, di accedere, in via alternativa, ai programmi di giustizia riparativa, nella prospettiva generale di mettere al centro la persona, autore dell'offesa, per una sua responsabilizzazione e ricostituzione dei suoi legami con la comunità.

Chiara, anche in tal caso, la finalità ultima della riforma: portare ad una fuoriuscita della persona dal sistema processo nel più breve tempo possibile, conferendo la possibilità alternativa di optare per una definizione “diversa” del procedimento.

Un altro aspetto su cui si è concentrata la riforma è stato anche quello dell'eventuale applicazione di una pena sostitutiva, ex art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nell'ambito dell'accordo delle parti.

L'art. 545-bis c.p.p. ha, invero, conferito la facoltà di applicare la pena sostitutiva di pene detentive non superiori a quattro anni, a patto che non siano state condizionalmente sospese, con obbligo del giudice di sospendere il processo, in caso d'impossibilità decisoria immediata, con fissazione di un'apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente.

Plurime perplessità possono sorgere rispetto a tale modifica, sia sotto il profilo di uno spreco di lavoro, da parte dell' UEPE che potrebbe trovarsi a svolgere attività infruttuosa (e, quindi, inutile), parimenti può dirsi in capo al giudice di cognizione, che andrebbe ad assumere improprie vesti esecutive, laddove l'imputato sia assolto, condannato ad una pena superiore oppure giudicato non meritevole di una pena sostitutiva o non in possesso dei relativi requisiti. Il ricorso all'attività dell'UEPE, che assumerebbe i tratti di un anticipato giudizio di condanna, potrebbe, in linea teorica, essere illimitato, con una dilapidazione sconsiderata e priva di effetti di preziose risorse economico-logistiche.

A completezza, si segnala, infine, la modifica dell' art. 448, comma 3, c.p.p ., con il rinvio all'art. 578, comma 1, c.p.p. (a fronte del previgente rinvio, sic et simpliciter, all'art. 578 c.p.p.).

Il giudizio abbreviato

Ai sensi dell'art. 438 c.p.p., il giudizio abbreviato deve essere richiesto dall'imputato personalmente o tramite procuratore speciale, essendo la richiesta semplice o subordinata all'assunzione, da parte del giudice, di una o più prove ulteriori a quelle presentate dal Pubblico ministero.

In caso di giudizio abbreviato c.d. “condizionato”, il giudice autorizzerà lo svolgimento del rito alternativo solo in presenza di due requisiti ovvero se ritiene che le prove siano necessarie per la formazione del decisum e se la loro assunzione è compatibile con gli obiettivi di economia processuale propri del rito deflattivo.

A fronte di un conflitto giurisprudenziale formatosi precedentemente rispetto al concetto di “economia processuale” (ex multis, C. cost., n. 115/2001 e Cass. pen., sez. I, n. 315/2019) la riforma ha agito sul secondo requisito, affermando, al comma 5, dello stesso articolo come il giudice sia tenuto a disporre il giudizio abbreviato, laddove l'integrazione probatoria richiesta sia necessaria ai fini della decisione ed il rito realizzi «comunque una economia processuale, in relazione ai prevedibili tempi dell'istruzione dibattimentale».

Una rilevante esplicitazione posto che, ad oggi, il giudice sarà chiamato a svolgere un confronto, non più con il giudizio abbreviato semplice, ma con il giudizio dibattimentale , con un netto rialzo delle chances di accesso al rito.

Infine, merita di essere menzionato il nuovo comma 2-bis dell' art. 442 c.p.p ., secondo cui «quando né l'imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione», chiaramente nell'ottica di limitare impugnazioni puramente strategiche e dilatorie e riducendo il carico di lavoro in capo all'amministrazione giudiziaria ma, che al contrario, potrebbe comportare un aumento spropositato e ingiusto, nei confronti delle vittime dei reati, del ricorso a tale rito, solo per avere uno sconto di pena, ai danni, altresì, del principio di rieducazione del reo.

Il procedimento per decreto

È stato modificato l' art. 459 c.p.p., estendendo il termine ad un anno (non più sei mesi) per la formulazione, da parte del Pubblico ministero, della richiesta di applicazione di decreto penale di condanna, dalla data in cui il nominativo del possibile autore dell'illecito è stato iscritto nel registro delle notizie di reato, per assicurare un coordinamento con il termine di durata delle indagini preliminari per i reati diversi dalle contravvenzioni e dai delitti ex art. 407, comma 2, c.p.p.

Il comma 1-bis dello stesso articolo ha previsto che il giudice possa determinare la pena pecuniaria , con un valore giornaliero non inferiore a 5 euro e non superiore a 250 euro (a fronte del previgente valore minimo di 75 euro e massimo di 225 euro), con la possibilità di rateizzazione della pena pecuniaria, ex art. 133-ter c.p.p.

Sul punto, non sono mancate critiche circa la mancata previsione di un «concreto rimedio operativo all'ineffettività della procedura di riscossione» (così, Giovinazzo, La pena pecuniaria tra modifiche normative e realismo operativo: alcune osservazioni critiche, in Sistema Penale, 4/2023, p. 10 ss. secondo cui, in caso di mancata esecuzione, non sono state previste verifiche qualitative, volte a comprendere l'intenzionalità o meno dell'insolvenza, anche rispetto ad uno “status sociale di marginalità” o prossimo allo stesso).

Il medesimo comma ha, inoltre, disposto la possibilità di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità , di cui all' art. 56-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689 , nel caso in cui l'indagato, antecedentemente all'esercizio dell'azione penale e, pertanto, nella già avvenuta conoscenza di un procedimento penale a suo carico, formuli richiesta al Pubblico ministero, presentando il programma di trattamento elaborato dall'U.E.P.E.

Il comma 1-ter garantisce, altresì, la possibilità di accesso al lavoro di pubblica utilità anche dopo l'emissione del decreto penale di condanna a pena pecuniaria sostitutiva, con richiesta, entro il termine di quindici giorni dalla notifica dello stesso, da parte dell'imputato, personalmente o tramite procuratore speciale, con richiesta di un termine di sessanta giorni per depositare la disponibilità dell'ente o dell'associazione di cui all'art. 56-bis primo comma ed il programma dell'U.E.P.E. Spirato tale termine, il giudice potrà accogliere o rigettare la richieste, emettendo decreto di giudizio immediato. Ancora una volta si rivelerebbe essenziale il ruolo dell'U.E.P.E. che ne uscirebbe sempre più gravato sul piano amministrativo-gestionale.

È stato, inoltre, modificato l' art. 460 c.p.p ., nella parte in cui viene previsto che il decreto penale di condanna debba contenere, laddove si provveda al pagamento della pena pecuniaria nel termine di 15 giorni dalla notifica del decreto rinunciando all'opposizione, l'importo viene ridotto di un quinto.

Con tale modifica si è palesata, al suo stadio massimo, un'evidente disparità di trattamento tra soggetti condannati in condizioni economico-patrimoniali differenti, con un'impossibilità di verifica qualitativa, come sopra richiamata, rispetto ai concetti di insolvenza più o meno volontaria nei confronti di un beneficio accessibile solo a chi ha sufficienti risorse da investire.

Conseguentemente, il comma 5 dello stesso articolo ha sancito l'estinzione del reato sia nel caso di mancata commissione, da parte del condannato, di un delitto o di una contravvenzione della medesima indole, nel termine di 5 e 2 anni, sia nell'eventualità del succitato pagamento “anticipato”.

Infine, l'atto di opposizione da parte dell'imputato o del difensore nominato deve avvenire, ex art. 582 c.p.p., con deposito telematico in cancelleria del giudice per le indagini preliminari che ha emesso il decreto, ovvero nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trova l'opponente e che l'imputato e la persona civilmente obbligati per la pena pecuniaria sono restituiti nel termine per proporre opposizione nell'eventualità di malfunzionamento dei sistemi informatici.

Il giudizio immediato

L' art. 456, comma 2, c.p.p. è stato modificato, raccordandolo alla sentenza della Corte costituzionale 14 febbraio 2020, n. 19 che dichiarava l'illegittimità costituzionale del succitato comma nella parte in cui non prevedeva che il decreto che dispone il giudice immediato contenesse l'avviso della facoltà dell'imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova.

È stato, inoltre, previsto che il giudice, a seguito della notifica del Decreto di giudizio immediato, debba, in ogni caso, fissare udienza in camera di consiglio, in caso di presentazione della richiesta sia di giudizio abbreviato (art. 458, comma 2, c.p.p.) sia di patteggiamento (art. 446 c.p.p.), eliminando ogni margine di discrezionalità.

In un'ottica di incremento del livello di efficienza temporale e di favor rei, è stato previsto, al comma 2-bis dell'art. 458 c.p.p., che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, l'imputato, alla stessa udienza, possa chiedere il giudice abbreviato, l'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. oppure la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Inoltre, in caso di rigetto delle ulteriori richieste, ai sensi del comma 2-ter , il giudice rimetterà le parti al giudice del dibattimento, dandone comunicazione in udienza alle parti.

Da ultimo, è stato introdotto l'art. 458-bis c.p.p. che disciplina l'ipotesi della richiesta di applicazione della pena , dopo la notifica del decreto di giudizio immediato, prevedendo come, a seguito della richiesta di patteggiamento, il giudice sia tenuto, parimenti a quanto sopra disposto per la richiesta di giudizio abbreviato, a fissare l'udienza che seguirà lo stesso iter.

Si rafforza, così, la scelta legislativa di definire il processo con la scelta di un rito alternativo.

La sospensione del procedimento con messa alla prova

Un notevole cambiamento rispetto al rito alternativo della sospensione del procedimento con messa alla prova concerne il ruolo del Pubblico Ministero, a cui si attribuisce un carattere di maggiore dinamicità.

In particolare, il nuovo art. 464-ter 1, comma 1, c.p.p. prevede la facoltà per il Pubblico Ministero, tramite l'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p., di proporre all'indagato, la sospensione del procedimento con messa alla prova, «indicando la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale». Essenziale ancora una volta il ruolo dell'UEPE che, ai sensi dell' art. 141-ter, comma 1-bis, disp. att. c.p.p. dovrà fornire le indicazioni richieste dal Pubblico Ministero entro il termine di trenta giorni.

Emblematica la scelta di attivazione del Pubblico Ministero, con l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, proprio alla luce di una piena cognizione delle risultanze emerse in tale fase.

Il rinnovato ruolo del Pubblico Ministero, finalizzato all'invito e al suggerimento all'imputato della possibilità di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, è stato oggetto di forti dibattiti dottrinari, dal momento che, ad avviso di un determinato orientamento, tale istituto si porrebbe in contrasto con il principio di presunzione di innocenza ex art. 27, comma 2, Cost., richiamato dalla Corte costituzionale, 27 aprile 2018 (ud. 21 febbraio 2018), sentenza n. 91, Presidente e Relatore Lattanzi (in tali termini, cfr. Andolina, Gli strumenti di deflazione endo-processuale: prospettive applicative a seguito della riforma Cartabia, in Dir. Pen. proc., 2022, n. 10, p. 1367), anche alla luce del fatto che la legge delega non aveva previsto la sospensione di soggetti diversi dall'imputato, con un possibile travalicamento dei limiti della medesima (cfr. il pensiero critico di Madeo, Procedibilità a querela, messa alla prova e non punibilità per particolare tenuità del fatto: una ratio deflattiva comune nella “Riforma Cartabia”, in La legislazione penale, 28 novembre 2022).

Un ulteriore elemento non privo di dubbi si rinviene nella possibilità, ai sensi del comma 4, che il giudice rigetti la richiesta, richieda ulteriori elementi di valutazione oppure l'accolga chiedendo all'UEPE l'elaborazione di un programma d'intesa con l'imputato che dovrà essere formulato entro novanta giorni. Anche in tal caso, non è dato comprendere l'ipotetico scenario di programmi formulati in via carente oppure inadeguata nell'ambito di una richiesta già accolta e, di più, con il potere del giudice per le indagini preliminari di fissare udienza, ex comma 6 dello stesso articolo, per la verifica della volontarietà della richiesta. Non si deve, invero, dimenticare come il giudice abbia la facoltà di modificare il programma di trattamento (Cass., pen., sez. III, n. 23426/2022, Rv. 283640-02), con un potere di rigetto della richiesta di ammissione, a fronte di un esborso, già avvenuto, di risorse economico-amministrative da parte dell'UEPE.

In conclusione

Ciò che si evince dai rilievi sopraesposti è la volontà della riforma Cartabia di aumentare il livello di efficienza del processo penale con una riduzione dei suoi tempi ed una rapida fuoriuscita dell'autore dell'illecito dal circuito giudiziario, tramite un approccio meccanico.

La realtà, però, non si è rilevata al pari delle aspettative, con una automatizzazione che ha dimenticato di disciplinare inesorabili spazi di discrezionalità, che ha posto al centro del sistema, con l'attribuzione di maggiori facoltà, solamente i soggetti dotati di maggiori capacità economico-patrimoniali (anche in danno dei più elementari principi costituzionali di eguaglianza) e che ha, di fatto, aumentato il carico giudiziario, a fronte di un U.E.P.E., che risulta fortemente privato, spesso anche in maniera inconcludente, di importanti risorse logistico-organizzative.

Da ultimo, nell'ottica matematica, fredda e calcolatrice della riforma, non sembra esserci spazio per la rieducazione del reo (indebolito dai vari sconti di pena e dalle varie forme di sostituzione della stessa e dall'accesso sconfinato a plurime vie d'uscita da un vero e proprio giudizio cognitivo) e per una tutela delle vittime dei reati, che sicuramente saranno le prime a patire i primi danni della presente riforma che di riparativa sembra davvero aver poco.

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