Whistleblowing: dall’attuazione della Direttiva UE 2019/1937 con il d.lgs. n. 24/2023 nuovi rilevanti obblighi a carico delle aziende

11 Dicembre 2023

Con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 24/2023 di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937 l'Italia ha provveduto a integrare nel nostro ordinamento giuridico la nuova disciplina di legge in materia di whistleblowing. Fattispecie già in vigore da alcuni anni ma limitata alle aziende tenute ad implementare i modelli 231 e oggi prevista in modo più analitico e puntuale per tutte le aziende sia dal punto di vista delle regole e delle procedure sia dal punto di vista sanzionatorio.

Dal 17 dicembre pienamente operativa la nuova disciplina del whistleblowing

In vista della scadenza del 17 dicembre 2023 per il completamento a carico delle aziende di più piccola dimensione del quadro di obblighi scaturenti dall'attuazione della disciplina in materia di whistleblowing è utile ripercorrere alcune delle caratteristiche della nuova disciplina.

Il termine whistleblowing (da “to blow the whistle”, ossia soffiare il fischietto) individua quella attività consistente nella segnalazione di attività illecite nel settore pubblico o in quello privato da parte dei dipendenti delle aziende interessate o altri soggetti comunque coinvolti. In Italia, la prima legge sul whistleblowing è stata promulgata solo nel 2017 (l. n. 179/2017) e riguardava sia il settore pubblico sia il privato, garantendo il sostanziale anonimato del segnalante. La l. n. 179/2017 secondo una visione incentrata in misura prevalente sui rischi di corruzione nell'ambito del settore pubblico, aveva regolamentato tale tutela affiancando all'obiettivo specifico di protezione del lavoratore segnalante nel settore pubblico, una specifica disciplina di tutela anche per il settore privato limitata, tuttavia, alle sole  aziende che avessero  adottato le procedure di cui al d.lgs. n. 231/2001.

Il 30 marzo 2023 è entrato in vigore il d.lgs. n. 24/2023, in attuazione della Direttiva UE 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione e recante disposizioni per la protezione delle persone che segnalano violazioni delle normative nazionali.

Il decreto è in vigore dal 30 marzo 2023 e dalla medesima data sono state abrogate le disposizioni precedenti:

  • l'art. 54-bis d.lgs. n. 165/2001 relativo al settore pubblico;
  • l'art. 6 c. 2-ter e 2-quater d.lgs. n. 231/2001 relativo al settore privato;
  • l'art. 3 l. n. 179/2017,

dettando così una disciplina integrale ed obbligatoria della materia.

L'efficacia della nuova disciplina è stata prevista a decorrere dal 15 luglio 2023 per le aziende ritenute di  grandi dimensioni e cioè superiori ai 250 dipendenti. Alle segnalazioni o alle denunce all'autorità giudiziaria o contabile effettuate precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto, nonché a quelle effettuate fino al 14 luglio 2023, hanno continuano ad applicarsi le disposizioni dell'art. 54-bis  d.lgs. n. 165/2001 e dell'art. 6, c. 2-bis e 2-ter d.lgs. n. 231/2001.

Per i soggetti del settore privato che hanno impiegato, nell'ultimo anno, una media di lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato, fino a 249, l'obbligo di istituzione del canale di segnalazione interna ha effetto a decorrere dal 17 dicembre 2023 e, fino ad allora, continua ad applicarsi l'articolo 6, comma 2-bis, lettere a) e b), d.lgs. n. 231/2001, nella formulazione vigente fino alla data del 30 marzo 2023.

Chi è il whistleblower e quali sono i soggetti tenuti ad applicare la disciplina?

La persona segnalante (c.d. whistleblower) è colui che effettua segnalazioni, che possono essere sia interne sia esterne, divulgazioni pubbliche ovvero denunce all'autorità giudiziaria, che hanno per oggetto la violazione di norme nazionali o dell'Unione europea, che ledono l'interesse pubblico o l'integrità di un ente privato o pubblico. Ai fini dell'acquisizione dello status di “whistleblower”, queste segnalazioni devono derivare da informazioni acquisite durante l'attività lavorativa.

La platea dei soggetti tenuti ad applicare la disciplina del whistleblowing è aumentata con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 24/2023, infatti, per quanto riguarda il settore pubblico, nel campo di applicazione della nuova normativa rientrano:

(i) Enti pubblici;

(ii) Autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione;

(iii) Amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001;

(iv) Enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico;

(v) Organismi di diritto pubblico;

(vi) Concessionari di pubblico servizio.

Relativamente al settore privato, l'ambito di applicazione una volta circoscritto all'ambito di applicazione (e alle fattispecie) di cui al d.lgs. n. 231/2001 è stato oggi ampliato ed è stato tracciato in base a determinati requisiti come le dimensioni occupazionali ovvero (ancora) l'adozione dei modelli 231 e, ancora, lo svolgimento di determinate attività da parte dell'impresa.

Infatti, rientrano in tale categoria:

(i) coloro che hanno occupato nell'ultimo anno una media di almeno cinquanta lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato;

(ii) chi, pur non avendo occupato nell'ultimo anno una media di almeno cinquanta lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato, rientra nell'ambito di applicazione degli atti dell'Unione europea di cui alle parti I.B e II dell'allegato del medesimo d.lgs. n. 24/2023;

(iii) i soggetti diversi dal punto (ii) e che sono dotati di un modello di organizzazione e gestione 231, anche se nell'ultimo anno non hanno raggiunto la media di 50 lavoratori subordinati.

Le istruzioni di ANAC ai fini del computo della media annua dei lavoratori impiegati nel settore privato - necessaria per stabilire quando si supera la soglia dei 50 lavoratori specificano che si debba fare riferimento all'ultimo anno solare precedente a quello in corso, salvo per le imprese di nuova costituzione per le quali si considera l'anno in corso (ovvero il 2023).

Pertanto, per le imprese diverse da quelle di nuova costituzione, in sede di prima applicazione occorrerà fare riferimento alla media annua dei lavoratori impiegati al 31 dicembre 2022 e poi, per le annualità successive, si dovrà considerare il computo dell'anno solare precedente, sempre al 31 dicembre.

Ambito di applicazione oggettivo

Sono oggetto di segnalazione - perché integranti violazioni ai sensi del decreto - i comportamenti, atti od omissioni che ledono l'interesse pubblico o l'integrità dell'amministrazione pubblica o dell'ente privato e che consistono in violazioni riconducibili alle specifiche fattispecie elencate nel decreto.

Gli illeciti oggetto di segnalazione dovranno infatti essere individuati dagli enti e dalle amministrazioni obbligati indipendentemente dall'elencazione delle fattispecie di reato presupposto tipiche dei Modelli di organizzazione, gestione e controllo ex d.lgs. n. 231/2001. Questo costituisce il punto di vera e rilevante novità di questa disciplina rispetto alla disciplina previgente e richiederà da parte dei soggetti obbligati la chiara individuazione (e adeguata pubblicizzazione) dell'insieme dei principi etici sui quali si fonda l'organizzazione, anche la di là dell'elencazione specifica degli illeciti contenuta nel decreto. Si pensi ad esempio a quei comportamenti illeciti (ad esempio di tipo discriminatorio od aventi ad oggetto le c.d. Molestie sessuali) che seppure in ipotesi non rientranti nelle fattispecie contemplate dal d.lgs. n. 231/2001 assumono comunque rilievo penale nel nuovo contesto regolamentare perché comunque riconducibili alla generale elencazione dei comportamenti oggetto di segnalazione così come indicati nel decreto.

Tali violazioni rilevanti sono, pertanto:

  1. illeciti amministrativi, contabili, civili o penali che non rientrano nelle ipotesi contemplate nei numeri 3), 4), 5) e 6) dell'elencazione che segue;
  2. condotte illecite rilevanti ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, o violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, che non rientrano nei numeri 3), 4), 5) e 6) che seguono;
  3. illeciti che rientrano nell'ambito di applicazione degli atti dell'Unione europea o nazionali indicati nell'allegato al decreto ovvero degli atti nazionali che costituiscono attuazione degli atti dell'Unione europea indicati nell'allegato alla direttiva (UE) 2019/1937, seppur non indicati nell'allegato al decreto, relativi ai seguenti settori: appalti pubblici; servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; sicurezza e conformità dei prodotti; sicurezza dei trasporti; tutela dell'ambiente; radioprotezione e sicurezza nucleare; sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali; salute pubblica; protezione dei consumatori; tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informativi;
  4. atti od omissioni che ledono gli interessi finanziari dell'Unione di cui all'articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea specificati nel diritto derivato pertinente dell'Unione europea;
  5. atti od omissioni riguardanti il mercato interno, di cui all'articolo 26, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, comprese le violazioni delle norme dell'Unione europea in materia di concorrenza e di aiuti di Stato, nonché le violazioni riguardanti il mercato interno connesse ad atti che violano le norme in materia di imposta sulle società o i meccanismi il cui fine è ottenere un vantaggio fiscale che vanifica l'oggetto o la finalità della normativa applicabile in materia di imposta sulle società;
  6. atti o comportamenti che vanificano l'oggetto o la finalità delle disposizioni di cui agli atti dell'Unione nei settori indicati nei numeri 3), 4) e 5).

Le informazioni integranti segnalazione della violazione - compresi i fondati sospetti - riguardano diverse situazioni, tra queste: violazioni già avvenute; violazioni non ancora verificatesi, ma che, basandosi su elementi concreti, potrebbero verificarsi; altresì elementi che coinvolgono comportamenti volti a occultare le violazioni.

Le violazioni, che, sono comportamenti, azioni o omissioni che danneggiano l'interesse pubblico o l'integrità dell'amministrazione pubblica o di enti privati, come specificato nel d.lgs. n. 24/2023, possono quindi essere anche sospettate, effettive o potenziali.

Pertanto, per quanto riguarda il diritto nazionale, come risultante dall'elencazione, si fa riferimento ad un'ampia gamma di illeciti amministrativi, contabili, civili o penali, esclusi quelli che rientrano tra le violazioni del diritto dell'Unione europea indicate nel medesimo d.lgs. n. 24/2023 e tutte quelle condotte illecite rilevanti ai sensi del d.lgs.8 giugno 2001, n. 231 e delle violazioni dei modelli di organizzazione e gestione previsti dal medesimo d.lgs. n. 231/2001, escluse quelle che rientrano tra le violazioni del diritto dell'Unione europea specificamente indicate dal d.lgs. n. 24/2023.

Le violazioni della normativa europea, invece, includono gli illeciti rientranti nell'ambito di atti dell'Unione europea o nazionali come indicati nell'Allegato 1 del d.lgs. n. 24/2023, nonché atti nazionali che ne costituiscono attuazione anche se non indicati nell'Allegato 1 del d.lgs. n. 24/2023, relativi agli specifici settori indicati dallo stesso decreto, secondo un'elencazione che si configura notevolmente ampia perché abbraccia non solo l'ambito degli appalti pubblici – solitamente particolarmente sensibile a specifiche violazioni – ma anche ad esempio la sicurezza dei trasporti; la tutela dell'ambiente; la sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali; la salute pubblica; la protezione dei consumatori; la tutela della vita privata, la protezione dei dati personali e la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi oltre ai, servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; nonché gli atti che ledono interessi finanziari dell'Unione (art. 325 TFUE).

Funzionamento del canale interno di segnalazione

La legge n. 179/2017 già contemplava l'istituzione di canali di segnalazione da parte degli enti, ma il nuovo decreto ha introdotto numerosi cambiamenti al fine di dettagliare ulteriormente l'attivazione efficiente di strumenti che agevolino la segnalazione da parte degli interessati, regolamentandone anche la gestione e i relativi sistemi di protezione, anche in termini di protezione dei dati e della riservatezza (art. 12 d.lgs. n. 24/2023).

Le disposizioni riguardanti la predisposizione dei canali interni di segnalazione, come delineato negli articoli 4 e 5 del d.lgs. n. 24/2023, seguono le Linee guida stabilite dall'ANAC con la Delibera n. 301 del 12 luglio 2023. La completa ed efficace istituzione di questi canali mira a incentivare i "whistleblowers" a segnalare violazioni di cui siano venuti a conoscenza, soprattutto all'interno dell'ente in cui lavorano. Infatti, nel vigore della precedente disciplina il meccanismo della segnalazione era meno procedimentalizzato e finiva per scoraggiare i segnalanti dal presentare le segnalazioni per timore di ritorsioni oppure per il timore che la segnalazione non venisse presa in considerazione.

In altre parole, le segnalazioni degli illeciti commessi all'interno dell'ente erano spesso ignorate o, peggio, potevano comportare conseguenze negative per il segnalante, che cercava di far emergere eventuali disfunzioni nel contesto lavorativo.

Questo accadeva principalmente a causa di una gestione errata dei canali, che faceva sì che le segnalazioni raggiungessero figure prive della necessaria autonomia per trattare in modo imparziale e disinteressato le questioni comunicate.

Al fine di evitare che chi segnala di essere a conoscenza di una violazione subisca conseguenze negative per essersi esposto, l'articolo 4, comma 1, del d.lgs. n. 24/2023 sottolinea che un elemento cruciale del canale interno di segnalazione è garantire la riservatezza sugli atti, i comportamenti o le omissioni veicolate tramite questo strumento. Ciascun canale di segnalazione può differire dagli altri, poiché il decreto prevede modalità diverse per istituire correttamente tale strumento. Tuttavia, un aspetto comune a tutti i canali è l'obbligo di garantire l'anonimato. Elemento quest'ultimo già comunque previsto dalla precedente disciplina ma enfatizzato dal Decreto di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937.

Le informazioni che non devono essere divulgate quando una persona effettua una segnalazione  attraverso un canale interno includono il nome del segnalante, l'identità delle persone coinvolte o menzionate nella segnalazione e il contenuto della segnalazione e della documentazione aggiuntiva eventualmente allegata (con la conseguenza che una volta effettuata formalmente una segnalazione secondo i canali aziendali previsi il segnalante sarebbe poi tenuto al rispetto di un vincolo di riservatezza e confidenzialità che gli precluderebbe altre azioni e divulgazioni).

Il decreto non specifica il metodo per garantire tale riservatezza, ma indica la possibilità di utilizzare, se necessario, strumenti di crittografia. Questo è ritenuto importante non tanto per il modo in cui viene garantita la riservatezza, ma per il risultato finale: assicurare che le informazioni essenziali non trapelino, fornendo al whistleblower maggiore sicurezza nell'evitare l'identificazione e le conseguenti possibili ripercussioni negative.

Un'innovazione significativa introdotta dalla recente normativa è la definizione precisa, comprensiva di tempistiche, di un iter che i soggetti designati devono seguire rigorosamente nella gestione, nell'analisi e, se del caso, nel dare seguito alle segnalazioni ricevute.

Il legislatore ha seguito una "linea guida" unica nella predisposizione del decreto, principalmente focalizzata sulla gestione del canale interno, con l'obiettivo di evitare che la segnalazione venga ignorata. A tale scopo, ha identificato il soggetto responsabile della gestione del canale, lasciando ampia autonomia all'ente nella scelta tra una persona o un ufficio interno o una figura esterna. Tuttavia, ha stabilito i requisiti fondamentali che il soggetto deve possedere: autonomia, formazione specifica e autorizzazione dell'ente per il trattamento dei dati personali coinvolti nelle segnalazioni.

Gli enti devono già aver individuato figure con autonomia e fornito una formazione esaustiva per la gestione delle segnalazioni. La formazione, come indicato dalle Linee Guida dell'ANAC adottate con Delibera n. 311 del 12 luglio 2023, deve includere la disciplina specifica del whistleblowing e la normativa sulla privacy per garantire adeguatamente l'anonimato.

Per alleggerire l'onere sugli enti per la gestione del canale interno, il decreto prevede la condivisione del canale, consentendo a più enti di dividere i costi derivanti dalla sua istituzione e gestione. Questo permette l'utilizzo di uno stesso strumento per le segnalazioni, affidando la gestione a un'unica figura.

Ovviamente, proprio per garantire la riservatezza, tale possibilità viene riservata solo agli enti che hanno una minore rilevanza a livello dimensionale, proprio perché è nell'interesse dello stesso legislatore evitare una pregiudizievole divulgazione delle informazioni e di tutti quei dati contenuti nelle segnalazioni.

L'intento del legislatore a mantenere la riservatezza viene sempre di più evidenziato dalla previsione di una specifica procedura nel caso in cui la segnalazione giunga ad un soggetto diverso da quello preposto.

Infatti, il lavoratore può interfacciarsi con un superiore o un responsabile gerarchico in modo da poter dare seguito alla segnalazione. Tale procedura però, come segnalato dall'ANAC, non permette al lavoratore di godere delle tutele previste dal decreto, poiché la segnalazione non viene effettuata tramite dei canali riservati e, in questo caso, non è indirizzata ad un soggetto non solo competente e formato in tale materia ma anche dotato dei necessari requisiti di autonomia che il decreto individua come indispensabili per assicurare la dovuta efficacia ai meccanismi di tutela predisposti da questa nuova disciplina.

Il legislatore evidenzia anche le attività da svolgere nel momento in cui si riceve una segnalazione, prevedendo che i soggetti preposti alla gestione rilascino un avviso di ricevimento al segnalante entro sette giorni dalla data di ricezione della segnalazione e mantengano i contatti con il segnalante per eventuali integrazioni della documentazione da quest'ultimo presentata. Nel caso in cui la segnalazione venisse considerata rilevante, si avvierà una vera e propria istruttoria ed indagine interna al fine di verificare la fondatezza dei fatti segnalati. Infine, è necessario fornire un riscontro entro tre mesi dalla data di rilascio dell'avviso di ricevimento e tale riscontro deve informare il segnalante circa il mondo in cui le indagini si sono concluse, motivando in modo chiaro la relativa scelta.

Come specificato nell'incipit del presente paragrafo, il whistleblower ha a disposizione differenti canali per effettuare una segnalazione, ma la scelta di quale canale utilizzare non è rimessa al segnalante, in quanto egli dovrà prediligere prioritariamente  il c.d. canale interno e solo successivamente, in caso di omesso riscontro,  rivolgersi ai canali sterni (Anac e divulgazione pubblica mediante Social). L'utilizzo del canale esterno, infatti, è possibile solo se ricorrono le condizioni di cui all'art. 6 del d.lgs. n. 24/2023, di conseguenza il whistleblower potrà effettuare una segnalazione esterna nei seguenti casi:

(i) nell'ambito del suo contesto lavorativo non è prevista l'attivazione obbligatoria un canale di segnalazione interno, ovvero, se è obbligatorio, non è attivo;

(ii) ha già effettuato una segnalazione interna, ma non ha avuto seguito;

(iii) ci sono fondati motivi nel ritenere che la segnalazione interna non sarebbe efficace o che la stessa possa determinare il rischio di ritorsione;

(iv) la segnalazione può costituire un pericolo imminente per il pubblico interesse.

Il mancato rispetto da parte del segnalante dell'ordine previsto può dar luogo alla responsabilità del segnalante ed al venir meno delle protezioni a suo favore previste dalla legge in quanto, in base alle indicazioni della Direttiva (UE) 2019/1937 (art. 7, c. 2) “Gli Stati membri incoraggiano le segnalazioni mediante canali di segnalazione interni prima di effettuare segnalazioni mediante canali di segnalazione esterni, laddove la violazione possa essere affrontata efficacemente a livello interno e la persona segnalante ritenga che non sussista il rischio di ritorsioni”.

Oltre i canali interno ed esterno, il segnalante può usufruire della c.d. divulgazione pubblica, mediante la quale le informazioni segnalate sono rese di pubblico dominio tramite per es. la stampa. Il segnalante che decide di usufruire di tale modalità può tuttavia beneficiare della tutela prevista dal decreto solo se:

(i) ha effettuato una segnalazione interna ed esterna o ha effettuato una segnalazione esterna secondo le modalità previste dal decreto e non ha ricevuto riscontro;

(ii) ritiene che la violazione possa costituire un pericolo imminente per l'interesse pubblico;

(iii) tutti gli altri canali possano risultare inefficaci, ovvero, il segnalante teme di subire una ritorsione tramite il canale esterno (art. 6 del d.lgs. n. 24/2023).

Trattasi pertanto di una scelta del segnalante da valutare di volta in volta con grande attenzione per non incorrere nelle conseguenze previste dalla legge.

Il potere sanzionatorio ed il relativo procedimento

Titolare del potere sanzionatorio è l'ANAC, l'Autorità Nazionale Anti Corruzione. Essa è indipendente e autonoma rispetto agli altri poteri dello Stato e tale caratteristica le permette di agire in modo totalmente imparziale.

Attraverso la delibera numero 301 del 12 luglio 2023 (successiva alla prima datata 8 marzo 2023), l'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha deliberato la revisione del proprio regolamento concernente l'esercizio del proprio potere sanzionatorio, così come definito nel decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Il d.lgs. n. 24/2023 all'art. 21 individua le sanzioni amministrative suddividendole a seconda del ricorrere di comportamenti ritorsivi o di ostacolo alla segnalazione oppure di ipotesi di violazione delle disposizioni relative all'istituzione dei canali di segnalazione:

a) da 10.000 a 50.000 euro quando accerta che sono state commesse ritorsioni o quando accerta che la segnalazione è stata ostacolata o che si è tentato di ostacolarla o che è stato violato l'obbligo di riservatezza previsto dall'art. 12 del decreto;

b) da 10.000 a 50.000 euro quando accerta che non sono stati istituiti canali di segnalazione, che non sono state adottate procedure per l'effettuazione e la gestione delle segnalazioni ovvero che l'adozione di tali procedure non è conforme alle prescrizioni di legge (di cui agli artt. 4 e 5 del decreto), nonché quando accerta che non è stata svolta l'attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute;

c) da 500 a 2.500 euro, nel caso di accertamento della responsabilità penale del segnalante per diffamazione o calunnia (art. 16, comma 3 del Decreto), salvo che la persona segnalante sia stata condannata, anche in primo grado, per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all'autorità giudiziaria o contabile.

Il procedimento sanzionatorio per tutte le diverse tipologie di comportamenti sanzionati si sviluppa attraverso diverse fasi; la prima fase è quella pre-istruttoria, cui segue una fase procedimentale e di istruttoria vera e propria che può concludersi con l'archiviazione del procedimento o con la contestazione dell'addebito, a seconda delle circostanze.

Il termine temporale di 180 giorni generalmente previsto per la conclusione del procedimento, a partire dalla data di ricezione della contestazione dell'addebito, assicura una gestione tempestiva. Durante questo periodo, si offre al soggetto interessato la possibilità di presentare eventuali memorie e documenti, con la facoltà di richiedere un'audizione entro 30 giorni dalla ricezione della contestazione.

La trasparenza è garantita dalla possibilità di accedere ai documenti del procedimento anche attraverso l'indicazione chiara del nominativo del responsabile del procedimento. Inoltre, l'obbligo di allegare copia della ricevuta di avvenuto ricevimento dei documenti da parte della controparte, quando necessario, contribuisce a garantire una tracciabilità accurata delle fasi del procedimento.

La comunicazione è semplificata grazie alla specificazione della casella di Posta Elettronica Certificata (P.E.C.) dell'Autorità per le comunicazioni relative al procedimento sanzionatorio.

L'accuratezza del procedimento che caratterizza la fase istruttoria, la quale segue la contestazione dell'addebito, coinvolge i soggetti interessati sia come detto con la possibilità di accedere ai documenti del procedimento e presentare memorie scritte, documenti, deduzioni e pareri, sia con la possibilità dell'audizione diretta.

Al termine della fase istruttoria, il dirigente, avendo acquisito tutti gli elementi di fatto, può richiedere un supplemento di istruttoria, convocare appunto in audizione la parte o adottare direttamente il provvedimento finale. Questo può consistere nell'archiviazione ovvero nell'irrogazione della sanzione pecuniaria con iscrizione nel Casellario, a seconda delle circostanze (v. Regolamento per la gestione delle segnalazioni e per l'esercizio del potere sanzionatorio dell'ANAC in attuazione del decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24. delibera n. 301 del 12 luglio 2023).

La falsa denuncia di un collega è giusta causa di licenziamento

La parte probabilmente più delicata dell'intero provvedimento è quella dedicata al rischio di ritorsioni nei confronti del segnalante che, nel quadro della nuova disciplina, gode di un dettaglio maggiore rispetto alla previgente disciplina contemplata dalla legge n. 179/2017.

Il decreto provvede infatti ad una dettagliata elencazione degli atti oggetto di divieto di ritorsione nei confronti del segnalante che configura come nulli e che sono azionabili in base alla sola presunzione che siano stati adottati per effetto della segnalazione, salvo prova contraria da parte di colui che li ha posti in essere. E ciò secondo il meccanismo dell'inversione dell'onere della prova già noto alla precedente disciplina.

Costituiscono ritorsione ai sensi della norma (art. 17, c. 4 d.lgs. n. 24/2023):

a)  il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti;

b)  la retrocessione di grado o la mancata promozione;

c)  il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell'orario di lavoro;

d)  la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell'accesso alla stessa;

e)  le note di merito negative o le referenze negative;

f)  l'adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria;

g)  la coercizione, l'intimidazione, le molestie o l'ostracismo;

h)  la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole;

i)  la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione;

l)  il mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine;

m)  i danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o i pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi;

n)  l'inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che può comportare l'impossibilità per la persona di trovare un'occupazione nel settore o nell'industria in futuro;

o)  la conclusione anticipata o l'annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi;

p)  l'annullamento di una licenza o di un permesso;

q)  la richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

L'art. 19 comma 3 d.lgs. n. 24/2023 stabilisce espressamente che gli atti assunti in violazione dell'art. 17 sono nulli.

La tutela comprende i soggetti indicati nell'art. 3 del d.lgs. n. 24/2023 ossia il segnalante e gli atri soggetti ai quali viene estesa la tutela in quanto presenti nel medesimo contesto lavorativo.

Sono infatti tutelati:

  • il segnalante indicato dal decreto come la persona fisica che effettua la segnalazione o la divulgazione di informazioni sulle violazioni acquisite nell'ambito del proprio contesto lavorativo (art. 2, c. 1 lett. g) d.lgs. n. 24/2023)
  • il facilitatore ossia la persona fisica che assiste una persona segnalante nel processo di segnalazione, operante all'interno del medesimo contesto lavorativo e la cui assistenza deve essere mantenuta riservata (art. 2, c. 1 lett. h) d.lgs. n. 24/2023).

La tutela si estende poi:

  • alle persone del medesimo contesto lavorativo della persona segnalante, di colui che ha sporto una denuncia all'autorità giudiziaria o contabile o di colui che ha effettuato una divulgazione pubblica e che sono legate ad essi da uno stabile legame affettivo o di parentela entro il quarto grado;
  • ai colleghi di lavoro della persona segnalante o della persona che ha sporto una denuncia all'autorità giudiziaria o contabile o effettuato una divulgazione pubblica, che lavorano nel medesimo contesto lavorativo della stessa e che hanno con detta persona un rapporto abituale e corrente;
  • agli enti (indicazione invero di non chiara interpretazione) di proprietà della persona segnalante o della persona che ha sporto una denuncia all'autorità giudiziaria o contabile o che ha effettuato una divulgazione pubblica o per i quali le stesse persone lavorano, nonché agli enti che operano nel medesimo contesto lavorativo delle predette persone (art. 3, c. 5 d.lgs. n. 24/2023).

Il contesto lavorativo identifica le attività lavorative o professionali, presenti o passate, svolte nell'ambito dei rapporti sopra indicati (elencati nell'art. 3, commi 3 o 4 del decreto), attraverso le quali, indipendentemente dalla natura di tali attività, una persona acquisisce informazioni sulle violazioni e nel cui ambito potrebbe rischiare di subire ritorsioni in caso di segnalazione o di divulgazione pubblica o di denuncia all'autorità giudiziaria o contabile (art. 2, c. 1 lett. i) d.lgs. n. 24/2023).

In base alle previsioni dell'art. 19, c. 3 d.lgs. n. 24/2023 le persone tutelate che siano state licenziate a causa della segnalazione, della divulgazione pubblica o della denuncia all'autorità giudiziaria o contabile hanno diritto a essere reintegrate nel posto di lavoro, ai sensi dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 o dell'articolo 2 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, in ragione della specifica disciplina applicabile al lavoratore.

In questo quadro si inseriscono le previsioni del decreto dedicate alla falsa denuncia o segnalazione (art. 16, c. 3 d.lgs. n. 24/2023) per le quali sono anche previste come si è visto al paragrafo precedente specifiche conseguenze sanzionatorie che meritano attenzione (art. 21, c. 1 lett. c) d.lgs. n. 24/2023).  La legge prevede in questo ambito che, salvo quanto previsto dall'art. 20 del decreto (relativo alle limitazioni di responsabilità per specifici ambiti) quando è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della persona segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all'autorità giudiziaria o contabile ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave, le tutele non sono garantite ed alla persona segnalante o denunciante è irrogata una sanzione disciplinare (sembrerebbe da questo punto di vista  in via obbligata da parte dell'azienda e non solamente eventuale ed a discrezione della medesima)

In questi casi viene meno anche la tutela relativa ai comportamenti considerati “ritorsivi” a danno del segnalante che abbia segnalato con eccessiva leggerezza senza effettuare le dovute verifiche, che la legge invece ritiene necessarie e che ricadono nella sua responsabilità. Ipotesi in merito alle quali la giurisprudenza ha iniziato a pronunciarsi, seppure nel quadro della precedente disciplina e nello stretto ambito di applicazione della disciplina ex d.lgs. n. 231/2001.

La Corte di Cassazione ha recentemente esaminato un caso che coinvolge un dipendente licenziato, il quale aveva presentato falsamente un reclamo all'audit riguardante presunti illeciti commessi da un superiore, il quale, al momento dell'analisi, si è rivelato privo di riscontri. Questo episodio offre spunti interessanti per riflettere sulle regole relative al whistleblowing nei sistemi di Internal Audit.

Nel caso in questione, il dipendente aveva attribuito all'impresa, attraverso la figura di un superiore, comportamenti illeciti, precisamente sovrafatturazione autorizzata dallo stesso superiore. Tuttavia, la sentenza della Cassazione ha concluso che tali affermazioni si sono rivelate infondate, come confermato dalla stessa pronuncia.

Il dipendente è stato licenziato per giusta causa, e la Cassazione ha sostenuto la validità di tale decisione, considerando la condotta del dipendente come integrante i presupposti dell'articolo 2119 del codice civile, infatti la Corte ha evidenziato che: “costituisce giusta causa di licenziamento ai sensi dell'art. 2119 c.c., l'avere il dipendente riferito a persona preposta alla verifica e prevenzione di eventuali reati societari la circostanza che l'illecito era stato autorizzata da dirigente aziendale, circostanza la cui veridicità non è stata confermata in sede processuale, concretandosi tale condotta in un comportamento gravemente lesivo del vincolo fiduciario per il discredito che procurava alla datrice di lavoro”.

In conclusione il  complesso quadro regolatorio che scaturisce dalla disciplina introdotta con il D.lgs. n. 24/2023 richiede alle imprese e agli operatori a tutti i livelli grande attenzione nella predisposizione delle policy e degli strumenti organizzativi e di gestione necessari per dare attuazione agli obblighi di legge e assicurare, così, quella cornice di tutele indispensabili per la concreta valorizzazione dei principi etici di ogni organizzazione. Un'occasione progettuale, pertanto, per tutte le organizzazioni, anche al di là dell'obbligo di legge.

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