Licenziamento per giusta causa, condotte extralavorative e molestie nella recente giurisprudenza di legittimità

04 Gennaio 2024

Un recente caso affrontato dalla Corte di cassazione solleva la questione relativa alla rilevanza, ai fini del licenziamento disciplinare, delle condotte moleste realizzate anche al di fuori del luogo di lavoro, ma con indiscusse ripercussioni sui rapporti lavorativi tra colleghi. È l'occasione per fare il punto sul tema delle condotte extralavorative e delle molestie sul lavoro, alla luce anche delle recenti disposizioni introdotte dalla Convenzione OIL n. 190 del 2019.

Licenziamento per giusta causa e molestie extralavorative: il caso affrontato da Cass., sezione lavoro, 14 dicembre 2023, n. 35066

Un recente caso affrontato dalla giurisprudenza di legittimità solleva la questione relativa alla rilevanza, ai fini del licenziamento disciplinare, delle condotte moleste realizzate al di fuori del luogo di lavoro, ma con indiscusse ripercussioni sui rapporti lavorativi tra colleghi.

Viene in rilievo in particolare la pronuncia emessa dalla Cass., sez. lav., 14 dicembre 2023, n. 35066, riguardante la vicenda di un dipendente di banca con mansioni di team leader, licenziato per giusta causa per aver intrattenuto, in tempi diversi, rapporti extralavorativi con due colleghe, dando luogo a dinamiche pregiudizievoli sia nei rapporti interpersonali sia nei rapporti lavorativi, in danno della banca stessa.

Più precisamente viene impugnata dal lavoratore la sentenza della Corte d'Appello di Milano (sez. lav., 7 settembre 2020, n. 487) che, nel confermare la pronuncia di primo grado (Trib. Milano, sez. lav., 7 settembre 2020, n. 487), riconosce come il contegno del dipendente si fosse tradotto in azioni moleste, nella forma di «relazioni amicali probabilmente venate da slanci sentimentali, in ogni caso indubbiamente guastate da atteggiamenti di possessività e vera e propria prevaricazione idonei a sfociare finanche nella incontestabile violenza...ma non chiaramente contrassegnati da prevalenti spunti psichici di ordine sessuale».

Quelle che vengono definite dal giudice del gravame “gravi condotte extralavorative”, sono ritenute «foriere di altrettanto gravi riflessi attuali e potenziali nell'ambito della relazione di servizio ed eminentemente apprezzabili in termini di definitiva perdita di fiducia nei confronti del sottoposto» tenuto conto:

  • del ruolo e della posizione di responsabilità rivestita dal dipendente all'interno dell'organizzazione aziendale (team leader);
  • del riverbero delle condotte moleste extralavorative nell'ambito dell'ambiente di lavoro, considerata 
    • l'unilaterale diffusione di notizie private tra colleghi imputabile al dipendente stesso;
    • la richiesta di una delle due colleghe di non averlo come team leader;
    • l'istanza di trasferimento in un'altra filiale (ritenuta “piazza critica”) presentata dalla stessa collega, al fine di allontanarsi da un ambiente ritenuto tossico e nocivo;

La sentenza in esame, confermando la pronuncia in grado d'appello, puntualizza come il recesso per giusta causa del dipendente si collochi nella fattispecie del licenziamento disciplinare per comportamenti extralavorativi, che si configura allorché il lavoratore violi il dovere di astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con gli obblighi connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, dovendosi integrare l'art. 2105 c.c. con gli artt. 1175 e 1375 c.c. che impongono l'osservanza dei doveri di correttezza e di buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, in modo da non danneggiare il datore di lavoro (cfr., ex multis, Cass., 9 gennaio 2015, n. 144; Cass., 10 febbraio 2015, n. 2550; Cass., 15 ottobre 2021, n. 28368).

In concreto le azioni moleste extralavorative del dipendente nei confronti delle due colleghe hanno avuto riflessi pregiudizievoli sul rapporto di lavoro, giustificando in questo modo la reazione disciplinare della Banca, tesa a sanzionare una condotta sussumibile nel paradigma legale delle molestie generiche, che ai sensi dell'art. 26, comma 1, d.lgs. n. 198/2006 si sostanziano in quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni anche connesse al sesso e aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Ciò che rileva nella pronuncia in esame è il riferimento -a quanto consta inedito per la giurisprudenza di legittimità - alla nozione di violenza e di molestie introdotta dalla Convenzione OIL n. 190 del 21 giugno 2019, ratificata in Italia con la l. 15 gennaio 2021, n. 4, volta a promuovere - nell'ottica della “tolleranza zero- il rafforzamento della legislazione, delle politiche e delle istituzioni nazionali al fine di rendere effettivo il diritto ad un luogo di lavoro libero da violenza e molestie, riconoscendone l'inaccettabilità e l'incompatibilità con il lavoro dignitoso. In particolare, viene dato rilievo a quella che è riconosciuta come la prima definizione a livello internazionale di violenza e molestie legate al lavoro, la quale fa riferimento a «un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili», che «si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico» (cfr. art. 1, comma 1, lett. A, Convenzione OIL n.190), estendendosi a tutti i lavoratori e le lavoratrici, inclusi i tirocinanti, gli apprendisti, le persone che svolgano il ruolo o l'attività di imprenditore o imprenditrice, nel settore pubblico e privato, formale o informale, in zone sia rurali che urbane (cfr. art. 2 Conv. n. 190/2019 OIL).

In tale contesto, la semplice deduzione del fatto in sé da parte del datore di lavoro è sufficiente a provare l'irrimediabile lesione del vincolo fiduciario quando la condotta extralavorativa molesta abbia avuto un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento (cfr. Cass., 24 novembre 2016, n. 24023).

Il licenziamento disciplinare per condotte extralavorative

Pur facendo riferimento alla nozione legale di molestia, la vera “chiave di volta” della decisione in commento è certamente la considerazione della condotta extralavorativa del dipendente, che riconduce ad un tema non privo di sfumature, di incertezze e di contraddizioni, molto dibattuto in giurisprudenza e in dottrina.

Infatti, ad un orientamento dottrinale restrittivo impostato sulla “teoria contrattuale della giusta causa”, secondo cui i presupposti per il licenziamento sarebbero ravvisabili solo in presenza di un inadempimento contrattuale (dal quale resterebbero quindi esclusi i comportamenti extralavorativi), si contrappone una differente concezione estensiva (c.d. "teoria oggettiva”) che valorizza il ruolo della fiducia e dell'intuitus personae, attribuendo un'autonoma rilevanza disciplinare anche a comportamenti estranei agli obblighi contrattuali, che siano però in concreto obiettivamente idonei a ledere irrimediabilmente l'elemento fiduciario sul quale il rapporto lavorativo si fonda (cfr. Cass., 31 luglio 2015, n. 16268) (1).  

Al contrario la giurisprudenza, dopo una prima fase di maggiore prossimità alla concezione estensiva, pare essersi ora attestata su una posizione “mediana”(2). Secondo questo ormai consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, infatti, è necessaria una valutazione complessiva dei singoli casi tenuto conto della natura e qualità delle parti e della loro posizione, dell'immagine esterna dell'azienda, nonché del grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni (cfr. Cass., 31 luglio 2015, n. 16268, cit.).

Più precisamente, coesistono in questo orientamento due tendenze complementari:

  • la prima, tesa a valorizzare il rilievo disciplinare non solo dell'obbligo di rendere la prestazione lavorativa, ma anche degli obblighi accessori concernenti anche la condotta extralavorativa, in quanto funzionale alla tutela del rapporto di fiducia che lega le parti (cfr. Cass., 19 gennaio 2015, n. 776);
  • la seconda, rivolta invece alla valutazione concreta della : i) gravità dei fatti addebitati al lavoratore (portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze nelle quali sono stati commessi e intensità del profilo intenzionale) nonché della ii) proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta (una sorta di “test” in cui si verifica se la lesione dell'elemento fiduciario sia tale da giustificare la massima sanzione disciplinare), cfr. Cass., 18 settembre 2012, n. 15654).    

In concreto, nella prassi giudiziale, è stata ravvisata la legittimità del licenziamento per giusta causa:

  • del dipendente di un ufficio postale condannato per usura ed estorsione, considerata l'attività svolta dal datore di lavoro (gestione, deposito, affidamento del credito, intermediazione bancaria, trasporto e consegna posta), il collegamento oggettivo e potenzialmente rischioso con i reati contestati (in un'ottica di possibile reiterazione) e la natura pubblica del servizio reso dal datore di lavoro, che rientra nella sfera di operatività dei principi di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97 Cost. (cfr. Cass., 19 gennaio 2015, n. 776, cit.);
  • del dipendente di un ente pubblico di riscossione per fatti compiuti prima dell'instaurazione del rapporto lavorativo (sgravi indebiti di cartelle esattoriali in cambio di denaro), appresi dal datore di lavoro dopo la conclusione del contratto, in quanto non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate e dal ruolo di quest'ultimo rivestito nell'organizzazione aziendale (cfr. Cass., 10 gennaio 2019, n. 428);
  • del dipendente di banca rinviato a giudizio per reati commessi in occasione di un pregresso rapporto di lavoro intercorso con altro istituto di credito (cfr. Cass., 9 agosto 2004, n. 15373);
  • del bancario condannato alla pena -applicata su richiesta- di tre anni di reclusione per detenzione e spaccio di rilevante quantità di sostanze stupefacenti (marijuana), considerata l'evidente sintomaticità di un collegamento non occasionale con ambienti malavitosi del dipendente, inserito in un ufficio a contatto con il pubblico, nell'ambito dei servizi bancari (cfr. Cass., 24 novembre 2016, n. 24023; conf. Cass., 26 aprile 2012, n. 6498; analogamente, per il caso di un operatore della mobilità addetto alla verifica del pagamento del parcheggio per le vetture in sosta, cfr. Cass., 3 marzo 2020, n. 5897; per il caso di un dipendente di un ente pubblico di gestione delle acque, sul presupposto della lesione dell'immagine aziendale e del negativo influsso sui rapporti con gli altri dipendenti, cfr. Cass., 15 ottobre 2021, n. 28368);
  • del conducente di autobus trovato positivo all'accertamento tossicologico relativo al consumo di sostanze stupefacenti leggere (cannabis), trattandosi di mansioni c.d. “a rischio” (cfr. Cass., 24 maggio 2018, n. 12994);
  • del lavoratore impegnato in attività sportiva extralavorativa incompatibile con le sue condizioni fisiche, che avevano in precedenza portato l'azienda ad assegnarlo a mansioni ridotte e diverse da quelle originariamente svolte, sopportando un danno sul piano dell'efficienza produttiva e organizzativa (cfr. Cass., 9 gennaio 2015, n. 144);

Al contrario, è stata in concreto accertata l'illegittimità del licenziamento disciplinare:

  • della dipendente bancaria in una situazione di pesante esposizione debitoria personale che, tuttavia, non aveva influenzato negativamente i suoi compiti lavorativi (cfr. Cass., 31 luglio 2015, n. 16268);
  • della lavoratrice che abbia rivolto dichiarazioni ingiuriose e offensive alla moglie del legale rappresentante della società datrice di lavoro, nell'ambito di una situazione sentimentale intercorrente tra le parti nella vita privata (cfr. Trib. Roma, sez. lav., 22 maggio 2023, n. 5155);
  • del lavoratore che abbia postato su un noto social network una fotografia ritraente lo stesso con una pistola in mano e con fare minaccioso, in assenza della prova che tale condotta extralavorativa avesse ingenerato una collettiva preoccupazione nell'ambiente di lavoro o che, in ogni caso, avesse avuto ripercussioni sull'attività produttiva dell'azienda (cfr. Trib. Bergamo, sez. lav., 14 settembre 2016, n. 684);
  • del dipendente condannato in sede penale per minaccia grave nei confronti di soggetti terzi, estranei al rapporto e pronunciata fuori dall'ambiente lavorativo, quando in concreto non abbia avuto nessun riflesso sulla funzionalità del rapporto di lavoro (cfr. Cass., 26 marzo 2019, n. 8390);
  • del lavoratore che abbia consumato un rapporto sessuale prima dell'inizio o dopo la cessazione del rapporto di lavoro, all'interno dell'autovettura parcheggiata in prossimità del posto di lavoro, approfittando dello stato di minorità psichica di un'altra persona (cfr. Cass., 2 febbraio 2016, n. 1978);
  • del dipendente il quale, dopo essere stato adibito a mansioni meno gravose in ragione di una patologia professionale, svolga un'attività sportiva al di fuori dell'orario di lavoro che in concreto non abbia né aggravato né esposto il lavoratore al rischio di aggravamento delle proprie condizioni di salute (cfr. Cass., 19 gennaio 2018, n. 1374).

Lo stalking occupazionale

Come accennato la pronuncia della Cassazione esaminata nel primo paragrafo, al di là di un “incidentale” richiamo alla nozione di molestia, ha il suo fulcro nella valutazione della condotta extralavorativa tenuta dal dipendente. In tale contesto, il riferimento alle molestie pare essere più un “rafforzativo” dell'elemento principale della motivazione che un autonomo elemento di giudizio.

Non sarebbero peraltro mancate le basi per seguire un diverso — e forse più solido — iter logico-argomentativo.

Le condotte accertate nell'ambito del giudizio di merito, infatti, parrebbero integrare gli elementi di una fattispecie concreta nota tanto alla psicologia del lavoro quanto alla stessa giurisprudenza: si tratta dello stalking occupazionale (o work stalking), particolare species di condotta molesta che ha la sua genesi nell'ambito lavorativo ma che si sviluppa nella vita privata della vittima, rappresentando in alcuni casi una reazione — peraltro impropria ed ingiustificabile — a condotte mobbizzanti o stranianti subite dallo stalker sul posto di lavoro (3). Su questo piano la giurisprudenza del lavoro -sebbene in modo sporadico - ha già avuto modo di misurarsi: nel ribadire che la motivazione della condotta proviene dall'ambiente di lavoro per poi attuarsi e risolversi nella vita privata, il Tribunale di Bari (sez. lav., 26 settembre 2019, n. 3677) (4) ha identificato nello stalking occupazionale un fenomeno che  si pone in contrasto con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro: la fattispecie “ombrello” dell'art. 2087 c.c. sarebbe pertanto idonea a ricomprendere anche questa fattispecie.

Al di là del riferimento all'art. 2087 c.c., l'interprete ha oggi la possibilità di fare riferimento (come ricorda correttamente proprio la sentenza in commento) alle disposizioni della Convenzione OIL n. 190/2019 che — è il caso di sottolinearlo — si applica alla violenza e alle molestie nel mondo del lavoro che si verifichino «in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscano dal lavoro» (art. 3 Conv. n. 190 OIL).

Attraverso questa strada, che si snoda tra il divieto assoluto di porre in essere le molestie sul lavoro (art. 1 e 7 Conv. n.190 OIL) e il cogente obbligo datoriale di provvedere alla protezione e alla prevenzione rispetto alle violenze e alle molestie lavorative (art. 2087 c.c.; art. 8 ss. Conv. n. 190 OIL), si sarebbe potuto giustificare in modo forse più convincente un licenziamento disciplinare che, comunque, appare legittimo sia in termini di gravità che di proporzionalità.

È opportuno a questo punto approfondire la categoria giuridica delle molestie, allo scopo di focalizzarne meglio non solo la nozione, ma anche il raggio operativo.          

Le molestie: nozione, prevenzione, protezione e contrasto

Nozione

In linea generale il concetto di molestia rappresenta, sul piano giuridico, una sorta di “contenitore” unitario e omnicomprensivo, che ricomprende non solo tutte le persecuzioni lavorative disperse nell'ordinamento italiano in una molteplicità di fattispecie di derivazione giurisprudenziale (5), ma anche le singole condotte fisicamente violente o moralmente moleste (cfr. Cass., 9 marzo 2023, n. 7029) che risultino oggettivamente inaccettabili” (se si tratta di molestie previste dalla Conv. n. 190 OIL) o soggettivamente indesiderate” (se si tratta invece di molestie disciplinate dal diritto antidiscriminatorio) (6).

Sul piano tassonomico, possiamo ricomprendere le molestie nelle situazioni stressogene espressione di una discrepanza tra organizzazione lavorativa e persone; alla base delle condotte moleste sul lavoro, infatti, vi sono sempre delle carenze nell'organizzazione dei rapporti interpersonali produttive di un ambiente di lavoro nocivo, in quanto tale contrastante con il generale precetto dell'art. 2087 c.c. (7).

Più specificamente, con i limiti che incontra qualsiasi tentativo di classificazione, tra le molteplici intersezioni degli ordinamenti giuridici (8) possiamo distinguere le due categorie delle molestie generiche (9) e delle molestie qualificate.  In particolare:

  • le molestie generiche corrispondono alla nozione recentemente introdotta dalla Convenzione n. 190 OIL, ratificata in Italia con L. 15 gennaio 2021, n. 4 (10), che include ogni pratica o comportamento inaccettabile, realizzata o anche solo minacciata, sia in un'unica occasione sia in via sistematica o reiterata, che cagioni effettivamente o anche solo in via potenziale un danno patrimoniale o non patrimoniale (cfr. art. 1, comma 1, lett. A, Conv. n. 190 OIL);
  • le molestie qualificate, invece, sono rinvenibili nelle molteplici fattispecie di molestie previste dalla normativa antidiscriminatoria di derivazione eurounitaria (11), che fa riferimento a tutti quei comportamenti indesiderati, posti in essere o per: i) specifici fattori di discriminazione legislativamente tipizzati, quali i motivi di razza o di origine etnica (art. 2, comma 3, d.lgs. n. 215/2003), quelli legati alla religione, alle convinzioni personali, alla disabilità, all'età, all'orientamento sessuale (art. 2, comma 3, d.lgs. n. 216/2003) e al sesso (art. 26, comma 1, d.lgs. n. 198/2006 e art. 55-bis, comma 4, d.lgs. n. 198/2006) o posti in essere, in alternativa, ii) in modo “sessualmente orientato” (c.d. molestie sessuali), essendo espressi in forma fisica, verbale o non verbale (art. 26, comma 2, d.lgs. n. 198/2006 e art. 55-bis, comma 5, d.lgs. n. 198/2006). Tali comportamenti hanno lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, la cui disciplina viene equiparata a tutti gli effetti a quella prevista in materia di discriminazioni dirette ed indirette.

La giurisprudenza di merito e di legittimità, che nelle non numerose pronunce intervenute fino ad oggi ha avuto modo di occuparsi (con l'eccezione della sentenza in commento) soltanto delle molestie qualificate, ha delineato i seguenti tratti distintivi:

  • la condotta o situazione molesta deve essere indesiderata dalla persona che la subisce, tanto da escluderne la sussistenza nel caso di una «evidente bilaterale relazione d'amicizia e di forte intesa e frequentazione» (cfr. Trib. Reggio Emilia, sez. lav., sentenza n. 229/2017) (12);
  • si realizza alternativamente attraverso una condotta singola ed episodica (cfr. Cass., 9 marzo 2023, n. 7029) (13) o reiterata e continuativa (Cass., 15 novembre 2023, n. 31790);
  • è del tutto irrilevante la volontà o l'intento dell'autore della condotta, avendo al contrario rilievo unicamente l'oggettività del comportamento tenuto e dell'effetto prodotto (cfr. Cass., 31 luglio 2023, n. 23295; Cass., 14 dicembre 2023, n. 35066, cit.);   
  • si può sostanziare tanto in una condotta individuale quanto in una situazione ambientale, facendo riferimento le varie norme anche all'esistenza di un «un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo»: in quest'ultimo caso, infatti, è stata riconosciuta la lesione reiterata e continuativa della dignità di una lavoratrice a causa dall'affissione di un calendario pornografico posto all'interno del luogo di lavoro (cfr. Trib. Torino, sez. lav., 4 novembre 2011, in Osservatorio sulle discriminazioni).

Le linee d'azione enucleabili dall'opera di ricomposizione di questo autentico “mosaico normativo” sono plurime, essendo rivolte tanto alla prevenzione quanto al contrasto della violenza e delle molestie sul lavoro.

Prevenzione

Con riguardo alla prospettiva prevenzionistica, possiamo individuare nella Convenzione n. 190 OIL la definizione delle linee programmatiche generali, ricomprese in una specifica sezione (la IV^, art. 7-9) a ciò espressamente dedicata (14). Viene in rilievo, in particolar modo, la previsione secondo cui ogni Stato Membro dovrà adottare leggi e regolamenti che prevedano l'identificazione e la valutazione preventiva dei rischi relativi alla violenza e alle molestie lavorative (art. 9, lett. c), oltre alla necessaria erogazione di informazioni e formazione alle lavoratrici, ai lavoratori e a tutti i soggetti interessati (art. 9, lett. d). A ciò si affiancano, sempre in ottica programmatica (trattandosi di dichiarazioni di principio che devono essere attuate principalmente nell'ambito della contrattazione collettiva), gli accordi quadro sulla violenza e le molestie nei luoghi di lavoro sottoscritti dalle parti sociali sia a livello europeo (Accordo Quadro 26 aprile 2007) sia a livello nazionale (Accordo Quadro 25 gennaio 2016).

Nello specifico, invece, disposizioni finalizzate alla prevenzione si trovano unicamente nel Testo Unico delle pari opportunità (d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198), rispettivamente nell'art. 50-bis (rubricato «Prevenzione delle discriminazioni») che dispone la possibilità di prevedere nella contrattazione collettiva misure specifiche, quali codici di condotta, linee guida e buone prassi per prevenire le molestie e le molestie sessuali nei luoghi di lavoro e nell'art. 26, comma 3-ter, che prescrive l'obbligo, anche ai sensi dell'art. 2087 c.c., di assicurare il mantenimento di un ambiente e di condizioni di lavoro tali da garantire l'integrità fisica, morale nonché la dignità di ogni lavoratore e lavoratrice.

Proprio ai Codici Etici, ai Codici di Condotta e ai regolamenti interni è riconosciuto dalla stessa giurisprudenza un ruolo centrale nella prevenzione e nel contrasto dei fenomeni violenti e molesti sul lavoro: in alcune recenti pronunce, infatti, la legittimità degli interventi disciplinari del datore di lavoro è stata fondata proprio sulla violazione da parte dei soggetti incolpati delle regole interne finalizzate all'organizzazione dei rapporti interpersonali (cfr. Cass., 13 giugno 2022, n. 18992, in Lav. giur., n. 10, 1° ottobre 2022, p. 976; Cass., 26 settembre 2023, n. 27363 con nota di BAVASSO, Legittimità del licenziamento disciplinare per violazione del Codice Etico Aziendale, in Quot. giur., 31 ottobre 2023).  

              

Protezione e contrasto

Sul piano della protezione della vittima e del contrasto delle condotte violente e moleste possiamo distinguere, in base alla finalità perseguita, tra:

  • strumenti di tutela della vittima;
  • strumenti di tutela della vittima e di contrasto dei molestatori;

In particolare, nella prima categoria rientrano gli strumenti di autotutela apprestati dall'ordinamento a favore delle vittime di condotte moleste, che si sostanziano rispettivamente nelle i) dimissioni per giusta causa e nel ii) rifiuto della prestazione lavorativa.

Le dimissioni per giusta causa hanno fonte nella disciplina codicistica (art. 2119 c.c.) e sono pacificamente riconosciute dalla giurisprudenza quale strumento per l'unilaterale cessazione del rapporto in caso di molestie lavorative e per il percepimento della correlativa indennità sostitutiva del preavviso (cfr. Trib. Como, sez. lav., 20 marzo 2017, n. 36), in conformità con la Raccomandazione 206 OIL (par. 14, lett. a), che prescrive il “diritto alle dimissioni con indennità”.  

Quanto al rifiuto della prestazione lavorativa, esso rientra nelle cosiddette eccezioni qualificate di inadempimento previste unicamente dalla normativa antidiscriminatoria di genere, che con l'art. 26, comma 3, d.lgs. n. 198/2006  ha legittimato il rifiuto tout court del lavoratore o della lavoratrice rispetto alle condotte moleste e/o discriminatorie di cui all'art. 26, comma 1, 2 e 2-bis d.lgs. n. 198/2006, sanzionando con la nullità tutti gli atti, i patti o i provvedimenti datoriali adottati in conseguenza di tale rifiuto (15).

Con riferimento invece agli istituti che assolvono congiuntamente la funzione di tutela della vittima e di contrasto nei confronti dei soggetti attivi delle condotte moleste, possiamo annoverare i) il risarcimento del danno e ii) l'esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro.

Più precisamente, per ciò che concerne il rimedio risarcitorio, esso assume nella specifica materia delle molestie lavorative (e delle discriminazioni) una natura polifunzionale, in aderenza con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601Cass., 2 novembre 2021, n. 31071, § 10; Cass., 15 dicembre 2020, n. 28646, § 7.6) e ribadito in numerose pronunce anche della Corte di Giustizia UE, che hanno sottolineato come i rimedi giurisdizionali risarcitori in materia di repressione delle discriminazioni e delle molestie sul lavoro debbano essere effettivi, efficaci e «avere per il datore un effetto dissuasivo reale”, non potendosi limitare “ad un indennizzo puramente simbolico» (cfr. CGUE, 10 aprile 1984, Von Colson, causa 14/83, §23). Su questo solco si è da tempo incamminata la giurisprudenza di merito, che in questa specifica — e delicata — materia ha riconosciuto la risarcibilità del danno in re ipsa (c.d. danno-evento) con funzione anche dissuasiva (16).

Per ciò che invece riguarda l'esercizio del potere disciplinare, esso chiama direttamente in causa il generale dovere di protezione in capo al datore di lavoro ex art. 2087 c.c., specificato dalle disposizioni prevenzionistiche in materia di molestie sopra citate (in particolare l'art. 26, comma 3-ter, d.lgs. n. 198/2006).

Si tratta di un tema ultimamente molto ricorrente nella giurisprudenza, soprattutto sul piano della legittimità dei licenziamenti disciplinari irrogati agli autori di molestie sul lavoro (17). In questa prospettiva, è stata riconosciuta la legittimità del licenziamento per giusta causa del dipendente autore di allusioni verbali e di contatti fisici a sfondo sessuale nei confronti di una collega (cfr. Cass., 31 luglio 2023, n. 23295), del lavoratore che - in un'unica occasione - aveva rivolto frasi sconvenienti e offensive ad alta voce, alla presenza di altre persone, relative all'orientamento sessuale di un'altra collega (cfr. Cass., 9 marzo 2023, n. 7029) (18), del responsabile che aveva dato una pacca sul fondoschiena ad una propria collaboratrice, rivolgendo ad un'altra commenti sul suo “sedere giovanile” (cfr. Cass., 26 settembre 2023, n. 27363) e del dipendente che, nonostante una preventiva diffida dell'azienda, aveva continuato a rivolgere alle colleghe inopportuni e indesiderati approcci eavances (cfr. Cass., 15 novembre 2023, n. 31790).     

Note

(1) Per una completa panoramica sui vari orientamenti dottrinali, cfr. FAVRETTO, Può il datore di lavoro limitare la sfera sessuale del lavoratore in nome degli obblighi di fiducia e correttezza?, in Arg. dir. lav., n. 4 e 5, 1 luglio 2016, p. 1009.

(2) Cfr. FAVRETTO, Può il datore di lavoro limitare la sfera sessuale del lavoratore in nome degli obblighi di fiducia e correttezza?, cit.

(3) Cfr. EGE, Oltre il mobbing. Straining, stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, Milano, 2005, p.109. Si veda anche DE PAOLIS, Il fenomeno dello stalking occupazionale, in Azienditalia — Il Personale, n. 3, 1° marzo 2014, il quale correttamente, sul piano civilistico, afferma che «Lo stalking occupazionale è infatti riconducibile alla violazione dell'obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori gravante sul datore di lavoro (art. 2087 Cod. civ.)».

(4) Cfr. OIL, Violenza e molestie nel mondo del lavoro. Un'analisi della giurisprudenza italiana, Roma, 2022, p. 28.

(5) Cfr. OIL, Violenza e molestie nel mondo del lavoro. Un'analisi della giurisprudenza italiana, cit., p. 20 ss.

(6) La dicotomia tra condotta “indesiderata” e “inaccettabile” costituisce una possibile “faglia” tra la legislazione antidiscriminatoria e la disciplina della Convenzione 190 OIL. Se infatti nella prima il riferimento è alla percezione soggettiva dei “comportamenti indesiderati” da parte della vittima, nella seconda è all'oggettiva e condivisa concezione sociale dell'inaccettabilità dei comportamenti; cfr. SCARPONI, Dopo la ratifica della Convenzione OIL n. 190/2019 su violenza e molestie nei luoghi di lavoro: un cantiere normativo ancora aperto, Labour Law Community, 15 marzo 2022. Al contrario, la distinzione viene considerata soltanto apparente da parte di altra dottrina, che riconduce la nozione di “inaccettabilità” alla percezione soggettiva della vittima, che considera intollerabili comportamenti lesivi della propria dignità, cfr. ALESSI, La Convenzione ILO sulla violenza e le molestie sul lavoro, in Lav. dir., n. 3/2023, p. 583.

(7) Si rimanda a ROSIELLO, TAMBASCO, Il danno da stress lavorativo: una categoria polifunzionale all'orizzonte?, in IUS Lavoro (ius.giuffrefl.it), 8 novembre 2022.

(8) Sulla sovrapposizione degli ambiti di applicazione dei diversi ordinamenti giuridici e sulla formazione di “spazi giuridici ibridi”, cfr. PAROLARI, L'interlegalità come metodo?, in L'era dell'interlegalità, a cura di CHITI, DI MARTINO, PALOMBELLA, Bologna, 2021, p. 119 ss.; più in generale, sulla pluralità degli ordinamento giuridici, si rimanda al classico contributo di SANTI ROMANO, L'ordinamento giuridico, Milano,  2018.  

(9) Sulla distinzione tra molestia generica o sessuale, si veda la recente pronuncia di Cass., 26 settembre 2023, n. 27363, § 5.

(10) Le disposizioni della Convenzione OIL, entrate in vigore il 29 ottobre 2022, costituiscono parametro di valutazione della legittimità costituzionale delle norme di diritto interno ai sensi dell'art. 117, 1° comma della Costituzione, rappresentando norme interposte di rango sub-costituzionale, cfr. OIL, Violenza e molestie nel mondo del lavoro. Un'analisi della giurisprudenza italiana, cit., p. 52.

(11) Direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica; Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e Direttiva 2006/54/CE in materia di pari opportunità e di parità di trattamento fra uomini e donne nel lavoro.

(12) Cfr. OIL, Violenza e molestie nel mondo del lavoro. Un'analisi della giurisprudenza italiana, cit., p. 20.

(13) Cfr. ALESSI, La Convenzione ILO sulla violenza e le molestie sul lavoro, cit., p. 581.

(14) Cfr. ALESSI, La Convenzione ILO sulla violenza e le molestie sul lavoro, cit., p. 586 ss.

(15) Cfr. TAMBASCO, E' legittimo il rifiuto della prestazione lavorativa del dipendente nel caso di demansionamento, mobbing o molestie?, in IUS Lavoro (ius.giuffrefl.it), 21 settembre 2022.   

(16) Cfr. TAMBASCO, Il danno da discriminazione sul lavoro nelle recenti pronunce della giurisprudenza di merito, in IUS Lavoro (ius.giuffrefl.it), 29 marzo 2022.

(17) Cfr. TOFFOLETTO e SONCIN, Licenziamento per molestie alla collega, in Modulo24 Contenzioso Lavoro, 18 dicembre 2023.

(18) Cfr. NUNIN, Espressioni offensive riferite all'orientamento sessuale di una collega e legittimità del licenziamento per giusta causa, in Fam. dir., n. 8 e 9, 1° agosto 2023, p. 750.

Sommario