Note sulla responsabilità dei liquidatori per il pagamento delle imposte dovute dalla società

22 Gennaio 2024

Con la sentenza n. 32790 del 27 novembre 2023 le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute su una questione ampiamente trattata dalla prassi giurisprudenziale e, ciononostante, ancora caratterizzata da ampi margini di incertezza interpretativa, persino aggravati proprio dalla stratificazione di orientamenti pretori e dottrinali tutt'altro che univoci. L'argomento esaminato concerne l'esatta individuazione dei presupposti della responsabilità del liquidatore per il pagamento delle imposte dovute dai soggetti passivi dell'Ires, prevista e disciplinata dall'art. 36, comma 1, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Massima

In materia di responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, traente titolo per fatto proprio, ex lege, di natura civilistica e non tributaria, la preventiva iscrizione a ruolo del credito tributario societario non costituisce condizione necessaria per la legittimità dell'atto di accertamento emesso, ai sensi del quinto comma dello stesso art. 36, nei confronti del liquidatore, il quale, in sede di ricorso avverso tale avviso, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell'azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società.

La menzionata disposizione prevede la responsabilità personale dei liquidatori per le imposte dovute dalle società allorquando essi non abbiano pagato tali imposte con le attività della liquidazione ed abbiano altresì proceduto all'assegnazione di beni ai soci o associati o, in alternativa, abbiano soddisfatto crediti di rango inferiore a quelli tributari (così dispone il citato art. 36, primo comma, d.P.R. n. 602/1973, sostituito per effetto della novella di cui all'art. 28, comma 5, lett. a), d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175: “I liquidatori dei soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all'importo dei crediti d'imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”).

La ratio della norma è chiaramente quella di apprestare una tutela rafforzata del credito tributario in una fase particolarmente rischiosa per l'interesse dei creditori, nella quale il patrimonio sociale viene liquidato e l'ente si avvia alla sua definitiva disgregazione.

È interessante notare sin d'ora come la norma in discussione assuma una rilevanza sistematica tale da travalicare i confini propri della fattispecie regolata, non tanto nella parte in cui conferma la sostanziale equiparazione dei soci alla posizione di creditori di ultima istanza, portatori di pretese subordinate a quelle di tutti gli altri creditori dell'ente in liquidazione (di talché il liquidatore non può legittimamente assegnare beni sociali ai soci se ancora sussistono creditori sociali insoddisfatti, rispondendo personalmente verso questi ultimi qualora ciò dovesse avvenire), ma soprattutto nella parte in cui richiede che il liquidatore provveda al pagamento dei crediti sociali facendo applicazione del principio della par condicio creditorum, declinato nel rispetto delle cause legittime di prelazione ex art. 2741, comma 2, c.c.. L'art. 36, comma 1, d.P.R. n. 602/1973, infatti, impone al liquidatore di non pagare crediti “di ordine superiore a quelli tributari”, a pena di rispondere personalmente per i crediti tributari pretermessi, nei limiti delle somme “che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”, in tal modo confermando che il principio della par condicio creditorum assume il ruolo di criterio generale per disciplinare la fase di pagamento dei debiti sociali anche nel corso della liquidazione volontaria, a prescindere dall'apertura di una procedura concorsuale.

Nessun dubbio rilevante sorge, dunque, nell'individuare la finalità ed i tratti essenziali del regime di responsabilità delineato dalla norma in esame. Non così, invece, quando si tratti di dare concreta attuazione al suddetto art. 36; in tale opera, infatti, l'interprete si trova dinanzi ad una nutrita rassegna di massime giurisprudenziali ed opinioni dottrinali basate prevalentemente su “formule stereotipe”, la cui riproposizione denuncia la sostanziale rinuncia ad una ricostruzione della materia sistematicamente solida.

Nel contesto sin qui descritto, l'intervento delle Sezioni Unite appare quindi senz'altro meritorio, poiché s'incarica di esaminare criticamente alcune delle formule stereotipe sin ora stratificatesi, superandone alcune e fornendo utili chiarimenti sulla materia scrutinata; come si vedrà meglio nel prosieguo, peraltro, alcune perplessità residuano anche dopo l'intervento nomofilattico, sicché il dibattito sull'argomento sembra destinato a continuare, trovando tuttavia nei principi espressi dalla Cassazione alcuni saldi punti fermi, che è utile mettere in luce

Il caso 

Il caso portato all’attenzione delle Sezioni Unite della Cassazione vedeva il liquidatore di una società di capitali che, prima di procedere alla cancellazione della stessa dal registro delle imprese, con l’attivo ricavato dalle operazioni di liquidazione del patrimonio sociale aveva soddisfatto i creditori chirografari senza alcuna considerazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione precedentemente presentata dalla stessa società.

Impugnando l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Amministrazione Finanziaria ex art. 36, comma 5, d.P.R. n. 602/1973 (a mente del quale, “La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”), il liquidatore aveva eccepito la non configurabilità a suo carico della responsabilità di cui al primo comma del medesimo articolo, poiché il debito d’imposta della società, di cui l’Amministrazione Finanziaria avrebbe inteso chiamarlo a rispondere, non risultava iscritto a ruolo nemmeno a titolo provvisorio, difettando così uno dei presupposti richiesti (secondo la sua prospettazione) per l’applicazione del citato art. 36, comma 1, d.P.R. n. 602/1973, ovvero, per l’appunto, l’iscrizione a ruolo del debito tributario della società rimasto insoddisfatto.

Tanto in primo grado quanto in appello la doglianza dell’ex liquidatore era stata respinta, poiché i giudici del merito avevano ritenuto che i debiti erariali fossero certi sia nell’an che nel quantum, emergendo dalla dichiarazione presentata dalla stessa società. A fronte di tali conformi decisioni di merito, la controversia veniva perciò sottoposta all’esame della Cassazione.

La questione

La quaestio iuris specificamente dedotta all'attenzione dei giudici di legittimità concerne proprio l'esatta individuazione della nozione di “imposte dovute” rilevante agli effetti dell'art. 36, d.P.R. n. 602/1973, ovverosia se per “imposte dovute” e non pagate, di cui il liquidatore può essere chiamato a rispondere personalmente, debbano intendersi soltanto le imposte iscritte a ruolo a carico della società.

L'interrogativo posto alla Cassazione non presentava una risposta univoca, atteso che dottrina e giurisprudenza hanno espresso nel tempo posizioni contrastanti.

Una prima tesi (Cass., sez. VI-5, ord. 8 gennaio 2014, n. 179; in dottrina, Belli Contarini, Ficari, Ragucci 2013; Carinci 2014; Carinci 2015; Grassotti) sosteneva che il liquidatore avrebbe potuto rispondere personalmente ex art. 36, comma 1, d.P.R. n. 602/1973 soltanto nel caso in cui il debito sociale fosse certo e definitivo, dovendosi allora trattare di imposte definitivamente accertate a carico della società. Secondo una diversa posizione (tra le altre, Cass., sez. V, ord. 26 maggio 2021, n. 1457; Cass., sez. V, sent. 19 novembre 2019, n. 29969; in dottrina, Bodrito; Russo-Coli), prevalente in giurisprudenza, per far valere la responsabilità personale del liquidatore sarebbe stato sufficiente, ma comunque necessario, che il debito sociale insoddisfatto dovesse essere suscettibile di essere posto in riscossione e, dunque, che costituisse oggetto di iscrizioni a ruolo effettuate anche a titolo provvisorio o di avvisi di accertamento esecutivi affidati per la riscossione.

Nell'ambito di tale secondo orientamento, si registrava poi una divergenza di opinioni proprio in merito alla fattispecie che veniva in rilievo nel caso sottoposto alle Sezioni Unite, nella quale il debito sociale insoddisfatto risultava dalla dichiarazione presentata dalla stessa società. In relazione a tale ipotesi, alcuni osservatori sostenevano che l'iscrizione a ruolo fosse necessaria anche per i debiti risultanti dalla dichiarazione presentata dalla società (Bodrito), mentre altri ritenevano che le imposte dichiarate e non versate dalla società potessero senz'altro ritenersi “dovute” agli effetti dell'art. 36, primo comma, d.P.R. n. 602/1973 (Russo-Coli).

Trovatasi a doversi pronunciare su tale materia, la quinta sezione della Corte di Cassazione ha dapprima chiesto una relazione all'Ufficio del Massimario e del Ruolo “sulla ricostruzione del quadro normativo di riferimento e sulle modalità di accertamento della responsabilità del liquidatore” e, all'esito della successiva udienza pubblica, ha ritenuto di rimettere alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza così compendiata: “se l'azione dell'Amministrazione finanziaria nei confronti del liquidatore di una società D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 36, presupponga l'accertamento del debito tributario della società e la sua iscrizione a ruolo” (così l'ordinanza di rimessione, Cass., sez. V, ord. 6 dicembre 2022, n. 35805).

La soluzione giuridica

La pronuncia delle Sezioni Unite prende avvio dalla ricostruzione del quadro normativo di riferimento, passando poi ad esaminare gli orientamenti maturati sulla questione controversa e sopra brevemente riepilogati. Il nucleo centrale dell'iter argomentativo seguito dai Giudici di legittimità ha ad oggetto, in sostanza, la confutazione dei due orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sopra richiamati, cioè quello in base al quale la responsabilità del liquidatore richiederebbe la certezza e definitività del debito sociale insoddisfatto e quello per il quale sarebbe sufficiente, ma comunque necessario, che il debito sia suscettibile di essere posto in riscossione (e dunque iscritto a ruolo o affidato per la riscossione).

La confutazione della tesi della necessaria certezza e definitività del debito tributario sociale

Secondo un indirizzo ermeneutico diffuso in dottrina e che ha trovato riscontro (invero isolato) anche in giurisprudenza, la responsabilità personale del liquidatore presupporrebbe un'obbligazione tributaria già definitivamente accertata in capo alla società, come nelle ipotesi in cui l'avviso di accertamento non sia stato impugnato oppure vi sia stata sentenza passata in giudicato. Alla base di tale orientamento vi è, come ricordava l'ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite, l'individuazione di una relazione di rigida dipendenza tra la responsabilità del liquidatore e l'obbligazione tributaria gravante sulla società, integrante un elemento della fattispecie generatrice della responsabilità dei liquidatori. Tale ricostruzione presta però il fianco a diverse obiezioni.

Sul piano teleologico, in primo luogo, appare evidente che l'esigenza di tutela del credito tributario cui risponde la norma non riguarda soltanto crediti definitivamente accertati (per tale rilievo, cfr. Basilavecchia), sicché tale delimitazione del presupposto applicativo della norma finirebbe per frustrarne la ratio.

In secondo luogo, v'è da considerare che la definitività ed incontestabilità del debito tributario accertato a carico della società non implica affatto l'incontestabilità di tale debito anche da parte del liquidatore chiamato a rispondere in proprio ai sensi dell'art. 36, primo comma, d.P.R. n. 602/1973. A tal proposito la sentenza in commento ribadisce con forza l'autonomia dell'obbligazione del liquidatore rispetto a quella della società: “Ai sensi dell'art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, il liquidatore della società è responsabile, nei confronti dell'Erario, in proprio e in forma autonoma rispetto all'obbligazione tributaria societaria, trattandosi di responsabilità fondata su un diverso titolo: al mancato pagamento delle imposte dovute dalla società deve aggiungersi la condotta personale del liquidatore che, violando gli obblighi conseguenti alla carica rivestita, ha utilizzato l'attività di liquidazione per l'assegnazione di beni ai soci oppure per soddisfare crediti di ordine inferiore a quelli tributari che perciò sono rimasti insoluti”; da ciò discende che in capo al liquidatore non può essere riconosciuta “la qualità di successore della società nei debiti tributari della stessa”, da cui l'ulteriore corollario che l'eventuale irretrattabilità del debito tributario della società, quand'anche derivante dal giudicato, non è affatto opponibile al liquidatore, il quale conserverà il diritto di contestare la sussistenza di tutti i presupposti della propria responsabilità invocata dall'Erario, ivi inclusa l'esistenza del debito societario.

Sulla base di tale condivisibile iter motivazionale, le Sezioni Unite concludono che la certezza dell'esistenza del debito della società rimasto insoddisfatto non può costituire un elemento esterno al procedimento di accertamento della responsabilità del liquidatore (ed al successivo giudizio eventualmente avviato dal liquidatore medesimo), come invece presuppongono le tesi volte a sostenere che il liquidatore può rispondere soltanto per le imposte definitivamente accertate a carico della società; al contrario, l'esistenza del debito sociale insoddisfatto è un elemento che deve essere accertato proprio all'esito di tale procedimento (e del successivo eventuale giudizio), nei confronti del liquidatore di cui si invoca la responsabilità. In tale quadro, l'acquisita definitività del debito tributario della società (per mancata impugnazione dell'atto impositivo o per intervento di un giudicato contrario alla società stessa) risulta del tutto ininfluente sull'accertamento della responsabilità personale del liquidatore (in tal senso, in dottrina, Basilavecchia).

La confutazione della necessaria iscrizione a ruolo del debito tributario sociale

Le Sezioni Unite giungono a confutare anche la tesi secondo la quale le imposte “dovute” agli effetti dell'art. 36, primo comma, d.P.R. n. 602/1973, sarebbero soltanto quelle iscritte a ruolo.

Nella sentenza in commento si afferma che “le ragioni di questa interpretazione non sono chiaramente ed esaustivamente esplicitate” ed in effetti, per quanto si trattasse della posizione maggiormente diffusa nella stessa giurisprudenza di legittimità e con un rilevante seguito anche in dottrina, il fondamento logico e giuridico di tale assunto non è mai stato chiaramente individuato.

Posto che la norma non richiede l'iscrizione a ruolo delle imposte e che l'iscrizione a ruolo nulla aggiunge in termini di certezza all'esistenza del debito sociale, infatti, non è chiaro il motivo per cui il liquidatore dovrebbe essere chiamato a rispondere personalmente del debito sociale insoddisfatto soltanto se tale debito risulti riscuotibile coattivamente a carico della società; d'altro canto, come ricorda la Suprema Corte, “l'iscrizione a ruolo non genera l'imposta, rendendola dovuta, dovendosi a tal fine fare, invece, riferimento, al momento genetico del credito erariale che varia a seconda del tributo e segue, pertanto, una disciplina propria”.

Tale ultimo riferimento si inserisce nell'annosa vexata quaestio concernente l'individuazione della fonte dell'obbligazione tributaria, innestandosi nell'ambito della contrapposizione tra teorie “dichiarativiste” e teorie “costitutiviste”. Senza addentrarsi in questa sede in tale complessa materia, è necessario soltanto dare atto di come la giurisprudenza di legittimità sia da sempre fermamente orientata nella direzione indicata dalle ricostruzioni teoriche dichiarativiste (ad esempio, in merito alla verifica della concorsualità dei crediti tributari), individuando l'origine dell'obbligazione d'imposta nello stesso verificarsi del presupposto di fatto del tributo, a prescindere dal concretizzarsi delle attività necessarie per giungere alla sua effettiva soddisfazione. Il fatto che soltanto per l'attivazione della responsabilità del liquidatore ex art. 36, primo comma, d.P.R. n. 602/1973 la stessa giurisprudenza della Cassazione richiedesse l'iscrizione a ruolo del debito sociale risultava, dunque, difficilmente comprensibile.

Con particolare riguardo alla tematica in discussione, peraltro, è interessante notare come le conclusioni ora accolte dalle Sezioni Unite fossero state anticipate in dottrina sin dagli anni successivi alla legislazione delegata degli anni Settanta e, circostanza ancor più significativa, da una prospettiva fermamente “costitutivista” (Tesauro). La sentenza in commento riprende a tratti anche testualmente tale opinione dottrinale e, pur muovendo da una prospettiva apertamente dichiarativista, giunge alla fine alle medesime conclusioni. Sottoposta ad un'attenta disamina critica, dunque, le Sezioni Unite dimostrano l'inconsistenza della tesi secondo cui il liquidatore sarebbe responsabile ex art. 36, primo comma, d.P.R. n. 602/1973, soltanto per i debiti sociali suscettibili di essere posti in riscossione, superando un principio in precedenza costantemente affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità.

Per corroborare tale conclusione, infine, la Cassazione evidenzia anche le conseguenze per certi versi paradossali cui darebbe luogo l'accoglimento della tesi della necessaria iscrizione a ruolo delle imposte dovute dalla società nell'ipotesi in cui questa sia già stata cancellata dal registro delle imprese prima che l'Amministrazione Finanziaria abbia potuto porre in riscossione le imposte medesime. La Cassazione rileva infatti che in tale ipotesi “l'Erario sarebbe onerato di una duplice iniziativa nei confronti, il più delle volte, del medesimo soggetto (il liquidatore), prima quale legale rappresentante della società, sia pure estinta, al fine di conseguire un titolo verso la società, e poi, in proprio, quale responsabile ex art. 36 cit., comma quinto” e ciò si porrebbe “in contrasto con il principio di economia dei mezzi giuridici e un inutile sacrificio dell'interesse pubblico alla pronta realizzazione del credito tributario”.

Il principio affermato dalle Sezioni Unite e la decisione della controversia

Alla luce delle considerazioni sin qui sintetizzate, le Sezioni Unite risolvono la questione rimessa al loro esame affermando il seguente principio di diritto: “in materia di responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, traente titolo per fatto proprio, ex lege, di natura civilistica e non tributaria, la preventiva iscrizione a ruolo del credito tributario societario non costituisce condizione necessaria per la legittimità dell'atto di accertamento emesso, ai sensi del quinto comma dello stesso art. 36, nei confronti del liquidatore, il quale, in sede di ricorso avverso tale avviso, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell'azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società”.

Sulla base di tale principio, la fattispecie concreta esaminata è decisa senza particolare difficoltà: nel caso scrutinato il debito sociale rimasto insoddisfatto risultava dalla dichiarazione presentata dalla stessa società (successivamente estinta) e l'ex liquidatore “nulla ha dedotto in ordine alla eventuale non debenza o insussistenza del debito tributario che, invece, secondo l'ordinaria diligenza conseguente alla carica rivestita e agli obblighi alla stessa connessi, avrebbe dovuto appostare nel bilancio di liquidazione, e quindi, soddisfare nei limiti della capienza del patrimonio sociale, invece di procedere, come avvenuto, alla ripartizione dell'attivo ai creditori chirografari”. La responsabilità personale dell'ex liquidatore, dunque, è confermata, a nulla rilevando che il debito d'imposta della società non fosse stato iscritto a ruolo.

Osservazioni

Le perplessità residue in merito alla giurisdizione tributaria sulla responsabilità (civile) del liquidatore

Si è detto nel paragrafo introduttivo che con l'intervento nomofilattico in commento le Sezioni Unite fissano un importante principio, utile nel delineare le modalità applicative del regime di responsabilità del liquidatore per i debiti tributari sociali insoddisfatti; è stato però anche detto che la sentenza mostra alcuni limiti, che è opportuno affrontare.

Nell'enunciare il principio di diritto sopra riportato, le Sezioni Unite hanno affermato che il liquidatore è legittimato a contestare la sussistenza dei presupposti dell'azione intrapresa nei suoi confronti (ivi compresa la debenza di imposte a carico della società) dinanzi “agli organi della giustizia tributaria”. L'impugnabilità dinanzi al Giudice Tributario dell'avviso di accertamento ex art. 36, comma 5, d.P.R. n. 602/1973 è infatti sancita dal successivo sesto comma del medesimo articolo, il quale ancora richiama “le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636”.

A prescindere dal richiamo normativo non aggiornato, appare evidente che l'attribuzione alla giurisdizione tributaria dell'accertamento della responsabilità del liquidatore risulta assai problematica sul piano costituzionale se, come ribadiscono le stesse Sezioni Unite, le condotte da cui tale responsabilità sorge “non hanno natura tributaria perché sono estranee alla realizzazione di fatti indice di capacità contributiva”, sicché la stessa responsabilità del liquidatore ha “natura civilistica e fa riferimento alla responsabilità risarcitoria verso il creditore che l'art. 1218 cod.civ.”.

La Cassazione tenta di superare tale grave contraddizione affermando che la giurisdizione tributaria troverebbe giustificazione “nella considerazione che se la fonte della responsabilità del liquidatore ha natura civilistica l'oggetto ha, pur sempre, natura tributaria trattandosi di quella stessa imposta dovuta ma che non fu versata, di talché l'atto che accerta l'inadempimento dell'obbligo di pagare il tributo e lo liquida non può che avere natura tributaria”, ed ancora, che “la risoluzione delle questioni civilistiche, come ritenuto anche da parte della dottrina, appare pregiudiziale anche per liquidare le imposte dovute e non versate di cui il liquidatore debba rispondere. Tale liquidazione è propriamente tributaria e, quindi, la giurisdizione tributaria conoscerebbe degli obblighi civilistici del liquidatore come questione incidentale da cui dipende la decisione sulla debenza dell'imposta non versata e ciò in base all'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992”.

Le affermazioni appena citate sono riprese testualmente da un precedente intervento dottrinale (Bodrito) ma risultano assai poco coerenti con il percorso motivazionale esposto dalle Sezioni Unite nella stessa sentenza in commento.

In primo luogo, l'assunto secondo cui la responsabilità del liquidatore, pur scaturendo da “fonte civilistica”, avrebbe “oggetto tributario”, non sembra tenere alcuna considerazione del fatto che l'intero percorso argomentativo esposto nella stessa sentenza di fonda sulla netta distinzione tra obbligazione tributaria della società e obbligazione risarcitoria gravante sul liquidatore, rispetto alla quale le Sezioni Unite ritengono coerente anche “la limitazione della responsabilità del liquidatore alla misura delle imposte che sarebbero state pagate e incassate dal Fisco se il liquidatore avesse agito con diligenza” (limitazione alla luce della quale è anche opinabile, almeno nella sua assolutezza, l'affermazione secondo cui si tratterebbe “di quella stessa imposta dovuta ma che non fu versata”); d'altro canto, a conferma della manifesta inconsistenza della distinzione tra “fonte civilistica” e “oggetto tributario” della responsabilità del liquidatore, in un successivo passo della sentenza in commento si fa riferimento espresso “Al distinto titolo e alla stessa diversità di oggetto della responsabilità posta a carico del liquidatore dall'art. 36 cit.”, da cui “consegue allora che il debito tributario della società costituisce mero presupposto fattuale di tale responsabilità”.

Tale ultimo rilievo mostra poi la palese contraddittorietà dell'assunto secondo cui “la giurisdizione tributaria conoscerebbe degli obblighi civilistici del liquidatore come questione incidentale da cui dipende la decisione sulla debenza dell'imposta non versata”. Se, come affermano le Sezioni Unite, il debito tributario della società costituisce mero presupposto fattuale della responsabilità del liquidatore, è semmai vero il contrario: è l'obbligo tributario della società che deve essere accertato incidentalmente, nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità civile del liquidatore, quale mero presupposto fattuale di tale responsabilità.

Trattandosi di responsabilità risarcitoria di natura civilistica, come ripetutamente affermato dalle Sezioni Unite, tale accertamento non potrebbe che avvenire dinanzi al Giudice ordinario, pena la violazione dell'art. 102 della Costituzione (per l'illegittimità costituzionale dell'art. 36, ultimo comma, d.P.R. n. 602/1973, in dottrina, Basilavecchia).

Sul punto la decisione delle Sezioni Unite appare dunque non risolutiva, risolvendosi nel recepimento acritico di un'opinione dottrinale non coerente con l'elaborazione sistematica compiuta nella medesima sentenza del regime di responsabilità del liquidatore ex art. 36, comma 1, d.P.R. n. 602/1973; si tratta dunque, come si accennava in apertura, di un profilo della questione che meriterebbe di essere approfondito ulteriormente nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale e che probabilmente richiederebbe di essere rimeditato.

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