Danno non patrimoniale da cancellazione del volo aereo e risarcibilità dei diritti inviolabili della persona

21 Febbraio 2024

L'ordinanza n. 33276/2023 della terza sezione della Corte si è attenuta ai principi consolidati affermati dalla Corte, facendone applicazione in una fattispecie in cui un passeggero, a causa della cancellazione di un volo, non era stato in grado di partecipare ai funerali del padre.

La fattispecie concreta

Un passeggero proponeva ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, che, in qualità di giudice d'appello, aveva confermato la sentenza del Giudice di Pace con cui era stato condannato il vettore aereo a risarcire al passeggero la somma di euro 600,00 per volo cancellato, ai sensi del Regolamento Ce n. 261/2004, e l'ulteriore somma di euro 46,00 per spese, mentre erano state respinte le ulteriori domande attoree di risarcimento del danno patrimoniale, dovuto per lunga attesa in aeroporto, per pernottamento in albergo e per costi di bevande e mezzi di trasporto e di risarcimento del danno esistenziale, rectius non patrimoniale, per non aver potuto partecipare a causa della cancellazione del volo alle esequie del padre.

Il giudice d'appello aveva negato la risarcibilità del danno non patrimoniale (recte, del danno morale) richiesto dall'originario attore ai sensi dell'art. 2059 c.c., in relazione alla mancata partecipazione ai funerali del padre per cancellazione del volo, per aver rilevato, da un lato, che siffatto danno non era di entità tale da determinare un peggioramento della qualità della vita, e, dall'altro, che «la cancellazione di un volo non è reato».

L'ordinanza n. 33276/2032 della terza sezione della Cassazione

La pronuncia qui in commento ha, dapprima, richiamato la posizione della Corte di Giustizia UE secondo cui, quando la compensazione pecuniaria prevista dal Regolamento 261/2004 non copre interamente il danno materiale morale subito dai passeggeri, questi ultimi possono chiedere il risarcimento supplementare alla compagnia aerea entro i limiti fissati dal diritto internazionale e dal diritto nazionale, dovendo infatti poter ottenere una compensazione integrale del danno subito (sentenza del 13/10/2011, C-83/10, Sousa Rodriguez e altri), ed ha altresì precisato che il massimale previsto dalla Convenzione di Montreal in caso di distruzione o di perdita dei bagagli comprende qualsiasi tipo di danno, vale a dire tanto il danno materiale quanto il danno morale, posto che la limitazione del risarcimento si riferisce al danno complessivamente subito da ciascun passeggero, indipendentemente dalla natura del danno (sentenza 06/05/2010, C-63/09, Walz).

Di seguito, ha menzionato la nota sentenza n. 26972/2008 con la quale le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

- il danno non patrimoniale, quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, è risarcibile sia quando derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale;

- il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.: a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati ex ante dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice;

- il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. - anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.

Infine, sempre la S.C. Corte ha a più riprese ritenuto che il danno non patrimoniale, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, in quanto il danno risarcibile si identifica non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni (v., ex multis, Cass. civ., 26 ottobre 2017, n. 25420; Cass. civ., 28 marzo 2018, n. 7594; Cass. civ., 6 dicembre 2018, n. 31537).

Sulla base di tali presupposti, l'ordinanza in oggetto ha ritenuto che, nel caso di specie, l'impugnata sentenza non abbia fatto buon governo dei su indicati principi, avendo omesso di effettivamente valutare se il pregiudizio non patrimoniale dedotto abbia superato quella soglia di sufficiente gravità individuata in via interpretativa dalla giurisprudenza e avendolo “sbrigativamente” qualificato in termini di lievità e di totale irrilevanza, senza considerare che le relazioni familiari godono di tutela costituzionale (artt. 29 e 30 Cost.) e che, secondo la sensibilità comune, la partecipazione alle esequie del proprio padre defunto costituisce evento necessariamente unico ed irripetibile, tale da scandire il momento del saluto e della consapevolezza della perdita subita, per cui la sussistenza di forzati impedimenti, causati dall'altrui inadempimento, alla partecipazione ad un evento siffatto può ragionevolmente essere collocata nell'ambito della soglia della risarcibilità imposta dal diritto vivente, non potendo essere relegata sic et simpliciter, senza alcun apprezzamento da parte del giudice di merito, nell'ambito del pregiudizio bagattellare.

In conclusione, il Collegio, nell'accogliere il ricorso, ha enunciato il seguente principio di diritto: «premesso che il danno non patrimoniale, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, in quanto si identifica non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, l'impedimento alla partecipazione delle esequie di un genitore determinata da inadempimento (come nel caso di specie) o illecito altrui, giustifica il risarcimento del danno non patrimoniale».

La cancellazione del volo

I principali obblighi che sono a carico di un vettore aereo sono quelli di assicurare la tempestività del volo e l'arrivo dei bagagli (oltre che, ovviamente, del passeggero) a destinazione.

In forza del diritto dell'Unione, i vettori aerei sono tenuti a versare una compensazione pecuniaria ai passeggeri in caso di cancellazione di un volo o di ritardo di oltre tre ore (invero, nella sentenza Sturgeon - CGUE del 19 novembre 2009, C-402/07 e C-432/07 - la Corte di Giustizia ha considerato che i passeggeri di voli ritardati possono essere assimilati ai passeggeri di voli cancellati per quanto riguarda il loro diritto ad una compensazione pecuniaria), indipendentemente dall'esistenza di un effettivo pregiudizio. In particolare, il diritto dell'Unione prevede che, in caso di cancellazione del loro volo, i passeggeri possano ricevere una compensazione forfettaria di importo compreso tra 250 e 600 Euro.

Tuttavia, il vettore aereo è esonerato se può dimostrare che la cancellazione o il ritardo sono dovuti a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso (cfr. i considerando 14 e 15 del regolamento n. 261/2004). Tali circostanze possono, in particolare, ricorrere in caso di instabilità politica (si pensi ad un atto di sabotaggio o di terrorismo), condizioni meteorologiche incompatibili con l'effettuazione del volo in questione, rischi per la sicurezza, improvvise carenze del volo sotto il profilo della sicurezza e scioperi che si ripercuotono sull'attività di una compagnia aerea. Tuttavia, non tutte le circostanze eccezionali comportano un esonero e spetta al vettore aereo che vuole avvalersene dimostrare che esse non si sarebbero comunque potute evitare con misure adeguate alla situazione, ossia mediante le misure che, nel momento in cui si sono verificate tali circostanze eccezionali, rispondono, in particolare, a condizioni tecnicamente ed economicamente sopportabili per il vettore aereo.

Invero, in relazione all'an della responsabilità, in caso di ritardo nella prestazione di trasporto aereo, le norme internazionali prevedono una presunzione di responsabilità del vettore, spettando a quest'ultimo dare la prova liberatoria, dimostrando cioè di avere adottato tutte le misure idonee per evitare il danno, oppure che era impossibile adottarle, con una formulazione molto simile a quella prevista dal nostro ordinamento interno per qualsivoglia responsabilità contrattuale (Trib. Firenze 21 settembre 2014).

La frequenza di un problema tecnico non ha alcuna rilevanza per stabilire l'eccezionalità di una situazione. Né, peraltro, il rispetto dei requisiti minimi di manutenzione di un aeromobile è di per sé sufficiente per dimostrare che il vettore abbia adottato tutte le misure del caso ai sensi dell'art. 5 Reg. Ce n. 261/04, e tale, pertanto, da liberare il detto vettore dall'obbligo di pagare una compensazione pecuniaria, previsto dagli art. 5 n. 1, lett. c) e 7 n. 1, del citato regolamento (CGUE, IV, 22 dicembre 2008, n. 549).

La Corte di giustizia, cui era stata sottoposta la questione se la nozione di «cancellazione del volo» di cui all'art. 2, lett. l), del medesimo Regolamento si riferisca esclusivamente all'ipotesi in cui l'aereo non sia affatto partito, oppure se essa comprenda anche il caso in cui l'aereo, pur essendo partito, sia stato costretto a rientrare all'aeroporto di partenza a causa di un guasto tecnico [ciò ai fini della “compensazione pecuniaria” da riconoscersi ai passeggeri sulla base del combinato disposto degli artt. 5 e 7 del Regolamento (CE) n. 261/2004 (fino a concorrenza dell'importo forfettario di Euro 250 pro capite)], ha rilevato che, alla luce dell'art. 2, lett. l), del citato Regolamento, che definisce la «cancellazione del volo» come “la mancata effettuazione di un volo originariamente previsto e sul quale sia stato prenotato almeno un posto”, affinché un volo possa essere considerato come effettuato è necessario che esso raggiunga la propria destinazione come da itinerario previsto (cfr. cause riunite C-402/07 e C-432/07, p.to 30); pertanto, “la circostanza che il decollo sia stato garantito, ma che l'aereo sia poi rientrato all'aeroporto di partenza senza aver raggiunto la destinazione prevista dall'itinerario, fa sì che il volo, così come era inizialmente previsto, non può essere considerato effettuato” (causa C-83/10, p.to 28). Pertanto, la nozione di «cancellazione del volo», come definita dall'art. 2, lett. l), del Regolamento (CE) n. 261/2004, “non si riferisce esclusivamente all'ipotesi in cui l'aereo in questione non sia affatto partito, bensì comprende anche il caso in cui tale aereo è partito, ma, per una qualsivoglia ragione, è stato poi costretto a rientrare all'aeroporto di partenza, e i passeggeri di detto aereo sono stati trasferiti su altri voli” (causa C-83/10, p.to 35).

La compensazione pecuniaria ed il ristoro dei danni

Il principale quesito che occorre porsi nel presente scritto è quello di domandarsi se la compensazione pecuniaria di cui si è parlato nel precedente paragrafo abbia valenza omnicomprensiva o non escluda un risarcimento dei danni ulteriore.

Di recente, in un caso di viaggio ferroviario con gravissimo ritardo e in pessime condizioni, la S.C. ha affermato che spetta al passeggero il risarcimento, per inadempimento contrattuale, dei danni non patrimoniali derivanti dalla lesione - purché seria, grave e tale da non tradursi in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie e generiche insoddisfazioni - delle libertà costituzionali di autodeterminazione e di movimento, senza che la specifica previsione normativa di un indennizzo correlato alla cancellazione o all'interruzione o al ritardo del servizio ferroviario valga di per sé ad escludere la risarcibilità di ulteriori pregiudizi subiti dal viaggiatore (Cass. civ., sez. III, ord., 9 ottobre 2023, n. 28244).

Con riferimento all'arrivo a destinazione dei bagagli, ai sensi della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 in materia di trasporto aereo internazionale, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 12/2004, ove il vettore aereo internazionale si renda responsabile del ritardo nella consegna al passeggero del proprio bagaglio (art. 19 della Convenzione), la limitazione della responsabilità risarcitoria dello stesso vettore, fissata dall'art. 22, n. 2, della Convenzione nella misura di mille diritti speciali di prelievo per passeggero (corrispondenti a Euro 1.164,00), opera in riferimento al danno di qualsiasi natura patito dal passeggero medesimo e, dunque, non solo nella sua componente meramente patrimoniale, ma anche in quella non patrimoniale (cfr., nella giurisprudenza comunitaria, sentenza 6 maggio 2010, in C-63/09, Walz c. Clickair SA), da risarcire, ove trovi applicazione il diritto interno, ai sensi dell'art. 2059 c.c., quale conseguenza seria della lesione grave di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente tutelati (cfr. Cass. civ. n. 14667/2015, nel caso di una viaggiatrice che durante il viaggio di nozze si era vista smarrire il bagaglio che le era stato recapito dopo 14 giorni). La limitazione citata è valida sia nel caso di perdita del bagaglio e sia nel caso di ritardo nella consegna del bagaglio.

Invero, la Convenzione di Montréal del 1999, pur non stabilendo essa stessa di risarcire il danno non patrimoniale, utilizzando una nozione generica di danno, circoscrive il suo ammontare in un limite assoluto entro il quale è da includere ogni tipologia o manifestazione dello stesso, la cui scomposizione, in ragione del tipo di pregiudizio (materiale o 'morale'), potrà aver luogo, o meno, in base alle regole poste dai singoli ordinamenti degli Stati aderenti.

La Convenzione di Montréal lascia, cioè, ai singoli Stati la libertà di prevedere o meno il risarcimento del danno non patrimoniale. Avendo utilizzato, come detto, una nozione di danno onnicomprensiva, tocca, quindi, ai singoli ordinamenti decidere se risarcire o meno, oltre al danno materiale, il danno non patrimoniale. Non essendovi una previsione normativa espressa di risarcibilità del danno non patrimoniale, né vertendosi in ipotesi di fatto illecito astrattamente configurabile come reato, si tratta di vedere, di volta in volta, se siano stati in concreto lesi diritti inviolabili della persona, oggetto di tutela costituzionale. Si tende, peraltro, ad escludere che il ritardo nella consegna del bagaglio provochi 'stress' e 'disagi psicologici' (conseguenti alla indisponibilità di oggetti personali) ristorabili.

In quest'ottica, Cass. n. 4996/2019 ha ribadito, nel richiamare la menzionata convenzione sul trasporto aereo, che nell'ambito del danno da smarrimento del bagaglio è incluso quello non patrimoniale (conf. Cass. n. 14667/2015).

I principi espressi in tema di mancata consegna dei bagagli non sono, tuttavia, estensibili tout court alla differente fattispecie della cancellazione del volo.

La nozione di "risarcimento supplementare", di cui all'art. 12 del regolamento n. 261/2004, deve essere interpretata nel senso che consente al giudice nazionale di concedere il risarcimento del danno, incluso quello di natura morale, occasionato dall'inadempimento del contratto di trasporto aereo, alle condizioni previste dalla convenzione per l'unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo o dal diritto nazionale (CGUE III, n. 83/2011).

Le misure adottate ai sensi del regolamento (Ce) n. 261/2004 "non ostano di per sé a che i passeggeri interessati, nel caso in cui lo stesso inadempimento del vettore aereo dei suoi obblighi contrattuali causi loro anche danni che facciano sorgere un diritto a indennizzo, possano intentare comunque le azioni di risarcimento dei danni alle condizioni previste dalla convenzione di Montreal" (causa C-344/04, p.to 47), i cui artt. 19, 22 e 29 - applicabili, a norma dell'art. 3 n. 1, regolamento (Ce) 2027/97, alla responsabilità di un vettore aereo stabilito sul territorio di uno Stato membro e relativi alle azioni di risarcimento esperibili dai passeggeri nei confronti del vettore aereo inadempiente - includono tanto i danni di natura materiale quanto quelli di natura morale (causa C-63/09, p.to 29). Pertanto, la nozione di "risarcimento supplementare", di cui all'art. 12 regolamento n. 261/2004, deve essere interpretata nel senso che consente al giudice nazionale, alle condizioni previste dalla convenzione di Montreal o dal diritto nazionale, di concedere il risarcimento del danno, incluso quello di natura morale, occasionato dall'inadempimento del contratto di trasporto aereo".

A titolo esemplificativo, nel caso di passeggero con volo cancellato o lungamente ritardato, soggetto ad una prolungata permanenza in aeroporto durante la quale la compagnia aerea non gli abbia prestato l'assistenza prescritta dall'art. 9 del regolamento UE n. 261 del 2004, la sua domanda di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dal disagio subito a causa della mancata assistenza va incontro ai limiti interni alla risarcibilità del danno non patrimoniale, fissati da Cass., sez. un., n. 26972/2008; di conseguenza essa deve escludersi, non essendo neppure ipotizzata né ipotizzabile una ipotesi di reato, non rientrando in una ipotesi di danno non patrimoniale risarcibile espressamente prevista dalla legge (interna o sovranazionale) e non essendo riconducibile alla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale (Cass. n. 12088/2015).

È chiaro, tuttavia, che a differenti conclusioni deve pervenirsi nel caso in cui siano stati lesi diritti fondamentali, vieppiù se tutelati sul piano costituzionale.

In termini generali, va ricordato che Il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da (un evento di danno consistente ne)lla lesione di specifici diritti inviolabili della persona costituzionalmente protetti (es.: diritto all'integrità psico-fisica - art. 32 Cost. -; diritto alla personalità morale - artt. 1,2,4 e 35 Cost. - del lavoratore). I casi previsti dalla legge si dividono in due gruppi: quelli in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (dal codice penale, quale fatto illecito integrante reato, e dalle leggi speciali) e quelli in cui la risarcibilità, pur non essendo prevista da norme di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., <<per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla legge>>.

Fatta eccezione per il caso in cui il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato (nella quale evenienza la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale), deve, in definitiva, sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata, da individuarsi sulla base dell'interesse leso e non del pregiudizio sofferto (Cass., sez. un., 19 agosto 2009, n. 18356).

Invero, la Cassazione distingue, nell'ambito dei diritti fondamentali, i diritti (beni o interessi) inviolabili dell'uomo (che devono pur sempre essere di rilievo costituzionale), statuendo che dalla lesione di questi soltanto origina il danno non patrimoniale. Non è, pertanto, sufficiente che questi beni o interessi siano tutelati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, poiché la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri trattati internazionali, non assume, in forza dell'art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale. La menzionata distinzione ha rilevanza pratica, atteso che vi sono diritti che, pur essendo fondamentali (come, ad es., la libera circolazione), non sono inviolabili. D'altra parte, vi sono diritti che, pur riconosciuti dalla Costituzione, ma dalla stessa non qualificati espressamente con l'attributo dell'inviolabilità, debbono essere considerati invece tali (il diritto alla salute – art. 32 -, la reputazione, l'immagine, il nome e la riservatezza – artt. 2 e 3 -, il diritto a professare liberamente la fede religiosa che si intenda scegliere – art. 19 -, il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero – art. 21 -, i diritti della famiglia – artt. 2, 29 e 30 -, tra i quali ultimi rientra il danno da perdita o da grave compromissione del rapporto parentale, nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto).

In base alla Carta Europea dei Diritti Fondamentali (in particolare, agli artt. 17 e 52), sulla cui diretta efficacia non è a discutersi, deve essere garantito uno standard di tutela dei diritti fondamentali in generale, e del diritto di proprietà in particolare, almeno pari a quello previsto dalla Corte di Strasburgo e dalla C.E.D.U. (sia pure con i limiti in precedenza indicati).

Le Sezioni Unite hanno precisato che quelli inviolabili non sono un numerus clausus (essendo il relativo catalogo soggetto al ‘fluire del tempo' ed al manifestarsi nel corso di esso di un diverso sentire sociale), fermo restando che, quando il rinvio ai casi determinati dalla legge è pieno, l'interprete non è chiamato a svolgere nessun'altra indagine. La tutela non è, cioè, ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana.

Il danno non patrimoniale è, pertanto, tipico nel senso che è necessario individuare il referente costituzionale vulnerato, ma aperto ad interpretazioni estensive (come se si trattasse di una tipicità anomala, per certi versi).

Gli interessi della persona costituzionalmente protetti

Alla luce di quanto precede, è importante chiarire quali sono in astratto gli interessi della persona costituzionalmente protetti (non reddituali) la cui lesione o menomazione legittima la richiesta di una eventuale ulteriore voce di danno non patrimoniale.

Orbene, ci si è resi conto che in alcuni casi le condotte illecite non ledono alcun interesse di rango costituzionale inerente alla persona, ma solo interessi squisitamente patrimoniali dei creditori (cd. danno da fastidio, da disagio, da disappunto, da stress. Es.: ritardo del vettore aereo), e che in altri casi manca del tutto il requisito della prevedibilità (anche se il danno-conseguenza, ai sensi dell'art. 2056 c.c., dovrebbe, invece, essere risarcito pur se non prevedibile) e, con esso, dell'imputabilità del danno (basti pensare al caso dell'inadempimento della tintoria che rovini il vestito e, per l'effetto, impedisca alla signora di partecipare alla “prima” della Scala).

Come ha evidenziato l'ordinanza qui in commento, quando ricorre una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale), la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni). Quando, invece, il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale, la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario della precedente ipotesi, non sono individuati ex ante dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice; sicché, quest'ultimo è chiamato a verificare innanzitutto se sussista nel caso di volta in volta prospettato l'interesse costituzionalmente tutelato attinente ai valori inviolabili della persona che legittimi la richiesta risarcitoria, laddove non ricorra una ipotesi di risarcimento del danno non patrimoniale prevista dalla legge.

Conclusioni

In presenza di una lesione di un ulteriore interesse costituzionalmente protetto (diverso dal diritto alla salute), sarà necessario adeguare la liquidazione del danno all'effettivo pregiudizio subìto dalla vittima.

Il danno in questione dovrà essere idoneamente allegato e provato. L'allegazione dovrà essere operata in maniera circostanziata in riferimento a fatti specifici del caso concreto, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico.

Avuto riguardo al profilo probatorio, trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro, sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che sarà onere del danneggiato fornire (Cass. civ. n. 8827/2003). Il criterio di base per la liquidazione è senz'altro quello equitativo.

In relazione al pregiudizio subìto, torna utile valorizzare l'indirizzo che sembra essersi formato in tema di occupazione sine titulo di un cespite immobiliare altrui, secondo cui il danno subito dal proprietario per l'indisponibilità del medesimo può definirsi in re ipsa, purché tale espressione sia intesa in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio all'impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l'onere per l'attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l'ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio. Il riferimento al criterio equitativo di liquidazione del danno presuppone, ovvero in ogni caso implica, che il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza (cfr., di recente, Cass. civ. 26 gennaio 2024, n. 2500).

In presenza dei menzionati presupposti, non sembra che possa essere negato il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all'impossibilità di partecipare alle esequie del padre, a causa della cancellazione del volo.

Restano due profili: sul piano oggettivo, quello del nesso di causalità immediata e diretta di cui all'art. 1223 c.c.; sul piano soggettivo, quello della prevedibilità del danno, ex art. 1225 c.c.

Con riferimento al primo presupposto, va ricordato che il pregiudizio, per essere ristorabile, deve essere conseguenza diretta ed immediata dell'illecito, e non mero riflesso di detto pregiudizio. Tuttavia, pur essendo, per legge, l'obbligo del risarcimento limitato ai danni che sono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, alla determinazione dell'immediatezza, nella concreta applicazione della norma fissata dall'art. 1223 c.c., occorre addivenire con una certa elasticità di criterio, in modo da poter ricomprendere nel risarcimento anche quei danni indiretti e mediati i quali si presentino come un effetto normale dell'inadempimento, rientrino, cioè, nella serie delle conseguenze normali ed ordinarie cui esso da origine, secondo il principio della così detta regolarità causale; sicché devono ritenersi esclusi soltanto quei danni che siano un riflesso lontano dall'inadempimento e non possano a questo essere riallacciati dal necessario nesso teleologico, per essere intervenute altre cause e circostanze estrinseche al comportamento dell'obbligato, senza le quali il danno stesso non si sarebbe verificato (Cass. civ., 17 dicembre 1963, n. 3184).

Quanto al secondo aspetto, occorre aver riguardo alla prevedibilità astratta inerente ad una determinata categoria di rapporti, sulla scorta delle regole ordinarie di comportamento dei soggetti economici e, cioè, secondo un criterio di normalità in presenza delle circostanze di fatto conosciute. L' imprevedibilità del danno, derivato in conseguenza dell'inadempimento colpevole del debitore, non costituisce un limite all'esistenza del danno medesimo, ma soltanto alla misura del suo ammontare.

Come è noto, solo in tema di responsabilità aquiliana costituisce "danno risarcibile" qualunque pregiudizio che, senza il fatto illecito, non si sarebbe verificato, a prescindere dalla sua prevedibilità (Cass. civ., 16 ottobre 2015, n. 20932). Invero, il requisito della prevedibilità del danno, correlato all'elemento psicologico di esso (art. 1225 c.c.), è inapplicabile alla responsabilità extracontrattuale, in quanto non richiamato dall'art. 2056 c.c., avendo scelto il legislatore di non commisurare il risarcimento al grado della colpa (Cass. civ., 30 marzo 2005, n. 6725).

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