Scioglimento dell’unione civile e assegno “divorzile”: che rilievo assumono i fatti anteriori alla costituzione dell’unione?
23 Febbraio 2024
Massima In caso di scioglimento dell'unione civile, la durata del rapporto, prevista dall'art. 5, comma 6 l. n. 898/1970, richiamato dall'art. 1, comma 25, l. n. 76/2016, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all'assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell'unione, ancorché lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all'entrata in vigore della l. n. 76/2016. Il caso Caia ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste che, riformando sul punto la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Pordenone, ha escluso il riconoscimento a suo favore di un assegno a carico di Tizia, con la quale Caia aveva costituito un’unione civile in data 17 dicembre 2016, non accordano rilievo in chiave compensativa ai fatti occorsi prima della instaurazione dell’unione civile. La questione Quale rilievo spiegano i fatti antecedenti alla costituzione dell’unione civile ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile in chiave compensativa, secondo i principi declinati dalle Sez. un. 18287/2018? Le soluzioni giuridiche La Corte di Appello di Trieste, pur inserendosi nel solco della giurisprudenza successiva alla pronuncia delle sez. un. 18287/2018 circa la natura composita dell'assegno divorzile, ha riformato la sentenza del Tribunale di Pordenone che aveva riconosciuto il diritto di Caia di vedersi riconosciuta una somma a titolo di assegno divorzile a carico di Tizia in dipendenza dello scioglimento dell'unione civile. La Corte di Appello, in particolare, ha ritenuto non provati i sacrifici dedotti da Caia, ossia la rinuncia a migliori opportunità di lavoro e la necessità di sostenere costi per canoni di locazione a seguito del trasferimento in altra città per ricongiungersi con la compagna, e, in ogni caso, li ha reputati irrilevanti in chiave compensativa, in quanto precedenti alla costituzione dell'unione, avvenuta il 17 dicembre 2016. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione Caia e la prima sezione civile con ordinanza del 27 gennaio 2023 ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione una questione di massima di particolare importanza avente ad oggetto la possibilità di ricomprendere nella durata del rapporto, ai fini del riconoscimento di una somma a titolo di assegno “divorzile”, i fatti anteriori alla costituzione dell'unione civile. Le Sezioni Unite, al fine di offrire risposta al quesito loro sottoposto, hanno preso le mosse dai principi di diritto enunciati dalle Sez. un. 18287/2018 in merito alla funzione dell'assegno divorzile per poi raccordarli con la normativa che disciplina l'unione civile, in particolare l'art. 1, comma 25 legge 76/2016. Le Sezioni Unite hanno posto l'accento sulla funzione compensativa dell'assegno divorzile che impone al Giudice del merito di valorizzare il profilo fattuale del rapporto familiare: occorre ridimensionare il rilievo da attribuire alla durata legale del matrimonio e valorizzare le decisioni assunte in funzione della realizzazione della comunione materiale e spirituale anche prima della celebrazione del matrimonio, ove idonee a determinare il ruolo di ciascuno all'interno del rapporto e a proiettare gli effetti anche in epoca successiva al suo scioglimento (per il carattere duraturo delle conseguenze e il momento in cui si verifica lo scioglimento). Tale impostazione consente altresì di dare rilievo alla crescente diffusione di forme di convivenza prodromiche all'instaurazione del vincolo coniugale, che cristallizza una condizione già consolidata anche in termini di scelte e già fa sorgere in capo ai partners obbligazioni anche economiche non più qualificabili come naturali ex art. 2034 c.c. Le medesime considerazioni vanno svolte con riferimento all'unione civile: ove la convivenza sfoci nella costituzione dell'unione civile, al pari del matrimonio, partecipa della natura del vincolo che l'ha seguita. A tali fini la circostanza che la convivenza sia precedente all'entrata in vigore della l. 76/2016 è irrilevante: il fatto generatore del diritto all'assegno non è la cessazione della convivenza di fatto ma lo scioglimento dell'unione civile. Una diversa interpretazione comprometterebbe lo spirito della legge Cirinnà, in quanto le coppie omosessuali prima dell'entrata in vigore della l. 76/2016 non avevano la possibilità di contrarre un vincolo formale, e sarebbe luogo a una violazione dell'art. 8 CEDU. La Corte ha quindi disposto la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Trieste in diversa composizione per la valutazione della sussistenza dei presupposti dell'assegno divorzile tenuto conto della diversa prospettiva temporale segnata dall'estensione della durata del rapporto al periodo di convivenza che ha preceduto la costituzione dell'unione civile. Osservazioni La pronuncia in commento si inserisce nel solco della giurisprudenza nazionale che, sulla scorta delle indicazioni provenienti dalle fonti sovranazionali, ha contribuito a ridurre, ancora prima dell'entrata in vigore della l. 76/2016, le distanze tra le unioni di fatto e quelle sfociate nel matrimonio. La l. 76/2016 costituisce l'epilogo di tale evoluzione giurisprudenziale, tesa a colmare le lacune che non potevano essere colmate per via ermeneutica al fine di ottemperare alle condanne inferte all'Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per violazione dell'art. 8 CEDU per non avere adeguatamente tutelato i diritti delle unioni omosessuali (sent. Oliari e altri c. Italia, 21 luglio 2015; sent. Orlandi e altri c. Italia, 14 dicembre 2017 con cui l'Italia è stata condannata per non avere consentito la trascrizione in Italia del matrimonio contratto all'estero da coppie omosessuali in forma anche diversa dal matrimonio prima dell'entrata in vigore della l. 76/2016). Ove, infatti, il rapporto di convivenza riguardasse due persone dello stesso sesso, al fine di godere di maggiori tutele dinanzi al vuoto normativo, la coppia non avrebbe potuto decidere di formalizzare il rapporto contraendo matrimonio. La l. 76/2016 ha il merito di avere per la prima volta offerto alle coppie dello stesso la possibilità di cristallizzare il rapporto all'interno di un'unione civile – godendo della quasi totalità dei diritti riconosciuti alle coppie unite in matrimonio – e di avere dato una definizione normativa della convivenza di fatto (art. 1 comma 36), intesa quale rapporto non regolato da rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio e unione civile ma da legame affettivo e di reciproca assistenza morale e materiale, estendendovi alcuni dei diritti riconosciuti alle coppie sposate o unite civilmente. Nonostante l'apparente chiarezza del dettato normativo la legge di nuovo conio ha continuato a sollevare interrogativi applicativi, come dimostra il caso posto all'esame delle Sezioni Unite. Al fine di comprendere la ragione del quesito sollevato dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione va osservato come allo scioglimento dell'unione civile si applicano per espressa disposizione normativa (art. 1, c. 25 l. 76/2016) le disposizioni che disciplinano il procedimento di divorzio, di separazione personale e di negoziazione assistita, in quanto compatibili. Ove lo scioglimento avvenga in forma giudiziale, in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. 149/2022, seguirà le forme del rito unico in materia di famiglia di cui agli artt. 473-bis ss. c.p.c. Quanto ai provvedimenti adottabili dal Giudice delegato, è attuale il richiamo agli artt. 5 commi 5 – 11, 9, 9-bis, 10, 12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies l. n. 898/1970, non abrogati dal d.lgs. 149/2022. Il Giudice delegato, in particolare, ove una delle parti chieda la corresponsione di una somma per il proprio mantenimento a carico dell'altra, dovrà valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di un assegno che avrà natura di assegno divorzile, non di mantenimento, stante il richiamo all'art. 5 l. div. e l'immediatezza dello scioglimento del vincolo che rende non più attuale il dovere di solidarietà “coniugale”. Nel compiere tale valutazione, come ricordato dalle pronunce in commento, il giudice del merito dovrà impiegare i criteri declinati dalle Sez. un. 18287/2018. Tra tali criteri vi è quello, espressamente contemplato dall'art. 5, comma 6, l. 898/1970, legato alla durata del vincolo: come intendere tale durata sia rispetto alle coppie coniugate che a quelle legate da unione civile? In senso “legale” ovvero fattuale? La domanda sorge spontanea poiché all'indomani della pronuncia delle Sez. Un. del 2018 su richiamata diventa determinante ai fini del riconoscimento dell'assegno non tanto e non solo la disparità reddituale tra le parti quanto la riconducibilità di tale disparità a scelte condivise in costanza di rapporto. La durata del vincolo non incide più solo sulla quantificazione dell'assegno ma anche sull'esistenza stessa del diritto a percepirlo. Rispetto alle coppie coniugate, da tempo la giurisprudenza ha attribuito rilievo alla durata fattuale del rapporto piuttosto che alla durata legale del vincolo ai fini della ripartizione tra l'ex coniuge e quello superstite della pensione di reversibilità (Corte cost 419/1999 e Cass. civ. 21247/2021). La stessa giurisprudenza, d'altronde, ha riconosciuto un progressivo rilievo ai rapporti di convivenza finendo per affermare che l'instaurazione di uno stabile rapporto di convivenza fa sorgere un preciso dovere di assistenza morale e materiale (Cass. sez. un. 32198/2021 che hanno affermato il venir meno della componente assistenziale dell'assegno divorzile in caso di instaurazione da parte del richiedente di uno stabile rapporto di convivenza) e il legislatore ha previsto che il convivente di fatto possa chiedere all'altro la corresponsione degli alimenti, ove versi in stato di bisogno, commisurati dalla durata del rapporto (art. 1, comma 65 l. 76/2016). Ma, soprattutto, con sent. 35385 del 18 dicembre 2023, le Sezioni Unite hanno statuito che ove il matrimonio sia stato preceduto da una convivenza prematrimoniale stabile e continuativa, orientata alla formazione di un progetto di vita comune, connotata da reciproche contribuzioni al rapporto e legata senza soluzione di continuità alla celebrazione del matrimonio, ai fini della valutazione della componente compensativa dell'assegno divorzile non può aversi riguardo solo durata legale del vincolo ma anche al periodo di convivenza che l'ha preceduto. L'unione di fatto è diventata, in conclusione, un preciso modello di relazione familiare riconosciuto dall'ordinamento giuridico che spiega effetti giuridici rilevanti ove seguita dalla celebrazione del matrimonio ovvero dalla costituzione di una unione civile. Attribuendo rilievo alla distinzione tra durata legale e fattuale del vincolo, la Corte nella pronuncia in commento ha inteso rimarcare, come già poco prima hanno fatto le stesse Sezioni Unite con la sent. 35385/2023 su richiamata, le distanze tra i rapporti di convivenza non tradottisi nell'assunzione di un vincolo legale (disciplinati ai fini che occupano dall'art. 1, commi 36, 37, 50 e 65 l. 76/2016) e quelli cristallizzati all'interno del matrimonio o dell'unione civile, equiparati a tal fine. Disconoscere la rilevanza di tale convivenza qualificata rispetto alle coppie omosessuali non solo comporterebbe una violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (artt. 2 e 3 Cost.) ma determinerebbe anche una violazione del diritto delle coppie omossessuali al rispetto della propria vita familiare ai sensi dell'art. 8 CEDU. Tanto più che prima dell'entrata in vigore della l. 76/2016 le coppie omosessuali non potevano legalizzare il proprio vincolo e, quindi, accedere ad alcuna forma di tutela. Rispetto alle coppie dello stesso sesso che abbiano deciso di consacrare il proprio vincolo all'interno dell'unione civile, pare quindi ragionevole, in logica compensativa ai fini dell'applicazione dell'art. 5, comma 6 l. 898/1970, richiamato dall'art. 1, comma 25 l. 76/2016, considerare non solo quel frammento di rapporto successivo alla costituzione dell'unione, che necessariamente è successiva al 2016, ma anche la natura del rapporto che l'ha preceduta. Tale interpretazione non contrasta con il generale principio di irretroattività della legge nel tempo: come chiarito dalla Sezioni Unite nella pronuncia in commento il fatto costitutivo del diritto a percepire una somma a titolo di assegno “divorzile” non va ricercato nella convivenza bensì nella costituzione dell'unione civile disciplinata dalla l. 76/2016. Per effetto della pronuncia delle Sezioni Unite, la Corte di Appello investita della rimessione non necessariamente adotterà una soluzione divergente dalla precedente, ma certo non potrà motivare l'assenza di ragioni compensative a fondamento del diritto a percepire l'assegno divorzile in dipendenza di determinate circostanze solo perchè occorse prima della costituzione dell'unione civile. |