La bancarotta riparata: nuova interpretazione della Corte di cassazione

Antonio D'Avirro
07 Marzo 2024

La sentenza della quinta sezione della Corte di cassazione fornisce una nuova, quanto sconcertante, interpretazione della figura della bancarotta riparata, che si pone in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale, ritenendola inapplicabile, quando sia violata la graduazione del credito.

La vicenda

Il caso riguarda una contestazione di bancarotta per distrazione della somma di € 2.600.000,00, sottratta alle casse della società, che però era stata integralmente restituita, mediante l'accollo da parte dell'imputato di un debito, di cui era fideiussore, che la società aveva nei confronti di un istituto di credito, così operando la compensazione tra «il credito per € 2.600.000, vantato dalla fallita nei confronti dell'imputato ed il credito vantato da quest'ultimo a seguito del pagamento del debito che la fallita aveva nei confronti della banca».

La sentenza esclude che possa ipotizzarsi l'istituto della bancarotta riparata nei casi in cui si sia in presenza «di restituzioni parziali, inidonee a elidere totalmente le conseguenze pregiudizievoli per la massa dei creditori o di versamenti fatti dall'amministratore ad altro titolo».

La sentenza prosegue, sostenendo che la riparazione deve essere integrale in favore dell'intera massa dei creditori e non come nel caso in esame «a favore di un solo creditore (l'istituto di credito), quando invece risulta pacifico che vi era una pluralità di creditori».

È soprattutto la violazione della graduazione dei crediti che impedisce l'applicazione della bancarotta riparata.

Si legge nella sentenza che «le argomentazioni spese a riguardo dalla Corte d'appello sono pienamente condivisibili, atteso che la bancarotta non può ritenersi “riparata” a seguito di operazioni che, a loro volta, si pongano in contrasto con le regole che presiedono al corretto funzionamento dell'impresa collettiva e che violino la graduazione dei crediti. Tali argomentazioni, inoltre, appaiono pienamente coerenti con le ragioni poste a fondamento della bancarotta riparata, che sono legate – va ribadito – al venir meno del concreto pregiudizio per la massa dei creditori, a seguito di un atto di “senso contrario” che reintegri, nella sua effettività e integralità, il patrimonio della società dalle conseguenze negative dell'atto distrattivo. Appare, infatti, evidente che, di norma, un'effettiva e integrale reintegrazione – rispetto all'intera massa creditoria – possa avvenire solo attraverso un atto che rimetta a disposizione della società le risorse distratte, da utilizzare secondo i criteri di buona amministrazione e nel rispetto delle norme di legge e della graduazione dei crediti».  

La bancarotta riparata

La bancarotta riparata – come sottolinea la sentenza – costituisce una manifestazione del giudizio di pericolo concreto che determina l'insussistenza dell'elemento materiale del reato a seguito dell'attività restitutoria dell'imprenditore o dell'amministratore della società, volta a ricostituire il patrimonio dell'impresa nella sua effettiva integralità.

In questo senso si è costantemente espressa la giurisprudenza quando è stata chiamata ad affrontare il tema della “bancarotta riparata”, che fa venir meno l'elemento materiale del reato, qualora la sottrazione venga annullata con un'attività di segno contrario che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della dichiarazione di fallimento (Cass. pen., sez. V, 28 febbraio 2023, n. 14932; Cass. pen., sez. V, 13 gennaio 2023, n. 11230; Cass. pen., sez. V, 28 giugno 2022, n. 36003; Cass. pen., sez. V, 11 marzo 2022, n. 24071).

Ciò che rileva ai fini dell'applicabilità della bancarotta riparata è “l'effettività e “l'integralità della restituzione, non potendosi invocare la bancarotta riparata nei casi di restituzione parziale o versamenti fatti ad altro titolo.

Prima di affrontare l'analisi dei due requisiti di effettività ed integralità della restituzione va sottolineato che ai fini della configurabilità della bancarotta riparata non è necessaria la restituzione dello stesso bene sottratto ma «un'attività integrale di reintegrazione del patrimonio, prima della dichiarazione di fallimento» (Cass. pen., sez. V, 24 novembre 2017, n. 57759).

Ciò significa che la bancarotta riparata potrà trovare applicazione anche nell'ipotesi di compensazione (Cass. pen., sez. V, n. 4790/2016) o di rinuncia al credito, sempre che il credito sia reale e corrisponda al valore del bene sottratto (Cass. pen., sez. V, 20 aprile 2022, n. 19882; Cass. pen., sez. V, 2 ottobre 2020, n. 34290).

Mentre non si potrà parlare di reintegrazione, quando il credito non sia reale o abbia un valore inferiore al debito o il versamento sia fatto ad altro titolo, come ad esempio i versamenti effettuati dall'amministratore a titolo di finanziamento in futuro aumento di capitale (Cass. pen., sez. V, 24 novembre 2017, n. 57759), perché in questo caso non si determina un'effettiva reintegrazione del patrimonio, ma un decremento del patrimonio che viene ad essere gravato da un'obbligazione, assunta dall'amministratore della società che resta obbligata alla restituzione (Cass. pen., sez. V, 17 settembre 2020, n. 31806).

Nella vicenda che ci interessa la reintegrazione del patrimonio derivava dalla compensazione tra il credito di € 2.600.000, vantato dalla fallita nei confronti dell'imputato ed il credito vantato da quest'ultimo a seguito del pagamento del debito che la fallita aveva nei confronti della banca.

Bancarotta riparata: riparazione integrale o rispetto della graduazione del credito

Il bene giuridico tutelato dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale si identifica nel patrimonio sociale che deve essere garantito nella sua integrità contro eventuali atti di aggressione da parte degli amministratori o degli altri soggetti qualificati (C. Pedrazzi, Art. 216 in Pedrazz-Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persona diversa dal fallito).

Il patrimonio rappresenta la garanzia comune per i creditori, perché, tutelando il patrimonio, sarà possibile garantire i creditori della società.

Nell'ipotesi di bancarotta riparata ciò che rileva è l'effettività e l'integrità della restituzione di quanto sottratto alla società. La restituzione, che può avvenire nelle forme più varie, ad esempio mediante una transazione, come nel caso di specie, si traduce nel vantaggio nei confronti della società che si riflette sulla massa dei creditori che non vedono più concorrere il creditore soddisfatto, nella ripartizione dell'attivo, risparmiando da parte della società e della procedura fallimentare somme, in virtù dell'accordo transattivo.

La Corte di cassazione, invece, con la sentenza in esame, cambia improvvisamente l'impostazione rispetto all'orientamento tradizionale, che, fino ad oggi, ha identificato la bancarotta riparata nella reintegrazione del patrimonio dell'impresa, sostenendo che «non può ritenersi riparata, a seguito di operazioni che a loro volta si pongono in contrasto con le regole che presiedono al corretto funzionamento dell'impresa collettiva e violino la graduazione del credito». Per la prima volta, in quanto non si rinvengono precedenti, viene esclusa l'operatività della bancarotta riparata, perché la transazione, che ha riguardato uno solo dei creditori, non comporterebbe un'effettiva reintegrazione del patrimonio della società.

Il concetto di reintegrazione, quale presupposto della bancarotta riparata, viene stravolto da questo arresto giurisprudenziale secondo il quale la reintegrazione consiste non tanto, come si legge nelle numerose sentenze, in un'attività di segno contrario che annulla la sottrazione dei beni, ma nella “tutela della graduazione del credito”, introducendo un requisito che è del tutto estraneo alla nozione di reintegrazione e che, di fatto, potrebbe rendere l'istituto della bancarotta riparata non facilmente applicabile.

Si tratta di una soluzione che contrasta palesemente con i numerosi precedenti giurisprudenziali, che non esitano a riconoscere alla compensazione o alla rinuncia ai crediti certi ed esigibili, la natura di integrale reintegrazione del patrimonio della società (Cass. pen., sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4790; Cass. pen., sez. V, 2 ottobre 2020, n. 33290).

Se ad esempio, come insegna la Cassazione, la «compensazione costituisce comunque di per sé una legittima modalità di pagamento idonea a integrare la bancarotta riparata, sempreché il credito indicato a compensazione del debito sia esistente e dello stesso valore a quello del debito», la soluzione fornita dalla sentenza di cui parliamo, secondo la quale la violazione della graduazione dei crediti, perché il creditore con l'operazione di compensazione paga uno solo dei creditori, verrebbe ad impedire l'operatività della bancarotta riparata nei casi in cui la reintegrazione venga fatta mediante la compensazione tra crediti e debiti o rinuncia al credito.

È chiaro che nella compensazione, che è la vicenda che analizza la sentenza del 2023, l'operazione investe un unico rapporto creditizio: il credito di € 2.600.000, vantato dalla fallita nei confronti dell'imputato ed il credito dell'imputato, a seguito del pagamento del debito che la fallita aveva nei confronti della banca, cioè uno solo dei creditori della fallita. Ma ciò che rileva è la restituzione effettiva ed integrale di quanto è stato sottratto, perché attraverso la compensazione si riduce lo stato passivo della massa dei creditori con diretto vantaggio per gli stessi.

Nel caso contrario, come sostiene la Cassazione, se la bancarotta non possa ritenersi “riparata” se viene violata la graduazione del credito, questa figura troverebbe concrete difficoltà applicative, perché il debitore oltre a rimettere a disposizione della società, a seguito della compensazione, le risorse distratte, dovrebbe poi preoccuparsi di ridistribuire le risorse nel rispetto della graduazione dei crediti, quando invece ciò che rileva, ai fini della bancarotta riparata, è solo e soltanto l'integrale reintegrazione del patrimonio della società.

Il richiamo che la Cassazione fa più volte nella sentenza alla violazione del rispetto delle regole della graduazione del credito, testimonia la disinvolta soluzione con cui il principio del rispetto della graduazione del credito, che costituisce il bene giuridico tutelato dal reato di bancarotta preferenziale, viene ad essere trasferito, indebitamente, nello schema della bancarotta fraudolenta patrimoniale per escludere l'operatività della bancarotta riparata.

Il rispetto della “par condicio creditorum” finalizzato ad evitare disparità di trattamento tra tutti i creditori di uno stesso debitore, trova piena tutela nell'ipotesi della bancarotta preferenziale in cui l'offesa consiste, non nel depauperamento del patrimonio della società, ma nell'alterazione dell'ordine stabilito dalla legge di soddisfare i creditori.

L'art. 322, comma 3 del Codice della Crisi d'impresa, che ripropone l'art. 216 della Legge fallimentare del 1942, punisce «l'imprenditore in liquidazione giudiziale che prima o durante la procedura a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluni di essi, esegue pagamenti o simula debiti di prelazione».

L'elemento materiale di questa fattispecie delittuosa è dato dal pagamento preferenziale che altera la “par condicio creditorum” e che non incide sul patrimonio della società che non viene depauperato.

È difficile comprendere la ragione per cui la Corte di cassazione richieda per l'applicazione della bancarotta riparata, oltre all'integrale restituzione dei beni sottratti, anche il rispetto della graduazione del credito, che non ha nulla a che vedere con la reintegrazione del patrimonio, essendo diretto a tutelare l'ordine stabilito dalla legge, di soddisfare i creditori.

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