Le varie forme di comando nella normativa sul pubblico impiego e le differenze dal distacco di diritto privato

14 Marzo 2024

La decisione in commento ha a riguardo una fattispecie di prestazione lavorativa resa presso una S.p.a., da parte di un lavoratore dipendente da una pubblica Amministrazione. Dall'inquadramento della situazione in termini di distacco di diritto privato (come sostenuto dal lavoratore), di comando di diritto pubblico ex art. 56 d.P.R. n. 3/1957 (come sostenuto dai giudici di merito), o di diversa forma di comando, a carattere speciale (come affermato infine dalla Cassazione), derivano conseguenze affatto differenti in termini di legittimazione passiva nel giudizio de quo.

Massima

Nel caso in cui il dipendente di una pubblica Amministrazione presti temporaneamente servizio presso una società per azioni, sulla base di apposito protocollo di intesa tra le parti, per l'attuazione di un progetto di interesse dell'amministrazione, non si è in presenza né di distacco ex art. 30 d.lgs. n. 276/2003, né di comando ex art. 56 ss. d.P.R. n. 3/1957, bensì di comando ex art. 23-bis, comma 7, d.lgs. n. 165/2001. In funzione della centralità assunta, ai sensi di tale norma, dall'interesse pubblico in capo all'Amministrazione comandante discende la legittimazione passiva della stessa in giudizio, quale soggetto su cui ricadono le conseguenze economiche del rapporto di lavoro del dipendente durante il periodo del comando. 

Il caso 

L'ordinanza in commento ha a riferimento una fattispecie di prestazione resa da un dipendente dell' E., ente di diritto pubblico (quindi, lato sensu, pubblica Amministrazione), presso una S.p.a. le cui azioni sono detenute dal Ministero dell'Economia.

Il lavoratore aveva convenuto in giudizio l' E., qualificando la situazione come distacco e lamentando di essere stato fatto oggetto di demansionamento durante il periodo di attività prestata presso la società.

I gradi di giudizio di merito si erano risolti tuttavia in senso a lui sfavorevole, essendo stata negata la stessa legittimazione passiva in giudizio dell' E., sulla base di una qualificazione della fattispecie in termini di comando di cui all'art. 56 ss. d.P.R. n. 3/1957. In applicazione di tali norme la legittimazione passiva veniva ritenuto competesse alla S.p.A.

L'ulteriore grado di giudizio, davanti alla Cassazione – concluso con decisione che sovverte quelle di merito – ha rappresentato la sede per l'elaborazione di una pronuncia in cui viene effettuato un ampio esame dell'istituto pubblicistico del comando, nelle sue varie forme, e di altri istituti affini, anch'essi tipici del pubblico impiego, nonché per un confronto con l'istituto privatistico del distacco.

Le questioni giuridiche

Un primo terreno di analisi, esplorato dal Giudice di legittimità, è quello che porta a confrontare il distacco, tipico del diritto privato, con il comando di diritto pubblico, stanti le affinità che i due istituti a prima vista prospettano.

Al riguardo, viene sottolineato come il distacco presupponga, nel datore di lavoro distaccante, un interesse concreto e persistente verso tale modalità di utilizzo “esogeno” della prestazione lavorativa. 

Difettando tale interesse (ed essendo, invece, prevalente l'interesse del distaccatario) ne deriva la mancanza o il venir meno del requisito causale del contratto di lavoro in essere, con effetti evidenti anzitutto in termini di ricostruzione della reale titolarità del rapporto.

L'effettiva sussistenza dell'interesse del distaccante all'operazione – e quindi la genuinità del distacco e del contratto di lavoro – comporta, deduttivamente, che lo stesso conservi le principali prerogative afferenti al rapporto; fra di esse, il potere di far cessare il distacco, il potere direttivo/disciplinare e quello di licenziamento.

Quanto all'obbligazione retributiva, anche questa, formalmente, resta a carico del distaccante, sebbene a esso vengano, di regola, ristorati i relativi costi da parte del distaccatario, in coerenza con la sottesa logica locupletatoria (v. Cass. n. 17768/2015, n. 7049/2007, n. 17842/2005, n. 144458/2001, n. 10771/2001). Da tutto ciò discende anche la legittimazione passiva oltre che attiva del distaccante. 

Rileva poi la Corte come abbia struttura sostanzialmente antitetica, rispetto al distacco di diritto privato, l'istituto del comando nella conformazione assunta ai sensi dell'art. 56 ss. d.P.R. n. 3/1957: nel rapporto fra amministrazione comandante e amministrazione comandataria, il ruolo preminente è assunto da quest'ultima, al di là della struttura formale del rapporto di lavoro.

È essa, infatti, a disporre con proprio provvedimento il comando, a vantare un interesse all'operazione e a esercitare quindi le principali prerogative giuridiche nella gestione del rapporto (v. Cass. n. 12100/2017, n. 18460/2014, n. 17842/2005).

La centralità del ruolo del comandatario ex art. 56 cit. è tale anche quanto a riflessi processuali e alla sopportazione delle conseguenze economico-retributive complessivamente intese (Cass. n. 7971/2006). 

La Cassazione evidenzia poi che affinità solo nominalistica con il distacco di diritto privato, ha il c.d. distacco di diritto pubblico (che però non ha un fondamento legislativo, ma di prassi), nel quale manca il carattere trilaterale dell'operazione, in quanto si sostanzia nell'utilizzo di un dipendente in un ufficio diverso della medesima Amministrazione. 

Altra cosa ancora è il c.d. avvalimento, in cui un'amministrazione mancante di proprio personale, si avvale di quello di altra.

Tanto richiamato in ordine alle figure più rilevanti, la Corte denuncia poi le ricorrenti difficoltà applicative che si ingenerano in materia, per lo più dovute all'utilizzo, nella normativa pubblicistica, di incerte qualificazioni delle fattispecie (come, ad esempio, quando si fa riferimento all'“assegnazione di personale collocato fuori ruolo”). 

Ciò ha portato il legislatore, afferma la Corte, a palesare – in tempi più recenti e almeno in alcuni casi – una volontà di omologazione «in maniera che, almeno in ambito pubblico, non vi siano significative differenze di disciplina per il solo fatto che il lavoratore è coinvolto in un comando od in una situazione diversa e divenga irrilevante l'accertamento, da parte del giudice, del soggetto nell'interesse del quale il lavoratore in concreto opera».

Tale volontà di uniformazione è testimoniata, fra le altre ipotesi, dall'art. 70, comma 12, d.lgs. n. 165/2001. Si tratta di una norma che, nel confermare la permanenza, nei profili giuridico-formali, del rapporto di impiego in capo all'amministrazione comandante, evidenzia la volontà legislativa, per esigenze semplificatorie, di dare a questa P.A. una collocazione centrale. 

Ciò quanto meno nei casi in cui l'amministrazione medesima (comandante) è tenuta ad autorizzare l'operazione, con l'effetto di «… individuare in questa il soggetto legittimato passivamente nelle controversie attinenti alla gestione del rapporto di lavoro ed alle conseguenze economiche degli eventi che riguardano la gestione, anche se verificatisi dopo l'inizio dell'applicazione presso un'altra P.A.». 

Infine, la Cassazione, nel sottolineare che le ipotesi qualificabili in termini di comando non si esauriscono in quelle richiamate, osserva che nella controversia oggetto del giudizio, assume rilievo un'ulteriore disposizione, quella dell'art. 23-bis d.lgs. n. 165 cit., norma speciale, quindi derogatoria rispetto alla norma generale dell'art. 57 d.P.R. n. 3/1957 cit.

In effetti, l'art. 23 cit. prevede che, nel quadro della stipula di protocolli di intesa afferenti progetti di interesse specifico di pubbliche Amministrazioni, si può procedere alla assegnazione temporanea di personale, oltre che da una certa amministrazione a un'altra, anche in favore di una impresa privata.

In ogni caso, ai sensi di tale  norma, l'operazione deve avere a fondamento un interesse pubblico; cioè, quello che rileva è l'interesse della Amministrazione coinvolta (o Amministrazioni coinvolte), restando invece sullo sfondo l'interesse dell'azienda privata eventualmente coinvolta, che assume un ruolo solo strumentale.

Coerentemente, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d'Appello (in diversa composizione) chiamata ad applicare i principi di diritto, appositamente formulati.

Osservazioni 

La decisione di legittimità si fa apprezzare quale tentativo di dar ordine a una materia che, nel settore pubblico, vede la compresenza di varie fattispecie similari, le quali si collocano nello spazio ricompreso fra comando ex art. 56 ss. d.P.R. n. 3/1957 e distacco di diritto privato ex art. 30 d.lgs. n. 276/2003. Fattispecie emerse non solo nella prassi, ma anche nella normativa sulla privatizzazione del pubblico impiego.

Nelle situazioni considerate, Il carattere trilaterale del rapporto può ingenerare conseguenze sfavorevoli per il lavoratore, nel senso di rendergli meno agevole far valere pretese giuridiche correlate alla prestazione lavorativa – anche in termini processuali – proprio in ragione dello “sdoppiamento della controparte”. 

Per risolvere tale problematica, assume di solito rilievo decisivo il criterio dell'interesse.  

Nel distacco privatistico, è la stessa legislazione (art. 30 d.lgs. n. 276 cit.) a richiedere la sussistenza (e persistenza) dell'interesse all'operazione in capo al distaccante: in assenza di esso risulta messa in discussione la stessa giustificazione causale del contratto di lavoro, anche per evidenti incertezze circa la legittimità dello schema negoziale (v. l. n. 1369/1960).

Al contrario, nel caso di comando di diritto pubblico, la questione va risolta, in prima battuta, interpretando il dettato normativo, per chiarire quale delle amministrazioni e enti pubblici coinvolti vanti un interesse preminente.

In ambito pubblico non si pone, infatti, per definizione, un problema di utilizzo fraudolento della manodopera e quindi l'interesse - pubblico - all'operazione può risultare a seconda dei casi, “portato” dall'una o l'altra amministrazione (comandante o comandataria).

La normativa del 1957 aveva strutturato la figura in modo da considerare preminente l'interesse della amministrazione ad quem, chiamata a promuovere e disporre (con proprio provvedimento) il comando. Tale soluzione è altresì “supportata” dalla rilevanza formale e sostanziale – a fianco del rapporto di impiego (che resta al comandante) – del rapporto di servizio (che appunto viene a riguardare il comandatario).

In seguito alla emanazione della normativa sulla privatizzazione del pubblico impiego (D.lgs. n. 165/2001) il quadro di riferimento è venuto a farsi più articolato, con l'introduzione di disposizioni che – a prescindere dal criterio dell'interesse – danno preminenza, come visto, ai profili giuridico-formali, quindi alla posizione della amministrazione titolare (formale) del rapporto di impiego.

In definitiva, individuare la parte (comandante o comandataria) nei cui confronti il lavoratore comandato deve far valere le proprie pretese, richiede anzitutto un attento inquadramento della singola fattispecie nella norma di riferimento e, conseguentemente, una verifica dell'adozione, nella stessa, del criterio dell'interesse, o di quello giuridico-formale.  

Alla luce di tali considerazioni, ecco che nella vicenda in esame - in cui un dipendente di una pubblica Amministrazione (quale l'E.), viene “inviato” presso una S.p.A., per svolgere determinati compiti di pertinenza dell'amministrazione stessa - non si è in presenza di un distacco, ma di una ipotesi di comando, però diversa da quella di cui al d.P.R. n. 3/1957.

Si tratta, come visto, della fattispecie di comando di cui all'art. 23-bis d.lgs. n. 165 cit., norma dal cui testo si evince la centralità che nell'operazione assume l'interesse pubblico della amministrazione comandante (altresì titolare del rapporto). 

Alla stessa sono quindi imputabili le situazioni di disfavore economico lamentate dal lavoratore nel periodo del comando, nonché la legittimazione passiva nel processo. Resta invece ininfluente l'interesse della società per azioni comandataria.

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