Risarcimento del danno da reato, prescrizione e sentenza di patteggiamento

28 Marzo 2024

La questione in esame è la seguente: nel caso di sentenza di patteggiamento, ai fini civilistici, è applicabile la prescrizione breve all'azione di danni?

Massima

Ai fini della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da reato, nei casi previsti dall'art. 2947, comma 3, seconda parte, c.c., nella nozione di sentenza irrevocabile deve ritenersi compresa anche quella pronunciata a seguito di patteggiamento, rispetto alla quale trova pur sempre attuazione la ratio, propria della disposizione citata, di escludere l'effetto - più favorevole per il danneggiato - dell'applicazione del termine prescrizionale più ampio, nei casi in cui il procedimento penale non abbia avuto un esito fausto per il danneggiato.

Il caso

Nel corso di una battuta di caccia al cinghiale, era ucciso un uomo da parte di un partecipante alla battuta che era condannato ex art. 444 c.p.p., per omicidio colposo.

Gli eredi della persona deceduta convennero in giudizio il responsabile dell'omicidio, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito della morte del congiunto.

Il Tribunale respinse la domanda, accogliendo l'eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2947, comma 3, c.c., sollevata dal convenuto.

Tale pronuncia era confermata dalla Corte di Appello.

Proposto ricorso in Cassazione, i giudici di legittimità confermano l'applicazione della prescrizione breve all'azione di danni, sul rilievo della piena equiparazione - a fini civilistici - della sentenza di patteggiamento con quella penale irrevocabile a seguito di dibattimento.

La questione

La questione in esame è la seguente: nel caso di sentenza di patteggiamento, ai fini civilistici, è applicabile la prescrizione breve all'azione di danni?

Le soluzioni giuridiche

Nel regolare la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, l'art. 2947, comma 3, c.c. (il quale, in ipotesi di fatto dannoso considerato dalla legge come reato, stabilisce che se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione ovvero è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento si prescrive nei termini indicati dai primi due commi cinque anni e due anni -, con decorso dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza e divenuta irrevocabile) si riferisce, alla stregua della formulazione letterale e collocazione nel complessivo contesto di detto comma 3, nonché della finalità perseguita di tutelare l'affidamento del danneggiato circa la conservazione dell'azione civile negli stessi termini utili per l'esercizio della pretesa punitiva dello Stato, alla sola ipotesi in cui per il reato sia stabilita una prescrizione più lunga di quella del diritto al risarcimento. A tale stregua, ove la prescrizione del reato sia viceversa uguale o più breve di quella fissata per il diritto al risarcimento, la norma in argomento resta invero inoperante, ed il diritto medesimo è soggetto alla prescrizione fissata dall' art. 2947 c.c. , primi due commi, con decorrenza dal giorno del fatto (Cass. n. 2694/2021; Cass. n. 11775/2013).

La Corte di cassazione, in più occasioni, ha ritenuto che la sentenza di applicazione della pena di cui all'art. 444 c.p.p., pur costituendo un importante elemento di prova per il giudice di merito, non può configurarsi come una sentenza di condanna a tutti gli effetti (Cass., SU, n. 21591/2013; Cass. 29769/2022).

Si è affermato, in particolare, che la sentenza con la quale il giudice applica all'imputato la pena da lui richiesta e concordata con il pubblico ministero, "pur essendo equiparata a una pronuncia di condanna ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 445 c.p.p., comma 1, non è tuttavia ontologicamente qualificabile come tale, traendo essa origine essenzialmente da un accordo delle parti, caratterizzato, per quanto attiene l'imputato, dalla rinuncia di costui a contestare la propria responsabilità" (Cass. n. 8421/2011).

Pertanto, la sentenza di cui all'art. 444 c.p.p. non può essere equiparata, ai fini dell'art. 2953 c.c., ad una pronuncia di condanna idonea ad innalzare a dieci anni il più breve termine di prescrizione previsto dalla legge.

Peraltro, la pronuncia in commento aderisce all'indirizzo, più che consolidato di legittimità, con cui è stato precisato che alla nozione di sentenza "irrevocabile" nel procedimento penale si riconduce anche quella emessa ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. - c.d. di patteggiamento - perché essa non ha, nel giudizio civile, l'efficacia di una sentenza di condanna, alla quale è invece applicabile ex art. 2953 c.c. un termine prescrizionale maggiore (Cass. n. 25042/2013; più di recente, ribadito, da Cass. n. 21937/2017).

Osservazioni

Quando il reato si estingue per un motivo diverso dalla prescrizione si applica il termine di cui ai primi due commi dell'art. 2947 c.c., precisandosi che il dies a quo è il momento nel quale si è estinto il reato stesso, ovvero è divenuta irrevocabile la sentenza che ha definito il procedimento penale con una pronuncia diversa da quella della prescrizione e che non pregiudichi l'azione risarcitoria del danno.

Tra queste sentenze rientra anche la sentenza emessa ai sensi degli art. 444 e 445 c.p.p.

La correttezza della riconduzione della sentenza di patteggiamento ai sensi dell'art. 444 c.p.p. alla nozione di "sentenza irrevocabile", rilevante ai fini dell'operatività della prescrizione biennale, è stata individuata nella ratio dell'art. 2947 c.c. che è comunemente individuata nell'esigenza di evitare che un soggetto, condannato in sede penale a causa di un fatto produttivo anche di conseguenze risarcitorie civili, possa sottrarsi all'obbligo di risarcire il danneggiato lucrando il più breve termine imposto dalla norma del c.c.

In tale prospettiva, il secondo periodo del comma 3 dello stesso art. 2947 c.c. riconduce ad armonia la disciplina escludendo l'effetto, più favorevole per il danneggiato, dell'applicazione del termine prescrizionale maggiore previsto per il reato nei casi in cui il procedimento penale non ha avuto un esito fausto per il danneggiato medesimo (Cass. n. 21937/2017).

La disciplina esaminata è coerente con la realizzazione della ratio indicata dal legislatore; difatti, consente al danneggiato di fruire, ai fini dell'avvio o della prosecuzione dell'azione civile risarcitoria, del termine prescrizionale più ampio in caso, ovviamente, di condanna di controparte, nonché di estinzione del reato, ma solo per prescrizione, in nessun'altra ipotesi producendosi a favore del danneggiato effetti favorevoli in dipendenza della pendenza prima e della conclusione, poi, del procedimento penale per gli stessi fatti causativi di responsabilità civile.

Né può sottacersi che la disciplina in esame, prevedendo distinti termini prescrizionali riguardo a fattispecie diverse, non crea problemi di legittimità sul piano costituzionale né con riferimento al principio di eguaglianza né tantomeno con riferimento a quello di ragionevolezza, non risultando arbitraria la scelta legislativa rispetto al diritto di difesa delle parti.

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