Sottrazione internazionale di minori: l'ascolto del minore e la residenza abituale
08 Aprile 2024
Massime L'art. 67, comma 1, lett. c) e comma 2, lett. b) dell'Accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall'Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica (il c.d. Brexit Withdrawal Agreement) prevede che nel Regno Unito, nonché negli Stati membri in situazioni che coinvolgano il Regno Unito, si applichino, tra gli altri, gli atti o le disposizioni contenute nel Regolamento CE n. 2201/2003 ai procedimenti avviati prima della fine del periodo di transizione – ovvero il periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore del Brexit Withdrawal Agreement (1 febbraio 2020) ed il 31 dicembre 2020 (cfr. art. 126 Brexit Withdrawal Agreement) –. Il minorenne, nei procedimenti avente ad oggetto la sottrazione internazionale, può non essere ascoltato nel caso in cui abbia una tenera età e, dunque, si concretizza un'ipotesi in cui si è certamente al di fuori dell'ipotesi di raggiungimento di un'età e di una maturità tali da giustificare il rispetto della loro opinione e la verifica di una loro eventuale opposizione al trasferimento. La residenza abituale, rilevante ai fini della determinazione della competenza ex Regolamento CE n. 2201/2003 e Regolamento UE n. 1111/2019, coincide con il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, ma anche scolastici, amicali ed altro, derivanti dallo svolgersi della sua quotidiana vita di relazione, risultando irrilevante il mero domicilio anagrafico. La residenza abituale del minore, nel caso di sottrazione internazionale, dovrà essere accertata con riferimento ad un momento immediatamente precedente al trasferimento illecito, essendo irrilevanti le modificazionI successive. Il caso Il padre di due figli minorenni, rispettivamente di due e cinque anni, ricorreva avanti al Tribunale per i Minorenni di Torino al fine di ottenere il rientro dei figli nel Regno Unito da cui si erano allontanati insieme alla madre. Il Tribunale torinese respingeva la domanda paterna evidenziando che il Regno Unito non rappresentava il luogo di residenza abituale dei minorenni posto che il nucleo familiare aveva volontariamente e congiuntamente deciso di lasciare il suolo inglese per iniziare un nuovo progetto di vita in Spagna. Pertanto, nonostante il trasferimento in terra iberica non si sia mai realizzato a causa della rottura del rapporto di coppia dei genitori, i figli sono stati portati in Italia dalla madre dopo che, entrambi i genitori, avevano deciso di recidere i legami con il Regno Unito. In particolare, il Giudice minorile, nel ritenere non coincidente il Regno Unito con la residenza abituale dei minori, ha valorizzato la disdetta dell'abitazione familiare, la mancata iscrizione dei minori all'istituto fino ad allora frequentato, il collocamento in un deposito del mobilio e degli arredi e la circostanza in forza della quale nessuno dei membri del nucleo familiare, successivamente all'abbandono del Regno Unito, ha mai più fatto rientro in Inghilterra e l'immobile adibito a casa familiare è stato descritto come in stato di abbandono. Inoltre, il Giudice minorile evidenziava che il ricorrente aveva dimorato, successivamente al trasferimento, in Italia ed aveva continuato a frequentare i figli nel territorio della Repubblica, senza più mantenere alcun legame con il Regno Unito. Avverso la decisione del Tribunale per i Minorenni di Torino, il padre proponeva ricorso per Cassazione lamentando l'errata valutazione del concetto di residenza abituale posto che il giudice minorile aveva, da un lato, individuato la residenza abituale dei minori basandosi su circostanza verificatesi successivamente all'allontanamento dal Regno Unito e, dall'altro lato, valorizzato, in maniera automatica, il progetto di trasferimento della coppia genitoriale senza considerare il naufragio di tale progettualità. Inoltre, il padre si doleva dell'omissione dell'ascolto dei figli minori. La Corte di cassazione, con il provvedimento in commento, respingeva il ricorso. La questione L'ordinanza in commento pone un'interessante questione riguardante l'individuazione del criterio di competenza nei casi di sottrazione internazionale del minore alla luce di quanto prevede la Convenzione dell'Aja del 1980 ed il Regolamento CE n. 2201/2003. In particolare, ci si chiede quale debba essere il significato da attribuire alla nozione di residenza abituale del minore e quale sia il momento da considerare ai fini della valutazione del luogo che possa essere qualificato come residenza abituale. Inoltre, l'ordinanza in commento solleva una quaestio iuris riguardante l'ascolto del minore infra-dodicenne, inducendo l'interprete a chiedersi se il mancato raggiungimento della soglia dei dodici anni possa portare automaticamente ad escludere l'audizione del minore in un procedimento di sottrazione internazionale o, più in generale, di un procedimento che lo riguardi. Le soluzioni giuridiche La Corte di cassazione, nell'ordinanza in commento, antepone alla valutazione delle doglianze del padre ricorrente, una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, precisando che la sottrazione internazionale di minore è regolata dalla Convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori – ratificata dall'Italia con la l. n. 64/1994 – così come integrata dal Regolamento CE n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (noto come Regolamento Bruxelles II-bis), applicabile ratione temporis al caso sottoposto all'attenzione dei Giudici di legittimità. Sul punto, infatti, occorre notare che il Regolamento UE n. 2019/1111 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori (noto come Regolamento Bruxelles II-ter) – che ha sostituito il Regolamento CE n. 2201/2003 – non risulta applicabile al caso in esame nella misura in cui è entrato in vigore (in data 1 agosto 2022) in un momento successivo alle condotte di sottrazione oggetto del provvedimento in commento. In particolare, l'ordinanza in commento richiama l'art. 10 Regolamento CE n. 2201/2003 – norma sostanzialmente sovrapponibile all'art. 9 Regolamento UE n. 2019/1111 – che, nel determinare i criteri di individuazione della competenza nei casi di sottrazione internazionale, ritiene che la competenza debba essere determinata con riferimento alla residenza abituale che il minore aveva immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato ritorno, salvo che il minore non abbia acquistato la residenza abituale in un altro Stato membro. Chiarito il quadro normativo di riferimento, la Corte di cassazione si sofferma, dapprima, sulla doglianza relativa al mancato ascolto del minore, ritenendo di non poter accogliere nel merito il motivo di ricorso. I Giudici di legittimità ribadiscono la centralità e l'imprescindibilità dell'audizione del minore, anche considerando che la volontà contraria espressa da un minore, laddove abbia raggiunto un'età ed un grado di maturità sufficienti, dovrebbe impedire, a priori, la pronuncia di un ordine di ritorno e giustificare, a posteriori, un provvedimento di sospensione dell'efficacia esecutiva del decreto di rimpatrio eventualmente emesso in violazione dell'opposizione manifestata. Tuttavia, l'ordinanza in commento ritiene che «i minori erano in tenera età (infradodicenni, tra 2 e i 5 anni) al momento dell'instaurazione del presente procedimento e quindi certamente al di fuori dell'ipotesi di raggiungimento di un'età e di una maturità tali da giustificare il rispetto della loro opinione e la verifica di una loro eventuale opposizione al trasferimento». Pertanto, il mancato ascolto appare giustificato ed esente da qualsiasi forma di censura. La Corte di Cassazione analizza il concetto di residenza abituale ai fini della determinazione della competenza e, partendo dalla constatazione dell'assenza di una definizione legislativa nazionale e sovranazionale, ricostruisce la nozione di residenza abituale attraverso un'analisi della giurisprudenza interna ed europea. L'analisi della giurisprudenza, porta la Suprema Corte a ritenere che la residenza abituale debba considerarsi quel luogo in cui il «minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, ma anche scolastici, amicali ed altro, derivanti dallo svolgersi della sua quotidiana vita di relazione». Pertanto, essendo irrilevante il domicilio anagrafico del minore, occorrerà considerare il luogo che rappresenta il baricentro della vita relazione del minore, tenendo conto che «fattori idonei a dimostrare che la presenza fisica di un soggetto in uno Stato non sia in alcun modo temporanea o occasionale e che la residenza del soggetto denoti una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare, con riferimento ai minori, sono in particolare la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, la cittadinanza del minore, il luogo e le condizioni della frequenza scolastica, le conoscenze linguistiche nonché le relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato». Definita la nozione di residenza abituale, l'ordinanza in commento chiarisce che il momento a cui si deve fare riferimento per la valutazione del luogo che possa essere qualificato come residenza abituale del minore coincide il momento immediatamente precedente all'illecita sottrazione od all'illecito trattenimento. Alla luce di tali considerazioni, la Corte di cassazione riteneva di respingere il ricorso del padre dei minori nella misura in cui, da un lato, la residenza abituale dei minori non può essere individuata nel Regno Unito posto che la coppia genitoriale aveva deciso congiuntamente di recidere ogni legame con territorio inglese «in considerazione dell'esistenza di un progetto genitoriale di trasferimento in altro Stato, concretizzatosi in atti esteriori concordati e condivisi da entrambi i genitori, attuati mesi prima dell'asserita illecita sottrazione […](disdetta dell'affitto dell'abitazione famigliare, ritiro dei figli dalla scuola frequentata e collocazione in deposito tutti i mobili e suppellettili, in vista della loro futura spedizione ed installazione in appartamento sito in un terzo Stato)» e, dall'altro lato, «l'ordine di rientro nello Stato di ultima residenza abituale dei minori non può essere disposto in favore del padre, che aveva agito per il rientro, in quanto non risulta integrata la fattispecie invocata della sottrazione internazionale di minore» e, pertanto, il provvedimento del Tribunale per i Minorenni deve essere confermato. Osservazioni L'ordinanza in commento induce l'interprete a riflettere su quattro distinti aspetti legati alla sottrazione internazionale del minore: l'applicabilità ratione temporis et loci del Regolamento CE n. 2201/2003, la centralità dell'ascolto del minore infradodicenne, la nozione di residenza abituale ed il momento temporale che deve essere preso in considerazione ai fini dell'accertamento del luogo che possa essere qualificato come residenza abituale del minore. a) l'applicabilità ratione temporis et loci del Regolamento CE n. 2201/2003 Con riferimento ai profili di diritto intertemporale, l'ordinanza in commento raggiunge una soluzione tanto condivisibile quanto pacifica: le condotte oggetto dell'attenzione della Suprema Corte sono state poste in essere in un momento antecedente all'entrata in vigore del Regolamento UE n. 2019/1111 e, di conseguenza, risulterà applicabile il Regolamento CE n. 2201/2003. Tuttavia, gli approdi interpretativi raggiunti dalla Suprema Corte non sono destinati a rimanere confinate nel passato nella misura in cui il Regolamento UE n. 2019/1111 contiene, per quel che rileva in questa sede, una disciplina sostanzialmente sovrapponibile a quella contenuta nel Regolamento CE n. 2201/2003. Appare opportuno anche richiamare il ragionamento della Suprema Corte relativo all'applicabilità del Regolamento CE n. 2201/2003 al Regno Unito, nonostante il recesso di quest'ultimo dall'Unione Europea e che risulta conforme ai precedenti di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 31963/2021 e Cass. civ., sez. I, ord. n. 12892/2023, che, però, riguardano il Regolamento CE n. 1215/2012concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale). L'art. 67, comma 1 lett. c) e comma 2, lett. b) del c.d. Brexit Withdrawal Agreement – ovvero l'Accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall'Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica (2019/C 384 I/01) – ha chiarito che nel Regno Unito, nonché negli Stati membri in situazioni che coinvolgano il Regno Unito, si applicano, tra gli altri, gli atti o le disposizioni contenute nel Regolamento CE n. 2201/2003 ai procedimenti avviati prima della fine del periodo di transizione – ovvero il periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore del Brexit Withdrawal Agreement (1 febbraio 2020) e il 31 dicembre 2020 (cfr. art. 126 Brexit Withdrawal Agreement) –. b) l'ascolto del minore infra-dodicenne L'iter argomentativo della Suprema Corte in punto di ascolto del minore non può che essere condiviso: posta la centralità e la nevralgicità dell'audizione del minore nelle procedure di sottrazione internazionale (cfr. art. 13 Convenzione dell'Aja del 1980), la tenera età del minore impedisce di esprimere una volontà in merito all'opposizione al trasferimento. Tuttavia, appare possibile prospettare una interpretazione provocatoria che si fonda su una peculiare lettura del concetto di capacità di discernimento e che rende possibile superare l'automatismo connesso al mero dato anagrafico, valorizzando il riferimento legislativo sovranazionale che non consente un appiattimento valutativo sulla sola età del minore, imponendo una valutazione congiunta dell'età e del grado di maturità (cfr. art. 13 Convenzione dell'Aja del 1980, art. 42 Regolamento CE n. 2201/2003 e art. 26 Regolamento UE n. 1111/2019 che richiama l'art. 21 Regolamento UE n. 1111/2019 sul diritto del minore di esprimere la propria opinione). Se intendiamo la capacità di discernimento come capacità di esprimere la propria volontà e, quindi, «uno stato delle sue capacità intellettive che l'esperienza mostra raggiungibile anche molto precocemente» (Tommaseo, 2023), allora appare evidente che il mero dato dell'età del minore può risultare poco significativo. Infatti, l'Autorità Giudiziaria procedente dovrebbe, sempre, disporre l'incontro per procedere ad un'osservazione del minore. «È questa un'osservazione che può valutare l'apporto dei minori di dodici anni tenendo conto non soltanto della loro età, ma anche […]considerando il contesto in cui vivono, la loro capacità cognitiva intesa come capacità di comprensione e di espressione linguistica, lo sviluppo emotivo e affettivo, il livello di suggestionabilità, la capacità di concentrazione e quella di distinguere la fantasia dalla realtà» (Tommaseo, 2023, il quale conclude affermando che «in definitiva, l'ascolto del minore non può mai essere considerato superfluo essendo una fonte reputata dal legislatore necessaria per una compiuta valutazione dell'interesse del minore e risponde in tal modo a una funzione cognitiva in quanto può utilmente contribuire alla formazione del convincimento del giudice che abbia saputo valutarne la capacità di discernimento da intendere, quando si tratta di minori di dodici anni, non come capacità di compiere scelte consapevoli ma nel più limitato significato della capacità di esprimere la propria volontà, un contributo che può essere escluso soltanto da una doverosa motivazione sulla mancanza di siffatta capacità, necessario presupposto del diritto del minore al suo ascolto»). Tale esegesi dovrebbe condurre alla necessità di affermare un concreto accertamento della capacità di discernimento del minore, svincolandola da un automatismo anagrafico. Corre l'obbligo di evidenziare che questa linea interpretativa pone un problema organizzativo di non poco momento: l'Autorità Giudiziaria procedente dovrebbe incontrare sempre e comunque il minore al fine di valutarne la capacità di discernimento e lo dovrà fare attraverso soggetti esperti – non essendo in alcun modo bastevoli le competenze squisitamente giuridiche del Giudice togato –. L'aggravio per la macchina processuale è evidente, ma non per questa difficoltà organizzativa si dovrebbe abdicare ad adottare una soluzione interpretativa che potrebbe garantire l'attuazione e la realizzazione dell'interesse – rectius del diritto – del minore ad essere ascoltato. c) la nozione di residenza abituale La Corte di cassazione, nell'ordinanza in commento, ribadisce una nozione di residenza abituale sulla quale si è ormai raggiunta una unanimità di vedute in dottrina ed in giurisprudenza, anche sovranazionale (cfr. CGUE, sez. IV, 14 luglio 2022, C-572/21, causa CC c. VO; CGUE, sez. V, sentenza 8 giugno 2017, C-111/17, OL c. PQ e CGUE, sez. III, 2 aprile 2009, C-523/07, A.) e che ha colmato la latitanza legislativa europea ed italiana – che neppure la riforma Cartabia ha saputo colmare (cfr. art. 473-bis.11 c.p.c.) –. La residenza abituale è un concetto che non appare in alcun modo vincolato al dato anagrafico (cfr. Cass., SS.UU., ord. n. 5830/2023, secondo le quali ai fini della corretta individuazione della giurisdizione, le certificazioni provenienti dai registri di stato civile - che hanno l'essenziale funzione di dare la certezza di fatti giuridicamente rilevanti, rendendoli conoscibili a chiunque in modo sicuro - ammettono la prova contraria, purché questa sia estremamente rigorosa nella sua evidenza e certa nei suoi esiti), ma è una nozione sostanziale corrispondente ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione. Pertanto, la nozione di residenza abituale deve essere considerata dall'angolazione prospettica del minore; infatti, solo ponendo al centro il minore, è possibile perseguire il suo migliore interesse, facendo in modo che la residenza abituale venga a coincidere con il luogo in cui il bambino vive la propria quotidianità e svolge, in maniera concreta e continuativa, la sua vita personale. Dunque, occorre intendere la residenza abituale come il baricentro della vita del minore che dovrà essere valutato, non attraverso un calcolo puramente aritmetico del vissuto, ma a partire dal punto di vista del minore stesso (cfr., ex plurimis, Cass., SS.UU., ord. n. 10443/2022; Cass., SS.UU., n. 24231/2018; Cass., SS.UU., n. 3555/2017; Cass., SS.UU., n. 1984/2012; Cass., SS.UU., ord. n. 30646/2011; Cass., sez. I, n. 397/2006; Cass. civ., VI, ord. n. 21750/2012; Cass. civ., I, n. 7944/2013; Cass. civ., I, n. 16648/2014; Cass., sez. I, ord. n. 30123/2017Cass., sez. VI, n. 17089/2022 e Cass., sez. I, n. 32194/2022). Nell'individuazione della residenza abituale dovranno essere tenuti in considerazione tutti quegli elementi che consentano di considerare la presenza del minore in un determinato luogo come né temporanea né occasionale, ma caratterizzata dall'integrazione del minore in un determinato ambiente sociale e familiare. In particolare, risulta necessaria un'attenta attività istruttoria fondata sulla verifica della sussistenza di indici valutabili oggettivamente quali: il decorso del tempo, la regolarità, le sue relazioni familiari e sociali, le condizioni e le ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, la cittadinanza del minore, il luogo e le condizioni della frequenza scolastica, le conoscenze linguistiche nonché le relazioni familiari e sociali del minore in un determinato Stato. L'ordinanza in commento pone l'attenzione su alcuni elementi che potranno essere valorizzati nell'individuazione della nozione di residenza abituale. In particolare, si fa riferimento al ruolo che un progetto di coppia può avere nell'individuazione della residenza abituale. Sul punto si deve ricordare che la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (cfr. CGUE, sez. I, sentenza 22 dicembre 2010, C-497/10, Mercredi c. Chaffe) ha affermato che assume rilevanza la volontà di fissare la propria residenza abituale in un determinato Stato: «volontà che, peraltro, si deve desumere da circostanze fattuali che ne rappresentino l'esternazione, anche in proiezione futura. Da questo punto di vista, per la Corte di giustizia, l'intenzione dei genitori di stabilirsi con il minore in un altro Stato membro, manifestata attraverso determinate circostanze esterne, come l'acquisto o l'affitto di un alloggio nello Stato membro ospitante, può costituire un indizio del trasferimento della residenza abituale» (LUPOI, 2014). Inoltre, «sarà necessaria una prognosi sulla possibilità che la nuova dimora diventi l'effettivo stabile e duraturo centro di affetti ed interessi del minore stesso» (DANOVI, 2022). Tale progettualità potrà essere valorizzata anche nell'ipotesi in cui il trasferimento non si verifichi a seguito della crisi della coppia genitoriale: il fatto che – come avviene nel caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte – i genitori abbiano di comune accordo deciso di trasferirsi in uno Stato differente rispetto a quello in cui il minore ha fino ad allora vissuto, progressivamente recidendo i legami con tale territorio al fine di trasferirsi in un diverso Stato è una circostanza che deve essere valorizzata ai fini della determinazione della residenza abituale nella misura in cui manifesta l'intenzione congiunta di modificare il luogo in cui il minore potrà concentrare la propria vita di relazione. La rescissione dei legami, avvenuti prima del trasferimento, ed il trasferimento in uno Stato diverso – ma non coincidente con quello in cui i coniugi avrebbero dovuto trasferirsi – è indice del venir meno, per comune volontà dei genitori, della residenza abituale del minore, alla luce di indicatori di natura proiettiva (cfr. Cass. SS.UU., n. 8042/2018). Inoltre, la Corte di Cassazione, nell'ordinanza in commento, con riferimento all'età del minore, evidenzia – richiamando un precedente della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (cfr. CGUE, sez. I, sentenza 22 dicembre 2010, C.497/10, Mercredi c. Chaffe) – che, nel determinare quale sia la residenza abituale del minore in tenera età, si debba considerare essenzialmente l'ambiente familiare posto che il «neonato» vive essenzialmente ed esclusivamente con gli adulti di riferimento dalla cui cura dipende la sua esistenza e, quindi, invita l'interprete a valutare la diade figlio-genitore accudente. Tuttavia, si ritiene che si dovrebbe interpretare il concetto di «tenera età» e di «neonato» in maniera stringente e circoscriverlo alle sole ipotesi in cui il minore – per l'età e la condizione – risulti effettivamente dipendente dalle cure del genitore e svolga, in concreto, la propria vita di relazione unicamente all'interno del nucleo familiare. Infine, il rapporto esistente con il genitore che non ha partecipato al trasferimento: uno dei fattori che devono essere considerati è anche il luogo in cui il minore ha avuto contatti regolari con l'altro genitore (cfr. CGUE, sez. V, sentenza 28 giugno 2018, C-512/17, HR) posto che la relazione con il genitore non collocatario risulta essere una delle relazioni significative che devono essere valorizzate, nella loro dimensione geografica, per valutare il luogo in cui il minore abbia il proprio centro di interessi e viva le proprie relazioni. d) il momento rilevante ai fini dell'accertamento della residenza abituale del minore In conclusione, l'ordinanza in commento precisa il momento da considerare ai fini della valutazione del luogo che possa essere qualificato come residenza abituale del minore. La Corte di Cassazione, allineandosi al dettato normativo europeo ed all'orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr. Cass. civ., sez. un., ord. n. 28329/2019; Cass. civ., sez. I, ord. n. 15254/2019; Cass. civ., sez. I, n. 18846/2016 e CGUE, sez. V, sentenza 28 giugno 2018, C-512/17, HR), precisa che la residenza abituale, nel caso di sottrazione internazionale, dovrà essere identificata con la residenza posseduta prima del trasferimento illecito. Tale regola generale subisce un'eccezione nei casi in cui sia possibile individuare una nuova residenza abituale del minore successivamente al trasferimento. Infatti, a mente di quanto dispone l'art. 9 Regolamento UE n. 2019/1111 – norma sostanzialmente sovrapponibile con l'art. 10 Regolamento CE n. 2201/2003 – prevede che la competenza debba essere determinata considerando il luogo nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento illecito (cfr. art. 9, § 1, Regolamento UE n. 2019/1111). Tuttavia, vi sono delle ipotesi al ricorrere delle quali la residenza abituale deve considerarsi sussistente in capo al luogo in cui è avvenuto il trasferimento. In particolare, l'art. 9, § 2, Regolamento UE n. 2019/1111 prevede che sussista, alternativamente, una delle seguenti condizioni: a) se ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha accettato il trasferimento o mancato ritorno, oppure b) se il minore ha soggiornato in quell'altro Stato membro almeno per un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e il minore si è integrato nel nuovo ambiente e sia soddisfatta almeno una delle condizioni seguenti: i) entro un anno da quando il titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava non è stata presentata alcuna domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro; ii) una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata ritirata e non è stata presentata una nuova domanda entro il termine di cui al punto i); iii) una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata respinta da un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro per motivi diversi da quelli di cui all'articolo 13, primo comma, lettera b), o all'articolo 13, secondo comma, della convenzione dell'Aia del 1980 e tale decisione non è più soggetta a impugnazione ordinaria; iv) non è stata adita alcuna autorità giurisdizionale a norma dell'articolo 29, paragrafi 3 e 5, nello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato ritorno; v) l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o del mancato ritorno ha reso una decisione sul diritto di affidamento che non comporta il ritorno del minore. La giurisprudenza interna ha chiarito che potranno essere considerate solo le circostanze sussistenti al momento della proposizione della domanda e non anche le circostanze verificatesi successivamente alla presentazione della domanda, in forza del principio della perpetuatio iurisdictionis (cfr. Cass. civ., sez. un., ord. n. 28329/2019; Cass. civ., sez. un., n. 30657/2018; Cass. civ, sez. un., 32359/2018; Cass. civ., sez. un., n. 16864/2011; Cass. civ., sez. un., n. 28875/2008 e Cass. civ., sez. I, n. 7161/2016). Riferimenti Per l'approfondimento dei temi trattati si suggeriscono i seguenti testi: Baruffi, La sottrazione internazionale di minori: un fenomeno ancora troppo frequente, in Fam. e dir., 2022, 461 ss.; Danovi, Ascolto del minore, capacità di discernimento e obbligo di motivazione (tra presente e futuro), in Fam. e dir., 2022, 993 ss.; Danovi, Trasferimenti di residenza (legittimi e illegittimi), conflitti di competenza e interesse del minore, in Fam. e dir., 2022, 1105 ss.; Giordano, Giurisdizione nelle controversie sulla crisi familiare nell'Unione Europea nel Reg. UE n. 1111/2019, in AA.VV., Riforma del processo per le persone, i minorenni e le famiglie, a cura di Giordano e Simeone, Milano, 2023, 45 ss.; Lupoi, La sottrazione internazionale di minori: gli aspetti processuali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, 111 ss.; Lupoi, Il regolamento UE n. 1111 del 2019: novità in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2020, 574 ss.; Marino, Sulla “residenza abituale” quale criterio di giurisdizione per le controversie familiari e minorili nella disciplina eurounitaria, in Fam. e dir., 2022, 855 ss.; Molè, Il Regolamento CE n. 2201/2003 (Bruxelles II bis): i criteri di riparto della giurisdizione e la disciplina della sottrazione internazionale dei minori, in Nuova giur. civ. comm., 2012, 1036 ss.; Pizzolante, La “residenza abituale” del minore quale presupposto per la configurazione della fattispecie di sottrazione internazionale, in IUS Famiglie, 30 dicembre 2022; Taccini, Sottrazione internazionale: sul rimpatrio sceglie il minore capace di discernimento, in Nuova giur. civ. comm., 2014, 1079 ss.; Tommaseo, Una giurisprudenza evolutiva in tema di decisorietà e di audizione dell'infradodicenne, in Fam. e dir., 2023, 550 ss. |