Regolamento assembleare (interpretazione e modifica)

Cesare Trapuzzano
22 Dicembre 2017

Premessa la distinzione tra regolamento di condominio assembleare e contrattuale, e fatta propria l'impostazione secondo cui il primo ha natura normativa o regolamentare (nel senso che regola le fattispecie di rilievo in termini astratti e generali, sebbene circoscritti alla ristretta comunità condominiale) e il secondo ha natura convenzionale, l'analisi si incentra sugli aspetti rilevanti del regolamento assembleare e, segnatamente, sulla disciplina ad esso dedicata dal codice civile. Quindi, delineato l'aspetto funzionale del regolamento, sono tracciati i profili peculiari del suo contenuto, con la conseguente individuazione dei limiti alla sua estensione.

Inquadramento

L'indagine che segue si riferisce ai regolamenti condominiali di natura assembleare. Infatti, si evidenzia che nell'ambito del condominio si distinguono due tipi di regolamento, in base al procedimento di formazione seguito: i regolamenti assembleari sono approvati dall'assemblea, secondo la maggioranza prescritta, mentre i regolamenti contrattuali o convenzionali si formano in ragione di un procedimento peculiare, poiché il relativo contenuto è predisposto dal proprietario originario dell'edificio ed è richiamato da ciascun contratto di vendita in favore dei singoli condòmini. Ciò ha dei riflessi anche sul piano effettuale: il primo regola ipotesi astratte e generali in ordine alle materie su cui può intervenire, il secondo stabilisce condizioni cogenti e concrete che attengono alla regolamentazione dei diritti di proprietà esclusiva sugli immobili di ciascun condomino. La formazione di un regolamento assembleare, ammessa in termini generali per la comunione ordinaria, assume nel condominio degli edifici una particolare rilevanza, tanto da essere obbligatoria per i condomini in cui il numero dei condòmini sia superiore a 10 (c.d. grandi condomini). Una norma ad hoc regola il regolamento di condominio: si tratta dell''art. 1138 c.c. come sostituito, con decorrenza dal 18 giugno 2013, dall'art. 16, primo comma, lett. a) e b), della l. 11 dicembre 2012, n. 220. Siffatta previsione è significativa del riconoscimento dell'autonomia organizzativa del condominio, avvalendosi della quale i condòmini provvedono a stabilire una volta per tutte le regole per la gestione delle cose comuni.

In evidenza

Segnatamente, il regolamento contiene le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione. Sicché il regolamento disciplina la vita condominiale, quale strumento di organizzazione delle relazioni interne tra i condòmini, circa l'uso e il godimento di quanto tra loro condiviso per la convivenza in un medesimo edificio, secondo le peculiarità che contraddistinguono ogni specifica realtà.

Al riguardo, il legislatore rifugge da un'idea di tipizzazione del regolamento condominiale, poiché la sua disciplina è conformata all'esigenza di modellare plasticamente la regolamentazione delle relazioni tra condòmini alla stregua dei concreti rapporti tra essi instaurati, con la conseguenza che la determinazione del contenuto normativo dei regolamenti è limitata ad una generica, ma pur sempre essenziale, elencazione di argomenti, quali l'uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese, la tutela del decoro dell'edificio e l'amministrazione. Nondimeno, nella prassi è dato riscontrare nelle specifiche realtà condominiali la presenza di regolamenti stereotipati, che includono spesso delle disposizioni prese a prestito da contratti che non dovrebbero avere alcuna incidenza pratica con quel determinato condominio o che addirittura sono in contrasto, logico o giuridico, con delle disposizioni concretamente concludenti. Ebbene, la proposta di un regolamento tipo, che può essere adottato in qualsiasi condominio, pur sopperendo al ritardo della sua formazione, ove per legge sia necessario, tuttavia non è idonea a risolvere i problemi della specifica realtà considerata, in ragione delle altrettanto specifiche esigenze, individuali e comuni. Ipotesi diversa è, invece, quella in cui, ai fini di soddisfare l'esigenza di modellare la disciplina del regolamento alle concrete esigenze delle specifiche comunità condominiali, la proposta concerne uno schema legale di regolamento che, analogamente alle funzioni rivestite dallo statuto delle società, tracci chiaramente il limite di esercizio dei diritti di ciascuno e l'ammontare dei conseguenti oneri. In questo senso si tratterebbe di un regolamento che, sebbene tipizzato, perché predisposto dallo stesso legislatore ed efficace sin dal momento costitutivo del condominio, possa nondimeno essere modificato dai condòmini in tutte o alcune soltanto delle sue più importanti statuizioni, per adattarlo alle esigenze particolari di ciascuna ipotesi concreta. Tuttavia, l'ultima riforma del 2013, ripercorrendo nella sostanza l'impostazione della precedente versione della norma, non ha valorizzato tale esigenza.

Disciplina del regolamento

Le regole recepite dal regolamento, discusse in assemblea e approvate a maggioranza, sono destinate a vincolare non solo gli assenti o i dissenzienti, ma anche gli eredi e gli aventi causa dei singoli partecipanti. Ciascun condomino può assumere l'iniziativa per la formazione del regolamento condominiale o per la revisione di quello esistente. L'approvazione del regolamento esige la maggioranza stabilita dal comma 2 dell'art. 1136 c.c., ossia un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Ancora, il regolamento deve essere allegato al registro dei verbali delle assemblee, a cura dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1130, comma 1, n. 7), c.c. Infine, il regolamento assembleare può essere impugnato davanti all'autorità giudiziaria, ai sensi dell'art. 1107 c.c., entro 30 giorni dalla deliberazione che lo ha approvato. Per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione. L'autorità giudiziaria decide con unica sentenza sulle opposizioni proposte, ai fini di evitare il possibile conflitto pratico di giudicati. Decorso il termine per l'impugnazione senza che il regolamento sia stato opposto, questo ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dei singoli partecipanti. Tuttavia, nell'ambito condominiale, l'autonomia organizzativa incontra tre limiti fondamentali. In primis, il regolamento non può derogare ad una serie di norme, ossia quelle che in modo più significativo valgono ad individuare i caratteri distintivi del condominio (artt. 1118, comma 2, in ordine al divieto di abdicazione del diritto dei singoli condòmini sulle parti comuni, 1119, con riferimento all'indivisibilità dei beni comuni, salvo che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio, 1120, con riguardo ai limiti e alle condizioni di realizzazione delle innovazioni). Inoltre, sono inderogabili le norme volte a delineare un modello tipico di organizzazione(artt. 1129 c.c., quanto ai termini della nomina, della revoca e degli obblighi degli amministratori, 1131, con riferimento alla rappresentanza dell'amministratore del condominio, 1132, con riguardo alle conseguenze del dissenso dei condòmini rispetto alle liti, 1136, in relazione alle prescrizioni inerenti alla costituzione dell'assemblea e alla validità delle relative deliberazioni, 1137, in ordine alle prescrizioni sull'impugnazione delle delibere condominiali).

In evidenza

Quanto all'espressa previsione della non derogabilità da parte del regolamento della disposizione dell'art. 1129 c.c., la quale attribuisce all'assemblea la nomina dell'amministratore e stabilisce la durata dell'incarico, è stata dichiarata la nullità della clausola del regolamento che riservi ad un determinato soggetto, per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio, sottraendo all'assemblea il relativo potere di nomina e di revoca, senza che abbiano a tal fine rilievo il rapporto in concreto esistente tra i condòmini o l'attività esercitata nell'edificio (Cass. civ., sez. II, 24 maggio 2013, n. 13011).

La previsione di questa parziale inderogabilità della regolamentazione legale del condominio è riconducibile ad una finalità di carattere generale, volta ad assicurare una certa uniformità della disciplina di una figura di comunione che ha assunto una sempre maggiore rilevanza sociale, garantendo, al contempo, un'esigenza di tutela rafforzata del singolo condomino, quale proprietario esclusivo degli appartamenti del fabbricato. Il perseguimento di questo scopo costituisce altresì il fondamento giustificativo dell'ulteriore limite prescritto dall'art. 1138, comma 4, c.c., ossia la previsione secondo cui le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, come risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni. Infine, il terzo limite, introdotto dalla novella del 2012, si sostanzia nel fatto che le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Tale principio era stato già sancito dalla giurisprudenza di legittimità, la quale aveva sostenuto che il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condòmini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in via esclusiva (Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2011, n. 3705; Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1993, n. 12028). Si tratta, pertanto, di una specificazione dell'altro limite, secondo cui i regolamenti assembleari non possono incidere sui diritti di ciascun condomino relativi alle proprietà esclusive.

LIMITI PRESCRITTI PER IL REGOLAMENTO ASSEMBLEARE

Norme inderogabili

art. 1118 c.c., secondo comma, in ordine al divieto di rinuncia del diritto dei singoli condòmini sulle parti comuni

art. 1119 c.c., con riferimento all'indivisibilità dei beni comuni, salvo che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio

art. 1120 c.c., con riguardo ai limiti e alle condizioni di realizzazione delle innovazioni

art. 1129 c.c., quanto alla nomina, revoca e obblighi degli amministratori

art. 1131 c.c., con riferimento alla rappresentanza dell'amministratore del condominio

art. 1132 c.c., con riguardo alle conseguenze del dissenso dei condòmini rispetto alle liti

art. 1136, in relazione alle prescrizioni inerenti alla costituzione dell'assemblea e alla validità delle relative deliberazioni

art. 1137 c.c., in ordine alla disciplinai sull'impugnazione delle delibere condominiali

Diritti sulle proprietà esclusive di ciascun condomino

Il regolamento assembleare non può in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, come risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni

Tutela degli animali d'affezione

Il regolamento assembleare non può vietare il possesso o la detenzione di animali domestici, essendo rimesso tale settore alla regolamentazione contrattuale con il consenso unanime dei condòmini, poiché afferisce ai diritti sulle proprietà esclusive

Funzione del regolamento

In base ad una concezione risalente del condominio, connotata da una considerazione prioritaria e garantistica delle proprietà esclusive dei singoli condòmini, il divieto di incidere sui diritti di ogni condomino è interpretato come divieto assoluto di ledere il diritto di usare, di godere, di disporre iure dominii della propria unità abitativa. In forza di questa lettura, la giurisprudenza ha attribuito confini assai restrittivi al possibile contenuto dei regolamenti di condominio, contrapponendo ad essi una diversa categoria di regolamenti, ovvero i regolamenti contrattuali, attraverso i quali, per effetto del consenso unanime dei condòmini, si possono stabilire limitazioni al contenuto dei diritti di proprietà esclusiva spettanti ai singoli condòmini. In questa prospettiva, la Suprema Corte ha ritenuto limitative del contenuto normale delle proprietà esclusive di ciascun condomino le clausole di un regolamento che vietino di destinare gli appartamenti ad un uso diverso da quello abitativo. Viceversa, si è affermato che specifiche limitazioni, consistenti nel divieto di dare alle singole unità immobiliari comprese nell'edificio condominiale una o più destinazioni possibili, ovvero nell'obbligo di preservarne le originarie destinazioni per l'utilità generale dell'intero edificio, possono essere previste da un regolamento contrattuale, configurandosi, talvolta, quali veri e propri oneri reali e, talaltra, come servitù reciproche. Secondo una tesi più estensiva, i regolamenti di condominio possono avere uno spazio applicativo più ampio, potendo incidere sui diritti dei singoli condòmini, tanto che in questa direzione perderebbe di significato la distinzione tra regolamenti assembleari e regolamenti contrattuali. Aderendo a questa ricostruzione, si è osservato che dal tenore dell'art. 1138, comma 4, c.c. potrebbe desumersi non già un divieto di interferire nelle proprietà esclusive, bensì un divieto atto a colpire solo quelle interferenze che violino concrete esigenze abitative dei condòmini. Secondo una variante di questa impostazione, la possibilità dei regolamenti assembleari di incidere su diritti riguardanti le proprietà esclusive di ciascun condomino sarebbe limitata dalla sola esigenza di vagliare la meritevolezza di tutela, e ciò nel senso che il regolamento potrà interferire sui diritti dei condòmini, purché risponda sempre e soltanto all'esigenza primaria della realizzazione dei principi costituzionali funzionalizzati allo sviluppo della persona umana e all'instaurazione di equi rapporti sociali. Tuttavia, la giurisprudenza costante respinge questo tentativo di rivedere il contenuto dei regolamenti di condominio in ragione del principio di solidarietà sociale. Pertanto, prevale in giurisprudenza l'orientamento volto ad escludere che i regolamenti assembleari possano incidere sui diritti relativi alle proprietà esclusive dei singoli condòmini, ritenendosi che tale possibilità sia riservata ai regolamenti contrattuali, salvo che non si tratti di modifiche che non mettano in gioco le esigenze proprietarie.

Contenuto del regolamento

Il contenuto del regolamento condominiale approvato a maggioranza è circoscritto nell'ambito dell'art. 1138 c.c. In specie, come anticipato, l'ultimo capoverso della norma vieta al regolamento di limitare i diritti dei condòmini, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, nonché di derogare ad una serie di disposizioni normative (artt. 1118 , comma 2, 1119,1120,1129,1131,1132,1136,1137 c.c.). Soltanto un regolamento di natura contrattuale può incidere sui diritti soggettivi dei condòmini (ad esempio, inibendo determinate utilizzazioni delle proprietà esclusive o delle parti comuni dello stabile) e, pertanto, il divieto posto dall'art. 1138, penultimo comma, si riferisce solo al regolamento votato dall'assemblea a maggioranza o, comunque, non contrattuale. Secondo la dottrina e la giurisprudenza, tali disposizioni non possono essere mai derogate, nemmeno all'unanimità con dichiarazione di contenuto negoziale, poiché esse (o almeno buona parte) afferiscono a materie che eccedono la gestione del condominio e, in ogni caso, tutelano fondamentali interessi del condomino o di terzi, esprimendo principi di ordine pubblico: per tale motivo il legislatore esige che in tali settori tutti i condomini siano disciplinati uniformemente. I regolamenti di condominio votati a maggioranza dell'assemblea, o comunque non contrattuali, possono contenere solo norme che disciplinino l'uso e le modalità di godimento delle cose e dei servizi comuni, poiché la misura e l'intensità del godimento stesso risultano, invece, dal titolo d'acquisto, dalla legge (art. 1102 c.c.) o dalla volontà negoziale unanime dei partecipanti. Con riferimento alla disciplina dell'uso dei beni comuni, l'art 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile. Ne consegue che, i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i quorum prescritti dalla legge, fermo restando che non è consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 2013, n. 27233). In tale prospettiva l'assemblea può anche prevedere un uso turnario delle cose e dei servizi comuni, quando esso risulti funzionale al godimento, ma non anche limitare tale godimento ad una soltanto delle forme di uso di cui la cosa comune sia suscettibile secondo la sua destinazione. Per converso, i regolamenti contrattuali possono sottoporre a limitazioni l'esercizio dei poteri e delle facoltà che caratterizzano il contenuto del diritto dominicale sulle cose comuni ed anche giungere ad attribuire ad uno o più condòmini l'uso esclusivo di determinate parti comuni del fabbricato; inoltre, possono vietare (ma anche imporre) determinate destinazioni d'uso alle proprietà esclusive. Il regolamento assembleare deve contenere anche tutte le disposizioni relative alla gestione delle cose e dei servizi comuni: rientrano in questa categoria le clausole che (nel rispetto delle norme inderogabili di cui al penultimo comma dell'art. 1138 c.c.) riguardano la figura dell'amministratore, il funzionamento dell'assemblea e le sue attribuzioni, la compilazione e la tenuta dei verbali e registri, la manutenzione della cosa comune, l'assicurazione, le spese di gestione in senso stretto, ecc. Ulteriore campo rimesso alla disciplina del regolamento di condominio è rappresentato dalle disposizioni circa la ripartizione delle spese; i criteri di riparto trovano la loro espressione nelle tabelle millesimali, che costituiscono parte integrante del regolamento stesso ed in ordine alle quali è esclusa qualsiasi discrezionalità dell'assemblea (o della comune volontà dei condòmini), in quanto espressione matematica del valore proporzionale di ciascun piano o porzione di piano rispetto all'intero. Anche in questo settore è dirimente la differenza tra regolamento approvato a maggioranza e regolamento contrattuale: infatti, mentre il primo deve uniformarsi ai criteri di legge nella fissazione dei criteri di riparto delle spese, il regolamento convenzionale può introdurre criteri del tutto differenti, sino a giungere anche all'esclusione di determinate unità immobiliari dall'onere di partecipazione ad una o più spese, pure di carattere generale.

Estensione del regolamento

Il quarto e penultimo comma dell'art. 1138 c.c. dispone che le norme del regolamento di condominio non possono in alcun modo limitare i diritti dominicali dei condòmini, tanto sulla proprietà esclusiva, quanto su quella comune. Tale divieto, peraltro, riguarda i soli regolamenti approvati a maggioranza, il cui contenuto si esaurisce necessariamente nella disciplina delle materie di cui al primo comma della norma in questione. In tale prospettiva eventuali limiti di proprietà o comproprietà potrebbero ritenersi legittimi solo se riferiti specificamente ad usi o destinazioni che, per loro natura, alterino la funzionalità delle cose comuni, ovvero implichino un uso eccessivo o sproporzionato di esse, sì da compromettere il concorrente diritto d'uso spettante agli altri condòmini o da arrecare comunque un pregiudizio ai medesimi; clausole siffatte possono inquadrarsi tra quelle afferenti all'amministrazione delle parti comuni. I regolamenti contrattuali, invece, al fine di assicurare il miglior godimento dell'edificio in condominio, possono contenere anche clausole limitative dei poteri e delle facoltà del condomino: la volontà negoziale di quest'ultimo (manifestata attraverso l'adesione al regolamento predisposto dal costruttore-venditore al momento dell'acquisto dell'appartamento, oppure per il tramite di una deliberazione assunta all'unanimità) può, infatti, validamente optare per una regolamentazione auto-limitativa del diritto dominicale. Così i vincoli ed i limiti imposti alla proprietà dei condòmini possono assumere portata e contenuto differenziati: la dottrina, peraltro, evidenzia che essi non devono essere di tale natura da azzerare il diritto dominicale, pena la nullità della clausola regolamentare per violazione di legge. Assai frequente è l'inserimento nei regolamenti condominiali (contrattuali) - mentre ciò è precluso per i regolamenti assembleari - di disposizioni che vietano determinate destinazioni d'uso delle unità immobiliari facenti parte dell'edificio: tali divieti possono essere formulati mediante elencazione delle attività non consentite (ad esempio, esercizio di uffici, ambulatori medici, scuole di ballo, ecc.) oppure mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare (ad esempio, divieto di quegli usi che possono compromettere il decoro dello stabile, la tranquillità o la signorilità dello stesso). Nel primo caso, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o meno, è sufficiente verificare se essa risulti compresa nell'elenco; nel secondo, invece, è necessario accertare l'effettiva capacità della destinazione realizzata o realizzanda a provocare gli inconvenienti cui si vuole ovviare. Le clausole di un regolamento condominiale che inibiscono determinate utilizzazioni degli immobili limitano all'evidenza il diritto dominicale: in questa dimensione per esse non è ammissibile un'interpretazione estensiva, né tantomeno analogica.

Interpretazione del regolamento

I criteri da seguire per la corretta interpretazione del regolamento assembleare dipendono dalla natura giuridica del regolamento medesimo. Tuttavia, si premette che le questioni più rilevanti che si sono poste in sede giurisprudenziale, in ordine all'interpretazione dei regolamenti, concernono essenzialmente la lettura delle clausole che limitano i diritti di godimento e di disposizione delle proprietà esclusive dei singoli condòmini, questioni che però sono rimesse alla disciplina dei regolamenti contrattuali e non assembleari. Al riguardo, si aderisce alla ricostruzione che configura il regolamento assembleare come insieme di norme giuridiche, ossia di precetti generali e astratti che predispongono canoni di comportamento per una serie di ipotesi omogenee, ripetute e costanti, sia pure circoscritte dalla legge nell'ambito di prefissate materie e per una ristretta comunità. Per converso, una diversa teoria attribuisce anche al regolamento assembleare natura negoziale. Ove si propenda per la natura normativa di tale tipo di regolamento, ne consegue che il canone fondamentale di interpretazione è quello dettato dall'art. 12, comma 1, delle disposizioni della legge in generale, che impone una lettura del testo nel senso fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione e in base all'intenzione del legislatore. Ciò presuppone che si abbia riguardo all'interpretazione delle disposizioni aventi valore normativo, facendo quindi riferimento soltanto a canoni oggettivi (cosiddetti canoni ermeneutici), che prescindono dalla reale intenzione delle parti. Ebbene, poiché le norme relative all'uso delle cose comuni, alla ripartizione delle spese, alla tutela del decoro dell'edificio e all'amministrazione sono già dettate dal codice, il regolamento deve contenere disposizioni che siano dirette a regolare le predette materie con specifico riferimento alle particolari esigenze dei condòmini. Ne discende che il fine dell'interpretazione del medesimo regolamento si consacra nella comprensione del significato e del valore delle regole che integrano o specificano le direttive del codice, conformandole alla peculiarità dell'edificio. Pertanto, aderendo alla tesi preferibile che esclude la configurabilità del regolamento assembleare come un contratto, si ricava che le regole generali in tema di interpretazione dei contratti non troveranno applicazione ai fini della lettura del regolamento assembleare, in quanto manca il fine precipuo di questa categoria di interpretazione, ossia la ricerca della comune volontà delle parti stipulanti (della cosiddetta volontà contrattuale). Sicché, mentre nell'interpretazione del contratto l'oggetto si identifica con l'interesse riconoscibile perseguito dalle parti, nell'interpretazione del regolamento assembleare la ricerca verte essenzialmente sulla ratio, la ragione, lo scopo per cui la norma regolamentare è stata emanata. Il dato da ricostruire non è tanto la volontà soggettiva dei condòmini votanti in assemblea, quanto il valore precettivo delle regole che sono state approvate con il procedimento prescritto. Tanto implica che non si dovrà indagare sulla comune intenzione dei condòmini, ai sensi dell'art. 1362, comma 1, c.c., ma nell'interpretazione del regolamento dovrà farsi esclusivo riferimento al senso fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, limitandosi a esplicitare questa lettura oggettiva. Ancora, le clausole non andranno interpretate nel senso che possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno. Inoltre, non troverà applicazione il criterio che tiene conto, per determinare la comune intenzione delle parti, del comportamento complessivo, anche posteriore, alla conclusione del contratto, atteso peraltro che la cosiddetta prassi interpretativa vincola gli organi condominiali solo in quanto abbia incontrato la loro acquiescenza, restando fermo che il comportamento complessivo delle parti non deve comunque essere individuato in quello dei singoli condòmini. È comunque prerogativa dell'assemblea dei condòmini quella di procedere all'interpretazione autentica del regolamento, correttiva di altra precedentemente adottata, purché la successiva deliberazione sia assunta con gli stessi quorum prescritti per l'approvazione del regolamento. Essa può essere censurata solo quando la diversa interpretazione non sia giuridicamente corretta e ciò, sia alla stregua dei principi di ermeneutica che avrebbero dovuto essere osservati in subiecta materia per identificare l'esatta portata di criteri stabiliti dal medesimo regolamento, sia in relazione ai risultati che siano derivati dalla loro concreta applicazione, in quanto non consentiti da norme legislative inderogabili (Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1975, n. 3936). Al di fuori di quest'ultima ipotesi, secondo la giurisprudenza, che peraltro a tali fini non distingue le conclusioni nomofilattiche in base alla tipologia di regolamento, detta interpretazione, anche ove abbia ad oggetto un regolamento assembleare, è insindacabile in sede di legittimità, salvo che si riscontri la violazione di canoni ermeneutici posti dalla legge o errori logici o giuridici, che implichino la totale assenza o la mera apparenza di una motivazione (Cass. civ., sez. II, 28 agosto 1990, n. 8899; Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1976, n. 2293; Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1976, n. 862). Non assume, per converso, rilevanza la violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ipotesi quest'ultima che non riguarda i regolamenti assembleari, che non hanno origine e natura contrattuale.

INTERPRETAZIONE DEL REGOLAMENTO ASSEMBLEARE

Natura del regolamento approvato dall'assemblea a maggioranza

Il regolamento assembleare ha natura normativa, contenendo dei precetti generali e astratti che predispongono canoni di comportamento per una serie di ipotesi omogenee, ripetute e costanti, sia pure circoscritte dalla legge nell'ambito di prefissate materie e per una ristretta comunità

Canone interpretativo oggettivo

In sede interpretativa si applica l'art. 12, primo comma, delle preleggi, che prede una lettura del testo nel senso fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione e in base all'intenzione del legislatore

Non applicazione delle norme sull'interpretazione dei contratti

Le norme volte a ricostruire la reale intenzione delle parti, a scapito del significato oggettivo che può essere ricavato dal senso letterale delle parole usate, secondo la loro connessione, non trovano applicazione per la lettura dei regolamenti assembleari, che non hanno natura negoziale

Interpretazione autentica dei regolamenti assembleari

L'assemblea dei condòmini, con le stesse maggioranze prescritte per l'approvazione del regolamento assembleare, può interpretare il regolamento, purché la lettura fornita sia corretta

Insindacabilità in sede di legittimità dell'interpretazione resa in sede di merito

Anche per i regolamenti assembleari l'interpretazione resa in sede di merito non può essere sindacata in sede di legittimità, salvo che non sia dedotta la violazione dei criteri ermeneutici legali o la motivazione sull'interpretazione sia radicalmente assente o solo apparente

Guida all'approfondimento

Basile, Regime condominiale ed esigenze abitative. Contributo alla revisione del condominio negli edifici, Milano, 1979, 223;

Bregante, Il regolamento di condominio, Milano, 2000, 44;

Celeste - Salciarini, Il regolamento di condominio e le tabelle millesimali, Milano, 2006, 40;

Corona, I regolamenti di condominio, Torino, 2004, 74;

Del Prato, I regolamenti privati, Milano, 1988, 481;

Iannuzzi, Regolamento di condominio, in Giur. merito, 1990, I, 6;

Raschi, L'interpretazione del regolamento condominiale, in Nuovo dir., 1964, 547;

Ruscello, I regolamenti di condominio, Napoli, 1980, 204.

Sommario