Unione civile e giudizio di rettificazione di sesso: la coppia può mantenere i diritti derivanti dall’unione, in attesa di poter convolare a nozze
23 Aprile 2024
Con sentenza n. 66/2024 del 22 aprile 2024 la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76, in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze di fatto. Il Tribunale di Torino aveva sollevato questione di costituzionalità della norma suddetta in relazione al parametro di cui agli artt. 2 e 3 Cost., nell'ambito di un giudizio introdotto per la rettifica di sesso da uno dei componenti dell'unione civile. Secondo il giudice a quo era configurabile una discriminazione, ai danni dei componenti dell'unione civile rispetto all'ipotesi speculare di un percorso di transizione di genere, intrapreso da uno dei coniugi nell'ambito della coppia eterosessuale sposata. Come noto, l'art. 1, comma 27, della stessa legge n. 76/2016, integrato dall'art. 31, comma 4-bis del d.lgs. 150/2011, dispone che, ove i coniugi abbiano manifestato personalmente e congiuntamente al giudice, nel corso del giudizio di rettificazione di sesso, la volontà di proseguire la loro relazione dando vita a un'unione civile, questa viene ad instaurarsi in via automatica per effetto delle dichiarazioni personali dei coniugi stessi. Di contro, non è prevista l'ipotesi di conversione automatica dell'unione civile in matrimonio, laddove uno dei partner dell'unione civile abbia intrapreso con successo il percorso di transizione di genere ed entrambe le parti, sentite personalmente dal giudice, abbiano dichiarato di voler proseguire la loro convivenza in forma matrimoniale. Anzi, il comma 26 della legge citata prevede lo scioglimento automatico dell'unione civile, per effetto del cambiamento di sesso di uno dei partner, senza opportunità da parte degli interessati di preservare gli effetti della loro unione, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di sesso. In merito al contrasto della disciplina censurata con l'art. 2 Cost., la Consulta ha anzitutto ribadito, nel solco dei suoi precedenti, che l'unione civile costituisce una formazione sociale meritevole di tutela, quale convivenza tra persone, connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, in quanto caratterizzata da una comunione spirituale e materiale di vita e strutturata su reciproci diritti e doveri. Essa, peraltro, produce effetti non del tutto coincidenti con quelli del matrimonio ed è ontologicamente diversa dallo stesso, in base a una precisa scelta del legislatore. Non rileva pertanto, a giudizio della Corte Costituzionale, la violazione dell'art. 3 Cost., pur rilevata dal giudice rimettente. Ciò posto, i giudici della Consulta, censurando l'art. 1, comma 26, l. 20 maggio 2016, n. 76 in relazione al solo art. 2 Cost., hanno rilevato che i componenti della unione civile, nell'ipotesi in cui abbiano a manifestare la volontà di conservare il loro rapporto, anche dopo il cambiamento di sesso del partner, andrebbero incontro a un gravissimo vulnus, laddove avesse a verificarsi un evento traumatico nelle more tra lo scioglimento dell'unione civile (automatico in base alla norma censurata) e la celebrazione di un nuovo matrimonio. Nel contempo la disciplina vigente collide “con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione, e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto”. Proprio per evitare un danno irreparabile alla coppia e per garantire l'inalienabile diritto all'identità della persona, la Consulta, a fronte della declaratoria di incostituzionalità, ha elaborato un rimedio nuovo, che consiste nella sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo per il tempo necessario affinché le parti possano celebrare il matrimonio, sempre ovviamente che le stesse abbiano manifestato congiuntamente la loro volontà al giudice del procedimento di rettifica anagrafica. La durata di tale sospensione è stata fatta coincidere con il termine di 180 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione, termine mutuato dall'art. 99 c.c., che lo prevede per la celebrazione del matrimonio, con decorrenza dalle pubblicazioni. L'ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del sesso con la dichiarazione del giudice, relativa alla sospensione degli effetti dello scioglimento del vincolo, dovrà procedere pertanto alla relativa annotazione. Alla luce di tali rilievi la Corte ha altresì dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 70-octies, u.c., del d.P.R. n. 396/2000 sull'ordinamento dello stato civile, per la mancata previsione di tale incombenza. Non è la prima volta che il citato art 1 comma 26 viene sottoposto al vaglio del Giudice Costituzionale, atteso che il Tribunale di Lucca, con ordinanza del 14 gennaio 2022, aveva già sollevato analoga questione (cfr. Rettificazione di sesso e mancata conversione in matrimonio dell'unione civile: una questione di legittimità costituzionale in IUS Famiglie). La Corte, peraltro, con la pronuncia n. 269/2022 aveva rigettato la questione per difetto di attualità e concretezza. La sentenza in commento si pone, invece, in continuità con una più risalente pronuncia della stessa Consulta, segnatamente la n. 170/2014, che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge sulla rettificazione di attribuzione di sesso (l. 164/1982) nella parte in cui imponeva ai coniugi, una volta che fosse intervenuto il mutamento di sesso di uno dei due, lo scioglimento automatico del vincolo matrimoniale, senza previsione di forme di tutela adeguate per la coppia e, in particolare, senza facoltà per la stessa di mantenere in vita, ove entrambi lo avessero richiesto, un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che fosse in grado di preservare diritti ed obblighi della coppia medesima, con modalità rimesse al legislatore. |