Sottoposizione ai controlli notturni da parte della P.G. e calcolo del presofferto

Lorenzo Cattelan
24 Aprile 2024

La questione affrontata dalla Suprema Corte involge il tema delle modalità esecutive in cui si esprime la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale.

Massima

La mera sottoposizione a controlli notturni da parte della Polizia Giudiziaria non integra una restrizione della libertà personale tale da poter essere equiparata a pena detentiva effettivamente espiata (utile per il calcolo del presofferto).

Il caso

La vicenda trae origine dalla condanna di un imputato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione. Intervenuto il giudicato, il Tribunale di Sorveglianza concedeva al condannato la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale.

Durante il periodo di esecuzione della misura extramuraria il condannato veniva segnalato per il reato di falsa dichiarazione volta all'ottenimento del reddito di cittadinanza (art. 7, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con l. 29 dicembre 2022 n. 197, art. 1). Così, il Magistrato di Sorveglianza, senza sospendere la misura, disponeva la trasmissione al Tribunale di Sorveglianza per la decisione in ordine alla revoca della misura alternativa stessa.

Veniva quindi celebrata udienza camerale alla quale, nonostante il buon esito della notifica (a mani del condannato) dell'avviso di fissazione di udienza, presenziava il solo difensore di fiducia. All'esito dell'udienza, il Collegio decideva di revocare con effetto ex nunc la misura dell'affidamento in prova.

L'ordinanza con cui veniva revocata la misura alternativa veniva notificata, a mezzo PEC, al difensore di fiducia; veniva, invece, omessa la notifica a mani del condannato.

A seguito della intervenuta revoca della misura dell'affidamento in prova veniva emesso ordine di carcerazione. Tale ordine, su istanza dell'interessato, veniva sospeso.

Di qui, il condannato promuoveva incidente di esecuzione avverso l'ordine di esecuzione emesso dalla Procura della Repubblica che aveva rigettato la richiesta di riconoscimento dell'avvenuta espiazione della pena in regime di affidamento in prova ai servizi sociali.  I motivi della doglianza si basavano sulla mancata ricezione della notifica della decisione del Tribunale di Sorveglianza riguardante la revoca della misura alternativa; circostanza, questa, che aveva indotto il condannato, fino al momento dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione, a rispettare le prescrizioni dell'affidamento in prova, essendo sottoposto ai controlli dei carabinieri.

Chiedeva pertanto che il periodo trascorso in questa anomala forma di affidamento in prova fosse computato come pena espiata, con conseguente declaratoria di avvenuta esecuzione della pena.

La questione

La mera sottoposizione a controlli notturni da parte dei Carabinieri può integrare una restrizione tale da poter essere equiparata a pena detentiva effettivamente espiata?

Ulteriori questioni collegate a quella principale:

Qual è il sacrificio minimo che può attendersi dalla sottoposizione ad una misura alternativa alla detenzione e che possa ragionevolmente contribuire alla tensione rieducativa della pena?

Se il condannato, per un difetto di notifica, non viene reso edotto della revoca della misura alternativa e, per l'effetto, continua ad essere sottoposto ai controlli notturni dei carabinieri (fino all'emissione dell'ordine di carcerazione), può richiamare a proprio vantaggio tale circostanza ai fini del computo del presofferto?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione dipana il proprio ragionamento escludendo che la mera sottoposizione ai controlli notturni da parte delle autorità di p.g. possa essere qualificata come esecuzione della misura alternativa. Infatti, oltre ad essere stata espressamente revocata, anche l'interruzione dei rapporti tra il condannato e l'UEPE denotano per l'assenza degli elementi caratterizzanti l'affidamento in prova al servizio sociale.

Confermando la decisione di merito, quindi, i Giudici di legittimità ritengono che la mera sottoposizione a controlli notturni da parte dei Carabinieri non integra una restrizione tale da poter essere equiparata a pena detentiva effettivamente espiata.

Sul punto, viene richiamato un orientamento interpretativo che, sia pure elaborato con riguardo alla questione della possibilità di assimilare gli arresti domiciliari all'obbligo di dimora (in ragione della imposizione del divieto di allontanamento dalla abitazione), ha evidenziato il preminente rilievo del lasso temporale quotidiano in cui tale limitazione venga imposta, dovendo essere eccedente l'arco di tempo che usualmente viene trascorso nella dimora per attendere alle ordinarie necessità di vita, riposo e cura della persona, «così oltrepassandosi quella naturale soglia di sacrificio che deriva necessariamente dalla sottoposizione a misura cautelare» (Cass. pen., sez. I, 9 settembre 2021, n. 37302; Cass. pen., sez. I, 8 novembre 2016, n. 36231).

Nel caso di specie, il lasso temporale (dalle 23.00 alle 06.00) durante il quale si protraeva la permanenza in casa del condannato era breve e comunque coincideva con l'usuale tempo di pernottamento.

Così risolta la questione di diritto, i giudici ritengono che, ad ogni modo, il ricorrente fosse a conoscenza, oltre che del decreto del Magistrato di sorveglianza che trasmetteva gli atti al Tribunale ai fini della decisione in ordine alla eventuale revoca della misura, anche dell'udienza fissata dal Tribunale di sorveglianza per l'esame della questione, dal momento che entrambi i provvedimenti gli erano stati notificati a mani. L'udienza camerale, inoltre, vedeva la partecipazione del difensore di fiducia del ricorrente-condannato, al quale il provvedimento di revoca risulta notificato tramite PEC.

Tali circostanze, affermano i giudici, «ed in particolare la mancanza di rilievi in ordine al rapporto fiduciario tra il condannato e il proprio difensore di fiducia, che pertanto consente di ritenere che lo stesso fosse ritualmente instaurato, non permettono di dare credito alla affermazione del ricorrente di essere all'oscuro del provvedimento di revoca, essendo piuttosto indice di effettiva conoscenza del medesimo».

Osservazioni

Seguendo i principi generali, i presofferti obblighi cautelari – relativi ad uno stesso titolo esecutivo – vanno calcolati nella determinazione della pena detentiva residua (art. 657, comma 1, c.p.p.). In maniera analoga, durante la fase esecutiva della pena, i periodi trascorsi in misura alternativa vanno computati ai fini del calcolo della pena detentiva residua.

Il presofferto, come dice la parola stessa, sottende un “sofferto”, ossia un periodo di tempo in cui il condannato abbia subito una compressione significativa della propria libertà personale.

In effetti, il grado di restrizione della libertà può, in applicazione del principio di proporzionalità, declinarsi secondo diverse modalità. In questo contesto, l'affidamento in prova non solo è la misura alternativa di più ampia applicazione, ma la relativa connotazione di misura “controllata ed assistita” ne fa il principale strumento di attuazione del finalismo rieducativo della pena.

Va da sé che detto finalismo rieducativo è legato all'osservanza delle prescrizioni stabilite dal giudice della sorveglianza, prima fra tutte quella di prendere contatti con l'UEPE territorialmente competente, al fine di dare avvio ad un percorso risocializzante.

Il condannato, in altre parole, deve percepire l'afflittività della pena, così da poter tradurre il sacrificio imposto in uno stimolo di riflessione in grado di fungere da deterrente per la commissione di ulteriori reati.

La motivazione della Cassazione, in altre parole, poggia sulla mancata efficacia dei soli controlli notturni della Polizia Giudiziaria a fungere da contributo rieducativo e risocializzante. La limitazione consistente nell'obbligo di permanenza notturna nell'abitazione di residenza non altera le abitudini di vita del condannato. La mancanza di un supporto quotidiano dell'UEPE, quindi, elimina la portata sanzionatoria del periodo di tempo trascorso con la sola sottoposizione ai controlli notturni. Per dirla in altri termini, i controlli notturni delle forze dell'ordine non costituiscono una misura alternativa, nemmeno atipica. Conseguentemente non è possibile scomputare il periodo trascorso con questa sorveglianza notturna nel calcolo della residua pena detentiva da espiare.

Un ulteriore aspetto lambito dalla sentenza in commento attiene alla notifica della decisione del Tribunale di Sorveglianza a scioglimento della riserva assunta in sede di udienza camerale (alla quale ha partecipato il solo difensore di fiducia).

In ordine al procedimento in camera di consiglio è decisiva la disposizione dell'art. 127 c.p.p. che individua i destinatari della notifica in «tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione». Così, l'esito dell'udienza in cui il Tribunale di Sorveglianza esamina la proposta di revoca della misura alternativa va notificata non solo al difensore ma anche al condannato stesso.

Nel caso di specie, la Cassazione ha respinto le doglianze del ricorrente (che lamentava di non aver ricevuto la notifica della revoca della misura alternativa) in quanto ha ritenuto sussistenti gli elementi da cui desumere l'effettiva conoscenza – o la doverosa conoscibilità – della decisione dei giudici di sorveglianza da parte del condannato interessato. Il condannato, infatti, ha ricevuto a mani sia l'avviso della rimessione agli atti innanzi al Tribunale per l'eventuale revoca della misura alternativa sia il conseguente avviso di fissazione d'udienza camerale. I giudici fanno così riferimento all'istituto del raggiungimento dello scopo processuale della norma.

In conclusione, qualora vi siano elementi da cui desumere che il condannato abbia avuto effettiva conoscenza dell'ordinanza di revoca della misura alternativa non sono fondate doglianze basate sulla protrazione dello stato di limitazione della libertà personale (che hanno lo scopo di aumentare il periodo di presofferto e, quindi, diminuire il periodo di pena detentiva da espiare).

In conclusione, si ricorda che in caso di esito negativo dell'affidamento in prova al servizio sociale già concluso può applicarsi, per la parte di pena non dichiarata estinta, una misura alternativa diversa e più grave rispetto a quella il cui esito si sia rivelato negativo. A ciò non osta l'assenza di una disposizione normativa esplicita, potendosi applicare analogicamente il disposto di cui all'art. 51-ter ord. penit. (cfr. Tribunale Firenze, sez. sorveglianza, 23 febbraio 2022, n. 589).