Distrazione di somme aziendali e reato di appropriazione indebita: la Cassazione mette alcuni paletti

Ciro Santoriello
24 Aprile 2024

Nella sentenza in commento la S.C. ribadisce un orientamento consolidato in tema di delitto di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali integrato dalla condotta di sovrastima delle rimanenze finali.

Massima

Integra il delitto di bancarotta impropria da falso in bilancio la condotta dell'amministratore che abbia concorso a cagionare il dissesto della società fallita mediante la sovrastima delle rimanenze finali, al fine di occultare le perdite e proseguire l'attività di impresa, in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, rappresentando un apparente e fittizio stato di benessere della società, in modo da ritardare la dichiarazione di fallimento.

Il caso

In sede di merito, l’amministratore di una società fallita era condannato per il delitto di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali, avendo lo stesso concorso a cagionare il dissesto della società fallita, mediante la sovrastima delle rimanenze finali, al fine di occultare le perdite e proseguire l'attività di impresa, in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, rappresentando un apparente e fittizio stato di benessere della società, in modo da ritardare la dichiarazione di fallimento.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa lamentava l’estraneità dell’imputato ai fatti contestati non avendo partecipato all'assemblea di approvazione del bilancio falso ed anzi non essendo all’epoca più componente del consiglio di amministrazione della società fallita, essendosi dimesso in precedenza. Inoltre, si sosteneva l’insussistenza della sopravvalutazione del magazzino al 31 dicembre 2016, che doveva ritenersi frutto di un vistoso errore tecnico di computazione.

La questione

Come è noto, i fatti di falso in bilancio seguiti dal fallimento della società non costituiscono un'ipotesi aggravata del reato di false comunicazioni sociali, ma integrano l'autonomo reato di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario (con la conseguenza, tra l'altro, che, come si dirà a breve, i termini di prescrizione iniziano a decorrere non dalla consumazione delle singole condotte presupposte, ma dalla data della declaratoria del fallimento: Cass., sez. V, 2 marzo 2011, n. 15062. Si veda, Carbone – Giuffrè, Bancarotta “societaria” e prescrizione del reato, in Le Società, 2011, 726). Questo reato, dunque, si distingue sia dal falso in bilancio previsto dall'art. 2621 c.c., che è reato sussidiario punito a prescindere dall'evento fallimentare, sia dalla bancarotta documentale propria concernente ipotesi di falsificazione di libri o di altre scritture contabili. Pertanto, verificatosi il fallimento, il fatto di cui all'art. 2621 c.c. è assorbito nel reato di bancarotta impropria, mentre concorre con il delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica, di cui all'art. 322 comma 1, lett. a), d.lgs. n. 14/2019, ove integrato da condotte diverse dalla falsificazione (Cass., sez. V, 3 dicembre 2020, n. 323. In dottrina, Mucciarelli, La bancarotta societaria impropria, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di Alessandri, Milano, 2002, 222: Santoriello, Il diritto penale fallimentare dopo il codice della crisi, Torino 2021, 323).

Il delitto di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario è strutturato come reato complesso, rispetto al quale un reato societario, tra quelli espressamente previsti dal legislatore ed assunto come elemento costitutivo, deve essere causa o concausa del dissesto societario, pur dovendosi individuare il momento di consumazione del reato nella dichiarazione di fallimento (Cass., sez. V, 15 maggio 2009, n. 32164), posto che il rinvio operato dall'art. 329 comma 2, lett. a), d.lgs. n. 14/2019, riguarda le intere fattispecie incriminatrici contemplate nei singoli reati societari e non i soli fatti, intesi come condotta ed evento, in essi descritte (cfr., in questo senso, Cass., sez. V, 23 aprile 2003, n. 23236. In dottrina, Santoriello, I rapporti fra la bancarotta societaria e le alterazioni dei dati contabili della società fallita, in Le Società, 2012, 429).

Fra le ipotesi concrete destinate a rientrare in tale fattispecie criminosa, vi è il caso in cui l'amministratore, attraverso mendaci appostazioni nei bilanci, simuli un inesistente stato di solidità della società, consentendo così alla stessa di ottenere nuovi finanziamenti bancari ed ulteriori forniture, giacché, agevolando in tal modo l'aumento dell'esposizione debitoria della fallita, determina l'aggravamento del suo dissesto (Cass., sez. V, 11 gennaio 2013, n. 17021); ovvero esponga nel bilancio dati non veri al fine di occultare l'esistenza di perdite e consentire, quindi, la prosecuzione dell'attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con conseguente accumulo di perdite ulteriori negli esercizi successivi, poiché l'evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto (Cass., sez. V, 20 settembre 2021, n. 1754. In dottrina, Pisani, Bancarotta impropria da reato societario: il nesso di causalità, in Fisco, 2014, 47; Gambardella, Il nesso causale tra i reati societari ed il dissesto della nuova fattispecie di bancarotta fraudolenta impropria: profili dogmatici e di diritto intertemporale, in Cass. pen., 2003, 70; Consuelo, “Concorrenza sleale” e delitto di infedeltà patrimoniale: una convivenza possibile?, in Le Società, 2012, 928).

Il delitto in discorso è un reato proprio, posto che può essere realizzato da un novero ristretto di soggetti, ovvero gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite. In particolare, il componente del consiglio di amministrazione risponde di concorso nella bancarotta impropria da reato societario per mancato impedimento del reato anche quando egli sia consapevolmente venuto meno al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all'espletamento del suo mandato (Cass., sez. V, 29 marzo 2012, n. 23091).

Quanto all'elemento soggettivo del reato, laddove il reato societario preso in considerazione sia il falso in bilancio, è richiesto il dolo inteso come volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (Cass., sez. V, 16 maggio 2018, n. 50489, con riferimento all'ipotesi di esposizione di fatti non rispondenti al vero sulla situazione economica e finanziaria della società, al fine di ottenere l'ammissione al concordato preventivo e, comunque, la continuazione dell'attività d'impresa).

La soluzione giuridica

Il ricorso è stato accolto con conseguente annullamento con rinvio della decisione, avendo ritenuto i giudici di legittimità che l’imputato era estraneo ai fatti in contestazione, alla luce della posizione dallo stesso rivestita al momento dell'approvazione del bilancio "incriminato".

Posto, infatti, che il reato di false comunicazioni sociali si consuma nel luogo e nel momento in cui si riunisce l'assemblea ed il bilancio viene illustrato ai soci (Cass., sez. V, 27 aprile 2018, n. 27170), al momento dell'approvazione del bilancio in cui è stata effettuata la contestata sovrastima delle giacenze finali, che, come si è detto, avrebbe celato la reale situazione di crisi della società fallita, ritardandone la dichiarazione di fallimento e concorrendo a cagionarne il dissesto, l’imputato non rivestiva il ruolo di amministratore della società fallita e comunque non aveva preso parte all'assemblea di approvazione del bilancio.

Inoltre, è stata ritenuta censurabile la motivazione formulata con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo, di cui la corte territoriale aveva  dedotto la sussistenza sulla base di una (ritenuta) maggiore plausibilità della tesi accusatoria, piuttosto che di una specifica ricostruzione delle risultanze processuali, in grado di dare conto di come l’indagato fosse consapevole della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico, che sarebbero derivati dalle false comunicazioni sociali.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione ribadisce orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità in tema di bancarotta da reato societario di cui all'art. 329, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 14/2019.

Relativamente ai profili della materia tralasciati dalla decisione, si ricorda che l'intervenuta sentenza relativa alla responsabilità del singolo per uno dei reati societari richiamati dall'art. 329, lett. a), CCII non esclude un successivo processo – ed eventuale condanna – per il delitto di bancarotta connesso alla medesima vicenda (Cass., sez. V, 17 gennaio 2022, n. 1835, secondo cui la struttura del reato di cui all'art. 329 comma 2, lett. a), vede una condotta che coincide con i fatti che sostanziano i reati societari ivi indicati, il nesso eziologico tra tale condotta l'aggravamento o le genesi del dissesto e, appunto, questi ultimi, che costituiscono le alternative possibili nell'ambito del necessario evento naturalistico. E proprio quest'ultimo tassello della configurazione — l'aggravamento o la determinazione del dissesto — che sancisce la differenza strutturale tra il “fatto” del processo già definito e quello oggetto del presente procedimento e consente di escludere che vi sia la sovrapposizione delineata dalla giurisprudenza CEDU, da quella costituzionale e da quella di legittimità). Del pari, si è ritenuto che l'intervenuta assoluzione per il reato societario di falso in bilancio non comporti alcun riflesso con riferimento alla responsabilità per il reato di bancarotta documentale (Cass., sez. V, 30 settembre 2022, n. 37077).

Quanto alla nozione, centrale nella ricostruzione della fattispecie incriminatrice in esame, di dissesto, evento cagionato dal fatto di reato societario, si ritiene che suddetta espressione indichi lo stato di insolvenza della società, che si manifesta nel mondo esterno attraverso inadempimenti o altri fattori esteriori che dimostrano che il debitore non è più in grado di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni. Dissesto, invece, non indica la dichiarazione di fallimento, che è atto giudiziario di accertamento “costitutivo” successivo ed eventuale rispetto allo stato di dissesto (che pure ne costituisce il presupposto), talché tale pronuncia continuerà a costituire condizione obiettiva di punibilità (Gambardella, Il nesso causale tra i reati societari, cit., 92). Come affermato in giurisprudenza, il “dissesto riflette il substrato economico-patrimoniale dell'insolvenza, lo squilibrio fra attività e passività: deteriorando il relativo rapporto si cagiona... il dissesto”, che è “un dato quantitativo, graduabile, suscettibile di essere cagionato sia nell'an che nel quantum (aggravamento). Il fallimento è invece un atto formale, segnato da un provvedimento giurisdizionale, che non ammette alternativa se non tra essere e non essere” (Cass., sez. V, 4 aprile 2022, n. 12841).

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