La «nuova normalità» tra cambiamento climatico, caso fortuito e responsabilità da cose in custodia

30 Aprile 2024

L'approfondimento ricostruisce il sistema della responsabilità civile da cose in custodia in relazione agli eventi atmosferici che tendono a caratterizzare la realtà più recente: fenomeni estremi e improvvisi. Questo spinge ad interrogarsi non solo sulle condizioni di configurabilità del caso fortuito per l'esclusione di responsabilità, ma anche sulle sfide del sistema della responsabilità civile per non «abbandonarsi» o rinunziare a misure di prevenzione. Ogni valutazione deve rimanere ancorata saldamente al profilo eziologico, prestando attenzione a non scivolare nel diverso aspetto dell'assenza di colpa del custode.

Il cambiamento climatico l'art. 2051 c.c.

Gli eventi meteorologici estremi, piuttosto che siccità o emergenza idrica, erosione delle coste, scioglimento dei ghiacciai, etc., sono gli effetti del surriscaldamento globale. Soprattutto sono evidenti e ben percepiti e, tra i tanti aspetti della questione, vi è quella della responsabilità civile, perché sono fonte di danni.

Il quadro normativo, specie con riferimento all'art. 2051 c.c., deve confrontarsi col mutato scenario ambientale, per capire quando l'evento atmosferico integra il «caso fortuito».

Gli eventi atmosferici estremi stanno diventando sempre più «frequenti» e impongono una riflessione sul concetto e sulla portata del «caso fortuito»: astrattamente, da una parte, questi eventi potrebbero essere intesi come  «la nuova normalità» (non sono più eccezionali ed imprevedibili) e, quindi portare ad una responsabilità oggettiva e assoluta.; dall'altra,  potrebbero imporre nuove regole di valutazione per non sconfinare sempre e comunque in un giudizio di irresponsabilità, «arrendendosi alla nuova normalità» e disincentivando azioni e politiche attive di prevenzione e tutela.

Il Mediterraneo è uno degli hotspot climatici del pianeta ovvero uno dei luoghi più soggetti all'incremento delle temperature.

Sul punto si deve evidenziare il profondo ritardo in cui versiamo: già nel 2017 sono state pubblicate le proiezioni dell'Agenzia europea per l'ambiente – E.E.A. – sulle variazioni di turisti nel prossimo futuro in inverno ed estate (report n. 1/2017, pagg. 263 ss., E.E.A. Report No 1/2017: https://www.eea.europa.eu/publications/climate-change-impacts-and-vulnerability-2016 ).

La stessa Agenzia aveva anche elencato alcuni rischi concreti per i Paesi del Mediterraneo, che stiamo sperimentando in concreto: aumento delle temperature estreme, diminuzione delle precipitazioni e della portata dei fiumi, aumento del rischio di siccità, di perdita di biodiversità, di incendi boschivi, della domanda di acqua per l'agricoltura, e quindi diminuzione delle rese delle colture, crescita di domanda energetica e di rischi sanitari (non vanno sottaciuti anche questi, pensando al diffondersi di malaria o della West Nile, solo per citarne alcuni).

Indubbiamente è una questione assai complessa e in questo contesto ambientale/climatico si inserisce il «caso fortuito» ex art. 2051 c.c.

L'art. 2051 c.c. e il caso fortuito. Inquadramento

Per comprendere la questione è necessario riassumere brevemente le coordinate giuridiche fissate nell'art. 2051 c.c.

Come noto, l'orientamento prevalente in giurisprudenza attribuisce natura oggettiva alla responsabilità ex art. 2051 c.c. e non di colpa presunta. Il danneggiato, per ottenere il risarcimento da parte del custode, deve dimostrare unicamente l'esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa. Al custode, per contro, per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà provare che il danno è derivato da caso fortuito (Cass. civ., sez. III, 15 settembre 2023, n.26682; Cass. civ., 7 settembre 2023, n. 26142; Cass. civ., 7 aprile 2023, n.11152; Cass. civ., sez. un., 30 giugno 2022, n.20943; Cass. civ., 12 maggio 2020, n.8811; Cass. civ., 1 febbraio 2018, n.2477; Cass. civ., 25 luglio 2008, n. 20427; Cass. civ., 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. civ., 10 marzo 2005, n. 5326; Cass. civ., 10 agosto 2004, n. 15429).

L'art. 2051 c.c., nell'affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni cagionati, individua un criterio oggettivo di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa, ma opera sul piano oggettivo dell'accertamento del rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso e della ricorrenza del caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, quale elemento idoneo ad elidere tale rapporto causale.

Il concetto di custodia ex art. 2051 c.c. è inteso in senso ampio dalla giurisprudenza: non è infatti limitato al concetto di derivazione contrattuale o alle figure del proprietario, dell'usufruttuario, del possessore o del detentore, bensì si guarda all'effettivo potere materiale sulla cosa, quale sussistenza di un rapporto tra il soggetto e la cosa tale da consentire il potere di controllarla e di eliminare le situazioni di pericolo (Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2016, n. 15761), rilevando la disponibilità della cosa e i poteri di effettivo controllo sulla medesima (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2016, n. 13222).

Il fondamento della responsabilità ex art. 2051 c.c. viene ravvisato nel rischio che grava sul custode, ossia nella necessità di addossare le conseguenze dannose in capo a chi sia concretamente in grado di

controllare i rischi derivanti a prescindere dal titolo giuridico su cui si basa tale controllo (Zatti P. – Colussi V., Lineamenti di diritto privato, Padova, 2017, 673; Carusi D., Forme di responsabilità e danno, in Dir. civ., diretto da Lipari e Rescigno, IV, Attuazione e tutela dei diritti, III, La responsabilità e il danno, Milano, 2009, 478).

L'art. 2051 c.c. evoca, infatti, «l'idea di una relazione con la cosa che impegni il soggetto a proteggere i consociati, e di una responsabilità collegata al fatto che tale impegno non sia stato efficacemente assolto» Carusi, op. cit., 478).

In passato, si evidenziava la funzione sanzionatoria della norma e si riteneva costituisse una forma di responsabilità per colpa, sia pure aggravata, per omissione di adeguata custodia.

Tuttavia, per quanto si configuri un obbligo di sorveglianza, il custode si libera non provando la propria diligenza, bensì il caso fortuito.

Pertanto, oggi si preferisce parlare di responsabilità oggettiva, valorizzando la funzione riparatoria e non più sanzionatoria.

Il caso fortuito è integrato da un elemento esterno, che ha dato un impulso causale autonomo all'evento dannoso. Deve essere imprevedibile ed inevitabile.

Più precisamente, il concetto di caso fortuito viene inteso come specifico fatto idoneo a determinare autonomamente il danno.

Ed allora, come relazionare questi principi base agli odierni eventi atmosferici improvvisi ed estremi?

Sono eventi naturali «irresistibili»? Il custode può andare esente da responsabilità solo dimostrando l'eccezionalità e gravità dell'evento? Cosa deve eventualmente dimostrare?

Eventi atmosferici e caso fortuito in generale

Si pone, dunque, la questione di comprendere se e quali condizioni l'evento atmosferico grave ed eccezionale configuri effettivamente il caso fortuito rilevante ex art. 2051 c.c. e, quindi, cosa debba provare il custode.

In linea generale un temporale, per quanto forte, non costituisce in sé e per sè un caso fortuito rilevante ex art. 2051 c.c. (Trib. Padova, sez. II, 23 gennaio 2006, n. 134; Trib. Cagliari, 6 dicembre 1995).

Il verificarsi di un temporale estivo non è da considerarsi «caso fortuito»: Trib. Milano, sez. X, 20.10.2009, n. 12379 (Nel caso di specie, trattandosi di albero che si trovava sul margine di un ampio viale alberato in zona non periferica della città, si è ritenuto ricorressero le condizioni per ritenere sussistente la possibilità per l'ente pubblico territoriale di esercitare un controllo ed una vigilanza effettiva sull'area teatro del sinistro, con conseguente applicazione alla fattispecie concreta del disposto dell'art. 2051 c.c.).

Naturalmente, in questa sede non indaghiamo l'ulteriore problema della configurabilità della custodia, inteso come potere di controllo sulla cosa da parte della P.A., su un bene di notevole estensione.

Ad ogni modo, il principio generale di irrilevanza di un temporale forte vale ancora di più nei tempi più recenti: non si possono più considerare come eventi imprevedibili alcuni fenomeni atmosferici che stanno diventando sempre più frequenti e, ormai, tutt'altro che imprevedibili (Cassazione civile sez. VI, 28 luglio 2017, n.18856, fattispecie relativa all'invasione da acqua e fango avvenuta in un locale interrato a seguito dell'allagamento delle strade comunali dopo un temporale).

Secondo Tribunale Milano, 2 marzo 2000, episodi meteorologici rappresentati da raffiche di vento di forte entità non sono affatto, nel periodo primaverile, fatti eccezionali in Milano, come è vero del resto che pressoché ogni anno, in occasione proprio di tali episodi, si verificano danni di vario genere, quali cadute di tegole, abbattimento di alberi; è altresì noto come la zona di Milano possa essere interessata da nubifragi di una certa violenza e di notevole intensità, anch'essi produttivi di danni notevoli. Tali fenomeni possono pertanto essere riguardati, se non addirittura come normali, certamente prevedibili, con la conseguenza che, chi abbia in custodia ovvero proceda alla messa in opera di opere, le quali, per la loro natura, possono risentire degli eventi atmosferici, debbono osservare regole di particolare diligenza, perché non si abbiano a verificare eventi di danno.

Come accennato, gli eventi atmosferici intensi diventano sempre più ricorrenti e prevedibili, quasi «la nuova normalità».

In sé, dunque, non ogni evento atmosferico, per quanto forte e intenso, integra caso fortuito.

Possiamo, allora, concludere che col cambiamento climatico la clausola del «caso fortuito» sia di fatto svuotata di valore?

La conclusione sarebbe alquanto azzardata. Al contrario, occorre domandarsi quali siano i caratteri concreti da dimostrare da parte del custode.

Ricordiamo che l'onere di provare un fattore interruttivo del nesso eziologico, di tipo oggettivo, tra la res in custodia ed il danno, ossia un evento che integri gli estremi del caso fortuito, ricade sul custode. 

Eventi atmosferici, dichiarazione di emergenza e caso fortuito nella giurisprudenza

Come detto, un violento temporale non costituisce caso fortuito. Nondimeno la realtà conosce eventi atmosferici sempre più improvvisi ed estremi. 

Ci si interroga, allora, su quando si possa riconoscere la ricorrenza del caso fortuito, rappresentato da quel fatto naturale (o del terzo), connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, quale elemento idoneo ad elidere tale rapporto causale, come visto nell'introduzione.

Come stabilire in concreto tali caratteri? Cosa deve provare il custode?

L'evento atmosferico è idoneo ad integrare il caso fortuito esimente la responsabilità per danni da cose in custodia solo se assume i caratteri dell'imprevedibilità oggettiva e dell'eccezionalità, da accertarsi con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (c.d. dati pluviometrici) riferiti alla specifica localizzazione della cosa in custodia, che va considerata nello stato in cui si presenta al momento dell'evento atmosferico (Trib. Pisa,  9 maggio 2023, n. 659; C.A. Reggio Calabria sez. I, 21 dicembre 2020, n.829; Cass. civ., sez. un., 26 febbraio 2021, n.5422; Cass. civ., sez. un., 4 giugno 2021, n.15574; Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2019, n.30521; Cass. civ., sez. un., 14 gennaio 2019, n.616; Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 2018, n.2482).

L'intensità ed eccezionalità (in senso statistico) del fenomeno presuppone un giudizio da formulare sulla base di elementi di prova “concreti e specifici” e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso. Dunque i caratteri di imprevedibilità oggettiva e di eccezionalità vanno accertati, nel caso di eventi atmosferici:

- con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i cd. dati pluviometrici),

- riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia,

- la quale va considerata nello stato in cui si presenta al momento dell'evento atmosferico.

In tal senso, dunque, l'imprevedibilità, alla stregua di un'indagine ex ante e di stampo oggettivo in base al principio di regolarità causale, «va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell'evento», mentre l'eccezionalità è da «identificarsi come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come "normale"»". In tale ottica, dunque, l'accertamento del «fortuito» rappresentato dall'evento naturale delle precipitazioni atmosferiche deve essere essenzialmente orientato da dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia».

La distinzione tra «forte temporale», «nubifragio» o «calamità naturale» non rientra nel novero delle nozioni di comune esperienza ma - in relazione alla intensità ed eccezionalità (in senso statistico) del fenomeno - presuppone un giudizio da formulare soltanto sulla base di elementi di prova concreti e specifici e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso.

Talvolta viene dichiarato lo stato di emergenza, ma questo non implica automaticamente la prova liberatoria (C.A. Torino, 8 marzo 2021, n.259).

Infatti, le leggi sulla protezione civile (prima la l. n. 996/1970 e poi la l. n. 225/1992), nel definire la tipologia degli eventi suscettibili di intervento, fanno riferimento al danno (o al pericolo di danno) ed alla straordinarietà dei mezzi destinati a farvi fronte, ma non alle caratteristiche intrinseche degli eventi che di quel danno siano causa o concausa; sicché, la "calamità naturale", che determina lo stato d'emergenza, non costituisce di per sé un evento eccezionale e imprevedibile, pur potendo essere determinata anche da eventi di tal natura, le cui caratteristiche devono essere accertate sulla base di elementi di prova concreti e specifici (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2019, n.14861; Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 2018, n.2482).

Oggi il codice di protezione civile è contenuto nel d.lgs. n. 1/2018 e valgono i medesimi principi. Infatti, l'art. 7 stabilisce che:

Ai fini dello svolgimento delle attività di cui all'articolo 2, gli eventi emergenziali di protezione civile si distinguono in:

a) emergenze connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall'attività dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili, dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;

b) emergenze connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall'attività dell'uomo che per loro natura o estensione comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni, e debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo, disciplinati dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nell'esercizio della rispettiva potestà legislativa;

c) emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell'articolo 24.

È chiaro che si fa riferimento al pericolo di danno ed alla straordinarietà dei mezzi destinati a farvi fronte, ma non alle caratteristiche intrinseche degli eventi. Pertanto, la dichiarazione di stato di emergenza non implica automaticamente il riconoscimento del caso fortuito ex art. 20251 c.c.

La riconducibilità di eventi naturali e, segnatamente, di precipitazioni atmosferiche - dotati di intensità tale da costituire la causa da sola sufficiente a determinare l'evento dannoso - all'ipotesi di caso fortuito, di cui alla fattispecie legale disciplinata all'art. 2051 c.c., è condizionata al possesso da parte di tali fenomeni dei caratteri dell'eccezionalità e dell'imprevedibilità, essendo l'inevitabilità, invece, un carattere intrinseco all'essenza dell'evento atmosferico. Poiché, relativamente ad un fenomeno naturale, l'eccezionalità, intesa come ricorrenza saltuaria, non è di per sé sola sufficiente a configurare l'esimente del caso fortuito, a tal fine occorrerà verificare la sussistenza dei caratteri dell'eccezionalità oggettiva e dell'imprevedibilità oggettiva, da accertarsi, come detto, con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (c.d. dati pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia, la quale dovrà essere considerata nello stato in cui si presenta al momento dell'evento atmosferico.

Il caso fortuito è configurabile, rispetto ad eventi naturali, solo quando essi siano imprevedibili. Pertanto, con riguardo ad allagamenti provocati da intense precipitazioni atmosferiche, il suddetto fortuito non è invocabile in relazione alla mera eccezionalità del fenomeno, dato che il carattere saltuario e non frequente del verificarsi di un accadimento non ne esclude la prevedibilità, secondo la comune esperienza (Cass. civ., sez. III, 11 maggio 1991, n.5267; Trib. Ascoli Piceno, 2 gennaio 2019, n. 1). 

Caso fortuito e diligenza

Per quanto il caso fortuito (dotato di autonomia causale) sia da tenere distinto dal profilo soggettivo della colpevolezza, nella pratica si pone il problema dell'incidenza di concause (caso fortuito e negligenza del custode).

Da una parte, relativamente ai danni verificatisi a causa di violento fenomeno alluvionale, è sostanzialmente ininfluente la mancata adozione di tutte le cautele utili e necessarie ad impedire il prodursi dei danni, laddove si possa ritenere provato con certezza che l'eccezionalità delle precipitazioni avrebbe comunque prodotto l'evento (C.A. Napoli, 6 marzo 2019, n. 1258).

Il discrimine è dato dall'incidenza causale autonoma.

L'eccezionalità ed imprevedibilità degli eventi atmosferici possono configurare caso fortuito, idoneo ad escludere la responsabilità del custode delle strade e delle relative pertinenze ex art. 2051 c.c., solo quando costituiscano causa sopravvenuta autonomamente sufficiente a determinare l'evento: il custode è tenuto a dimostrare non solo di aver mantenuto la condotta diligente dovuta nel caso concreto, ma anche di aver adottato tutte le misure oggettivamente necessarie per impedire il verificarsi dell'evento dannoso. In buona sostanza, occorre accertare che i danni lamentati si sarebbero verificati con pari entità anche se l'ente preposto alla custodia avesse adottato tutte le misure idonee (Trib. La Spezia, 23 marzo 2021, n.168).

Una pioggia di particolare forza ed intensità, protrattasi per un tempo molto lungo e con modalità tali da uscire fuori dai normali canoni della meteorologia, può, ragionando in astratto, integrare gli estremi del caso fortuito o della forza maggiore; ma non quando sia stata accertata dal giudice di merito l'esistenza di elementi dai quali desumere una sicura responsabilità proprio del soggetto che invoca l'esimente in questione (fattispecie relativa all'azione di risarcimento proposta da alcuni proprietari di un fondo per i danni subiti da un fabbricato a causa dell'invasione da parte di un'enorme massa d'acqua proveniente dalla strada statale, su cui erano stati eseguiti lavori di allargamento della sede stradale senza però realizzare un adeguato sistema di deflusso delle acque piovane): Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 2014, n.26545.

In tema di responsabilità per danno da cose in custodia, ai sensi dell'art. 2051 c.c., in riferimento ai danni cagionati da precipitazioni atmosferiche, deve escludersi l'ipotesi del caso fortuito o della forza maggiore invocabile dal custode ad esonero della propria responsabilità in presenza di fenomeni metereologici anche di particolare forza e intensità, protrattisi per tempo molto lungo e con modalità tali da uscire fuori dai canoni normali, allorquando il danno trovi origine nell'insufficienza delle adottate misure volte ad evitare l'accadimento, e in particolare del sistema di deflusso delle acque meteoriche (C.A. Milano sez. II, 22 ottobre 2018, n.4556).

Dunque, nessuna confusione o sovrapposizione di concetti (caso fortuito e diligenza), operandosi la valutazione sempre sul piano eziologico. 

In conclusione

Di fronte ad eventi meteorologici estremi, si pongono due questioni: da una parte, la ricorrenza del caso fortuito, dall'altra la diligenza del custode per evitare danni prevedibili.

Questo è stato riassunto dalle Sezioni Unite del 2022: la responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ha un carattere oggettivo e  non presunto, di guisa che, ai fini della sua sussistenza è sufficiente riscontrare la esistenza del nesso causale tra il bene in custodia e la conseguenza dannosa, senza che assuma alcuna rilevanza la condotta del custode e l'osservanza o meno di uno specifico obbligo di vigilanza da parte sua, rimanendo la stessa esclusa solo nella eventualità della verificazione del caso fortuito, ricollegabile, tuttavia, al profilo causale dell'evento in rapporto alla incidenza sul medesimo di un elemento esterno contraddistinto dagli elementi della oggettiva imprevedibilità e inevitabilità. (In applicazione del principio, la Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva riconosciuto la responsabilità del gestore di una diga, per i danni subiti dagli attori in conseguenza dell'esondazione di un fiume, in quanto, accertato il nesso causale tra il rilascio delle acque fluite a valle della diga e i predetti danni, aveva ritenuto che il particolare evento meteorologico, concausa dei danni, avrebbe potuto integrare il caso fortuito soltanto laddove il custode avesse dimostrato l'adempimento delle prescrizioni contenute nel documento di protezione civile della diga): Cass. civ., sez. un., 30 giugno 2022, n.20943.

Altrettanto importante è una decisione del 2018 (Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 2018, n.2482).

La Suprema Corte ricorda che il caso fortuito può ravvisarsi solo a seguito di una valutazione ex ante, di c.d. prognosi postuma, degli elementi conosciuti e di quelli conoscibili con l'ordinaria diligenza; una valutazione, peraltro, che dovrà fare applicazione di regole scientifiche o statistiche in tema di causalità materiale.

La mera eccezionalità, intesa come ricorrenza saltuaria, non può considerarsi da sola sufficiente a integrare un'ipotesi di caso fortuito.

A tal fine occorre, infatti, il carattere dell'imprevedibilità oggettiva e dell'eccezionalità oggettiva, da accertarsi con indagine orientata da dati scientifici di tipo statistico (i c.d.  «dati pluviometrici») riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia.

Il caso fortuito si configura non ogni qual volta si riscontri un'eccezione rispetto alla normale sequenza causale, ma solo quando detta eccezione non sia oggettivamente prevedibile, ossia non risulti assolutamente prevedibile facendo applicazione delle regole statistiche e/o scientifiche applicabili ratione materiae (i c.d. dati pluviometrici»), risultando, di conseguenza, non evitabile.

Solamente dopo che si sia così (scientificamente) dimostrato in astratto che l'evento dannoso in concreto verificatosi sia riconducibile a un caso fortuito, si potranno allora portare a sostegno dell'inferenza ulteriori ed eventuali elementi che, a posteriori, confermino la configurazione del caso fortuito stesso (ad esempio una delibera che ex post aveva dichiarato lo stato di calamità naturale).

Detto diversamente, il procedimento logico che porta a ritenere la presenza o l'assenza del caso fortuito ex art. 2051 c.c. non può basarsi su una valutazione degli elementi emersi ex post rispetto all'evento dannoso preso in considerazione, ma si richiede una valutazione che si ponga prospetticamente e astrattamente prima dell'evento oggetto di valutazione e tenga conto degli elementi conosciuti ovvero conoscibili in quel momento.

L'imprevedibilità, alla stregua di un'indagine ex ante e di stampo oggettivo in base al principio di regolarità causale, «va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell'evento».

L'eccezionalità è da "identificarsi come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come «normale».

"In tale ottica, dunque, l'accertamento del "fortuito" rappresentato dall'evento naturale delle precipitazioni atmosferiche deve essere essenzialmente orientato da dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia".

La questione potrebbe essere accostata all'esclusione di responsabilità per fatto del danneggiato e l'assenza di colpa del custode. Come noto, il comportamento imprevedibile del danneggiato può escludere il nesso di causalità nella responsabilità da cose in custodia.

L'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima. La deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c.

Non solo. La deduzione potrebbe non essere diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, ma a sostenere l'allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso. Il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, ma anche dello stesso comportamento del danneggiato, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode. Tuttavia, l'imprevedibilità è comunque di per sé un concetto relativo, necessariamente influenzato dalle condizioni della cosa, di più o meno intrinseca pericolosità in rapporto alle caratteristiche degli eventi in grado di modificare tali condizioni ed alla stessa interazione coi potenziali danneggiati (Cass. civ., sez. III, 13/05/2020, n.8879; Trib. Milano, G.I. D. Spera, sent. n. 5886/2021).

Come detto (provocatoriamente), gli eventi metereologici estremi stanno diventando la « nuova normalità », ovvero diventano prevedibili.

Questo è il terreno di sfida della responsabilità civile ex art. 2051 c.c. ai giorni d'oggi.

Indubbiamente la custodia implica obblighi di sorveglianza e diligenza, la cui violazione può avere un'efficienza causale nella produzione del danno.

Ricordiamo che il concetto di custodia ex art. 2051 c.c. richiama la sussistenza di un rapporto tra il soggetto e la cosa tale da consentire il potere di controllarla e di eliminare le situazioni di pericolo, rilevando la disponibilità della cosa e i poteri di effettivo controllo sulla medesima.

Il fondamento della responsabilità ex art. 2051 c.c. risiede nella necessità di addossare le conseguenze dannose in capo a chi sia concretamente in grado di controllare i rischi derivanti.

L'art. 2051 c.c. evoca, infatti, «l'idea di una relazione con la cosa che impegni il soggetto a proteggere i consociati, e di una responsabilità collegata al fatto che tale impegno non sia stato efficacemente assolto».

In passato come oggi, allora, la responsabilità impone di adottare tutte le le misure di sicurezza, prevenzione e precauzione del danno. Questo è anche il senso della dichiarazione di emergenza ai sensi del codice di protezione civile, sopra ricordato.

Detto altrimenti, occorre evitare l'abbandono al caso fortuito (il non poter far alcunché di fronte agli eventi atmosferici gravi e eccezionali), rinunziando a politiche e misure attive volte, se non ad evitare, almeno a limitare i possibili danni.

Se ogni evento “estremo” dovesse integrare il caso fortuito, questo potrebbe essere di disincentivo a misure attive di prevenzione, richieste anche dal codice di protezione civile.

Ecco il punto.

Gli eventi atmosferici possono astrattamente costituire la causa da sola sufficiente a determinare l'evento dannoso, tanto da essere riconducibili all'ipotesi di «caso fortuito». Tuttavia, detti fenomeni devono presentare i caratteri dell'eccezionalità e della imprevedibilità, mentre quello della inevitabilità rimane intrinseco al fatto di essere evento atmosferico. Per caso fortuito, infatti, deve intendersi un avvenimento imprevedibile, un quid di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell'evento.

Come gestire e valutare il rischio dell'ignoto?

Può soccorrere il principio di precauzione, che è diverso dal principio di prevenzione.

Il principio di precauzione serve a governare non i rischi certi o probabili (che sono oggetto di misure di prevenzione), ma quelli potenziali, ossia l'incertezza scientifica.

Se la prevenzione mira ad evitare un rischio noto, la precauzione mira a governare un rischio ancora ignoto, ma che non si può escludere.

Sotto il profilo metodologico, questo non significa inversione dell'onere probatorio a carico del danneggiato, ma dimostrare che il rischio potenziale in concreto (secondo il caso specifico) andava valutato secondo un criterio di plausibilità scientifica sulla base dei dati disponibili.

Il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non è sufficiente, di per sé solo, a configurare l'esimente del caso fortuito, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza.

D'altra parte, già in passato la Suprema Corte aveva riconosciuto che nel caso di caduta di alberi, non è sufficiente, per andare esente da responsabilità ex art. 2051 c.c., dimostrare l'esistenza di un evento atmosferico anche di notevoli dimensioni, ma occorre anche offrire la prova che l'albero era in condizioni statiche ottimali, non affetto da vetustà o corrosioni, che tale situazione era nota al custode in quanto ha esercitato la doverosa sorveglianza e che, nonostante tutto, si è verificato il crollo (Cass. civ. sez. III, 21 gennaio 1987, n. 526).

Ed ecco, allora e concludendo, che il carattere dell'imprevedibilità oggettiva e dell'eccezionalità oggettiva, sono da accertarsi con indagine orientata da dati scientifici di tipo statistico (i c.d. «dati pluviometrici») riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia.

L'imprevedibilità, alla stregua di un'indagine ex ante e di stampo oggettivo in base al principio di regolarità causale, «va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell'evento», aggiungiamo, anche in base al principio di precauzione.

Riferimenti

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Alpa G., Bessone M., Zeno-Zencovich V., I fatti illeciti, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, VI, 14, Utet, 2004;

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