Danno da illegittima segnalazione alla Centrale Rischi: oneri di allegazione e probatori

08 Maggio 2024

Lo scritto esamina i più frequenti profili d'illegittimità delle segnalazioni da parte degli istituti di credito alla Centrale dei Rischi, al fine di valutare il regime di responsabilità conseguente a tali condotte e i correlati oneri di allegazione e probatori gravanti sul soggetto danneggiato.

Funzione di pubblica utilità della Centrale Rischi ed effetti collaterali

Sempre più avvertita è l'esigenza di fronteggiare i possibili effetti nocivi  della divulgazione di notizie personali a fronte dei big data  che quotidianamente vengono acquisiti e gestiti da vari enti per le finalità più disparate.

Sicuramente la Centrale dei Rischi (di seguito anche CR) della Banca d'Italia è uno dei principali collettori dei dati inerenti all'affidabilità economica dei soggetti che intrattengono rapporti con intermediari creditizi.

Si tratta di una banca dati di fonte normativa, essendo stato demandato dalla legge alla Banca d'Italia il compito di emanare disposizioni per il contenimento del rischio e di raccolta delle informazioni periodiche inviate dalle banche (artt. 53, comma 1, lett. b), 51 T.U.B.). La circolare Bankitalia n. 139/1991 contiene le istruzioni per gli intermediari creditizi per l'implementazione di tale sistema informativo.

 La CR nasce quindi come sistema istituzionalmente deputato a raccogliere informazioni sui rapporti di credito e di garanzia che il sistema finanziario  intrattiene con la propria clientela ed è  organizzata in base alle categorie e ai vari livelli di deterioramento dei crediti.

Gli intermediari sono tenuti a comunicare mensilmente alla Banca d'Italia i crediti verso i propri clienti, qualora questi superino la soglia di censimento prevista nella Circolare n. 139/1991, nonché i crediti c.d. in sofferenza di qualunque importo.

Il sistema contiene sia informazioni positive, (regolarità del pagamento delle rate, chiusura del rapporto di finanziamento), sia eventuali informazioni negative che riguardano, essenzialmente, le difficoltà, più o meno gravi, nel restituire l'importo finanziato o nell' adempiere all'obbligazione di garanzia in caso di escussione.

La Banca d'Italia a sua volta aggrega i dati ricevuti in relazione ai vari nominativi e restituisce il dato di indebitamento complessivo di ciascun soggetto segnalato il quale viene così percepito come soggetto più o meno affidabile dal punto di vista creditizio.

In questo modo, come affermato espressamente nel testo della circolare, si persegue la finalità di accrescere la stabilità del sistema finanziario, sia mediante il contenimento dei rischi sia favorendo un accesso razionale al credito.

Questo strumento di circolazione delle notizie, pur assolvendo a una finalità pubblica, si rivela particolarmente invasivo e, se  non  utilizzato in maniera corretta,  può portare a danni anche gravi alla reputazione personale e commerciale di individui ed enti.

Tipologia del contenzioso e profili di illegittimità delle segnalazioni

Le domande risarcitorie dei danni provocati da illegittime segnalazioni alla CR sono proposte il più delle volte congiuntamente alle controversie  riguardanti il merito del rapporto di credito intrattenuto con le banche, oppure prima dell'instaurazione di tali giudizi, al fine di ottenere la sospensione cautelare della segnalazione.

Molte volte il mancato accoglimento della richiesta di risarcimento dei danni deriva proprio dalla collocazione marginale rispetto a un diverso giudizio e probabilmente da una certa genericità nell'allegazione e prova dei fatti costitutivi, a fronte invece  di un atteggiamento particolarmente rigoroso della giurisprudenza.

Appare quindi utile analizzare la tipologia delle condotte degli operatori creditizi potenzialmente pregiudizievoli e che possono condurre a una domanda di cancellazione o rettifica  della segnalazione o di risarcimento.

Anche la Banca d'Italia, quale soggetto che gestisce la CR, e quindi quale «titolare del trattamento dei dati», risponde ai sensi del Regolamento UE 216/679, art. 82, che prevede il diritto al risarcimento dei danni materiali o immateriali cagionati dall'illegittimo trattamento dei dati personali.

Ma le condotte lesive provengono prevalentemente  dal comportamento delle banche che, in virtù dei  rapporti di credito intrattenuti con la clientela, detengono  i dati rilevanti  che vengono trasmessi alla CR.

Diversi possono essere i profili d'illegittimità, potendo accadere ad esempio che sia indicata erroneamente la tipologia o l'importo dell'esposizione creditizia.

Ma l'ipotesi più grave è data dalla segnalazione c.d. a sofferenza, in assenza dei presupposti.

Tra le categorie di censimento dei rischi previste dalla circolare n.139/1991, nella sezione 2, cap. 2, par.1.5., vi sono le c.d.  «sofferenze» in cui va ricondotta «l'intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili (…). L'appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può originare automaticamente al verificarsi di singoli specifici eventi quali, ad esempio, uno o più ritardi nel pagamento del debito o la contestazione del credito da parte del debitore».

È evidente che, sebbene la valutazione dei presupposti per l'inserimento in tale categoria presenti ampi profili di discrezionalità, le conseguenze sono sicuramente rilevanti perché viene di fatto attribuita al debitore l'etichetta di soggetto a elevato rischio di irrecuperabilità dei crediti.  

Sempre secondo la circolare, la segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze non è più dovuta quando viene a cessare lo stato di insolvenza o la situazione a esso equiparabile, anche se il pagamento del debito e/o la cessazione dello stato di insolvenza non comportano la cancellazione delle segnalazioni relative alle rilevazioni pregresse.

E' necessario comunque  un aggiornamento della segnalazione  anche in caso di parziale pagamento o comunque di estinzione o cancellazione del credito.

Tra le condotte illegittime devono essere quindi annoverate quelle di omessa cessazione della segnalazione nei casi previsti dalla normativa o di omesso aggiornamento della segnalazione.

In caso di cessione del credito «Se il cessionario è anch'esso un intermediario partecipante al servizio centralizzato dei rischi, deve segnalare il debitore ceduto nella pertinente categoria di censimento dell'operazione originaria per un importo pari al debito del cliente, sia in caso di cessione pro solvendo che pro soluto. Salvo che ricorrano i presupposti per una diversa classificazione, il cessionario segnala tra le sofferenze i crediti acquistati aventi come debitori ceduti soggetti precedentemente segnalati in sofferenza» (Circ. n. 139/1991,Cap. II, Sez. II, par. 5.6.).

Ne consegue che il cessionario, potendo - e dovendo - fare affidamento sulla correttezza della valutazione eseguita dal cedente, censisce il credito in continuità con la precedente segnalazione, mantenendo l'appostazione a sofferenza, salva la sopravvenienza di diversi presupposti (v. ABF, Collegio di coordinamento,  n. 1317/2023).

I profili di illegittimità possono riguardare anche  la violazione di norme di carattere procedurale.

L'art. 125, comma 3, T.U.B. prevede ad esempio che «I finanziatori informano preventivamente il consumatore la prima volta che segnalano a una banca dati le informazioni negative previste dalla relativa disciplina. L'informativa è resa unitamente all'invio di solleciti, altre comunicazioni, o in via autonoma».

Nel paragrafo 1.5. della circolare n. 139/1991 è poi previsto, anche per i clienti non  consumatori, ma senza il riferimento alla necessità di un vero e proprio preavviso, che «Gli intermediari devono informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnalano a sofferenza».

Profili di responsabilità aquiliana e contrattuale da illegittima segnalazione alla Centrale Rischi

I parametri per verificare la presenza di effettivi profili di illegittimità nella segnalazione  sono  in parte variati nel corso dell'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sull'inquadramento della fattispecie.

Inizialmente è stata ravvisata una responsabilità aquiliana aggravata ex art. 2050 c.c., correlata alla intrinseca pericolosità insita nella attività di gestione di dati personali, che pone a carico dell'esercente l'onere di provare di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. Tale inquadramento risulta recepito anche in alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. civ. n. 1931/2017, Cass. civ. n. 207/2019).

La responsabilità aquiliana è stata ricollegata alla compromissione di  valori inerenti alla persona (onore, reputazione individuale, considerazione sociale ecc.) di rango primario e come tali protetti a livello costituzionale (art. 2 Cost.) o anche alla  lesione del diritto all'integrità del patrimonio  conseguente alla divulgazione di informazioni inesatte.

L'art. 2050 c.c. è stato poi menzionato espressamente dall'art. 15 d.lgs. n. 196/2003,Codice della privacy, sui danni conseguenti all'illecito trattamento dei dati personali (v. Cass. civ. n. 207/2019), poi abrogato.

Attualmente è l'art. 82 del Regolamento 2016/679/UE, direttamente applicabile  negli Stati membri dell'UE, a prevedere in generale il risarcimento dei danni materiali e immateriali subiti dalla persona fisica a seguito del trattamento dei dati.

Contemporaneamente la giurisprudenza di legittimità ha individuato dei profili di responsabilità contrattuale nelle illegittime segnalazioni.

In un caso di segnalazione errata nella CRIF (sistema di rilevazione centralizzata dei rischi, analogo alla CR, ma su base volontaria) la Corte di Cassazione ha  affermato che la segnalazione «integra la violazione (non tanto del dovere nel neminem laedere, quanto) del fondamentale dovere di solidarietà inerente al rapporto contrattuale, in forza del quale ciascun contraente è tenuto a non pregiudicare ingiustificatamente le ragioni dell'altro» ( in questi termini Cass. n. 23033/2011, e, in termini simili, Cass. civ. n. 9385/2018).

Non si può negare difatti che l'intermediario creditizio, nell'esercizio della funzione pubblicistica della segnalazione, attinge i dati rilevanti dalle condotte tenute dai propri clienti nello svolgimento dei rapporti di credito, e interferisce così necessariamente con gli interessi coinvolti nell'esecuzione dei relativi contratti, dovendosi pertanto conformare agli obblighi di correttezza e buona fede gravanti sulle parti, espressione del generale principio di solidarietà contrattuale.

Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile all'art. 1375 c.c., «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore» opera difatti come un criterio di reciprocità, imponendo a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile (in questi termini Cass.  civ. n. 9200/2021).

Ove ravvisabile, la responsabilità contrattuale ha carattere di specialità rispetto a quella extracontrattuale, e la responsabilità aquiliana dell'istituto di credito potrebbe concorrere quando il pregiudizio arrecato al cliente abbia leso interessi di quest'ultimo che siano sorti al di fuori del contratto e abbiano la consistenza di diritti assoluti (arg. exCass. civ. n. 16654/2017).

Deve considerarsi però che nell'esperienza del  contenzioso, come si vedrà anche nel paragrafo relativo al risarcimento del danno, gli interessi lesi sono solitamente rientranti nel novero di quelli alla cui tutela sono strumentali gli obblighi di buona fede e correttezza di origine contrattuale.

Distribuzione dell'onere della prova

La conseguenza dell'inquadramento della responsabilità in ambito contrattuale comporta, in applicazione degli artt. 1218 e 1176  c.c., l'onere in capo alla banca di provare l'adempimento dei propri doveri di buona fede  e correttezza, ma comunque  gli oneri di allegazione impongono al danneggiato di evidenziare gli specifici profili di scorrettezza della condotta.   

Per esempio, il cliente dovrà specificamente dedurre la violazione dell'obbligo contenuto nel paragrafo 1.5. della circolare n. 139/1991 di informare il cliente al momento della segnalazione a   sofferenza, che è una declinazione  del dovere di solidarietà che impronta il rapporto contrattuale, consentendo  al cliente di approntare tempestivamente dei rimedi e comunque  di instaurare quel necessario dialogo tra le parti finalizzato a un'iscrizione fedele alla realtà dei fatti.

Quanto alla nozione di insolvenza  che giustifica la segnalazione a sofferenza, questa  “non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come «deficitaria», ovvero come di «grave difficoltà economica», senza, quindi, alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità” (Cass. civ. n. 26361/2014, e «senza che assuma rilievo la manifestazione di volontà di non adempiere, che sia giustificata da una seria contestazione sull'esistenza del credito» (ancora Cass. civ. n. 26361/2014).

Occorre quindi comprendere come si ripartiscono in concreto gli oneri di allegazione e prova rispetto agli elementi indiziari dello stato di insolvenza, calando nella fattispecie concreta il principio ancora attuale enunciato dalle Sezioni Unite secondo cui  al creditore (in questo caso il cliente della banca) istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando  sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento, salvo il caso di obbligazione negativa nel qual caso la prova dell'inadempimento stesso è sempre a carico del creditore (Cass. civ., sez. un., n. 13533/2001).

Stante la natura elastica dei profili di condotta di buona fede e correttezza che possono essere violati, l'onere di allegazione, che grava su chi afferma il loro inesatto adempimento, deve essere sufficientemente preciso, in modo da far emergere le condotte commissive od omissive in cui si concreta il venir meno al dovere di solidarietà.

 Quindi, con riferimento ad esempio alla segnalazione dello stato di insolvenza di un imprenditore, a fronte di un prolungato inadempimento, la banca dovrebbe dimostrare che si tratta di un'esposizione  di volume ingiustificato  in rapporto ai costi gestionali e ai rischi limitati della sua attività.

Il debitore, dal canto suo, dovrebbe allegare che  si tratta in realtà di un rifiuto ad adempiere motivato da una contestazione del credito,  e indicare le ragioni della contestazione.

 La banca a questo punto dovrà  provare la propria buona fede, dimostrando di avere valutato attentamente i profili di contestazione, mediante una sorta di preistruttoria, o che la gravità dell'inadempimento dal punto di vita quantitativo non è giustificata dai limitati profili di contestazione che per esempio interessano solo delle clausole del contratto, incidendo magari in misura marginale sull'entità globale del credito.

Nell'ambito dei doveri della banca indicati dalla circolare Bankitalia sopra citata rientra comunque quello di segnalare come «contestato» qualsiasi rapporto oggetto di segnalazione  per il quale sia stata adita un'autorità terza rispetto alle parti in sede giudiziaria o anche di mediazione. Tale indicazione non è alternativa alla iscrizione a sofferenza, e quindi, anche se sicuramente allevia la potenzialità dannosa della segnalazione,  non è sufficiente a esonerare la banca da responsabilità per avere indicato come “insolvente” un soggetto che non lo era.

Solitamente la serietà della contestazione viene valutata all'esito del giudizio di accertamento dell'esistenza del credito in cui si innesta anche la domanda risarcitoria, verificando se vi fossero gli estremi per la segnalazione e se fosse corretto l'importo oggetto di iscrizione.

In una pronuncia della Cassazione  relativamente recente si è invece ritenuta necessaria una valutazione  ex  ante  della condotta della banca, nel senso che, anche nel caso in cui le contestazioni del debitore si rivelassero infondate, occorrerebbe valutare se comunque vi fossero i presupposti per la segnalazione al momento della stessa. E' stato quindi affermato che « (…) è pur sempre necessario che il giudice (…) non si limiti a prendere atto che il debito oggetto della segnalazione era effettivamente dovuto, ma stabilisca con valutazione ex ante: -) dal punto di vista oggettivo, se le ragioni addotte dal debitore a fondamento del rifiuto di pagamento fossero sorrette almeno da un fumus di fondatezza; -) dal punto di vista soggettivo, se il debitore potesse ritenersi in buona fede nel momento in cui quelle ragioni ha accampato.  (…) Tuttavia, per quanto detto poc'anzi, la segnalazione alla Centrale dei Rischi deve restare una conseguenza giuridica dell'inadempimento colposo, e non può diventare una conseguenza giuridica dell'avere sollevato in buona fede eccezioni stragiudiziali di nullità del contratto. Stabilire dunque se la banca abbia agito correttamente o meno, nel segnalare il nominativo del debitore alla Centrale dei rischi, è giudizio che non può fondarsi soltanto sull'accertata infondatezza delle eccezioni sollevate dal debitore, ma deve estendersi a valutare la meritevolezza delle ragioni invocate dal debitore a fondamento del rifiuto di adempiere, e la diligenza impiegata dalla banca nel valutarle» (Cass. civ. n. n. 3130/2021).

E' da rilevare che però tale  pronuncia, pur facendo riferimento alla diligenza della banca nel valutare la meritevolezza delle ragioni del debitore, per inciso, dando per scontato che si tratti di illecito aquiliano, fa gravare sul debitore danneggiato l'onere della prova della colpa dell'istituto di credito «Resta ancora da aggiungere, per amor di completezza, che nel giudizio di risarcimento del danno da illegittima segnalazione alla centrale dei rischi l'onere della prova si ripartirà secondo le regole ordinarie: sicché, trattandosi di illecito aquiliano, spetterà all'attore dimostrare sia la propria buona fede al momento in cui sollevò l'eccezione; sia la colpa del creditore; sia l'esistenza del danno; sia il nesso di causa tra colpa e danno».

Ma la novità della pronuncia consiste nell'ammettere la possibilità che l'iscrizione si riveli illegittima, non perché il credito era infondato, ma perché l'inadempimento non era colposo.

Questo principio impone alla banca un'indagine sulla buona fede soggettiva del debitore che tuttavia deve conciliarsi con l'interesse pubblicistico a una tempestiva conoscibilità del profilo creditizio dei soggetti interessati.

Nei casi in cui permane la segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze quando non è più dovuta secondo le previsioni della circolare Bankitalia, tra cui, ad esempio, la cessazione dello stato di insolvenza, la rinuncia al recupero del credito o il pagamento, significa che la banca sta violando l'obbligo di aggiornare o cancellare l'iscrizione. In questo caso però si ritiene che la fonte dell'obbligo della banca sia costituito da una specifica sopravvenienza che deve essere quindi provata dal cliente.

Analogamente l'esigenza di aggiornare l'iscrizione potrebbe scaturire all'esito di un accertamento giudiziale, circostanza che pure deve essere dimostrata  dal cliente.

Nel caso di cessione del credito,  potrebbe verificarsi l'illegittimità della permanenza della segnalazione a sofferenza, nonostante il miglioramento della situazione patrimoniale e finanziaria complessiva del debitore ceduto. Il cessionario è infatti tenuto a verificare se l'inadempimento persista o se siano sopravvenute circostanze nuove che impongono una diversa classificazione del debito (v. ancora ABF n. 1317/2023).

Trattandosi di sopravvenienze,  anche l'onere della  prova, oltre che dell'allegazione, può spostarsi sul cliente che dovrebbe dimostrare che vi sono state delle circostanze (p.es. pagamento o transazione) che dovevano essere valutate per una eventuale nuova classificazione del debito.

In questi casi non vi è un capovolgimento dell'onere probatorio, che in effetti non si verifica mai, nemmeno  quando si fa applicazione del principio di vicinanza della prova. Piuttosto la conoscenza o maggiore conoscibilità di alcune circostanze è sintomatica del fatto che si tratta di un elemento costitutivo del diritto fatto valere alla cancellazione o alla modifica dell'iscrizione (arg.  ex  Cass. civ. n. 8018/2021).

La prova del danno come conseguenza

Se complessa è la ripartizione dell'onere della prova dell'insussistenza dei presupposti per procedere alla segnalazione in CR o per mantenerla, sarà invece certamente il cliente danneggiato a  dovere dimostrare che i danni patrimoniali e non patrimoniali  di cui chiede ristoro sono conseguenza immediata e diretta della violazione.

Nell'accertamento del danno patrimoniale, che consiste il più delle volte nella lesione del credito commerciale, occorre verificare non solo l'esistenza del nesso causale tra la illegittima segnalazione e la contrazione dei finanziamenti o la perduta possibilità dell'accesso al credito, ma anche il nesso tra questi eventi e il peggioramento dell'andamento economico del soggetto danneggiato, inteso come effettivo danno conseguenza risarcibile. Non si può escludere difatti che una società florida o al contrario una società ormai in stato di decozione potrebbe non essere pregiudicata dalla contrazione dei finanziamenti (in questi termini Cass. n. 13264/2020).

Il danno non patrimoniale all'immagine e alla reputazione è pure danno conseguenza  e non è sussistente in re ipsa,  anche se può essere provato mediante presunzioni.

In passato si è distinto  tra danno alla reputazione commerciale  e danno alla reputazione personale  e si è affermato  che nel primo caso «(…) sarà la persona denunciata a dovere fornire la prova, anche presuntiva, delle conseguenze dannose che, in concreto, gli siano derivate. Ove invece il fatto illecito abbia causato una lesione della reputazione personale (intesa come reputazione che il soggetto gode come persona umana, tra gli altri consociati), (…) il danno è “in re ipsa”, in quanto si realizza una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 cod. civ., costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore (per quanto non patrimoniale) della persona umana alla quale il risarcimento deve essere commisurato» (Cass. civ. n. 20120/2009).

 Poi, sulla scia dei principi affermati dalle sentenze di San Martino  del novembre 2008,  si è detto invece che «il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al diritto alla reputazione quale conseguenza di un ingiusto protesto, non è in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento». (Cass. civ. n. 21865/13) e, in particolare, che «In tema di illegittima segnalazione alla centrale rischi, il danno all'immagine e alla reputazione non può considerarsi sussistente “in re ipsa”, ma va allegato specificamente e dimostrato da chi ne invoca il risarcimento» (così Cass. civ. n. 6589/2023 che, nel caso specifico della segnalazione alla CR, ha precisato che occorrerebbe quanto meno dimostrare la diffusione della notizia e le caratteristiche della diffusione).

Tra i parametri utilizzati in giurisprudenza per la liquidazione  del danno non patrimoniale rilevano specialmente l'entità della somma per cui la segnalazione è avvenuta, la durata della segnalazione illegittima, il volume d'affari della società interessata e il tipo di attività imprenditoriale concretamente svolto.

Le illegittime segnalazioni alla CR impongono anche una specifica riflessione sui danni non patrimoniali che possono subire  le persone giuridiche, essendo spesso i soggetti segnalati delle società.

In generale da anni si afferma che anche nei confronti della persona giuridica è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale, allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, tra i quali rientra l'immagine della persona giuridica, sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca (Cass. civ. n. 12929/2007, Cass. civ. n. 18082/2013). Si tratta in definitiva di qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione - compatibile con l'assenza di fisicità del titolare - di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti,  e l'allegazione e la prova  possono avvenir anche attraverso l'indicazione degli elementi costitutivi e delle circostanze di fatto da cui desumerne, sebbene in via presuntiva, l'esistenza (Cass. n. 34026/2022).

È stato, per contro, negata la risarcibilità del danno non patrimoniale in favore delle persone giuridiche, nel caso di fatti diffamatori a modesta diffusione. Inoltre, i suddetti pregiudizi non patrimoniali, per essere risarcibili, debbono superare una soglia minima di tollerabilità, ovviamente ben più elevata per le società commerciali rispetto alle persone fisiche, ché altrimenti si perverrebbe a ristorare come veri danni dei semplici fastidi o disagi (v. Cass. n. 13264/2020 e i precedenti in essa citati).

In definitiva, gli indici principali per verificare esistenza e gravità del danno conseguenza di natura  non patrimoniale  subito da una società a causa della illegittima segnalazione alla CR sono simili a quelli del danno patrimoniale, ossia la diffusione della notizia, che si desume  anche dalla durata dell'iscrizione, e la comparazione della  reputazione di cui godeva  l'ente prima della segnalazione, con quella successiva, che può operarsi soprattutto attraverso una ricostruzione dei rapporti di finanziamento. 

In conclusione

I molteplici profili di illegittimità ravvisabili nella condotta della segnalazione, da parte delle banche,  dei propri clienti alla Centrale dei Rischi sono riconducibili alla violazione del generale dovere di solidarietà che grava sull'intermediario creditizio nella gestione dei contratti bancari e  finanziari.

Il regime di responsabilità contrattuale che ne scaturisce agevola solo in parte il soggetto danneggiato il quale rimane gravato dall'onere di specifica allegazione dei profili di contrarietà a buona fede e correttezza  della condotta della banca. L'elasticità di tali parametri porta anche a un complesso intrecciarsi dei rispettivi  oneri di allegazione e probatori a seconda dei concreti profili di illegittimità della condotta che si intendono far valere.

L'inquadramento come danno conseguenza comporta poi che sia per il danno patrimoniale che non patrimoniale è necessario far emergere elementi idonei a  dimostrare il nesso di causalità tra la condotta illegittima e il concreto pregiudizio subito dalla persona, fisica o giuridica, segnalata, e quindi a consentire  un raffronto tra la condizione economica e reputazionale precedente e quella successiva alla segnalazione.  

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