Crisi d'impresa
IlFallimentarista

Concordato preventivo in continuità (CCII)

03 Giugno 2024

Uno sguardo d’insieme sul concordato preventivo in continuità aziendale ex art. 84 c.c.i.i., anche alla luce delle recenti proposte di modifica di cui alla bozza del terzo decreto correttivo del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza.

Premessa

Con il presente contributo si intende fornire una prima analisi di quel particolare tipo di concordato preventivo che va sotto il nome di concordato preventivo in continuità aziendale (d'ora in avanti anche c.p.c.a.), soffermandoci sulle disposizioni del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza che lo disciplinano direttamente e senza considerare, quindi, la normativa dettata in generale per il concordato preventivo. Saranno altresì considerate le proposte di modifica della richiamata normativa, anticipate nel maggio 2024 da una bozza di terzo decreto recante disposizioni integrative e correttive al c.c.i.i. (si veda La bozza del terzo correttivo al Codice della crisi, in IUS Crisi d'impresa, 6 maggio 2024), in virtù sia della l. n. 20/2019, contenente “Delega al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui alla legge 19 ottobre 2017, n. 155”, sia della l. n. 53/2021, contenente “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020 (tramite quanto previsto dall'art. 31 comma 5, l. n. 234/2012, “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea”, le quali consentono l'adozione, entro il 15 luglio 2024, di più decreti legislativi correttivi).

La funzione del concordato preventivo

L'art. 84 c.c.i.i., che apre la Sezione I del Capo III (intitolato “Concordato preventivo”), indica, in linea di massima, le “Finalità e [i] contenuti del concordato preventivo”, ossia: soddisfare i creditori mediante (i) la continuità aziendale, (ii) la liquidazione del patrimonio, (“anche con cessione dei beni”, secondo la bozza di decreto correttivo), (iii) l'attribuzione delle attività ad altri soggetti che subentrano al debitore o, comunque, (iv) in qualsiasi altra forma possibile.

In proposito, è bene chiarire che il concordato preventivo, disciplinato dagli artt. 84 e ss. c.c.i.i., quale procedura concorsuale alternativa alla liquidazione giudiziale, pur rappresentando, rispetto a quest'ultima, un beneficio per il proponente insolvente (per cui la pretesa dei creditori chirografari può subire una falcidia anche significativa, con l'unico limite che non si tratti di una percentuale irrisoria, mentre i creditori privilegiati, in linea di principio, sono soddisfatti per intero, salvo quanto previsto dall'art. 84 comma 5, c.c.i.i.), non ha la funzione di sottrarre l'imprenditore al generale principio di responsabilità ex art 2740 c.c.

Infatti, il diritto di garanzia dei creditori sul patrimonio del debitore è tutelato dalla Costituzione e non può essere espropriato, neppure indirettamente, a vantaggio dell'interesse pubblico al buon andamento dell'economia o alla salvaguardia dei valori aziendali.

Continua, cioè, a non essere configurabile un concordato non in linea (o addirittura contrastante) con il fine “superiore” dell'interesse dei creditori, o che subordini la tutela di tale interesse ad altri.

Pertanto, se anche le procedure concorsuali non sono più concepite in termini liquidatori-sanzionatori, bensì destinate alla conservazione dei mezzi organizzativi dell'impresa in crisi, assicurandone ove possibile la sopravvivenza, quest'ultimo non rappresenta il fine ultimo delle procedure medesime, ma soltanto un obiettivo “mediato”, allo scopo di  procurare ai creditori una più consistente, o quantomeno equivalente, soddisfazione della loro garanzia patrimoniale attraverso il risanamento o il trasferimento a terzi delle strutture aziendali.

La selezione tra più interessi eventualmente confliggenti (come quello dei lavoratori, quello della stabilità del mercato, o, più in generale, dell'economia) deve sempre risolversi a favore dei creditori, nella forma, ai sensi del comma 1 dello stesso art. 84 c.c.i.i., di un soddisfacimento non inferiore a quello realizzabile nel caso di liquidazione giudiziale (e non più, come era invece nella legge fallimentare, in termini di miglior soddisfacimento dei creditori).

In ragione dello stato di crisi o di insolvenza (ossia nella confessione prospettica o attuale di non poter adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni) il debitore soggiace alla necessaria destinazione del suo patrimonio – di tutto il suo patrimonio – alla soddisfazione dei creditori, sia mediante il concorso della liquidazione giudiziale, sia mediante la diversa procedura concordataria. Da qui, il necessario equilibrio tra la volontà del debitore (autonomia privata), volontà dei creditori (della maggioranza o anche soltanto di una parte anche minoritaria degli stessi, come accade nel c.p.c.a.) e controllo giurisdizionale.

È in tale contesto  che assume rilievo la funzionalità della continuazione d'impresa alla miglior soddisfazione dei creditori, quest'ultima intesa – secondo la definizione contenuta all'art. 2 comma 1, n. 6, della direttiva UE 2019/1023 (c.d. “direttiva Insolvency”) – come soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale.

Poiché il c.c.i.i. individua, di fatto, due discipline, una di carattere generale e l'altra riferibile ai soli concordati preventivi in continuità, ai fini dell'applicazione dell'una o dell'altra sarà necessario valutare in concreto il piano concordatario, al fine di verificare se esso preveda o meno la continuità diretta o indiretta dell'azienda.

Le finalità del concordato preventivo in continuità

Chiarite così la funzione e gli interessi tutelati, in generale, dal concordato preventivo, merita evidenziarne le finalità, per come concepite ed attuate dal legislatore eurounitario e da quello nazionale.

Nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 14/2019, il c.p.c.a. viene presentato come “l'opzione che la nuova disciplina della crisi valorizza maggiormente in quanto finalizzata al recupero della capacità dell'impresa di rientrare, ristrutturata e risanata, nel mercato” (sub art. 84, p. 87).

Il legislatore ha, infatti, notoriamente manifestato un chiaro favor per il c.p.c.a. ed una “avversione”, invece, per le soluzioni concordatarie meramente liquidatorie, favorendo così proposte che prevedano il superamento delle situazioni di crisi o insolvenza mediante la prosecuzione (diretta o indiretta) dell'attività aziendale, sulla base di un adeguato piano che consenta di salvaguardare il valore dell'impresa e (tendenzialmente) i livelli occupazionali e, al tempo stesso, di soddisfare i creditori.

Tale favor si realizza nel codice della crisi attraverso una serie di disposizioni che rendono più agevole l'omologazione del c.p.c.a., sia rispetto alle previsioni contenute nella legge fallimentare per l'omonimo istituto, sia rispetto a soluzioni alternative quali, ad esempio, il concordato liquidatorio o il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64-bis c.c.i.i.)

La formula della tutela dell'interesse dei creditori attraverso la continuità aziendale e la conservazione, nella misura possibile, dei posti di lavoro (come testualmente recita l'incipit del comma 2 dell'art. 84 c.c.i.i.), riprende il contenuto dell'art. 4 comma 1, d.lgs. n. 83/2022 (c.d. “secondo correttivo” o “decreto Insolvency”), ove si attribuisce ai quadri di ristrutturazione preventiva lo scopo di “tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale”.

Merita segnalare che nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 83/2022 si legge che “le disposizioni dei Capi 2, 3, 4 e 5 del Titolo I della direttiva (Insolvency, ndr) – contenenti principi in materia di “Agevolazioni delle trattative sul quadro di ristrutturazione preventiva”, di “Piano di ristrutturazione”, di “Tutela dei finanziamenti…e delle altre operazioni connesse alla ristrutturazione” e di “Obblighi dei dirigenti” – sono state attuate, in prevalenza, mediante la modifica dell'istituto del concordato preventivo in continuità aziendale”, atteso che la “ristrutturazione” è intesa dalla direttiva come l'insieme delle “misure che intendono ristrutturare le attività del debitore che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell'impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi, necessari, o una combinazione di questi elementi” (art. 2 par. 1, n. 1, dir. n. 2019/1023).

Può quindi dirsi che il d.lgs. n. 83/2022 abbia apportato delle modifiche alla disciplina del c.p.c.a. al fine di attuare gli artt. 9 (“Adozione del piano di ristrutturazione”),10 (“Omologazione del piano di ristrutturazione”) e 11 (“Ristrutturazione trasversale dei debiti”) della direttiva Insolvency, in termini di contenuto della proposta, formazione delle classi, diritto al voto, ristrutturazione trasversale e giudizio di convenienza.

Così, la definizione “ristrutturazione” coincide con quella dell'art. 84 comma 2, c.c.i.i., lasciando fuori il concordato meramente liquidatorio e tutti gli altri tipi di concordato.

In sostanza, con il c.p.c.a. si punta (i) al recupero della capacità dell'impresa di rientrare, ristrutturata e risanata nel mercato e (ii) alla realizzazione del soddisfacimento dei creditori, in misura anche non prevalente, mediante i proventi della prosecuzione dell'attività imprenditoriale, diretta o indiretta.

Così, in ultima analisi, il discrimine tra le due figure di concordato (in continuità e liquidatorio) risiede nella provenienza delle risorse utilizzate per il soddisfacimento dei creditori: (i) nel c.p.c.a. i creditori devono essere soddisfatti, ancorché in misura non prevalente, attraverso i ricavi prodotti dalla prosecuzione dell'attività (art. 84 comma 3, c.c.i.i.) mentre (ii) nel concordato liquidatorio devono essere messi a disposizione dei creditori, oltre al ricavo della liquidazione del patrimonio, anche risorse esterne che incrementino di almeno il 10% l'attivo disponibile nel momento della presentazione della domanda (art. 84 comma 4, c.c.i.i.).

Il concetto di "continuità"

Nel perseguire gli obiettivi che si sono sopra indicati nell'ambito del c.p.c.a., il comma 2 dell'art. 84 definisce in modo ampio il concetto di continuità, dando rilievo al profilo “oggettivo” dell'impresa (continuità in senso oggettivo).

Prescindendo, quindi, dall'identità dell'imprenditore, si ricomprende nella continuità, oltre alla gestione diretta dell'azienda da parte dell'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato (c.d. “continuità diretta”), anche i casi in cui nel piano sia prevista la gestione dell'azienda in esercizio, o la ripresa dell'attività, da parte di un soggetto diverso dal debitore (c.d. “continuità indiretta”), in capo ad un'altra società, anche di nuova costituzione, a seguito di cessione, usufrutto o conferimento dell'azienda, ovvero in forza di affitto, anche se stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo, come si vedrà anche in seguito (

Si è così ampliato il concetto di continuità indiretta rispetto all'art. 186-bis comma 1, l. fall., che prevedeva la cessione o il conferimento dell'azienda in esercizio. L'art. 84 c.c.i.i. prevede, oggi, anche la ripresa della (cessata) attività da parte di un soggetto diverso dal debitore, purché, naturalmente, il terzo riprenda poi l'attività.

La norma richiamata, infine, non contempla espressamente l'ipotesi che il piano preveda la ripresa dell'attività cessata da parte dello stesso debitore (in relazione al quale si parla solo di “prosecuzione dell'attività d'impresa”), anche se tale eventualità deve ritenersi ricompresa tra le ipotesi di continuità (diretta), non potendosi ipotizzare che il legislatore abbia voluto così penalizzare l'imprenditore che, prudenzialmente, abbia temporaneamente interrotto l'attività per non aggravare le perdite.

L'affitto dell'azienda nel concordato preventivo in continuità

Il legislatore, con il comma 2 dell'art. 84 c.c.i.i., ha sciolto uno dei temi interpretativi in precedenza più dibattuti, affermando, coerentemente con la scelta di privilegiare la continuità oggettiva dell'impresa, l'applicabilità di tale disciplina anche nei casi in cui l'azienda sia oggetto di contratto di affitto, stipulato anteriormente alla domanda di concordato, purché in funzione della presentazione del ricorso.  

Diversa è l'ipotesi in cui il contratto di affitto d'azienda pendente sia stao stipulato ad una significativa distanza temporale dal deposito del ricorso e, quindi, non sia funzionalmente ricollegabile ad esso. Si tratterà, in tal caso, di un rapporto giuridico pendente e a prestazioni corrispettive, soggetto alla disciplina dell'art. 97 c.c.i.i. – norma in relazione alla quale la bozza di “terzo correttivo” prevede diverse modifiche, tra cui quella di cui al comma 11, secondo cui: “L'indennizzo è soddisfatto come credito chirografario anteriore al concordato, ferma restando la prededuzione dei crediti legalmente sorti per effetto del contratto conseguente a eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali dopo la pubblicazione di cui all'articolo 40, comma 3, della domanda di accesso al concordato e prima della notificazione di cui al comma 6” –  con la conseguenza che il contratto prosegue, tranne che il debitore ne chieda prima la sospensione e poi lo scioglimento ove la prosecuzione del rapporto non sia “[…] coerente con le previsioni del piano né funzionale alla sua esecuzione” (art. 97 comma 1, c.c.i.i.; da rilevare che la bozza di modifica al c.c.i.i. prevede ora, al comma 2, solo che “La richiesta di scioglimento può essere depositata solo quando sono presentati anche il piano e la proposta”).

Con riferimento, invece, al contratto d'affitto successivo al deposito del ricorso, si applicherà una diversa disciplina a seconda che la richiesta di autorizzazione a contrarre sia presentata prima o dopo il decreto di apertura.

Nel primo caso il debitore deve fornire “[…] idonee informazioni sul contenuto del piano” e l'autorizzazione può essere concessa dal tribunale solo se si tratta di atto “urgente” (art. 46 commi 1 e 2 c.c.i.i., dove del comma 1 è stata proposta la modifica con la bozza di terzo correttivo, che elimina i riferimenti all'art. 44 c.c.i.i., prevedendo che: “Dopo il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, e fino al decreto di apertura di cui all'articolo 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale. In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci”).

Dopo il decreto di apertura e fino all'omologazione, il giudice delegato può autorizzare l'affitto, sentito il commissario giudiziale, “se l'atto è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori” (comma 3 dell'art. 94 c.c.i.i., che la proposta di modifica al codice rinomina, “Amministrazione dei beni durante la procedura di concordato preventivo e alienazioni”).

La stipula del contratto d'affitto d'azienda e l'individuazione del contraente deve avvenire previo esperimento di procedure competitive, tranne che il tribunale, in caso di urgenza, ne escluda l'obbligo “(…) quando può essere compromesso irreparabilmente l'interesse dei creditori al miglior soddisfacimento” e a condizione che del compimento dell'atto sia data adeguata pubblicità e comunicazione ai creditori (art. 94 commi 4 e 5, c.c.i.i.)). Infine, come detto sopra, il d.lgs. n. 83/2022 è intervenuto sull'art. 84 comma 2, c.c.i.i. precisando che, ai fini della continuità indiretta, il requisito della stipulazione prima del deposito del ricorso si riferisce al solo affitto di azienda, mentre gli altri negozi in forza dei quali l'azienda può essere gestita da un soggetto diverso dal debitore devono essere stipulati in esecuzione del piano. In sostanza, fuori dell'affitto, tutte le altre opzioni previste dalla norma (cessione, usufrutto, conferimento…) devono avvenire, di norma, dopo il deposito del piano. Tale questione è particolarmente delicata dato che il trasferimento anticipato, rappresentando una parte significativa dell'attivo, potrebbe mutare l'intendimento dei creditori in relazione alla convenienza della proposta.

La soddisfazione dei creditori

Nel c.p.c.a., prosegue il comma 3 dell'art. 84 c.c.i.i. (in relazione al quale la bozza di decreto correttivo del codice della  crisi non propone modifiche), i creditori possono essere soddisfatti “in misura anche non prevalente” dal ricavato della continuità aziendale, diretta o indiretta.

Si prescinde così da un criterio puramente quantitativo – quale sarebbe quello della prevalenza della componente in continuità su quella liquidatoria – e si evitano le eventuali  difficoltà che si sarebbero manifestate laddove i flussi derivanti dalla continuità fossero state inferiori a quelli ricavabili dalla dismissione di determinati beni (come il compendio immobiliare non strumentale all'attività).

Secondo questa regola generale, dunque, la disciplina della continuità si applicherà anche al piano di concordato che preveda la continuità aziendale e, allo stesso tempo, la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa, secondo una valutazione rimessa all'insindacabile giudizio del debitore. In questo caso, la soddisfazione dei creditori potrà derivare sia dagli utili derivanti dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, sia dalla cessione di beni.

Eliminato il criterio della prevalenza, l'applicazione della disciplina del concordato in continuità sarà quindi subordinata al solo accertamento dell'idoneità del piano a consentire l'oggettiva continuazione dell'azienda o di un suo ramo, con il solo limite dell'utilizzo abusivo della procedura (in punto, vigente l'art. 186-bis l. fall., Cass. 15 gennaio 2020, n. 734, in Dir. & Giust., fasc.11, 2020, p. 6, con nota di G. Tarantino, “Concordato in continuità, liquidatorio o misto: come distinguerli e quale disciplina è applicabile”, ha precisato che “Il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell'impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell'attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso dello strumento, dalla disciplina speciale prevista dall' art. 186-bis l. fall., che al comma 1 espressamente contempla anche detta ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito; la norma in parola non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnata una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una siffatta organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori”).

Il tribunale dovrà, quindi, valutare se il concordato sia utilizzato dal debitore secondo la sua funzione propria, come tipizzata dal legislatore, e consentire la prosecuzione dell'attività aziendale, sia pure in forma ridotta, purché non irrilevante, con una soddisfazione dei creditori in misura non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziaria (principio di equivalenza o non deteriorità). Sicché, ai sensi dell'art. 87 comma 1, lett. c), c.c.i.i., il piano concordatario dovrà indicare, attraverso apposita stima, il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale (la bozza di decreto correttivo ha modificato la richiamata lett. c) in questi termini “il valore di liquidazione del patrimonio alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale corrispondente al valore realizzabile, in sede di liquidazione giudiziale, dalla liquidazione dei beni e dei diritti, comprensivo dell'eventuale maggior valore economico realizzabile nella medesima sede dalla cessione dell'azienda in esercizio nonché delle ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni esperibili, al netto delle spese”).

Il concetto di soddisfazione dei crediti (e quindi di necessaria non gratuità della prestazione offerta dal debitore) deve poi essere assunto nel suo significato economico proprio di attribuzione patrimoniale, per cui deve tenersi conto dell'interesse economico che si intende realizzare e soddisfare, anche in via mediata, attraverso la complessa operazione economica sintetizzata nel piano (in sede di omologazione, vigente la legge fallimentare, il tribunale era quindi chiamato a verificare se il concordato fosse idoneo a realizzare effettivamente la causa concreta, da intendersi come obiettivo specifico perseguito con la singola proposta e, in questo senso, Cass. 23 luglio 2021, n. 21208, Cass. 13 marzo 2020, n. 7158, in IUS Crisi d'impresa con nt. di G. Lazoppina, Mediante il controllo sulla fattibilità economica si valuta se sussiste o meno una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi, e Cass, 8 febbraio 2019, n. 3863, in Giust. civ. mass. 2019; in altri termini occorreva, e occorre ancor oggi, valutare i risultati che di volta in volta il singolo piano si proponeva, e si propone, di raggiungere in ragione delle peculiarità del caso concreto).

Può dirsi che il grado di possibile soddisfazione dei crediti si colloca nel c.p.c.a. in una sorta di “forchetta” che va dalla necessaria offerta di una qualche parziale attribuzione patrimoniale (significativo quanto stabilito nella pronuncia di Trib. Tempio Pausania, del 14 febbraio 2023, in IUS Crisi d'impresa 24 febbraio 2023, con nota di L. Jeantet e M. Pollio, Concordato in continuità ad "esecuzione immediata": pagamento dei creditori; giudizio di convenienza e patti para concordatari, secondo cui “È da accogliere il ricorso all'omologa di un concordato preventivo in continuità aziendale con "esecuzione immediata", anche se la percentuale di soddisfacimento dell'1% che venga offerta ai chirografari, possa essere considerata irrisoria. La causa del negozio concordatario può essere ritenuta valida anche se la percentuale di soddisfacimento dei creditori è bassa. Infatti, nel valutare la convenienza della proposta concordataria rispetto all'alternativa liquidatoria, è necessario effettuare una comparazione considerando non solo l'ammontare del pagamento proposto, ma anche gli altri elementi che possono influenzare le condizioni di pagamento e il soddisfacimento dei creditori, quali, ad esempio, i tempi di pagamento, i vantaggi derivanti dalla continuità aziendale e l'impatto sociale sul territorio”), all'integrale pagamento.

Nell'art. 84 comma 3, c.c.i.i. è stabilito che a ciascun creditore deve essere assicurata un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, rappresentata anche dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa. L'utilizzo del lemma “utilità” consente ora al debitore di frazionare ancor di più le modalità di soddisfacimento dei creditori, potendosi ricomprendere, oltre all'esempio esplicitato dal legislatore, della contrattualizzazione di vecchi/nuovi rapporti commerciali, anche altre ipotesi, quali il beneficio immediato degli “scarichi” fiscali, oltre che, naturalmente, modalità estintive dell'obbligazione diverse dal pagamento in denaro. Viene quindi espressamente ribadito che nel c.p.c.a. i creditori possono anche ricevere utilità diverse dalla soddisfazione monetaria del proprio credito, potendosi legittimamente proporre la soddisfazione, non dei crediti ma dei creditori, nelle forme previste dal ricordato comma 3 dell'art. 84. I crediti non pagati né soddisfatti dovranno essere iscritti in un'apposita classe, al pari di quelli soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro. Inoltre, trattandosi di un'utilità economicamente valutabile, nel piano dovranno essere inseriti tutti gli elementi che consentano tale valutazione quantitativa.

I creditori privilegiati nel concordato preventivo in continuità

Come già previsto dal comma 2 dell'art. 160 l. fall. (in merito a tale disposizione, in giurisprudenza, oltre a Cass. 4 febbraio 2020, n. 2422, in Giust. civ. mass., 2020, secondo cui “In tema di concordato preventivo la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei creditori privilegiati, sicché l'adempimento con una tempistica superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura equivale ad una soddisfazione non integrale degli stessi, in ragione della perdita economica conseguente al ritardo rispetto ai tempi normali con i quali i creditori conseguono le somme dovute. La determinazione in concreto di tale perdita, rilevante ai fini del computo del voto ex art. 177 comma 3, l. fall., costituisce un accertamento in fatto che il giudice di merito deve compiere alla luce della relazione giurata del professionista ex art. 160 comma 2, l. fall., tenendo conto degli eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di liquidazione dei beni gravati dal privilegio in ipotesi di soluzione della crisi alternativa al concordato”, si veda anche Cass. 8 giugno 2020, n. 10884, in Dir. & Giust., fasc.110, 2020, 4, con nota di A. Paganini, Falcidia dei crediti privilegiati e ordine delle cause di prelazione e in IUS Crisi d'impresa, 18 agosto 2020, con nota di L. Vaglio Tanet, Il soddisfacimento dei creditori chirografari è subordinato all'integrale pagamento dei crediti di rango poziore; in precedenza, conforme Cass. 9 maggio 2014, n.10112), anche il comma 5 dell'art. 84 c.c.i.i. – del quale, allo stato, non vengono proposte modifiche dalla bozza di correttivo – prevede la possibilità che i creditori, muniti di privilegio, pegno o ipoteca, siano soddisfatti parzialmente “[…] purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua del credito è trattata come credito chirografario”.

Inoltre, ai sensi dell'art. 86 c.c.i.i. ( anch'esso non toccato dalle proposte di modifica), il piano concordatario può prevedere, come già previsto dall'art. 186-bis comma 2, lett. c), l. fall., una moratoria per il pagamento dei creditori privilegiati, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la clausola di prelazione moratoria che, per i crediti di lavoro, non può eccedere i sei mesi dall'omologazione.

La distribuzione dell'attivo nel concordato preventivo in continuità

La regola di distribuzione contenuta nel comma 6 dell'art. 84 c.c.i.i. prevede nel c.p.c.a. tre diversi criteri di distribuzione delle risorse: (i) il valore di liquidazione dell'impresa deve essere distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione, ossia secondo la regola della priorità assoluta (c.d. “absolute priority rule” o APR), per cui è impedita la soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del credito di grado superiore, (ii) il valore ricavato dalla prosecuzione dell'impresa, ossia il plusvalore da continuità, può essere distribuito osservando il criterio della priorità relativa (c.d. “relative priority rule” o RPR), secondo cui è sufficiente che i crediti di una classe siano pagati in misura uguale alle classi di pari grado e in misura maggiore di quelle di rango inferiore, (iii) gli eventuali apporti esterni in totale deroga agli articoli 2740 e 2741 c.c.

Il comma 6 in discorso consente così di superare le forti incertezze giurisprudenziali e dottrinali relative alle modalità di distribuzione del cosiddetto surplus concordatario eccedente la liquidazione (riguardo allo scenario precedente al c.c.i.i., cfr. G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla distribuzione del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in DC, 25 febbraio 2022; M. Greggio, Finalità e tipologie di piano concordatario: prime osservazioni al 'nuovo' art. 84 del Codice della crisi in DC, 25 agosto 2022; G. D'Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Il Fall. 2020, p. 1071, ss.

In breve, può dirsi che si erano formati tre orientamenti: (i) il più rigoroso che imponeva il rispetto della priorità assoluta anche rispetto a tale valore, considerando, in particolare, l'art. 160 l. fall. (oltre alla già citata Cass. 8 giugno 2020, n. 10884; Cass. 8 giugno 2012, n. 9373); (ii) altro orientamento consentiva invece di applicare la priorità relativa, benché la sua previsione nell'ordinamento fosse eccezionale (art. 182-ter l. fall.), si veda Trib. Torre Annunziata, 29 luglio 2016 in Ilcaso.it, infine (iii) l'orientamento più elastico ammetteva la massima libertà distributiva, assimilando il surplus concordatario alla finanza esterna e quindi escludendo l'obbligo di rispettare la graduazione delle cause legittime di prelazione (App. Venezia, 28 settembre 2020 in Ilcaso.it; App. Torino, 31 agosto 2018 in Leggi d'Italia e Trib. Como, 1° dicembre 2021 in Ilcaso.it). Sulla distinzione tra i due criteri distributivi si veda in giurisprudenza Cass. 26 maggio 2022, n. 17155 che si è pronuncia sull'applicazione dell'art. 182-ter l. fall. disposizione che ammetteva la relative priority rule per i crediti di natura tributaria e contributiva.

La questione più delicata è, comunque, la definizione del “valore di liquidazione”, la quale deve tener conto del principio fondante la legittimità della proposta concordataria rispetto alla liquidazione giudiziale, concetto in forza del quale il criterio deve risultare soddisfatto, secondo le previsioni della proposta e del piano, in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale. Questa valutazione di assenza di pregiudizio dipende sia dal valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale (art. 87 comma 1, lett. c, c.c.i.i.), sia dalle prospettive di concreto realizzo delle azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, nonché delle altre azioni eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale (art. 87 comma 1, lett. h, c.c.i.i.).

Con la conseguenza che il valore di liquidazione vincolato al rigido rispetto dei principi di cui agli artt. 2740 e 2741, c.c. è costituito dalla sommatoria di tutte le componenti attive del patrimonio del debitore richiamate dall'art. 87 c.c.i.i., per cui il valore di liquidazione, rispettoso dei principi di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c., è dato dalla somma di tutte le componenti attive del patrimonio del debitore, di cui all'art. 87 c.c.i.i..

I crediti assistiti dal privilegio di cui all'art. 2751-bis c.c.

Il comma 7 dell'art. 84 c.c.i.i. detta disposizioni a tutela dei lavoratori in attuazione dell'art. 13 della direttiva Insolvency, secondo la quale ogni intervento normativo che incide sui diritti dei lavoratori non può determinare una riduzione delle garanzie e dei diritti già garantiti dal singolo ordinamento nazionale e dal diritto europeo. I crediti dei lavoratori subordinati saranno quindi soddisfatti nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione sia sul valore di liquidazione, secondo la regola della priorità assoluta, sia sul valore di liquidazione eccedente il valore di liquidazione, derivante dalla continuità, fatti salvi i diritti pensionistici garantiti dall'art. 2116 c.c., in attuazione dell'art. 1, par. 6 della direttiva Insolvency, che impone di corrispondere il dovuto ai prestatori di lavoro anche in caso di inadempimento del datore di lavoro nel versamento dei contributi.

La nomina del liquidatore

Il comma 8 dell'art. 84 c.c.i.i., riguardando l'ipotesi in cui il piano preveda la liquidazione del patrimonio ovvero la cessione dell'azienda, è astrattamente applicabile sia al concordato liquidatorio, sia a quello con continuità indiretta, sul presupposto comune che l'offerente non sia già individuato.

Indubbiamente, nella sua fase liquidatoria, nel c.p.c.a. si applica sia la disciplina della continuità sia quella della liquidazione, in quanto alla cessione dell'azienda si applica la disciplina della liquidazione dell'attivo, con la nomina del liquidatore e le vendite competitive.

In sostanza, le funzioni del liquidatore nominato per la cessione dell'azienda nel c.p.c.a. sono simili a quelle dallo stesso svolte nel concordato con la cessione dei beni ex art. 114 c.c.i.i., seppure limitate alla sola azienda, per cui il liquidatore subentra al debitore nei soli poteri di gestione dei beni aziendali ceduti, al solo scopo di procedere alla loro liquidazione.

In questo modo, peraltro, si pongono dei problemi di coordinamento con l'art. 114 comma 1, c.c.i.i. il quale prevede che la nomina del liquidatore avvenga con la sentenza di omologazione del concordato con cessione dei beni, mentre la norma in commento sembrerebbe presupporre la nomina di un liquidatore ogni qualvolta il piano preveda la liquidazione del patrimonio ovvero la cessione dell'azienda, anche nell'ipotesi in cui la liquidazione e/o la cessione debba avvenire prima dell'omologa (l'art. 114 comma 1, c.c.i.i. nella versione proposta dalla bozza di decreto correttivo prevede che “Nel concordato con liquidazione del patrimonio, anche con cessione dei beni, il tribunale nomina nella sentenza di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione. In tal caso, il tribunale dispone che il liquidatore effettui la pubblicità prevista dall'articolo 490, primo comma, del codice di procedura civile e fissa il termine entro cui la stessa deve essere eseguita.”).

Di questi problemi di coordinamento vi è un'eco nella bozza di correttivo che, da una parte, propone l'introduzione dell'art. 114-bis, c.c.i.i., intitolato “Disposizioni sulla liquidazione nel concordato in continuità”, che al comma 1 prevedrebbe che “Quando il piano del concordato in continuità prevede la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell'azienda e l'offerente non sia già individuato, nella sentenza di omologazione il tribunale può nominare uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione”, e dall'altra l''art. 114 comma 1-bis, c.c.i.i. il quale prevederebbe che “Quando il piano prevede offerte irrevocabili da parte di un soggetto individuato il tribunale determina le modalità attraverso le quali il liquidatore dà idonea pubblicità delle offerte al fine di acquisire offerte concorrenti”.

Deve tuttavia considerarsi che il comma 6 dell'art. 94 c.c.i.i. (non modificato dalla bozza di decreto) non prevede la nomina del liquidatore quando il tribunale, in caso di urgenza, sentito il commissario giudiziale, autorizza, prima dell'omologa, l'alienazione e/o l'affitto di azienda, di rami di azienda e di specifici beni autorizzati senza far luogo a pubblicità e alle procedure competitive, quando può essere compromesso irreparabilmente l'interesse dei creditori al miglior soddisfacimento. Si è quindi ritenuto “[…] che per evidenti ragioni sistematiche deve ancora ritenersi valido il principio per il quale la nomina del liquidatore sia possibile soltanto con la sentenza di omologa e che quindi l'art. 84, c. 8 abbia la funzione di chiarire che essa è necessaria anche nel concordato con continuità a aziendale qualora sia previsto un segmento liquidatorio che preveda la cessione dell'azienda o di rami di essa” [M. Fabiani e G. B. Nardecchia (a cura di) Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, Formulario Commentato,  Milano, 2023, sub art. 84, 963].  

L'offerta per l'azienda

Il comma 9 dell'art. 84 c.c.i.i. – il quale (i) prevede che qualora il piano preveda l'offerta (dell'affitto o del trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, dell'azienda o di uno o più rami della stessa) da parte di un soggetto individuato, il giudice provveda disponendo una procedura competitiva in base alle offerte concorrenti di cui all'art. 91 c.c.i.i. (non modificato dalla bozza di decreto) e (ii) conferma che, se il piano concordatario prevede la liquidazione del patrimonio o la cessione dell'azienda senza che sia già stato individuato l'offerente, deve essere nominato un liquidatore, mentre se è già stato individuato, si procede in base alle offerte concorrenti –  verrebbe eliminato dalla bozza di terzo decreto correttivo. In sostanza, quindi, è confermato che, in caso di offerente già individuato, la disciplina delle offerte concorrenti non è più necessaria.

Conclusioni

Secondo il comma 5 dell'art. 109 c.c.i.i., “Il concordato in continuità aziendale è approvato se tutte le classi votano a favore”. Si è detto (M. Binelli, L'omologazione del concordato in continuità non approvato in DC, 27 dicembre 2022) che “[…] l'ipotesi di un unanime voto favorevole delle classi, se non può considerarsi di scuola, di certo non sarà molto frequente e soprattutto non potrà considerarsi scontata in fase di prognosi, quando cioè l'imprenditore dovrà costruire la propria proposta concordataria e definire il classamento dei creditori. Tanto più che allorché sia davvero verosimile prevedere un voto favorevole da parte di tutte le classi di creditori, l'imprenditore sarà più propenso ad optare per un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) che presenta meno vincoli ed oneri rispetto ad un concordato in continuità e consente tra l'altro di distribuire il “valore generato dal piano” sia in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. che alle norme che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione”.

Lo stesso Autore ha rilevato che “[…] è [quindi] prevedibile che l'omologa conseguita dall'imprenditore ai sensi dell'art. 112, comma 2, costituirà per molte imprese l'obiettivo più realistico a cui tendere ed il modo più frequente per giungere all'omologazione di un concordato in continuità” (in questo senso anche G. Bozza, Le maggioranze per l'approvazione della proposta concordataria in DC, 3 agosto 2022, secondo cui la possibilità di ottenere l'omologazione secondo le condizioni di cui all'art. 112 comma 2 disincentiva chi presenta un concordato a formulare proposte che possano ottenere l'unanimità dei consensi in tutte le classi, sapendo che è sufficiente coagulare l'interesse della indicata minoranza per l'approvazione).

Ciò detto, resta comunque il fatto che l'art. 112 comma 2, c.c.i.i., che nella sua versione attuale è obiettivamente una norma tecnicamente complessa, che pone all'interprete una serie di questioni che richiedono tempo per essere assimilate e risolte in modo univoco e chiaro da parte della giurisprudenza, nella versione ultima proposta dalla bozza di terzo decreto correttivo prevede che “Nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o, in caso di proposte concorrenti, con il suo consenso quando l'impresa non supera i requisiti di cui all'articolo 85, comma 3, secondo periodo, omologa altresì se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

a) il valore di liquidazione, come definito dall'articolo 87, comma 1, lettera c), è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;

b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore fermo restando quanto previsto dall'articolo 84, comma 7;

c) nessun creditore riceve più dell'importo del proprio credito;

d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza dell'approvazione a maggioranza delle classi, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori:

1) ai quali è offerto un importo non integrale del credito;

2) che sarebbero soddisfatti in tutto o in parte qualora si applicasse l'ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.

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