La conversione dell’unione civile in matrimonio: la soluzione che non si vuole

27 Giugno 2024

Se da un lato la legge Cirinnà (legge n. 76 del 2016) prevede che alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegua l’automatica instaurazione dell’unione civile, dall’altro non consente la soluzione contraria, ossia che alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere l’unione civile, consegua l’automatica instaurazione del matrimonio.  Il vuoto normativo che interessa la seconda ipotesi non è casuale e i giudici nel tempo hanno cercato di capire se tale lacuna potesse o meno essere colmata. La soluzione finale è arrivata con la sentenza della Consulta n. 66/202424 che ha dichiarato incostituzionale l’art. 1 comma 26 della l. 76/2016 nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione del sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile “senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione”.

La criticità della legge Cirinnà

L'art. 1 comma 27, l. n. 76/2016 prevede che alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegua l'automatica instaurazione dell'unione civile.

La legge citata non consente tuttavia la soluzione contraria, ossia che alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere l'unione civile, consegua l'automatica instaurazione del matrimonio.

Anzi.

L'art. 1 comma 26 della legge citata dispone che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione del sesso determina l'automatico scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, lasciando intendere che sarà quindi una decisione della coppia se, in seguito, sposarsi oppure no.

È allora evidente come ci sia un trattamento discriminatorio a seconda che a cambiare sesso sia una persona sposata piuttosto che unita civilmente, perché solo in questo ultimo caso è prevista la fine del rapporto coniugale, creandosi un “divorzio imposto”.

Imporre un divorzio perché non è ammessa la trasformazione di un'unione civile in matrimonio, significa, innanzitutto, disconoscere il valore stesso dell'unione civile (che a quanto pare è inferiore rispetto al matrimonio) e, cosa ben più grave, vuol dire costringere la coppia a scegliere tra mantenere in vita l'unione civile in Italia, e concretizzare il diritto al rispetto dell'identità personale ed all'autodeterminazione del partner transgender.

Il quadro normativo

Il quadro normativo che qui ci interessa richiama la legge sulle unioni civili, la disciplina della rettificazione dell'attribuzione del sesso e, infine, le norme sull'ordinamento dello stato civile.

  • Legge n. 76/2016 

Anziché estendere alle coppie same sex l'istituto già esistente del matrimonio, il Parlamento italiano, con la legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà), ha preferito concepire un istituto ad hoc riservato alle coppie dello stesso sesso: le unioni civili.

Definite, ex art. 1 comma 1 della legge citata, come specifica formazione sociale, le unioni civili sono per certi versi simili al matrimonio, ma differente è la base giuridica su cui si fondano i due istituti: artt. 2 e 3 della Costituzione per le prime, mentre art. 29 della Costituzione per il secondo.

Questa differenza, secondo l'auspicio del legislatore, avrebbe dovuto impedire qualsiasi giudizio di incostituzionalità della legge, garantendo la diversità dei due istituti e, conseguentemente, un trattamento differenziato delle coppie unite civilmente da quelle sposate.

  • Legge n. 164/1982 e successive modifiche

È doveroso chiarire che con “affermazione di genere” si intende quello che una volta veniva indicato con “transizione di genere”, ossia il percorso piscologico e medico che accompagna una persona transgender a “transitare” da un genere ad un altro. A tale percorso si affianca l'iter giuridico di cui alla legge n. 164/1982 in materia di “rettificazione di attribuzione di sesso”, che, a causa del linguaggio utilizzato, rafforza l'idea per cui si debba correggere il sesso di una persona in transizione, appunto attraverso una rettifica.

In virtù della legge suddetta l'affermazione di genere si fa in forza di una sentenza passata in giudicato del tribunale che attribuisce ad una persona un sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita, il tribunale ordina poi all'ufficiale di stato civile del comune dove è stato compilato l'atto di nascita di effettuare l'annotazione della sentenza nel relativo registro.

Nel 1982 il legislatore si era posto la domanda circa la sorte di un matrimonio nel caso in cui uno dei coniugi avesse ottenuto la sentenza di rettificazione del sesso e, all'epoca, il Parlamento decise di inserire all'art. 4 l. 164/1982un'ipotesi automatica di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio: l'annotazione della rettificazione del sesso decretava ex lege la fine del matrimonio, stante l'intervenuta identità dei sessi dei coniugi.

L'automatismo suddetto, rimasto anche a seguito dell'abrogazione dell'art. 4 citato ad opera dell'art. 31 del d.lgs. 150/2011 che ne ha ripreso sostanzialmente il contenuto, è stato fortemente criticato perché non dava alcun margine di libertà ai coniugi laddove questi avessero voluto mantenere in piedi il matrimonio, pur in presenza del mutamento di genere di uno dei coniugi.

Il c.d. “divorzio imposto”, infatti, andava contro la libera autodeterminazione dei coniugi che – in assenza di un matrimonio egualitario o di altra forma di tutela per le coppie dello stesso sesso (perché prima del 2016 non esistevano ancora le unioni civili) – si vedevano interrompere il rapporto di coniugio con tutte le implicazioni che tale interruzione comportava, ad esempio in tema di diritti successori.

A seguito dell'ordinanza n. 14329/2013 della Corte di Cassazione, la Consulta, ritenendo fondata la questione di incostituzionalità sollevata dagli ermellini, dichiarava l'illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 l. 164/1982  nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore; in via consequenziale, infine, dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'art. 31, comma 6, del d.lgs. 150/2011, n. 150 nei medesimi termini (Corte cost. 11 giugno 14 n. 170).

La Corte di cassazione, nel dare seguito alla sentenza additiva di principio sul c.d. divorzio automatico nel caso di mutamento di sesso di un coniuge, ha svolto un compito in verità assegnato dalla Corte costituzionale al solo legislatore e ha creato di fatto una norma “transitoria” per colmare il vuoto normativo: ha conservato pro tempore alla coppia lo statuto matrimoniale e ha subordinato la sua caducazione all'entrata in vigore di una normativa che, già si sapeva, sarebbe stata  destinata ad assicurare una tutela diversa e, presumibilmente, minore ( Cass. civ. 21 aprile 2015 n. 8097 in Nuova giur. civ., 2015 nota di Azzalini).

  • Norme in materia di atti dello stato civile

Lo stato civile riguarda quel complesso di fatti o manifestazioni di volontà inerenti alla vita del cittadino (ad esempio nascita, matrimonio, unione civile, morte, etc.) e il suo ordinamento è disciplinato dal d.P.R. 3 novembre 2000 n.396.

Per quello che qui ci interessa, negli atti di nascita vengono annotati, ex art. 49 del D.P.R. citato:

  • gli atti di matrimonio e gli atti di costituzione dell'unione civile (lettera f);
  • i provvedimenti di rettificazione che riguardano l'atto già iscritto nel registro (lettera s).

Gli atti dello stato civile fanno prova, fino a querela di falso, di ciò che l'ufficiale pubblico attesta essere avvenuto alla sua presenza o da lui compiuto, pertanto, chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto smarrito o la formazione di un atto indebitamente registrato, deve proporre ricorso al tribunale ex art. 95 d.P.R. suddetto.

La giurisprudenza di merito

Nel 2019 si registrano due pronunce di merito che affrontano il tema: una del Tribunale di Brescia e una del Tribunale di Grosseto. (Trib. Brescia 17 ottobre 2019 decr., n. 11990, Trib. Grosseto 3 ottobre 2019 sent. n. 749)

Il caso sottoposto all'attenzione del Giudice bresciano riguardava una coppia same sex che si era sposata all'estero, aveva poi trascritto il matrimonio in Italia come unione civile e, a seguito della rettificazione dell'attribuzione del sesso di uno dei partner, aveva chiesto la rettifica ex art. 95 d.P.R. 396/2000 dell'unione civile trascritta affinché mutasse in matrimonio. Il Tribunale di Brescia aveva accolto la richiesta della coppia, optando per una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in materia.

Il caso del Tribunale di Grosseto interessava invece una coppia unita in matrimonio in cui entrambi i coniugi stavano affrontando il procedimento di rettificazione dell'attribuzione del sesso con due giudizi separati. Posto che tali giudizi sarebbero giunti a conclusione con tempistiche diverse, si chiedeva al giudice quale dovesse essere la sorte del matrimonio fintanto che la diversità dei sessi dei coniugi fosse venuta meno, anche per brevissimo tempo. Il Tribunale di Grosseto disponeva che, nell'attesa di acquisire entrambe le sentenze di rettificazione anagrafica del sesso che avrebbero ripristinato il requisito della differenza di sesso tra le parti, il matrimonio non venisse sciolto.

Insomma, per entrambi i giudici di merito ogni dubbio andava risolto consentendo la trasformazione richiesta e comunque preservando il vincolo della coppia, senza tuttavia motivare molto le rispettive decisioni.

Nel 2023 si è pronunciato sul punto anche il Tribunale di Treviso.

Il caso trevigiano, per certi versi identico al precedente citato del Tribunale di Brescia, vedeva protagonista una coppia che si era sposata all'estero nel 2010 e che aveva chiesto la trascrizione del matrimonio straniero nel 2022, solo dopo la rettificazione dell'attribuzione del sesso di uno dei due partner. La coppia confidava così di poter ottenere la trascrizione dell'atto come matrimonio e non come unione civile, posta l'intervenuta diversità dei sessi.

Con decreto del 07.02.23 il Tribunale di Treviso rigettava nel merito la domanda, ritenendo che il provvedimento che i ricorrenti chiedevano non fosse consentito dal nostro ordinamento.

A detta del Giudice di Treviso gli articoli 79 e seguenti del codice civile impongono precise formalità per la costituzione del vincolo matrimoniale; la legge Cirinnà stabilisce poi, all'art. 1 comma 26, lo scioglimento dell'unione civile in seguito all'intervenuta rettificazione di sesso di una delle parti, senza la possibilità di trasformare il precedente vincolo in matrimonio nella modalità voluta dai ricorrenti, cioè con semplice richiesta all'Ufficiale di Stato Civile.

Nemmeno la prospettata illegittimità costituzionale dell'art 1 comma 26 l. 76/2016 per contrasto con gli articoli 2,3,10,29 e 117 della Costituzione prospettata dai ricorrenti per l'ingiustificata la disparità di trattamento rispetto la possibilità di trasformare il matrimonio in unione civile, qualora alle stesse condizioni i coniugi manifestino la volontà di mantenere in vita il vincolo affettivo, convinceva il Tribunale di Treviso, secondo il quale: «Così come situazioni eguali devono essere trattate in maniera eguale, situazioni diverse giustificano l'applicazione di diversi gradi di tutela. Le unioni civili trovano il proprio fondamento di tutela costituzionale negli artt. 2 e 3 Cost., in base ad una valutazione discrezionale del legislatore che ha tenuto distinta tale formazione sociale con quella di cui agli artt. 29 e seguenti Cost., ovvero la famiglia fondata sul matrimonio».

Veniva quindi ribadito che la legge n. 76/2016 era stata emanata allo scopo di attribuire alle coppie same sex la possibilità di costituire un'unione stabile e affettiva di coppia, con diritti equipollenti a quelli derivanti dal vincolo matrimoniale, ma non del tutto parificati.

Il primo rinvio alla Corte costituzionale

La Corte costituzionale veniva interpellata una prima volta a seguito di un'ordinanza del Tribunale di Lucca(Trib. Lucca, ord. 14 gennaio 2022 in Osservatorio Nazionale del Diritto di Famiglia) proprio sulla presunta illegittimità della norma che qui ci interessa.

Nel caso sottoposto all'attenzione del giudice lucchese la domanda di “conversione” dell'unione civile in matrimonio era stata posta nel corso di un giudizio di rettificazione dell'attribuzione del sesso in cui l'attore aveva chiesto al giudice di pronunciare l'autorizzazione all'intervento chirurgico strumentale alla riassegnazione del sesso, di disporre, presso il comune di nascita, la rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso e, quindi di ordinare all'ufficiale di stato civile di procedere all'iscrizione del matrimonio nel registro degli atti di matrimonio.

Ritenendo di non poter risolvere la questione mediante un'interpretazione costituzionalmente orientata delle nome, come aveva fatto per esempio il Tribunale di Brescia, il Tribunale di Lucca aveva sollevato questione di incostituzionalità dell'art. 1 comma 26 l. 76/2016 nella parte in cui prevede che la sentenza della rettificazione di attribuzione del sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, senza alcuna possibilità di conversione in matrimonio, previa dichiarazione congiunta dell'attore e dell'altro contraente dell'unione civile in caso di accoglimento della domanda di rettificazione, senza quindi soluzione di continuità con il precedente vincolo, in relazione all'art. 2 Cost., e, in qualità di norme interposte, ai sensi dell'art. 117 Cost., degli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo; nonché dell'art. 1, comma 26 l. 76/2016 con riferimento all'art. 3 Cost, per ingiustificata disparità di trattamento tra lo scioglimento automatico dell'unione omoaffettiva in caso di rettificazione dell'attribuzione del sesso di uno dei contraenti e quanto stabilito dal successivo comma 27 nel caso in cui la medesima fattispecie attraversi l'unione di due persone eterosessuali unite in matrimonio e , pertanto, laddove non si estende all'unione civile, con la norma censurata, un regime analogo .Il sospetto di illegittimità, inoltre, si insinuava anche verso ulteriori norme conseguenti a quella anzidetta, dalle quali, infatti, emergeva: che il contraente dell'unione civile non è annoverato tra i destinatari della notifica dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di rettificazione (art. 31, comma 3, d. lgs. n. 150/2011); che alla persona che propone la domanda di rettificazione e al suo partner non è dato esprimere la volontà, mediante dichiarazione congiunta da rendere personalmente in udienza fino alla precisazione delle conclusioni, di unirsi in matrimonio, in caso di accoglimento della domanda di rettifica, effettuando altresì le eventuali dichiarazioni riguardanti il cognome e il regime patrimoniale; che il tribunale, con la sentenza che accoglie tale domanda, non può ordinare all'ufficiale di stato civile di iscrivere il matrimonio nel relativo registro e di annotare le eventuali dichiarazioni delle parti sulla scelta del cognome e del regime patrimoniale (art. 31, comma 4°-bis, d.lgs. n. 150/2011); e che, infine, l'ufficiale di stato civile non deve quindi procedere in tal senso una volta ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione (art. 70- octies , comma 5°, d.P.R. n. 396/2000).

Le questioni sottoposte all'attenzione della Consulta venivano tuttavia dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza, sotto un duplice profilo ( Corte cost. 27 dicembre 2022 n. 269)

Secondo la Corte costituzionale il giudice a quo si era innanzitutto limitato ad affermare un'astratta e teorica esistenza del diritto alla rettificazione di sesso senza prima dichiarare se l'attore avesse o meno diritto ad ottenere l'autorizzazione all'intervento chirurgico per poter poi procedere alla rettifica anagrafica; la domanda di rettificazione era, infatti, imprescindibile antecedente logico e giuridico rispetto all'applicazione della norma indubbiata, fermo il rapporto di pregiudizialità necessaria esistente tra giudizio principale e giudizio costituzionale. In mancanza di questo esame preliminare le questioni sottoposte all'attenzione della Consulta diventavano quindi irrilevanti.

Inoltre, nel caso di Lucca mancava la manifestazione della volontà del partner dell'attore nel giudizio principale di convertire l'unione civile in matrimonio, sempre pregiudiziale rispetto all'esame della Corte costituzionale: era ben possibile che, per esempio, il partner non fosse interessato alla trasformazione richiesta.

Soltanto a causa di un'ordinanza del giudice rimettente per certi versi formulata male, la questione non è stata esaminata nella sua fondatezza, ma era piuttosto scontato che il tema sarebbe stato riproposto a breve.

Il secondo rinvio alla corte costituzionale

A distanza di appena cinque mesi dalla pronuncia della Corte cost. 269/2022, il Tribunale di Torino, con ordinanza n. 101/2023, sollevava nuovamente la questione di incostituzionalità.

Il caso torinese, molto simile a quello lucchese, riguarda sempre un giudizio di affermazione di genere in cui l'attore, unito civilmente, aveva chiesto al Tribunale di disporre la rettificazione di attribuzione di sesso da maschio a femmina e la rettificazione del prenome, nonché, in caso di accoglimento della domanda e ricorrendone le condizioni di legge, di trasformare l'unione civile tra l'attore medesimo e il partner, in matrimonio, con le relative annotazioni di legge nei registri dell'ufficiale dello stato civile.

L'unica differenza rispetto al caso di Lucca è che nel corso del procedimento torinese erano comparsi personalmente sia l'attore che il partner unito civilmente ed entrambi, congiuntamente, avevano dichiarato di intendere costituire e/o trasformare, in caso di accoglimento della domanda di rettifica di sesso, l'unione civile in matrimonio. L'esigenza di preservare il vincolo tra l'attore e il proprio partner era talmente importante che la difesa di parte attrice aveva chiesto che il Tribunale sollevasse questione di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 1 comma 26 della legge n. 76/2016, anticipando che ove la Consulta avesse ritenuto la questione irrilevante o di manifesta infondatezza, l'attore avrebbe rinunciato agli atti del giudizio.

La difesa attorea faceva emergere come la legge vigente ponesse l'interessato - e di conseguenza il suo partner- di fronte ad un bivio: sacrificare il matrimonio, nonostante entrambi i coniugi intendessero proseguire il rapporto, oppure sacrificare l'aspirazione all'affermazione di genere del partner.

Con la sentenza n. 66/2024 depositata il 22.04.24 la Consulta ha finalmente riconosciuto finalmente l'illegittimità costituzionale qui evidenziata. Lo ha fatto tuttavia in un modo – per così dire – particolare, dichiarando l'illegittimità dell'art. 1 comma 26 l. 76/2016 nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione del sesso determina lo scioglimento automatico dell'unione civile «senza prevedere, laddove l'attore e l'altra parte dell'unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, l'intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione».

La soluzione è in estrema sintesi questa: l'unione civile rimane “congelata” per non oltre 180 giorni perché tale è il termine fissato dal codice civile per la celebrazione del matrimonio a far data dalle pubblicazioni (art. 99 c.c.).

I 180 giorni in questione decorrono, invece, dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del sesso, che resta sospesa, così nel suo decorso, limitatamente all'effetto dell'automatismo solutorio del vincolo.

In tal modo la Corte costituzionale ritiene di tutelare il diritto inviolabile della persona di mantenere con soluzione di continuità la pregressa tutela propria del precedente status.

La ratio alla base di due soluzioni diverse viene giustificata dalla Consulta sull'assunto che il rapporto coniugale si configura come un vincolo diverso da quello che ha fonte nell'unione civile, e non può essere ad esso assimilato.

Secondo la Corte, infatti, l'illegittimità costituzionale della norma sotto esame non è in riferimento all'art. 3 della Costituzione - posta l'eterogeneità delle situazioni a confronto - bensì in riferimento all'art. 2 Cost.: «L'unione civile costituisce una formazione sociale in cui i singoli individui svolgono la propria personalità, connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, in quanto comunione spirituale e materiale di vita, ed esplicazione di un diritto fondamentale della persona, quello di vivere liberamente una condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri. La coppia unita civilmente, in ragione dell'automatico scioglimento del vincolo (art. 1, comma 26, l. 76/2016), quale esito del percorso di transizione sessuale di uno dei suoi componenti previsto dalla l. n. 164/1982 (artt. 1 e 4), ove manifesti la volontà di conservare il rapporto nelle diverse forme del legame matrimoniale, va incontro comunque, nel tempo necessario alla relativa celebrazione, ad un vuoto di tutela, a causa del venir meno del complessivo regime di diritti e doveri di cui era titolare in costanza dell'unione civile.

La evidenziata mancanza di tutela nel passaggio da una relazione giuridicamente riconosciuta, qual è quella dell'unione civile, ad altra, qual è il legame matrimoniale, entra irrimediabilmente in frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione, e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto. Non senza considerare che, nel tempo necessario alla ricostituzione della coppia secondo nuove forme legali, i componenti potrebbero risentire di eventi destinati a precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo. La tutela additiva reclamata dal rimettente rispetto alla coppia omoaffettiva che si sia trovata ad intraprendere il percorso di modifica del genere e voglia a sé conservare continuità nelle garanzie di legge nel passaggio tra unione civile e matrimonio, resta nei suoi presupposti riconducibile a quella categoria di situazioni "specifiche" e "particolari", con riguardo alle quali ricorrono i presupposti per un intervento di questa Corte sotto il profilo di un controllo di adeguatezza e proporzionalità della disciplina adottata dal legislatore (sentenza n. 170/2014).”

È evidente come il trattamento riservato ad una coppia same sex che chieda la conversione dell'unione civile in matrimonio, a seguito dell'intervenuta diversità dei sessi, sia più gravoso rispetto all'ipotesi inversa.

Alla coppia unita civilmente si richiede, infatti, una doppia azione: la coppia deve manifestare congiuntamente davanti al giudice la volontà di contrarre matrimonio (prima azione) e, successivamente, deve contrarre matrimonio entro al massimo 180 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di affermazione di genere (seconda azione).

Come è facile intuire, il vuoto di tutela rimane perché qualora in quei 180 giorni si verifichi un evento tale per cui la coppia non riuscirà a contrarre matrimonio nel termine suddetto, si verificherà la cessazione del vincolo derivante dall'unione civile.

In conclusione

La soluzione offerta dalla Corte costituzionale, ad avviso di chi scrive, non convince sotto più punti di vista.

Innanzitutto, non tutela la dignità e la privacy delle persone: durante il periodo di sospensione dello scioglimento dell’unione civile, le coppie divenute nel frattempo eterosessuali rimangano nel limbo e sono costrette a continui coming out circa la loro originaria omosessualità.

Pensiamo all’ipotesi in cui la coppia venga chiamata a produrre il proprio certificato di stato civile: è difficile spiegare alla società come mai un uomo e una donna risultino uniti civilmente, e non sposati, senza dover fornire dettagli intimi e privati che la coppia certamente non ha piacere di condividere con estranei

Resta poi da capire come verranno gestiti quei casi in cui la sentenza di rettificazione dell’attribuzione del sesso di uno dei due partner sia passata in giudicato da oltre 180 giorni.

La ferma volontà del legislatore di evitare qualsiasi parificazione dell’istituto del matrimonio con quello delle unioni civili si sta traducendo in una faticosa vicenda giudiziaria per molte coppie che hanno affrontato un percorso di affermazione di genere.

Riferimenti

R. Fadda, Le unioni civili e il matrimonio: vincoli a confronto in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 10, 1 ottobre 2016, 1386;

L. Bozzi, Se il matrimonio è eterosessuale e il divorzio «imposto» è incostituzionale. la cassazione alla ricerca di una (impossibile?) soluzione: il matrimonio «a tempo», in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 9, 1 settembre 2015, 20520;

B. Agostinelli, Divorzio imposto - Sopravvenuta identità di sesso e sopravvivenza del matrimonio (sub condicione) in Giurisprudenza Italiana, n. 8-9, 1 agosto 2015, 1812;

S. Patti, Un ben motivato rinvio alla corte costituzionale in materia di divorzio "automatico" della persona transessuale - il commento, in Il Corriere Giuridico, n. 12, 1 dicembre 2013, 1519;

L. Salvato, Effetti sul matrimonio del sopravvenuto mutamento del sesso di uno dei coniugi, in Altalex, 18 giugno 14;

A. Carrato, Cambio di sesso dopo il matrimonio, gli effetti civili non cessano, in Altalex, 22 aprile 15. D. Amram, In dubio, pro matrimonio. A proposito di due decisioni fra matrimonio, unione civile e rettificazione di sesso, in www.articolo29.it, 8 marzo 2019;

C. Trapuzzano, Inammissibile il passaggio dall’unione civile al matrimonio per effetto della rettificazione di sesso di, in Quotidiano giuridico, 12 gennaio 2023;

F. Azzarri, Rettificazione di sesso e scioglimento imposto dell’unione civile: un’occasione mancata per la Consulta, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 3, 1 maggio 2023, 610;

G. Montalcini, Unione civile e giudizio di rettificazione di sesso: la coppia può mantenere i diritti derivanti dall’unione, in attesa di poter convolare a nozze, in Ius Famiglie, 24 aprile 24.

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