Il decreto di fissazione dell’udienza per la prosecuzione, nel merito, del giudizio possessorio

03 Luglio 2024

Il procedimento possessorio, pur conservando la sua struttura unitaria, si articola nella fase interdittale e nella fase di merito, separate dalla prima udienza di trattazione.  Ma che natura deve avere il provvedimento con cui il giudice dispone tale udienza? E, soprattutto, quali sono i termini da rispettare alla luce della recente Riforma Cartabia, al fine di non ledere il principio del contraddittorio e il diritto di difesa delle parti?

Inquadramento del sistema

L'art. 703 comma 4, c.p.c. dispone che: «Se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento di cui al terzo comma, il giudice fissa dinanzi a sé l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito. Si applica l'articolo 669-nonies, terzo comma»

La previsione, introdotta dal d.l. n. 35/2005 (conv. con mod. dalla l. n. 80/2005), è stata interpretata nel senso che il giudizio, benché formalmente suddiviso in due fasi, l'una interdittale e l'altra di merito, cionondimeno conserva la sua struttura unitaria, giacché quest'ultimo “segmento” - oggi solo eventuale - non rappresenta altro che la prosecuzione della prima fase di natura sommaria ed è retto, perciò, dagli atti introduttivi di questa (tanto che – cfr. Cass. civ., sez. VI, 3 novembre 2022, n. 32350 - l'istanza di prosecuzione non deve essere notificata al contumace, non essendo introduttiva di un nuovo giudizio né essendo tale incombenza prevista dall'art. 292 c.p.c.).

Pur dopo la novella, dunque, è rimasto sostanzialmente inalterato l'impianto di fondo emerso da Cass. civ., sez. un., 24 novembre 1998 per cui la (allora) nuova formulazione dell'art. 703 c.p.c. (conseguente alla riforma introdotta con la l. n. 353/1990) non aveva, tuttavia, inciso sulla struttura del procedimento possessorio, da considerarsi comunque unitaria, benché caratterizzata da una duplice fase (non rilevando in contrario il testuale rinvio agli articoli 669-bis e ss. contenuto nel comma 2 del medesimo art. 703, avente lo scopo di consentire l'estensione delle norme sui procedimenti cautelari a quelli possessori, esclusivamente nei limiti consentiti dalle caratteristiche e dalla struttura di questi ultimi): così come allora, dunque, anche oggi, concesse o negate, con ordinanza, le misure interdittali, il giudizio “prosegue” innanzi allo stesso giudice, all'udienza da questi fissata per l'esame del merito della pretesa possessoria e dell'eventuale domanda accessoria di risarcimento del danno, restando estranea al delineato schema procedimentale (ancora una volta, oggi come allora) l'introduzione di una “fase di merito” in senso proprio, mediante la notifica di una nuova citazione ai sensi dell'art. 669-octies c.p.c. (notifica che, anteriormente alla novella, ove anche intervenuta a seguito della erronea assegnazione, da parte del giudice, del termine per provvedere all'uopo, avrebbe dovuto intendersi non già quale atto introduttivo di un nuovo procedimento, bensì alla stregua di un atto di riassunzione del giudizio instaurato con l'originario ricorso introduttivo, definito soltanto nella prima fase ed ancora pendente. Cfr. Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 2005, n. 1142).

Tale “udienza” di prosecuzione del giudizio (o, se si vuole, di transito dalla cognizione sommaria della fase interdittale a quella piena della fase di merito) è stata pacificamente identificata (anteriormente alla novella del 2005) nell'udienza di prima trattazione ovvero (successivamente al d.l. n. 35 cit.) in quella di comparizione delle parti e trattazione: dunque, in ultima analisi, sempre e comunque nell'udienza ex art. 183 c.p.c., così riconoscendosi alle parti la possibilità di precisare il thema decidendum ac probandum mediante l'esercizio delle facoltà processuali disciplinate ivi ovvero nella successiva appendice scritta (i “vecchi” termini ex artt. 183, comma 5 e 184, comma 1, c.p.c., cioè, ed i “nuovi” termini ex art. 183, comma 6, c.p.c.).

Tanto è vero che, ad esempio, Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2019, n. 5154 ha chiarito (sia pure in relazione al regime anteriore alla novella del 2005) che la domanda di risarcimento del danno da lesione del possesso, ove non sia stata formulata, a pena di inammissibilità, nel ricorso introduttivo, può essere, avanzata all'udienza di trattazione individuata con il provvedimento interinale, solo ove, però, sia consequenziale alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto (alla stregua di quanto previsto dal “vecchio” art. 183, comma 4, c.p.c., poi diventato comma 5 a seguito della riforma del 2005) - in ciò, peraltro, trovandosi ulteriore conferma della diversità strutturale tra il giudizio possessorio ed i procedimenti cautelari, nella cui fase di merito non solo possono essere formulate domande nuove, ma nemmeno vi è necessaria coincidenza soggettiva tra le parti della prima fase e quelle della seconda (arg. da Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 2020, n. 28197).

 

Merito possessorio e Riforma Cartabia

Se, dunque, si è al cospetto di una udienza di trattazione, si pone, con evidenza, il problema della natura del provvedimento (normalmente un decreto pronunziato fuori udienza, all'esito del deposito dell'istanza ex art. 703 comma 4, c.p.c., sebbene, in tesi, nulla vieterebbe che quest'ultima sia già contenuta negli atti introduttivi ovvero sia formulata a verbale, con la possibilità, dunque, che la prosecuzione del giudizio venga disposta con ordinanza) con cui il giudice dispone la relativa fissazione, posto che, a seguito della novella apportata dal D.lgs. n. 149/2022, la precisazione e la definizione del thema decidendum ac probandum rientrano tra le facoltà che le parti possono svolgere nelle memorie ex art. 171-ter c.p.c. le quali - diversamente dal passato – non seguono, ma precedono la celebrazione di quella medesima udienza. 

Non appare dubitabile, allora, che il provvedimento che segue l'istanza di prosecuzione del giudizio, ai sensi dell'art. 703 comma 4, c.p.c., debba essere qualificato alla stregua di un decreto ex art. 171-bis c.p.c., sia pure sui generis, giacché quasi tutti i controlli di cui al primo comma (ad esempio, la regolarità della notifica o l'autorizzazione al convenuto ad eventualmente chiamare in causa un terzo) sono già stati svolti nel corso della prima udienza della fase interdittale.

Esso, dunque, non può che limitarsi a contenere - oggi come ieri - la fissazione dell'udienza ex art. 183 c.p.c., con l'unica accortezza di preservare la tempistica “ordinaria” che si evince dal combinato disposto degli artt. 171-bis e ter, nel senso che l'udienza in commento non può essere comunque fissata prima che decorrano 55 giorni dalla data di (deposito e) comunicazione del decreto medesimo alle parti, occorrendo il rispetto dello spazio libero di (almeno) 15 giorni tra tale momento ed il termine (ultimo) per il deposito della prima memoria ex art. 171-ter c.p.c. (coincidente con il quarantesimo giorno anteriore all'udienza di trattazione).

Alcunché, peraltro, il giudice deve precisare circa la decorrenza dei detti termini, trattandosi di un effetto automatico connesso alla fissazione dell'udienza (ovvero, nel testo dell'art. 171-bis, alla conferma o al differimento dell'udienza indicata dall'attore in citazione): nulla, però, vieta che tale precisazione sia comunque contenuta nel decreto, nell'ottica di una collaborazione con le parti.

Resta, poi, da vagliare l'ipotesi in cui l'udienza ex art. 183 c.p.c. sia fissata con tempistica tale da non consentire il rispetto dei termini ex art. 171-ter c.p.c.: non potendo le parti esercitare le facoltà ivi previste, non sembra dubitabile il ricorso alla disposizione “recuperatoria” dell'art. 101 comma 2, prima parte, c.p.c., per cui «Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni», posto che «il giudizio di merito possessorio, quanto ad oggetto ed istruttoria, deve svolgersi con le garanzie e nel rispetto delle norme del processo ordinario di cognizione» (così Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2023, n. 23860).

Ne consegue che, all'udienza ex art. 183 c.p.c., il giudice, preso atto di quanto precede, non potrà che fissare una “nuova” udienza di trattazione, rispetto alla quale fare decorrere (sempre a ritroso) i termini ex art. 171-ter c.p.c. Ulteriore questione è se tale nuova fissazione debba avvenire ad istanza di parte (formulata alla stregua di una rimessione in termini per mancato esercizio, per causa non imputabile, di facoltà processuali) ovvero d'ufficio: l'automatico decorso dei termini ex art. 171-ter, senza necessità di alcun atto di impulso ad opera delle parti (come al contrario avveniva per la concessione dei termini ex art. 138, comma 6, c.p.c., assegnati dal giudice «se richiesto»), depone verso questa ultima soluzione con la precisazione (ultima in ordine di questioni da trattare) che la parte che, in sede di impugnazione, lamenti la mancata concessione dei termini deve comunque dimostrare che, da tale omissione, sia conseguita in concreto una lesione del suo diritto di difesa, allegando il pregiudizio che gliene sia derivato (arg. da Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2011, n. 6343). 

Una soluzione "alternativa"?

Altra - ma connessa questione - è se, a seguito dell'istanza in commento, il giudice possa fissare, anziché l'udienza ex art. 183 c.p.c., quella ex art. 281-undecies c.p.c.

Escluso che possa trovare applicazione il comma 2 della richiamata previsione (destinato a regolare l'ipotesi di fissazione dell'udienza per il rito semplificato…che sia originariamente tale), non può che ricorrersi (quantomeno per analogia) alla disciplina del mutamento di rito in corso di giudizio, per il caso di procedimento introdotto, cioè, nelle forme ordinarie: quindi, evidentemente, all'art. 183-bis c.p.c., alla cui stregua il giudice, sentite le parti, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria, ove rilevi che, in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'art. 281-decies c.p.c., dispone la “prosecuzione” del processo nelle forme del rito semplificato, con ordinanza non impugnabile assunta all'udienza di trattazione.

In altri termini, de iure condito (ed in attesa che l'art. 171-bis non venga “stravolto”, in parte qua, dal cd. “correttivo Cartabia”, attualmente all'esame del Parlamento), non appare possibile mutare il rito, da “ordinario” in semplificato, con il decreto di fissazione dell'udienza per la prosecuzione, nella fase di merito, del giudizio possessorio, dovendo piuttosto il giudice provvedere all'uopo all'udienza di trattazione (quando, dunque, i termini ex art. 171-ter c.p.c. sono già elassi). In questo caso, peraltro, il decreto di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio possessorio dovrà inevitabilmente contenere un passaggio sulla stessa possibilità di mutare il rito, secondo quando previsto dall'art. 171-bis, seconda parte, c.p.c. («…il giudice…indica alle parti le questioni rilevabili d'ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato»).

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