Indebita destinazione di denaro o di altra cosa mobile: la parziale rinascita dell’abuso d’ufficio

Antonio D'Avirro
11 Luglio 2024

Il 4 luglio 2024 la Camera ha approvato in via definitiva l'art. 1 del disegno di legge Nordio che abolisce il reato di abuso d'ufficio. Contemporaneamente con il d.l. 4 luglio 24 n. 92 viene introdotto con l'art. 314-bis c.p. il reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili.

Breve storia del reato di abuso d'ufficio

La prima riforma del reato di abuso d'ufficio era stata dettata dalla necessità di superare la confusione che si era creata in sede applicativa tra l'art. 323 c.p. (Abuso d'ufficio nei casi preveduti specificamente dalla legge) e l'art. 324 c.p. (Interesse privato in atti di ufficio) che aveva portato al sacrificio del primo in favore del secondo.

Da un lato la giurisprudenza aveva dilatato eccessivamente i confini di operatività del reato di interesse privato in atti di ufficio, sulla base di formule astratte, quali il prestigio della pubblica amministrazione. L'ossessione della tutela del prestigio della pubblica amministrazione aveva per lungo tempo accompagnato l'indirizzo della Corte regolatrice che si era tradotto in soluzioni di massima astrattezza in cui, spesso, non era facile intravedere la lesione del buon funzionamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, cioè dei beni costituzionalmente garantiti dall'art. 97.

Dall'altro le numerose vittime giudiziarie che avevano interessato il campo di tutte le forze politiche sollecitavano la necessità di frenare le “scorribande” giudiziarie nel sistema della pubblica amministrazione, in modo da limitare la possibilità per il giudice di sindacare le scelte amministrative.

Il risultato della riforma del 1990 fu quanto mai deludente, perché ebbe a partorire una norma (con una sanzione particolarmente pesante nel caso di abuso patrimoniale, da due a cinque anni come, all'epoca, per la corruzione propria), che lasciava inalterati i problemi di tipicità e determinatezza che avevano caratterizzato l'ipotesi che il nuovo reato di abuso di ufficio era venuto ad ereditare.

Se si tiene presente che venne costruita una fattispecie che incentrava sul dolo specifico di vantaggio o di danno il disvalore giuridico del fatto è facile intuire come le critiche di coloro che avevano ravvisato in essa un modello affatto negativo risultassero fondate, perché non si può garantire l'autonomia degli amministratori nell'adempimento delle loro funzioni, introducendo nello statuto penale della pubblica amministrazione una figura criminosa che doveva essere interpretata in chiave esclusivamente soggettiva.

Al contrario occorreva che il legislatore avesse ipotizzato in maniera estremamente chiara le condotte da sottoporre a sanzione penale, definendo il contenuto dei comportamenti che realmente colpiscono il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione, anziché costruire una fattispecie che esauriva il contenuto offensivo della condotta in un comportamento “incolore”, quale l'abuso.

A distanza di soli sette anni dall'entrata in vigore della legge n. 86/1990 il legislatore riscriveva con la legge 16 luglio 1997 n. 234, nuovamente, la figura del reato di abuso di ufficio.

Com'era prevedibile, anche perché i segnali politici di insoddisfazione alla troppo disinvolta applicazione, nell'epoca di “Tangentopoli”, dell'art. 323 c.p. erano stati inequivoci, l'ipotesi d'abuso d'ufficio, che all'interno della riforma del 1990 svolgeva un ruolo determinante, perché ereditava la controversa fattispecie d'interesse privato in atti d'ufficio, di abuso innominato e del peculato per distrazione, veniva spazzata via.

La nozione di abuso veniva ad essere sostituita dalla violazione di norme di legge o di regolamenti, nonché dalla violazione dell'obbligo di astensione, ma soprattutto la fattispecie di abuso di ufficio si trasformava da reato di pericolo in reato di evento in cui il vantaggio patrimoniale ed il danno costituivano l'evento del reato.

L'ulteriore novità della riforma riguardava, inoltre, la sanzione che veniva notevolmente ridotta, sì da non consentire per la violazione dell'art. 323 c.p. l'applicazione delle misure cautelari o delle intercettazioni telefoniche, anche se nel 2012 la sanzione veniva aumentata.

Si era trattato di una reazione del legislatore all'uso troppo spesso disinvolto di questa norma che, come in più occasioni era stato evidenziato, serviva per ricercare la prova di altri e più gravi reati.

Le ragioni della riforma del 2020 sono, solo in parte, identiche a quelle che determinarono la riforma del reato di abuso di ufficio, prima con la legge n. 86/1990 e successivamente con la legge n. 234/1997: non più la reazione del legislatore all'uso eccessivamente disinvolto della norma, ma l'esigenza di ridurre gli spazi applicativi della stessa per evitare la “paralisi dell'attività pubblica”.

La cosiddetta sindrome della firma che affligge i funzionari, nei confronti dei quali incombe il rischio dell'esposizione ai reati di abuso di ufficio, sembra essere stata la causa determinante della parziale modifica della condotta di abuso di ufficio.

È nata una nuova norma il cui scopo effettivo sembra essere stato quello di ridurre, se non addirittura annullare, la portata operativa dell'abuso di ufficio.

Sostituendo la violazione di norme di legge o di regolamenti con la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge di cui non residuino margini di discrezionalità, il legislatore ha cercato di circoscrivere l'area del penalmente rilevante, richiedendo per la commissione del reato di abuso di ufficio l'inosservanza di un dovere vincolato dell'attività amministrativa, senza margini di discrezionalità.

E soprattutto il richiamo all'irrilevanza penale della scelta discrezionale del funzionario pubblico che assume un ruolo decisivo nella dinamica del reato di abuso di ufficio, perché escludere dai confini dell'abuso di ufficio le scelte discrezionali del pubblico ufficiale significa legittimare le forme più gravi e diffusi di sfruttamento dell'ufficio e di favoreggiamento affaristico ai fini privati, che rappresentano le manifestazioni più significative dell'uso scorretto del potere discrezionale.

L'abuso d'ufficio rinasce con la reintroduzione del reato di peculato per distrazione

La riforma del 1990 che aveva assegnato un ruolo centrale al delitto di abuso d'ufficio, tanto da ricomprendere in questa figura una serie di ipotesi delittuose, quali l'interesse privato in atti d'ufficio, l'abuso innominato, il peculato per distrazione, era stata dettata anche dalla necessitò di chiarire i rapporti tra il delitto di peculato per distrazione e l'illecito amministrativo.

La relazione al disegno di legge del 1990 prevedeva espressamente che l'ipotesi di distrazione, quale condotta alternativa di appropriazione del reato di peculato, venisse soppressa, ma al tempo stessa era trasferita “in quanto rilevante nel nuovo reato di abuso d'ufficio”.

Il legislatore con il d.l. 4 luglio 24 n. 92 per evitare facili contestazioni o rilievi al mantenimento parziale del reato di abuso d'ufficio nella forma del peculato per distrazione cambia, “nell'indebita destinazione di denaro o cose mobili” il titolo del reato. Ma la condotta descritta dall'art. 314-bis c.p., consistente nella destinazione da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio del denaro o di altra cosa mobile ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge, rimane quella tipica del peculato per distrazione, che – come abbiamo precedentemente osservato – ha sempre costituito una delle espressioni tipiche del reato di abuso d'ufficio.

Infatti la distrazione del denaro da parte del soggetto pubblico, una volta venuto meno con la riforma del 1990 il reato di peculato per distrazione, è stata necessariamente ereditata nel reato d'abuso d'ufficio, perché la distrazione a vantaggio proprio o altrui, quale deviazione del potere pubblico dallo scopo per cui il potere viene conferito, è una delle manifestazioni classiche attraverso le quali può estrinsecarsi l'abuso d'ufficio: la distrazione, quale deviazione dei beni pubblici dalle loro finalità istituzionali, rappresenta un'ipotesi classica di eccesso di potere nella forma dello sviamento di poteri in cui si sostanzia l'abuso d'ufficio.

L'art. 314-bis c.p., anche se il legislatore cerca di dissimularne le finalità, utilizzando nuove formule, quale l'indebita destinazione di denaro o cose mobili, mantiene in vita nello statuto penale della pubblica amministrazione una figura di abuso d'ufficio, parzialmente decapitata, perché limita la rilevanza penale allo sola ipotesi di favoritismo affaristico, cioè ai casi di distrazione consistenti nella destinazione indebita di risorse pubbliche da parte del pubblico ufficiale che favorisce sé od altri, mediante un atto di disposizione del denaro o di altra cosa mobile a scopi diversi da quelli istituzionali.

La prevaricazione del pubblico ufficiale, cioè i comportamenti vessatori e discriminatori, rimangono fuori dal paradigma dell'art. 314-bis.

Mentre nello schema dell'art. 314-bis c.p., che punisce l'uso illegittimo da parte del funzionario pubblico che destina il denaro di cui abbia la disponibilità o il possesso da scopi diversi da quelli istituzionali, possono essere ricondotti comportamenti di favoritismo affaristico, caratterizzati da atti di disposizione del denaro pubblico, lo stesso non può dirsi per quelle condotte che si traducono nella prevaricazione cioè nell'esercizio dei poteri inerenti alle funzioni e al servizio finalizzati ad arrecare ad altri un danno ingiusto.

È vero che, anche nell'ipotesi di indebita destinazione del denaro, il danno ingiusto, al pari dell'ingiusto profitto patrimoniale, rappresenta l'evento del reato, ma le modalità della condotta che circoscrivono il fatto penalmente rilevante all'uso indebito del denaro, tengono fuori dal paradigma dell'art. 314-bis quelle condotte che, pur dando vita ad un abuso di potere che recano ad altri un danno ingiusto, non riguardano atti di disposizione del denaro o di altra cosa mobile.

L'oggetto materiale del reato che si identifica nel denaro o in altra cosa mobile di cui il funzionario pubblico abbia il possesso o la disponibilità, che vengono destinati a fini diversi da quelli istituzionali, limita notevolmente la portata applicativa della norma dalla quale rimangono estranee condotte quali la prevaricazione che ha rappresentato una manifestazione tipica dell'abuso d'ufficio.

Il pubblico ufficiale, magistrato, che nell'esercizio dei suoi poterei o del servizio esegue un sequestro illegittimo per favorire una persona amica pone in essere un atto di prevaricazione, ma non potrà essere chiamato a rispondere del reato previsto dall'art. 314-bis c.p., perché la norma punisce le condotte che assegnano rilevanza penale esclusivamente all'uso distorto del denaro.

Ed ancora sono al di fuori della nuova ipotesi dell'art. 614-bis c.p. il caso del primario ospedaliero che, per ragioni dovute ad attriti personali con alcuni dipendenti del reparto li esclude dall'attività di sala operatoria e dalla normale attività del reparto per destinarli a altri servizi. Così come non potrà ricadere nel paradigma dell'indebita destinazione di denaro o cosa mobile la condotta di un commissario di esami che riveli a un candidato il titolo di una prova scritta di un concorso pubblico o la predeterminazione del vincitore nel cui esclusivo interesse sia stata bandita la procedura concorsuale.

Nei vari casi richiamati manca qualsiasi rapporto del funzionario pubblico con la destinazione di denaro o cosa mobile, perché la condotta di prevaricazione, cioè i comportamenti vessatori e discriminatori, pur rappresentando una manifestazione tipica dell'abuso dei poteri e delle funzioni, non si traducono in un atto di destinazione indebita di denaro o altra cosa.

L‘atto di disposizione indebita di denaro o di altra cosa che dà vita al nuovo reato previsto dell'art. 314-bis c.p., anziché superare la cosiddetta sindrome della firma che ha costantemente afflitto i funzionari e che è stata la causa principale dell'abrogazione del rato di abuso d'ufficio, probabilmente manterrà inalterato il rischio dei funzionari pubblici di essere esposti alle stesse conseguenze dell'abuso d'ufficio.

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