Pene sostitutive: casi concreti e profili problematici a oltre un anno dall’entrata in vigore della nuova disciplina

31 Luglio 2024

La Riforma Cartabia ha inciso, in maniera innovativa e profonda, sulla disciplina delle pene sostitutive. A distanza di oltre un anno dall'entrata in vigore della Riforma Cartabia è possibile fare un primo bilancio, evidenziando alcuni casi concreti che si sono posti in sede di applicazione e segnalando alcuni profili problematici che sono emersi e che permangono tuttora anche a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 31/2024, contenente disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 150/2022

La Riforma Cartabia e le pene sostitutive

La Riforma Cartabia, in attuazione dei criteri contenuti nell'art. 1, comma 17, della legge delega del 4 ottobre 2021 n. 134, ha profondamente innovato il sistema sanzionatorio penale, rivitalizzando e valorizzando le sanzioni sostitutive delle pene detentive breve, introdotte più di quarant'anni fa nel nostro ordinamento dalla l. n. 689/1981, il cui ambito di operatività è stato progressivamente esteso (l'area della sostituzione, infatti, originariamente individuata nella misura di sei mesi è passata, prima, a un anno - nel 1993 - e, poi, a due anni - nel 2003 -), ma la cui concreta applicazione è rimasta sempre piuttosto circoscritta.

Tale rivitalizzazione e valorizzazione sono state mosse dal perseguimento dei seguenti obiettivi, tutti, tra di loro concorrenti:

  • quello di ampliare il ventaglio di opzioni sanzionatorie, così da poter scegliere quella più adeguata al caso di specie;
  • quello di restringere il campo di applicazione della pena detentiva, così incidendo sul sovraffollamento carcerario;
  • quello di ridurre il numero dei c.d. «liberi sospesi» (vale a dire dei condannati con sentenza irrevocabile a pene detentive inferiori a quattro anni, che hanno presentato istanze di concessione di misure alternative e che sono in attesa di una pronuncia da parte della magistratura di sorveglianza in punto di concedibilità di una misura), così alleggerendo il carico di lavoro della magistratura di sorveglianza e anticipando alla fase della cognizione alcune forme di esecuzione extra-carceraria;
  • quello, strettamente connesso, di fare la c.d. «lotta alla pena detentiva breve», perché, come si legge nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2022, vi è un «generale sfavore dell'ordinamento verso l'esecuzione di pene detentive di breve durata», dal momento che «una detenzione di breve durata comporta costi individuali e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi, in termini di risocializzazione dei condannati e di riduzione dei tassi di recidiva» e ancora «quando la pena detentiva ha una breve durata, rieducare e risocializzare il condannato - come impone l'art. 27 Cost. - è obiettivo che può raggiungersi con maggiori probabilità attraverso pene diverse da quella carceraria, che eseguendosi nella comunità delle persone libere escludono o riducono l'effetto desocializzante della detenzione negli istituti di pena, relegando questo al ruolo di extrema ratio. La Costituzione, nel citato articolo 27, parla al terzo comma, al plurale, di “pene” che devono tendere alla rieducazione del condannato. Non menziona il carcere e, comunque, non introduce alcuna equazione tra pena e carcere. La pluralità delle pene, pertanto, è costituzionalmente imposta perché funzionale, oltre che ad altri principi (es. quello di proporzione), al finalismo rieducativo della pena»;
  • quello di incentivare indirettamente i riti alternativi (basti pensare all'ampliamento dell'operatività del procedimento per decreto per effetto del raddoppio da sei mesi a un anno del limite di pena detentiva sostituibile con la pena pecuniaria nonché della possibilità di applicare, con il decreto di condanna, il lavoro di pubblica utilità, oppure alla possibilità di patteggiare una pena sostitutiva di una pena detentiva fino a quattro anni);
  • quello di ridurre, sempre indirettamente, le impugnazioni (essendo prevista l'inappellabilità delle sentenze di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità).

     

Tale rivitalizzazione e valorizzazione sono state perseguite nei seguenti modi:

  • in primo luogo, concependo le sanzioni sostitutive come delle vere e proprie pene, sebbene diverse da quelle edittali (detentive e pecuniarie), come reso evidente dal nomen iuris adoperato (appunto «pene sostitutive») e dall'inserimento dell'art. 20-bis c.p., sotto la rubrica «Pene sostitutive delle pene detentive brevi», nel Titolo II, rubricato «Delle Pene», al Capo I, sotto la rubrica «Delle specie di pene, in generale», dopo la disciplina generale delle pene principali e delle pene accessorie;
  • in secondo luogo, ampliando notevolmente l'area della pena detentiva breve sostituibile (il limite massimo di due anni di pena detentiva, infatti, è stato raddoppiato), così sostanzialmente allineando il limite massimo della pena sostituibile con quello entro il quale in sede di esecuzione può applicarsi una misura alternativa alla detenzione;
  • ancora, rendendo le pene sostitutive irrogabili già dal giudice della cognizione in sede di pronuncia della sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (nonché in fase di decreto penale di condanna), in sostituzione di pene detentive brevi, in funzione della rieducazione del condannato e di obiettivi di prevenzione generale e speciale, così anticipando alla fase di merito la scelta relativa alle modalità di esecuzione della pena (il giudice penale, in conseguenza di tutto ciò, cambia veste e il suo ruolo non è più circoscritto alla quantificazione della pena, ma è esteso alle modalità con cui quest'ultima dovrà essere eseguita e, quindi, già al momento in cui infligge la pena, deve prefigurarsi l'applicanda pena sostitutiva e il relativo progetto attuativo, dettagliato in un regime prescrittivo adeguato e il più possibile individualizzato);
  • e infine, stabilendosi che le stesse sono destinate a essere eseguite immediatamente dopo la definitività della condanna senza essere sostituite con misure alternative da parte del Tribunale di sorveglianza (le sentenze di condanna a pene sostitutive, una volta irrevocabili, in altri termini, diverranno immediatamente esecutive e non saranno sospese ai sensi dell'art. 656 comma 5, c.p.p.).

Tipi di pene sostitutive, presupposti, cause di esclusioni, procedimento applicativo

Prima di affrontare nel dettaglio alcuni profili problematici emersi a seguito della concreta applicazione della nuova disciplina delle pene sostitutive, appare opportuno, ai fini di una migliore comprensione degli stessi, svolgere alcune considerazioni di carattere preliminare sulle pene sostitutive delle pene detentive brevi.

   

L'art. 20-bis c.p., come introdotto dal d.lgs. n. 150/2022, gli artt. 56 e seguenti della l. n. 689/1981 (che continua a prevedere la disciplina delle pene sostitutive, per ragioni di economia e di tecnica legislativa), come modificati dal d.lgs. n. 150/2022, e l'art. 545-bis c.p.p., come introdotto dal d.lgs. n. 150/2022, disciplinano, in maniera precisa e puntuale, i tipi di pene sostitutive, i presupposti per la loro applicazione, le cause di esclusione e il procedimento applicativo.

    

In particolare, per quanto concerne i tipi di pene sostitutive delle pene detentive brevi, essi sono stati individuati:

  • nella semilibertà sostitutiva;
  • nella detenzione domiciliare sostitutiva;
  • nel lavoro di pubblica utilità sostitutivo;
  • nella pena pecuniaria sostitutiva.

     

Le prime due costituiscono una sorta di anticipazione alla fase decisoria delle corrispondenti misure alternative alla detenzione carceraria (semilibertà e detenzione domiciliare), mentre il lavoro di pubblica utilità rappresenta un'estensione generalizzata, in veste di pena sostitutiva, dell'omonima sanzione principale del sistema del giudice di pace, peraltro già sperimentata nel sistema penale ordinario come sanzione sostitutiva per la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza o in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti e per il delitto di cui all'art. 73 comma 5-bis, d.p.r. n. 309/1990.

Risultano, invece, soppresse le sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata.

     

Relativamente ai presupposti, va, sin da subito, osservato che gli stessi possono essere distinti in due gruppi e precisamente, da un lato, vi sono alcuni presupposti che sono propri delle singole pene sostitutive e, dall'altro lato, vi sono altri presupposti che riguardano tutte le pene sostitutive.

Sotto il primo profilo, viene in rilievo il limite di pena che consente la sostituzione e che varia da pena sostitutiva a pena sostitutiva.

E precisamente la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla pena della reclusione o dell'arresto non superiori ai quattro anni; il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla pena della reclusione o dell'arresto non superiore ai tre anni; e la pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla pena della reclusione o dell'arresto non superiori a un anno.

Quindi, quando la pena detentiva è irrogata entro il limite di un anno, tutte le pene sostitutive possono essere applicate; quando la pena detentiva è irrogata in un quantum compreso tra un anno e un giorno e tre anni, possono concorrere il lavoro di pubblica utilità, la detenzione domiciliare e la semilibertà; quando, infine, la pena detentiva è irrogata in un quantum compreso tra tre anni e un giorno e quattro anni possono trovare applicazione, quali pene sostitutive, solo la detenzione domiciliare e la semilibertà.

Sotto il secondo profilo, invece, per tutte le pene sostitutive, ai fini del computo della pena da sostituire, valgono le seguenti regole:

  • si tiene conto degli aumenti ex art. 81 c.p. e delle riduzioni per il rito (quindi, il giudice potrà sostituire la pena detentiva solo se, dopo aver determinato l'aumento di pena per il concorso formale o per la continuazione dei reati, la pena detentiva risulti irrogata in misura non superiore a quattro anni);
  • nel caso di condanna a pena detentiva congiunta a pena pecuniaria, viene sostituita la sola pena detentiva;
  • si tiene conto della pena irrogata e non di quella residua da espiare (cfr. Cass. pen., sez. I, 11 ottobre 2023, n. 48868, che ha ritenuto che la norma generale dell'art. 53 l. n.  689/1981, come modificata dal d.lgs. n. 150/2022, si riferisce pacificamente alla pena inflitta e non a quella da espiare, che ha ritenuto, altresì, che anche la norma speciale dell'art. 95 comma 1, secondo periodo, d.lgs. n. 150/2022, si riferisce alla pena inflitta e non a quella da espiare e che ha dichiarato manifestamente infondata la relativa questione di legittimità costituzionale con la seguente motivazione: «La perimetrazione normativa dell'istituto sulla pena inflitta, e non su quella da espiare, risponde all'esigenza razionale di individuazione di una soglia massima di carattere oggettivo, individuata dal giudice in concreto, laddove il riferimento alla pena da espiare consentirebbe di attribuire rilievo a situazioni puramente casuali derivanti dall'esistenza di un più o meno lungo periodo di presofferto»).

Ancora, tutte le pene sostitutive possono essere applicate:

  • quando non viene disposta la sospensione condizionale della pena.

    

Prima della Riforma Cartabia la durata della pena detentiva breve era sostanzialmente pari a quella della pena suscettibile di essere condizionalmente sospesa e, comunque, i due benefici, la sospensione condizionale e la sostituzione della pena, erano cumulabili.

Con la Riforma Cartabia, invece, i due istituti non possono trovare applicazione congiunta, in quanto il beneficio della sospensione condizionale della pena esclude la possibilità di sostituire la pena detentiva, secondo quanto previsto dall'art. 61-bis l. n. 689/1981, introdotto dall'art. 71 comma 1, lett. i), d.lgs. n. 150/2022.

Il problema della possibile convergenza tra sospensione condizionale della pena e sostituzione della stessa si pone solo quando la pena detentiva inflitta non è superiore a due anni, ovvero a due anni e sei mesi, se di tratta di persone di età compresa tra gli anni diciotto e gli anni ventuno ovvero di ultrasettantenni.

Resta ferma, invece, per il condannato a pena sostitutiva, la possibilità di ottenere la non menzione della condanna negli stessi limiti temporali previsti dall'art. 175 c.p. Opzione tanto saggia da un punto di vista rieducativo, quanto imposta dalla ragionevolezza: impensabile, infatti, che lo stigma della menzione, con i suoi connotati desocializzanti, non operi nei confronti del condannato a pena detentiva e colpisca, invece, un condannato ritenuto meritevole di sostituzione;

  • quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato;
  • quando assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati.

    

Quindi, nelle pene sostitutive, l'esigenza di rieducazione si compenetra con quella di tutela della collettività, nel senso che quest'ultima si realizza essenzialmente anche tramite il processo di rieducazione, puntellato dalle prescrizioni imposte dal giudice.

La funzione rieducativa e risocializzante, invece, non è propria della sospensione condizionale della pena, fondandosi quest'ultima su un mero obbligo di astensione incentivato dalla perdita del beneficio in caso di commissione di un nuovo reato (non essendo esso necessariamente ancorato - in special modo quando si versa nell'ipotesi della prima concessione - a prestazioni accessorie idonee a incidere efficacemente sul processo di rieducazione);

  • quando non sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.

Inoltre, le pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità possono essere applicate solo con il consenso dell'imputato, espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale, così come previsto dal d.lgs. n. 31/2024, contenente disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 150/2022, che ha modificato l'art. 58 l.n.689/1981, inserendo dopo il secondo comma un ulteriore comma e prevedendo solo per tali pene sostitutive e, dunque, non anche per la pena pecuniaria, il necessario consenso dell'imputato, da esprimere personalmente o a mezzo di procuratore speciale.

    

Con riguardo alle cause di esclusione, la pena detentiva, come previsto dall'art. 59 l. n. 689/1981, non può essere sostituita:

  • nei confronti di chi ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della semilibertà, della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell'art. 66 ovvero nei confronti di chi ha commesso un delitto non colposo durante l'esecuzione delle medesime pene sostitutive (è fatta salva la possibilità di applicare una pena sostitutiva di specie più grave di quella revocata);
  • con la pena pecuniaria, nei confronti di chi, nei cinque anni precedenti, è stato condannato a pena pecuniaria, anche sostitutiva, e non l'ha pagata, salvi i casi di conversione per insolvibilità ai sensi degli artt. 71 e 103;
  • nei confronti dell'imputato a cui deve essere applicata una misura di sicurezza personale, salvi i casi di parziale incapacità di intendere e di volere;
  • nei confronti dell'imputato di uno dei reati di cui all'art. 4-bis l. n. 354/1975, salvo che sia stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 323-bis comma 2, c.p.  

    

Ora, nella ricorrenza di questi presupposti e nell'assenza di queste cause di esclusione, e, quindi, risolta la scelta sul se, il giudice deve effettuare l'ulteriore scelta relativa a quale pena sostitutiva applicare e, precisamente, deve scegliere la pena sostitutiva più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato.

Nella scelta, però, il giudice dovrà applicare la pena sostitutiva che importi il minor sacrificio della libertà personale; dovrà indicare i motivi che giustificano l'applicazione della pena sostitutiva e la scelta del tipo; dovrà, nella scelta tra la semilibertà, la detenzione domiciliare o il lavoro di pubblica utilità, tenere conto delle condizioni legate all'età, alla salute fisica o psichica, alla maternità o alla paternità, delle condizioni di disturbo da uso di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche ovvero da gioco d'azzardo, certificate da servizi pubblici o privati autorizzati, delle condizioni di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, certificate; e dovrà, quando applica la semilibertà o la detenzione domiciliare, indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria.

Il criterio da tenere a mente è, dunque, quello mutuato dalle misure cautelari della gradualità nella limitazione della libertà personale, che impone di optare per la pena maggiormente restrittiva solo ove non sussista la concreta possibilità di raggiungere l'obiettivo rieducativo in maniera meno invasiva e di darne conto nella motivazione.

Deve reputarsi che l'elenco delle condizioni relative al condannato di cui occorre tener conto sia meramente esemplificativo e non esaustivo.

     

Venendo a questo punto al procedimento con il quale può farsi luogo all'applicazione delle pene sostitutive, la Riforma Cartabia ha introdotto l'art. 545-bis c.p.p., che rappresenta un assoluto unicum nel nostro sistema penale.

Tale disposizione, però, è bene precisarlo, è stata di recente modificata con il d.lgs. n. 31/2024, contenente disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 150/2022.

E precisamente, nella sua formulazione originaria, l'art. 545-bis c.p.p. prevedeva un procedimento, che è stato definito «bifasico» e che si snodava, come regola, in due fasi: la prima, che si collocava subito dopo la lettura del dispositivo, nel corso della quale il giudice valutava se ricorrevano tutte le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive, ne dava avviso alle parti, acquisiva il consenso dell'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale e o decideva immediatamente o, non potendo decidere immediatamente, rinviava ad altra udienza, con sospensione del processo e la seconda fase, che doveva avere luogo non oltre sessanta giorni dalla precedente, nel corso della quale il giudice, acquisiti tutti gli atti, i documenti e le informazioni ritenuti necessari anche dall'ufficio di esecuzione penale esterna e anche dalla polizia giudiziaria, in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell'imputato, ivi compresi il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell'ente, le certificazioni di disturbo da uso di sostanze stupefacenti o di alcol ovvero da gioco d'azzardo con il relativo programma terapeutico che il condannato abbia in corso o a cui intenda sottoporsi, sentite le parti, o sostituiva la pena detentiva e integrava, quindi, il dispositivo, indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti oppure confermava il dispositivo già letto all'udienza conclusiva del giudizio ordinario.

La nuova formulazione dell'art. 545-bis c.p.p., invece, ha contemplato la seconda fase come meramente futura ed eventuale, forse al fine di porre rimedio e di superare le problematiche che il procedimento c.d. «bifasico» sin da subito aveva manifestato, nonché di semplificare il meccanismo c.d. di sentencing; ha eliminato l'avviso che il giudice era tenuto a dare alle parti, subito dopo la lettura del dispositivo, circa la ricorrenza delle condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive, sempre verosimilmente per i dubbi interpretativi che sin da subito erano stati sollevati circa le conseguenze che sulla sentenza si sarebbero potute riflettere in conseguenza dell'omissione dell'avviso; e ha, nel contempo, previsto delle precise e ben determinate scansioni temporali e procedimentali, tra di loro succedanee, che possono così schematicamente e ai fini di una migliore loro comprensione essere indicate:

  • la prima e principale opzione è che il giudice, ricorrendone i presupposti, sostituisca immediatamente, vale a dire già con il dispositivo, la pena detentiva con una pena sostitutiva;
  • la seconda è che il giudice, sempre ove ne ricorrano i presupposti, ma nel caso in cui possa decidere immediatamente, subito dopo la lettura del dispositivo, ma nella stessa udienza, sentite le parti, acquisito il consenso dell'imputato, se necessario (e quindi, solo nel caso in cui ritenga di applicare le pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, in forza della modifica all'art. 58 l.n.689/1981 apportata dal d.lgs. n. 31/2024, di cui si è già detto in precedenza), integri il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti;
  • l'ultima e meramente futura ed eventuale possibilità è che il giudice, dovendo procedere ad accertamenti, dia lettura del dispositivo e rinvii ad altra udienza, non oltre sessanta giorni dalla precedente, nel corso della quale, acquisiti tutti gli atti, i documenti e le informazioni necessarie, come nella pregressa formulazione dell'art. 545-bis c.p.p., sentite le parti, può o sostituire la pena detentiva e integrare il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti oppure può confermare il dispositivo precedentemente emesso.

    

Va, però, precisato che sia nella previgente che nell'attuale formulazione dell'art. 545-bis c.p.p. si prevede che tra la prima e la seconda fase il processo è sospeso; i termini per il deposito della motivazione decorrono, a ogni effetto di legge, dalla lettura del dispositivo, confermato o integrato; e i termini di durata massima della custodia cautelare ex art. 304 comma 1, lett. c-ter), c.p.p. restano sospesi durante il decorso del termine di cui all'art. 545-bis c.p.p.

A ciò deve aggiungersi che deve escludersi che tra la prima e la seconda fase si possa dare spazio a richieste di rinvio, posto che la fase processuale successiva alla lettura del dispositivo semplicemente non le prevede.

     

Concludendo con le prescrizioni accessorie che l'applicazione delle pene sostitutive può comportare, appare sufficiente ricordare che la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità comportano, in ogni caso, alcune prescrizioni comuni obbligatorie, tutte, puntualmente elencate nell'art. 56-ter l. n. 689/1981.

A tali prescrizioni comuni obbligatorie può aggiungersi quella, parimenti, comune, ma facoltativa, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, secondo lo schema dell'art. 282-ter c.p.p., a cui viene fatto rinvio, nei limiti della compatibilità e debbono e possono aggiungersi quelle, obbligatorie e facoltative, ma proprie delle singole pene sostitutive, puntualmente indicate negli artt. 55 e seguenti della l. n. 689/1981.

La semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità costituiscono, infatti, delle vere e proprie pene-programma, imperniate non solo su obblighi di astensione e divieti, ma anche sulle prescrizioni positive che il giudice, all'esito del contraddittorio e basandosi anche sul progetto di trattamento elaborato dall'UEPE, andrà a individuare e a calibrare (art. 56-ter l. n. 689/1981).

    

Un'ultima notazione attiene al rapporto tra pene sostitutive e misure cautelari.

Su tale rapporto è intervenuta, in maniera esplicita, la Riforma Cartabia, aggiungendo, all'art. 300 c.p.p., il comma 4-bis, il quale statuisce espressamente che «Quando, in qualsiasi grado del processo, è pronunciata sentenza di condanna o sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444, ancorchè sottoposta a impugnazione, alla pena pecuniaria sostitutiva o al lavoro di pubblica utilità sostitutivo, di cui alla legge 24 novembre 1981, non può essere mantenuta la custodia cautelare. Negli stessi casi, quando è pronunciata sentenza di condanna o sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 alla pena della detenzione domiciliare sostitutiva, non può essere mantenuta la custodia cautelare in carcere. In ogni caso, il giudice può sostituire la misura in essere con un'altra meno grave di cui ricorrono i presupposti ai sensi dell'articolo 299».

Sussiste, quindi, compatibilità tra la prosecuzione della custodia cautelare carceraria e l'applicazione della pena della semilibertà sostitutiva.

Il legislatore, di contro, non ha ritenuto di intervenire sull'art. 303 c.p.p., nella parte in cui individua il termine di fase della misura della custodia cautelare dalla sentenza di condanna di primo grado (o dalla sopravvenuta esecuzione della misura cautelare) alla sentenza di appello. Nessun accenno è stato operato in tale disposizione normativa alla condanna a pena sostitutiva. Ne consegue che, ai fini del calcolo del termine di fase, è del tutto irrilevante la sostituzione della pena detentiva breve. Il termine, quindi, continuerà a essere calcolato sulla base dell'entità della pena detentiva principale irrogata dal giudice di primo grado.

La disciplina transitoria

Sono stati disciplinati anche alcuni profili di diritto intertemporale che possono porsi stabilendosi che:

  • la nuova disciplina in tema di pene sostitutive, se più favorevole, si applica anche ai procedimenti  penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore del presente decreto, vale a dire al 30.12.2022 (cfr. art. 95 comma 1, d.lgs. n. 150/2022);
  • il condannato a  pena  detentiva non superiore a quattro  anni,  all'esito  di  un  procedimento pendente innanzi la Corte di cassazione all'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive al giudice dell'esecuzione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 666 c.p.p., entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza e nel relativo giudizio si applicano, in quanto compatibili, le nuove norme in tema di pene sostitutive; in caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del rinvio (cfr. art. 95 comma 2, d.lgs. n. 150/2022).

    

La pendenza del procedimento innanzi alla Corte di cassazione sussiste se alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, vale a dire alla data del 30.12.2022, sia stata emessa la sentenza di appello, quand'anche non sia stato ancora proposto il ricorso in cassazione (cfr. Cass. pen., sez. III, 14 novembre 2023, n. 51557);

  • le sanzioni sostitutive della semidetenzione  e  della  libertà controllata, le quali sono state espunte dal catalogo delle pene sostitutive dalla Riforma Cartabia, già applicate o  in  corso  di  esecuzione  al  momento dell'entrata in vigore del presente  decreto,  continuano  a  essere disciplinate dalle disposizioni previgenti;  tuttavia,  i  condannati alla semidetenzione possono chiedere al magistrato di sorveglianza la conversione nella semilibertà sostitutiva (cfr. art. 95 comma 3, d.lgs. n. 150/2022).

Prime applicazioni concrete della nuova disciplina delle pene sostitutive e profili problematici

Meritano, a questo punto, di essere messe in evidenza alcune delle questioni, le più significative, che già sono state affrontate dai giudici, a distanza ormai di quasi più di un anno dall'entrata in vigore della nuova disciplina sulle pene sostitutive.

    

Un primo problema pratico che si è posto attiene ai confini che ha, può e deve avere il giudizio circa la «ricorrenza delle condizioni» che il giudice è chiamato a compiere, al momento della decisione ex art. 545-bis c.p.p., al fine di poter sostituire o meno la pena detentiva.

Ci si chiede, in altri termini, se al giudice sia richiesto di valutare solo se nel caso sottoposto al suo esame sussistano i presupposti obiettivi e precisamente il limite edittale della pena detentiva irrogata (non superiore a quattro anni), la non concedibilità della sospensione condizionale della pena e l'assenza delle preclusioni di cui all'art. 59 l.n.689/1981 ovvero se il giudice debba prendere in considerazione anche la ricorrenza in concreto delle circostanze e in particolare delle finalità previste dall'art. 58 l. n. 689/1981 (ovvero l'esigenza di rieducazione e quella di tutela della collettività) che rendono la pena sostituibile.

Sembra preferibile tale seconda interpretazione, dal momento che la valutazione che il giudice deve svolgere al fine di sostituire la pena detentiva con quella sostitutiva, come detto nelle considerazioni di carattere generale sulle pene sostitutive che sono state svolte in precedenza, è di carattere globale e attiene alla sussistenza di tutte le condizioni, oggettive e soggettive, necessarie per sostituire la pena e, quindi, deve partire dalla verifica circa la ricorrenza dei presupposti comuni a tutte le pene sostitutive e di quelli propri della singola pena sostitutiva che si vuole applicare, deve passare attraverso l'ulteriore verifica circa l'assenza delle cause di esclusione e deve concludersi con la valutazione con esito positivo circa la sussistenza delle condizioni per la loro applicabilità, secondo i parametri di cui agli artt. 133 c.p. e 58 l. n. 689/1981, come riformulato dal d.lgs. n. 150/2022, e, quindi, circa la possibilità di applicare una pena che sia - la - più idonea alla rieducazione del condannato e circa la necessità che essa - corredata dalle indispensabili prescrizioni che vanno a bilanciare i margini di libertà che tali misure in maniera più o meno intensa, a seconda del tipo, lasciano al condannato - scongiuri, medio tempore, la commissione di altri reati.

Un secondo aspetto che l'applicazione concreta della disciplina sulle pene sostitutive ha messo in evidenza riguarda la necessità o meno che il giudice motivi sempre circa la «ricorrenza delle condizioni ».

Premesso che il giudice di primo grado è titolare di un potere anche ex officio in materia di applicazione di pene sostitutive, la risposta al quesito impone, innanzitutto, che si distingua tra due ipotesi: la prima concerne il caso in cui la difesa non abbia avanzato alcuna esplicita richiesta di pena sostitutiva e la seconda attiene all'ipotesi in cui tale esplicita richiesta sia stata formulata.

Ebbene, nel primo caso, deve ritenersi preferibile l'interpretazione in forza della quale dal silenzio del giudice dopo la lettura del dispositivo può ricavarsi un'implicita valutazione circa l'insussistenza dei presupposti per accedere alla pena sostitutiva, in quanto tale interpretazione è quella maggiormente conforme al potere discrezionale di cui il giudice gode in materia di sostituzione delle pene detentive brevi.

Del resto, in tal senso si è espressa la stessa Corte di cassazione, che, chiamata a pronunciarsi su un altro profilo e precisamente sulla necessità o meno dell'avviso alle parti previsto dalla pregressa formulazione della norma di cui all'art. 545-bis c.p.p., funzionale al procedimento di sostituzione della pena, subito dopo la lettura del dispositivo, ha statuito che tale avviso non è dovuto quando non vi sono i presupposti per la sostituzione, che la sua omissione non comporta la nullità della sentenza e che, per quanto interessa in questa sede, la sua omissione presuppone un'implicita valutazione da parte del giudice dell'insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva e ha anche opportunamente aggiunto che «ciò non significa che il suo potere discrezionale sia incontrollato, atteso che, proprio attraverso l'impugnazione, la parte interessata, in specie l'imputato, può sollecitare il giudice dell'appello a provvedere in luogo di quello di primo grado. Il fatto che manchi un provvedimento negativo non è d'ostacolo all'utile proposizione dell'impugnazione, perché non impedisce al giudice del grado superiore di controllare la correttezza delle determinazioni negative del primo giudice il quale, sol perché non espressamente sollecitato dalla parte interessata, ha potuto legittimamente omettere di motivare le ragioni del mancato esercizio del potere» (cfr. Cass. pen., sez. I, 12 dicembre 2023, n. 2090). 

Nella seconda ipotesi, invece, quella cioè in cui vi sia una specifica richiesta dell'imputato, ovviamente, il giudice ha il dovere di motivare espressamente in ordine alla ricorrenza o meno dei presupposti legittimanti la possibilità di accedere alla disciplina normativa evocata dalla difesa (cfr. Cass. pen., sez. II, 9 gennaio 2024, n. 9611) e l'omessa risposta alla richiesta della difesa di applicare una pena sostituiva può costituire motivo di impugnazione e può anche comportare, ove relativo a una sentenza di appello, l'annullamento di quest'ultima con rinvio per nuovo giudizio sul punto, ove non risulti possibile desumere dal contenuto della sentenza neanche una motivazione implicita e perché la Corte di Cassazione non ha il potere di esprimere valutazioni sul tema oggetto del motivo di appello (cfr. Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio 2024, n. 10614).

    

Un ulteriore profilo problematico emerso, strettamente connesso a quello appena esaminato, concerne i poteri di cui il giudice dispone in sede di applicazione e di scelta delle pene sostitutive e soprattutto il tipo di motivazione che il Giudice può e deve adottare al fine di respingere l'istanza di sostituzione della pena detentiva.

Dal tenore complessivo dell'art. 58 l. n. 689/1981 emerge che la valutazione circa l'an dell'applicazione della pena sostitutiva e la scelta della pena sostitutiva da applicare sono di tipo discrezionale e, per un verso, sono legate agli stessi criteri previsti dalla legge per la determinazione della pena, e, quindi, il giudizio prognostico positivo cui è subordinata la possibilità della sostituzione non può prescindere dal riferimento agli indici individuati dall'art. 133 c.p. e, per altro verso, devono essere condotte sulla base dei tre criteri previsti dalla norma attributiva di potere e precisamente: 1) le pene sostitutive devono tendere alla rieducazione del condannato; 2) esse devono assicurare la prevenzione del pericolo di recidiva; 3) esse non possono essere applicate se vi sono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni a esse connesse non saranno adempiute.

Per quanto concerne, però, il bilanciamento tra tali esigenze, nel senso di quale di esse debba guidare il potere discrezionale del giudice nell'applicazione e nella scelta delle pene sostitutive e, quindi, se, del caso, essere reputata prevalente, la norma nulla dice e, anzi, sembra porle su di uno stesso piano.

Su tale ultimo aspetto, in ogni caso, la Corte di cassazione ha già avuto modo di pronunciarsi.

E precisamente, in alcune pronunce, ha ritenuto che il giudice, al fine di verificare se sia o meno applicabile una pena sostitutiva breve, deve valutare, in via prioritaria, la sussistenza o meno di fondati motivi che inducano a ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute «perché la prospettiva della rieducazione non può prevalere sull'esigenza di neutralizzazione del pericolo di recidiva che necessita di essere soddisfatta anche durante l'esecuzione della pena» (cfr. Cass. pen., sez. V, 11 luglio 2023, n. 43622, che ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di merito che aveva respinto l'istanza di sostituzione della pena per l'impossibilità di formulare un giudizio positivo in termini di affidabilità del condannato per il futuro, alla luce dei numerosi precedenti penali risultanti a carico dell'imputato, molti dei quali per delitti contro il patrimonio, e tenuto anche conto che nel procedimento a carico dell'imputato per il reato di furto aggravato lo stesso era stato, tra l'altro, sottoposto a misura cautelare a seguito di convalida dell'arresto, dopo, appunto, una lunga serie di reati contro il patrimonio già commessi e, quindi, per avere espresso, sia pure in maniera sintetica, quelle ragioni ostative alla prognosi favorevole circa l'adempimento delle prescrizioni - e quindi la commissione di ulteriori reati - che l'art. 58 l. n. 689/1981 impone di formulare in via preliminare sulla base di elementi concreti e ha aggiunto che, di contro, la rieducazione, legata alla puntuale esecuzione della pena sostitutiva, non può che costituire la prospettiva in cui si muove l'applicazione della pena sostitutiva, applicazione che rimane, però, in ogni caso, subordinata al giudizio di idoneità della pena sostitutiva a scongiurare il pericolo di recidiva anche medio tempore).

La stessa Suprema Corte, in altre e più numerose sentenze, però, non si è pronunciata in maniera specifica sulla prevalenza dell'una o dell'altra valutazione, ma sostanzialmente le ha poste sullo stesso piano (cfr. Cass. pen., sez. I, 10 febbraio 2024, n. 10609, che ha statuito che dalla biografia criminale dell'imputato, dai suoi precedenti penali soprattutto per evasione, dalla sua condizione di dipendenza dalle sostanze stupefacenti, dalle sue condizioni patrimoniali e dal mancato svolgimento da parte sua di attività lavorativa, potessero essere tratti fondati elementi per ritenere che le prescrizioni della pena sostitutiva richiesta non sarebbero state adempiute e, in più, per ritenere sussistente un fondato rischio che le pene sostitutive non sarebbero state sufficientemente contenitive per assicurare la prevenzione dal pericolo di recidiva e, più, in generale per esprimere un giudizio di non affidabilità dell'imputato).

La Corte di cassazione, muovendosi nel solco tracciato da tali ultime pronunce, ma in maniera ancora più stringente, ha aggiunto che l'onere motivazionale non può dirsi soddisfatto e, quindi, la richiesta di pena sostitutiva non può essere respinta facendo leva lapidariamente sul solo «precedente specifico annoverato dall'imputato» che «rende del tutto infausta la prognosi di non ricaduta nel delitto», ovvero sulla sola presenza di più precedenti condanne, perché una motivazione di tale tipo non prende in considerazione, in maniera specifica, in alcun modo, l'idoneità delle pene sostitutive alla rieducazione e, anche attraverso opportune prescrizioni, a scongiurare il pericolo di commissione di altri reati (cfr. Cass. pen., sez. III, 16 febbraio 2024, n. 9708).

Più nel dettaglio, con tali ultime pronunce, la Suprema Corte ha avuto cura di indicare i seguenti criteri-guida:

  • gli artt. 58 e 59 l. n. 689/1981 e la seconda disposizione in particolare non indicano lo stato di non incensuratezza tra le condizioni soggettive ostative alla sostituibilità delle pene detentive brevi e non attribuiscono rilievo neppure a forme gravi di recidiva;
  • quindi, la sussistenza di precedenti condanne a carico dell'imputato non può essere ritenuta ex se elemento ostativo alla concessione delle pene sostitutive e ciò perché il legislatore ha stabilito, quali condizioni ostative, circostanze che appaiono del tutto indipendenti dalla negativa personalità desumibile dai precedenti penali, così che le pene oggi introdotte dall'art. 20-bis c.p. sono concedibili anche ai recidivi pur se reiterati (cfr. Cass. pen., sez. II, 14 febbraio 2024, n. 8794);
  • la condizione ostativa per la concessione delle pene sostitutive, espressamente prevista dal legislatore, è, invece, quella dettata dall'art. 58 comma 1, l.n.689/1981, secondo cui la pena detentiva non può essere sostituita quando non assicura la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati e/o sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato, così che, ai fini dell'esclusione, si richiede un giudizio prognostico circa una pericolosità qualificata e un concreto pericolo di violazione delle condizioni imposte, che, certamente, potrà pure tenere conto dei precedenti, ma che non può esaurirsi solo nella valutazione degli stessi;
  • quindi, i precedenti penali possono essere valutati ai sensi dell'art. 133 c.p., integralmente richiamato dall'art. 58 comma 1, l. n. 689/1981, ma è richiesta una valutazione complessiva che tenga conto tanto dei criteri concernenti la gravità del reato, quanto di quelli relativi alla capacità a delinquere, prendendo in considerazione, tra l'altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato, pur senza dover esaminare tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l'inefficacia della pena sostitutiva;
  • in ogni caso, la sostituzione può essere esclusa anche in relazione a un solo parametro, solo se e quando per l'indiscutibile pregnanza e forza persuasiva l'elemento addotto sia idoneo a esaurire il giudizio prognostico di che trattasi;
  • in tal caso, però, il giudizio prognostico negativo non può limitarsi a indicare a quale fattore sia stata attribuita una valenza ostativa, ma deve correlare tale elemento al contenuto della pena sostitutiva, fornendo un'adeguata motivazione sulla sua incidenza sul futuro rispetto delle prescrizioni che saranno imposte (cfr. Cass. pen., sez. VI, 19 settembre 2023, n. 40433, ove si è detto che i precedenti penali dell'imputato sono sicuramente rilevanti, ma, ai fini della prognosi negativa, è necessario che il giudice dia conto in motivazione degli elementi considerati e della loro incidenza in negativo sul futuro rispetto delle prescrizioni proprie della specifica pena sostitutiva invocata dall'imputato o, comunque, presa in considerazione dal giudice);
  • venendo ad alcuni casi concreti presi in considerazione, ad esempio, non può il giudice, prima, nell'ambito della forbice edittale della pena, determinare la sanzione nei termini edittali minimi o, comunque, in termini prossimi ai suddetti minimi, valutando la scarsa entità del dolo ovvero la limitata gravità dei fatti e, poi, negare l'applicazione di una delle pene previste dall'art. 20-bis c.p., sulla base di un'affermata elevata pericolosità dell'imputato, in quanto il sistema prevede un doppio richiamo ai criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., dapprima, ai fini della determinazione della pena e, poi, ai fini dell'individuazione della pena sostitutiva, così come richiamato dal citato art. 58 l.n.689/1981.

     

In altri termini, il giudice di primo grado in sede di condanna dell'imputato ovvero il giudice di appello chiamato a pronunciarsi in sede di gravame sono tenuti a valutare i criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p. sia ai fini della determinazione della pena da infliggere, sia, subito dopo, ai fini dell'individuazione della pena sostitutiva, con l'ovvia conseguenza che tra i due giudizi deve esservi continuità e non insanabile contraddittorietà, favorendosi l'applicazione di una delle pene previste dall'art. 20-bis c.p. tanto maggiore quanto minore risulti la pena in concreto inflitta (cfr. Cass. pen., sez. II, 14 febbraio 2024, n. 8794);

  • parimenti, non può essere negata l'applicazione delle pene sostitutive, richiamando un precedente penale, sia pur specifico - e tale da integrare ad esempio gli estremi della recidiva infraquinquennale -, ove quest'ultimo sia stato ritenuto sub-valente rispetto alle circostanze attenuanti generiche, per la risalenza di quel primo reato nel tempo rispetto al fatto sub iudice e, soprattutto, rispetto al momento del giudizio sulla sostituibilità della pena (cfr. Cass. pen., sez. III, 16 febbraio 2024, n. 9708);
  • ancora, la sentenza può risultare affetta da difetto di motivazione in punto di diniego ove non siano stati presi in considerazione anche gli elementi favorevoli all'imputato, come la condotta susseguente al reato e le attuali condizioni di vita dell'imputato, nel caso ad esempio in cui documenti di aver intrapreso lecita attività lavorativa come operaio dipendente di una società operante nel campo dell'edilizia (cfr. sempre Cass. pen., sez. III, 16 febbraio 2024, n. 9708).

    

La conclusione raggiunta in sentenza, avendo riguardo alla specificità della condotta posta in essere, si sottrae, se adeguatamente motivata, a ogni sindacato in sede di legittimità, come di regola accade allorquando il giudice di merito è chiamato a svolgere valutazioni discrezionali di tipo prognostico alla luce dei parametri indicati nell'art. 133 c.p. - e appare particolarmente pertinente l'analogia rispetto al giudizio sul riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena - senza che nel giudizio di cassazione sia possibile muovere contestazione attinente all'attendibilità del giudizio prognostico, positivo o negativo.

Trattandosi, tuttavia, di discrezionalità vincolata all'impiego dei richiamati criteri legali, il giudice di merito ha l'obbligo di informare a essi la propria valutazione e di darne conto in motivazione e il sindacato della Corte di cassazione sul punto può essere esercitato nei consueti termini di cui all'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p.

La richiesta di pena sostitutiva, di contro, sicuramente, non potrà essere respinta, per l'irritualità o l'incompletezza o l'insufficienza della documentazione e, quindi, per motivi formali in realtà non preclusivi all'accoglimento della richiesta, perché, a norma del disposto di cui all'art. 545-bis c.p.p., rientra nel potere-dovere del giudice di provvedere all'acquisizione di atti, documenti e informazioni resi necessari all'emissione del provvedimento richiesto (cfr. Cass. pen., sez. II, 28 febbraio 2024, n. 11079).

Ciò significa che è, in ogni caso, richiesta da parte del giudice la valutazione dell'adeguatezza (o inadeguatezza) della pena sostitutiva invocata in relazione alla personalità dell'imputato e che in taluni casi potranno-dovranno essere necessari approfondimenti istruttori.

E significa, di contro, che il giudice, come già detto, non è tenuto a chiedere informazioni alla polizia giudiziaria o all'UEPE quando fondatamente ritenga di avere elementi per escludere la sostituibilità della pena detentiva (cfr. Cass. pen., sez. IV, 11 ottobre 2023, n. 42847) e, quindi, non ritenga necessario procedere alla sospensione del processo dopo la lettura del dispositivo, al fine di acquisire informazioni utili a decidere sulla sostituzione della pena detentiva e a scegliere quella sostitutiva più adeguata al caso (cfr. Cass. pen., sez. VI, 13 settembre 2023, n. 43263).

La richiesta di applicazione della pena pecuniaria sostitutiva, invece, potrà essere respinta, ove la stessa non sia reputata idonea alla rieducazione del condannato, rispetto alla pena detentiva, tenuto conto della gravità del fatto e della personalità dell'imputato e, quindi, senza dover necessariamente compiere gli accertamenti sulle «complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell'imputato e del suo nucleo familiare» (cfr. Cass. pen., sez. IV, 11 ottobre 2023, n. 42847).

    

Sempre connessa ai profili sinora esaminati è la questione se il provvedimento con il quale il giudice decide sull'istanza di ammissione alle pene sostitutive della pena detentiva breve sia autonomamente impugnabile.

La Corte di cassazione ha già avuto modo di pronunciarsi anche su tale aspetto e ha, in maniera condivisibile, ritenuto non impugnabile in via autonoma il provvedimento che decide sulla sostituzione delle pene detentive, nel senso che lo stesso deve essere impugnato congiuntamente alla sentenza che chiude la fase introdotta dall'art. 545-bis c.p.p.

Militano in favore di tale tesi sia argomenti desumibili dall'interpretazione del dato letterale della norma, sia profili di carattere sistematico, anche interni alla disciplina dell'istituto.

In primo luogo, secondo la Suprema Corte, in base al principio di tassatività delle impugnazioni, ex art. 568 c.p.p., deve osservarsi che il legislatore, nel disciplinare siffatto procedimento, non ha previsto in modo espresso alcuna forma di impugnazione del provvedimento che conferma o integra il primo dispositivo. In tale ottica, può agevolare l'interpretazione la diversa previsione espressa contenuta nell'art. 464-quater comma 7, c.p.p., che, con riferimento all'istituto affine della messa alla prova, a proposito dell'ordinanza che decide sull'istanza di ammissione disponendo la sospensione del procedimento (artt. 168-bis e ss. c.p.), ne prevede la ricorribilità per cassazione, con previsione analoga al d.p.r.n.448/1988, art. 28 comma 3, che, con riguardo al processo minorile, si esprime in termini non dissimili dall'art. 464-quater comma 7, c.p.p., contemplando genericamente la possibilità di ricorrere per cassazione contro l'ordinanza di messa alla prova. Con riguardo, invece, alla ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che essa «non è immediatamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 586 c.p.p., in quanto l'art. 464-quater c.p.p., comma 7, nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell'imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova» (cfr. Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2016, n. 33216, che, in motivazione, ha affermato che «certamente, la norma consente l'impugnabilità diretta ed autonoma del provvedimento con il quale, in accoglimento dell'istanza dell'imputato, il giudice abbia disposto la sospensione del procedimento, giacché in tal caso alle parti non sarebbe altrimenti consentito alcun rimedio avverso la decisione assunta»).

Sul piano sistematico, poi, la Suprema Corte ha evidenziato che, secondo il sistema delineato dall'art. 545-bis c.p.p., nel caso in cui, dopo la lettura del dispositivo di condanna (an), si apra l'ulteriore fase destinata all'individuazione, da parte del medesimo giudice, anche delle modalità di esecuzione della pena (quomodo), la fissazione di un'udienza ad hoc comporta la sospensione del processo - che, quindi, non può considerarsi ancora chiuso - con il conseguente spostamento in avanti della pubblicazione della sentenza, solo dopo la lettura del secondo dispositivo, momento dal quale decorre anche il dies a quo per il deposito della motivazione. Ai sensi del combinato disposto dell'art. 546 c.p.p. e dell'art. 61 l. n. 689/1981, il giudice avrà un dovere motivazionale anche in relazione alle ragioni sottese alla decisione sull'applicazione delle pene sostitutive.

Ora, poiché il giudice non può dare in ogni caso lettura della motivazione della sentenza se non dopo la lettura del dispositivo integrato o confermato, contenente, appunto, anche la decisione sulle modalità di esecuzione della pena detentiva, quest'ultima decisione - ove confluita in un'autonoma ordinanza da trasfondersi, poi, nel secondo dispositivo - non può essere impugnata se non unitamente alla sentenza, perché solo dopo tale momento, con la pubblicazione della sentenza, l'imputato viene a conoscenza sia delle ragioni della condanna, sia del trattamento sanzionatorio. La motivazione è, infatti, unica e si riferisce sia alla condanna, sia al provvedimento di sostituzione, con l'inevitabile conseguenza che l'impugnazione ammessa è una sola, nei confronti della sentenza che contiene anche l'integrazione con la pena sostitutiva o la conferma del primo dispositivo.

D'altro canto, non può non rilevarsi come la descrizione normativa sia univoca, nel senso che la decisione sull'applicazione della pena sostitutiva si espliciti nel (secondo) dispositivo di conferma del dispositivo già letto ovvero di sostituzione della pena detentiva (cfr. Cass. pen., sez. V, 3 ottobre 2023, n. 43960).

    

Quid iuris nel caso in cui il procedimento sia a carico di più imputati e la pena sostitutiva possa essere applicata solo nei confronti di alcuni?

In tal caso deve necessariamente essere disposta la separazione della posizione processuale dell'imputato o degli imputati per i quali è possibile la sostituzione ex art. 18 comma 1, lett. b), c.p.p. e può, nel caso in cui siano necessari degli approfondimenti e occorra rinviare ad altra udienza, aversi un diverso decorso dei termini per il deposito della motivazione tra gli imputati per i quali può farsi luogo alla sostituzione e gli altri, una diversa modalità di redazione della sentenza e anche un diverso decorso dei termini di durata massima della custodia cautelare ex art. 304 comma 1, lett. c-ter), c.p.p., in conseguenza della sospensione dei termini tra la prima e la seconda udienza, che in ogni caso non può essere superiore a giorni sessanta.

   

Quid iuris nel caso in cui si verifichi il mutamento del giudice, monocratico o collegiale, nel corso del procedimento c.d. di sentencing, in particolare tra la pronuncia del dispositivo della sentenza e l'udienza c.d. di sentencing cui il processo è stato appositamente rinviato per la decisione sull'applicazione della pena sostitutiva.

Al riguardo, si contrappongono due orientamenti.

Secondo un primo orientamento, va esclusa la necessità di rinnovazione degli atti, imposta dall'art. 525 comma 2, c.p.p., a pena di nullità assoluta, in quanto la rinnovazione viene in rilievo nella sola ipotesi in cui si debba procedere alla deliberazione della sentenza, laddove nell'ipotesi considerata la sentenza (in tutti i suoi elementi, e cioè sia con riguardo alla decisione circa la responsabilità penale, che con riferimento alla pena) è già stata deliberata (e pronunciata, mediante pubblicazione del dispositivo) e il mutamento si verifica nella fase in cui è stato disposto il rinvio al solo fine di vagliare la concreta sostituibilità della pena detentiva breve.

In altri termini, l'attività che l'art. 525 comma 2, c.p.p. presidia con la nullità assoluta è già stata totalmente esaurita. Ciò che residua è un'ulteriore attività decisoria, che esula però dal perimetro della deliberazione della sentenza in senso stretto, non coinvolge cioè la statuizione di condanna, ma riapre unicamente la possibilità per il giudice di intervenire sul trattamento sanzionatorio, sicchè, certamente, può essere anche posta in essere da altro giudice persona-fisica.

Il codice di rito, del resto, si aggiunge, conosce già ipotesi in cui il giudice che ha deliberato la sentenza, emettendo il dispositivo, può non essere quello chiamato poi a motivare e a redigere la sentenza medesima.

Si allude, con riguardo al giudice monocratico, all'art. 559 ultimo comma, c.p.p., che espressamente stabilisce che, in caso di impedimento del giudice, la sentenza è sottoscritta dal presidente del Tribunale, previa menzione della causa di sostituzione. Per il giudice collegiale analoga disposizione è prevista dall'art. 546 comma 2, c.p.p., in caso di impedimento del giudice designato come estensore della sentenza o del presidente del collegio.

Orbene, queste disposizioni normative potrebbero trovare applicazione analogica anche laddove per impedimento (da intendersi in senso ampio, sia come impedimento fisico e di salute, che come ipotesi di trasferimento del giudice ad altro ufficio o funzioni, ovvero in caso di pensionamento) mutasse il giudice monocratico ovvero uno dei giudici componenti del collegio (particolarmente, il giudice designato come relatore/estensore della sentenza, ovvero il presidente del collegio), nel corso del procedimento c.d. di sentencing.

Secondo un altro orientamento, invece, con il procedimento c.d. di sentencing, non solo è rinviata la concreta decisione sulla sostituibilità della pena detentiva breve, ma anche la redazione della motivazione della sentenza, il cui dispositivo è stato deliberato dal precedente giudice.

In buona sostanza, il nuovo giudice non sarà chiamato solo a decidere se sostituire o meno la pena detentiva da altro giudice irrogata, attività decisoria sua propria, che potrà concludersi anche nel senso della conferma del dispositivo di condanna, senza alcuna sostituzione della pena detentiva breve, ma sarà chiamato anche a motivare una sentenza da altri deliberata.

Ed è questo, probabilmente, l'aspetto più singolare della questione, che imporrebbe di procedere alla rinnovazione degli atti nel caso in cui si verifichi il mutamento del giudice, monocratico o collegiale, nel corso del procedimento c.d. di sentencing, in particolare tra la pronuncia del dispositivo della sentenza e l'udienza c.d. di sentencing cui il processo è stato appositamente rinviato per la decisione sull'applicazione della pena sostitutiva.

    

Un altro aspetto degno di nota attiene alla possibilità di applicare una pena sostitutiva anche in sede di patteggiamento.

Tale possibilità è ora testualmente prevista, perché l'art. 448 comma 1-bis, c.p.p., anch'esso introdotto dal d.lgs. n. 150/2022 con l'art. 25, prevede espressamente che l'accordo possa riguardare anche l'applicazione di una pena sostitutiva e prevede, altresì, nel caso in cui le parti si accordino su una misura sostitutiva, che il giudice è tenuto a esercitare i poteri officiosi previsti dall'art. 545-bis comma 2, c.p.p. al fine «di potere decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta della pena sostitutiva, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative». 

E tale possibilità è stata anche estesa al concordato in appello, prevedendosi che all'art. 599-bis, al comma 1, secondo periodo, così come interpolato dal decreto correttivo n. 31/2024, dopo le parole «determinazione della pena» siano inserite le seguenti «o la sostituzione della pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'articolo 53 della legge 25 novembre 1981, n. 689».

Quindi, l'accordo delle parti può avere a oggetto non solo la misura della pena, ma anche la sua sostituzione o, detto in altri termini, la richiesta di sostituzione della pena detentiva breve con una pena sostitutiva può costituire oggetto espresso del patto.

Ciò significa che se la sostituzione non fa parte dell'accordo il giudice non può applicare la pena sostitutiva di sua iniziativa né non può sostituire d'ufficio la pena detentiva con le pene sostitutive; se invece la sostituzione fa parte dell'accordo è necessario che quest'ultimo venga recepito nella sua interezza, con la conseguenza che il giudice, ove ritenga non applicabile la pena sostitutiva oggetto dell'accordo, ad esempio, a seguito dell'esito negativo degli accertamenti disposti ex art. 545-bis comma 1, c.p.p., deve respingere l'accordo stesso, non può applicare la pena edittale concordata, senza concedere la chiesta sostituzione, perché non consentita dalla legge, e non può neanche, in difformità o a modifica del raggiunto accordo, applicare una pena sostitutiva diversa da quella pattuita (cfr. Cass. pen., sez. II, 17 ottobre 2023, n. 43295) o una pena sostitutiva con prescrizioni diverse da quelle concordate.

In altri termini, deve ritenersi tuttora valido il principio risalente per cui in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice non può, in difformità o a modifica dell'accordo raggiunto, applicare una sanzione diversa da quella concordata dalle parti, senza esorbitare dai compiti assegnatigli dalle disposizioni codicistiche in materia. Invero, perché siano pienamente assecondate le finalità del patteggiamento, è necessario che il giudice non si sostituisca alla volontà delle parti e rispetti integralmente i termini dell'accordo (sempre che non ritenga di respingere in toto la richiesta), senza alcuna possibilità di scindere i termini del patto intervenuto tra le parti che ha natura unitaria in vista dell'applicazione della pena concordata, con la conseguenza che ogni modificazione costituisce violazione del patto non consentita dalla legge (cfr. Cass. pen., sez. VI, 13 gennaio 2024, n. 5341).

Ove, però, la pena sostituibile per effetto del patteggiamento superi i due anni, si dovrà fare riferimento alle norme che disciplinano il c.d. patteggiamento allargato, a cominciare dal comma 1-bis dell'art. 444 c.p.p., che vieta il patto processuale in relazione ai procedimenti che hanno a oggetto determinati delitti, ovvero che sono stati avviati contro imputati che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, o recidivi ai sensi dell'art. 99 comma 4, c.p.

Si tratta di limitazioni oggettive e soggettive che, con riguardo alla possibilità di accesso alla pena sostitutiva, di fatto, si aggiungono a quelle previste dall'art. 59 l. n. 689/81, impedendo che l'imputato, che non versi in alcuna delle situazioni impeditive previste dal citato art. 59 l. n. 689/81, possa vedersi sostituire, nelle ipotesi indicate, la pena detentiva predeterminata per il tramite del patto processuale previsto dall'art. 444 c.p.p.

Ad esempio, nel caso in cui all'imputato risulti contestata e ritenuta la recidiva ex art. 99 comma 4, c.p., il c.d. patteggiamento allargato sarà inibito, mentre astrattamente la sostituzione della pena detentiva sarebbe potuta avvenire, essendo demandata anche in tale ipotesi la relativa decisione al potere discrezionale del giudice da esercitarsi ai sensi dell'art. 58 l. n. 689/81.

    

Per i reati di cui all'art. 4-bis l. n. 354/1975 la possibilità della sostituzione resta preclusa, come già detto ex art. 59 l. n. 689/1981.

Tra questi reati rientra, ad esempio, tra gli altri, anche la rapina aggravata ex art. 628 comma 3, c.p.p. e ciò significa che al condannato per tale reato, quand'anche a pena detentiva, inferiore ai quattro anni di reclusione, non potrà essere applicata la pena sostitutiva.

Non vi è spazio per interpretazioni in grado di superare tale preclusione; l'unico rimedio potrebbe essere quello di sollevare una questione di legittimità costituzionale per contrasto dell'art. 59 lett. d), l. n. 689/1981 con l'art. 27 Cost.

    

Si è posto il problema se colui il quale ad esempio abbia commesso una contravvenzione per guida in stato di ebbrezza e abbia ottenuto la sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilità ex art. 186 comma 9-bis, c.d.s., possa nuovamente beneficiare della sostituzione, ove commetta una nuova contravvenzione per guida in stato di ebbrezza e chieda la sostituzione con i lavori di pubblica utilità in sede di opposizione a decreto penale di condanna ex art. 459 comma 1-ter, c.p.p., atteso che sempre l'art. 186 comma 9-bis, ultimo periodo, c.d.s., prevede che «il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena non più di una volta».

Sembra preferibile ritenere che la disciplina contenuta nel c.d.s. sia speciale rispetto a quella di cui all'art. 56-bis l. n. 689/1981 e, quindi, la sostituzione sia possibile una sola volta, facendo applicazione dell'art. 186 comma 9-bis, ultimo periodo, c.d.s.

In ogni caso, dovrebbero reputarsi non sussistenti, nel caso di specie, i presupposti ex art. 58 l. n. 689/1981, quanto meno sub specie di prognosi favorevole di non commissione di ulteriori reati.

    

Un ulteriore profilo problematico attiene alla possibile coesistenza tra pene sostitutive in un nuovo giudizio e misure alternative in corso di esecuzione e cioè se possa essere disposta la sostituzione della pena ex art. 53 l. n. 689/1981 nei confronti di un soggetto che si trovi sottoposto a misure alternative alla detenzione.

Va, al riguardo, premesso che, come già ritenuto in maniera ampiamente condivisibile dalla Suprema Corte, non può ragionarsi sul nuovo istituto in termini di sovrapposizione con la disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dalla legge di ordinamento penitenziario, pur nella comune finalità delle due discipline di offrire un'opportunità di risocializzazione diversa dalla tradizionale pena detentiva.

Nessuna previsione normativa sancisce l'inapplicabilità delle pene sostitutive ai soggetti che si trovano detenuti o sottoposti a misure alternative alla detenzione.

Anzi, la ricognizione delle disposizioni introdotte con il d.lgs. n. 150/2022 porta a ritenere possibile simile evenienza.

Ciò perché: a) già l'art. 61 l. n. 689/1981 conferma che la condanna a una pena sostitutiva va indicata nel dispositivo della sentenza di condanna unitamente alla pena che si va a sostituire, dunque, si tratta di un'opzione affidata al giudice della cognizione, indenne dalla operazione di cumulo di pene inflitte con sentenze diverse; b) l'art. 53 l. n. 689/1981, al comma 3, impone di tener conto, ai fini della determinazione del limite di pena detentiva, della pena aumentata ai sensi dell'art. 81 c.p., e, dunque, dell'eventuale pena inflitta per il reato continuato, se riconosciuto con la sentenza che si va a emettere in cognizione; c) la disciplina dettata all'art. 70 l.n.689/1981 regolamenta in sede di esecuzione il fenomeno della coesistenza di più titoli, il che sta a significare come il legislatore non ha trascurato il fenomeno, ma lo ha posposto sul piano della regolamentazione, rispetto alla decisione da emettersi in cognizione. Con ciò si intende dire che il giudice della cognizione - ed è da ritenersi tale anche il giudice della esecuzione ai sensi dell'art. 95 d.lgs.n.150/2022 - decide sempre in via autonoma nell'ambito del proprio giudizio, lì dove sussistano i presupposti di legge per l'accoglimento della domanda (limite di pena per il reato oggetto di giudizio e adeguatezza della pena sostitutiva ai sensi dell'art. 58) e soltanto in un secondo momento (la sede esecutiva in senso proprio) può porsi un problema di coesistenza di più titoli, che va risolto secondo le disposizioni di cui all'art. 70 citato. In particolare, va anche rilevato che la citata disposizione non implica la necessaria unificazione dei titoli che comportano pene detentive (che potrebbero essere oggetto, medio tempore, di una misura alternativa come l'affidamento in prova) con quelli che comportano pene sostitutive. Ciò si desume dal testo del quarto comma, ove si legge che «le pene sostitutive sono sempre eseguite dopo le pene detentive»; dunque, è ben possibile che le sentenze in esecuzione abbiano a oggetto tanto pene detentive (che vanno eseguite prima, anche in affidamento) che pene sostitutive (che vanno eseguite dopo). Solo nella ipotesi in cui le decisioni da porre in esecuzione siano tutte riferibili a pene sostitutive il legislatore interviene a prevedere la necessità del cumulo (cumulo dunque solo omogeneo), con la conseguenza di imporre il rispetto, in questo caso, del limite massimo dei quattro anni delle pene sostituite e, dunque, della reclusione o dell'arresto, che vanno pertanto eseguite, salvo che la pena residua sia pari o inferiore a quattro anni. Quindi, in nessun caso, il giudice che riceve la domanda di pena sostitutiva può respingerla solo in ragione dell'esistenza di un precedente cumulo di pene detentive già in esecuzione (cfr. Cass. pen., sez. I, 7 dicembre 2023, n. 13133; Cass. pen., sez. I, 2 febbraio 2024, n. 11950).

      

Ci si è interrogati anche sulla possibilità che della richiesta di applicazione di una pena sostitutiva sia investita la Corte d'appello.

Non vi è dubbio che anche la Corte di Appello possa applicare le pene sostitutive, se e in quanto vi sia una richiesta in tal senso da parte dell'imputato.

In tale senso depongono, chiaramente, al fine di fugare definitivamente ogni dubbio in proposito, le modiche alla Riforma Cartabia introdotte dal d.lgs. n. 31/2024.

In particolare, nell'art. 598-bis, così come interpolato dal d.lgs. n. 31/2024, sono stati inseriti i commi 1-bis, 4-bis e 4-ter.

Nello specifico, il comma 1-bis così prevede: «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 597, l'imputato, fino a quindici giorni prima dell'udienza, può, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, nei motivi nuovi e nelle memorie di cui al comma 1, esprimere il consenso alla sostituzione della pena detentiva con taluna delle pene sostitutive di cui all'articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689. La corte, se ritiene che ne ricorrano i presupposti, sostituisce la pena detentiva. Quando, pur essendo acquisito il consenso, non è possibile decidere immediatamente, la corte fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente e provvede ad acquisire gli atti, i documenti e le informazioni di cui all'articolo 545-bis, comma 2; in tal caso il processo è sospeso. Salvo che la corte disponga altrimenti, l'udienza si svolge senza la partecipazione delle parti».

Il comma 4-bis è del seguente tenore: «Nei casi di udienza partecipata di cui ai commi 2, 3 e 4, il consenso alla sostituzione di cui al comma 1-bis può essere espresso sino alla data dell'udienza. Si applicano le disposizioni del medesimo comma 1-bis, secondo e terzo periodo».

E, in forza comma 4-ter, viene disposto espressamente che «Quando, per effetto della decisione sull'impugnazione, è applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni» la Corte, se ritiene che ne ricorrano i presupposti, sostituisce direttamente la pena detentiva; se, invece, è necessario acquisire il consenso dell'imputato, la Corte «deposita il dispositivo ai sensi del comma 1, quarto periodo, assegna all'imputato il termine perentorio di quindici giorni per esprimere il consenso e fissa udienza, non oltre trenta giorni, senza la partecipazione delle parti. In tal caso, il processo è sospeso. Se il consenso è acquisito, all'udienza la corte integra il dispositivo altrimenti lo conferma. In ogni caso, provvede al deposito ai sensi del comma 1, ultimo periodo. Quando, pur essendo acquisito il consenso, non è possibile decidere immediatamente, si applicano le disposizioni di cui al comma 1-bis, terzo e quarto periodo. I termini per il deposito della motivazione decorrono, ad ogni effetto di legge, dal deposito del dispositivo, confermato o integrato. Nei casi di udienza partecipata di cui ai commi 2, 3 e 4, si osservano le disposizioni dell'articolo 545-bis, in quanto applicabili».

Circa, però, il quando e a quali condizioni la Corte d'appello possa applicare le pene sostitutive occorre distinguere tra la fase transitoria e la fase a regime della disciplina contenuta nel d.lgs. n. 150/2002.

Per quando concerne la fase transitoria che riguarda i procedimenti penali pendenti in secondo grado al momento dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, per tali dovendosi intendere quelli per i quali alla data di entrata in vigore della riforma sia già stata pronunciata la sentenza di primo grado, anche se non sia stato ancora proposto l'atto di appello, si contrappongono due orientamenti.

Secondo un primo indirizzo, il d.lgs. n. 150/2022, art. 95, che disciplina il regime transitorio in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, disponendo che «Le norme previste dal Capo III della l. 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore del presente decreto», deve essere contemperato con le norme che disciplinano il rito di appello, con particolare riferimento all'art. 597 comma 1, c.p.p., laddove limita l'ambito conoscitivo del giudice di secondo grado ai punti della decisione strettamente connessi ai motivi proposti.

La lettura congiunta, pertanto, delle disposizioni di cui agli artt. 545-bis597 comma 1, c.p.p. in uno al d.lgs. n. 150/2022, art. 95, secondo tale indirizzo, impone di ritenere che affinché possa essere richiesta in sede di appello la pena sostitutiva di pene detentive brevi la stessa debba essere veicolata attraverso i tipici strumenti processuali individuati per il regime delle impugnazioni in genere e dell'appello in particolare con i motivi nuovi, quando ciò, ovviamente, sia in concreto possibile.

Dunque, non basta l'aver dedotto in sede di gravame la gravosità del trattamento sanzionatorio di cui si richiedeva un'attenuazione, ove nessuna richiesta specifica sia stata articolata quanto a pena sostitutiva; né basta che la relativa richiesta di sostituzione a mente della citata novità normativa sia stata avanzata solo in sede di conclusioni, contesto non idoneo, per quanto sopra osservato in merito ai limiti dell'oggetto del giudizio di appello ex art. 597 comma 1, c.p.p., per l'impossibilità di ampliare d'ufficio il thema devoluto alla Corte di Appello con i motivi di gravame (cfr. Cass. pen., sez. VI, 27 settembre 2023, n. 41313).

Alla stregua di un altro, più recente e più seguito orientamento, invece, in tema di pene sostitutive, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all'applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all'art. 20-bis c.p., è necessaria una richiesta in tal senso dell'imputato, da formulare non necessariamente con l'atto di gravame, o con i motivi nuovi ex art. 585, comma 4, c.p.p., ma che deve comunque intervenire, al più tardi, nel corso dell'udienza di discussione in appello.

Nella lettura congiunta dell'art. 597 c.p.p. e della disciplina transitoria di cui all'art. 95 d.lgs. n. 150/2022, alla stregua di tale orientamento, quindi, va data preferenza a tale ultima disposizione, che stabilisce espressamente l'applicabilità delle nuove pene sostitutive - in quanto più favorevoli - ai giudizi di appello in corso all'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, senza introdurre limitazioni attinenti alla fase - introduttiva o decisoria - del giudizio medesimo e, quindi, senza imporre che la richiesta sia contenuta nei motivi - originari o aggiunti - del gravame.

Tale interpretazione, oltre che risultare conforme al contenuto letterale della disposizione, si pone nella linea di favorire, in conformità con l'intentio legislatoris, la più ampia applicazione delle nuove pene sostitutive, ove il giudice di appello ritenga ne ricorrano i presupposti suindicati (cfr., tra le altre, Cass. pen., sez. VI, 24 ottobre 2023, n. 47674; Cass. pen., sez. IV, 29 novembre 2023, n. 636; Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio 2024, n. 10614; Cass. pen., sez. II, 1° marzo 2024, n. 12991).

Sembra sicuramente preferibile tale secondo orientamento, alla luce del favore netto che traspare dalla Riforma Cartabia e dal suo correttivo verso l'applicazione, più ampia possibile, delle pene sostitutive, a condizione, però, è bene precisarlo, che ci sia stata una richiesta da parte dell'imputato, perché, ove, invece, tale richiesta faccia difetto, non vi è alcun onere della Corte di Appello di pronunciarsi sul punto.

Relativamente alla fase a regime, di contro, la questione dovrà essere fatta valere in miniera specifica articolando un motivo di appello apposito.

Quindi, nulla quaestio per l'ipotesi, per così dire di scuola, in cui sia stata impugnata la decisione di primo grado con cui il giudice abbia motivato il diniego dell'applicazione di una pena sostitutiva ovvero abbia omesso di motivare nonostante la sollecitazione difensiva in tal senso e sia stata chiesta con il gravame l'applicazione di una pena sostitutiva.

È, invece, controverso se giudice di appello possa applicare la pena sostitutiva anche se l'atto di appello abbia investito solo il punto relativo alla pena e benché nello stesso non sia stata richiesta in modo specifico l'applicazione di una pena sostitutiva.

L'interpretazione più ampia muove, ancora una volta, dalla ratio legis, che, anche a seguito dell'inserimento nell'art. 598-bis c.p.p., a opera sempre del d.lgs. n. 31/2024, dei commi 1-bis e 4-bis, è nel senso di un favore netto verso l'applicazione, più ampia possibile, delle pene sostitutive e si fonda, in aggiunta, sull'assenza di un divieto normativo, sul carattere generale del potere discrezionale attribuito al giudice dall'art. 58 l. n. 689/1981 e sull'unitarietà del punto relativo alle varie componenti del trattamento sanzionatorio.

L'esegesi più restrittiva sostiene, invece, che non è possibile per il giudice di appello sostituire di ufficio le pene detentive brevi in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, dal momento che l'ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 597 comma 5, c.p.p., che costituiscono un'eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell'appello e che segnano anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire una pena detentiva previsto dall'art. 58 l. n. 689/1981, sulla base dei seguenti passaggi logico-giuridici, già affermati prima delle modifiche in materia di pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia, ma reputati tuttora pienamente validi ed efficaci: 1) l'art. 597 comma 5, c.p.p. è norma di stretta interpretazione, costituendo un'eccezione alla regola generale dell'effetto devolutivo fissata dal comma 1 dell'art. 597 c.p.p., eccezione per sua natura inapplicabile oltre i casi in essa considerati, ai sensi dell'art. 14 delle Preleggi; 2) le pene sostitutive non costituiscono un minus rispetto alla sospensione condizionale della pena, alla non menzione della condanna, al riconoscimento delle circostanze attenuanti e alla corretta formulazione del giudizio di comparazione, applicabili di ufficio ai sensi del comma 5 dell'art. 597 c.p.p., di talché, per il divieto di interpretazione estensiva o analogica delle norme eccezionali, non è possibile includere le pene sostitutive nell'elenco tassativo dei benefici concedibili ex officio dal giudice di secondo grado; 3) a diversa conclusione non può giungersi richiamando il criterio di adeguamento della pena al caso concreto, posto che, a ritenere che i poteri officiosi siano esercitabili nell'ambito delle statuizioni in tema di trattamento sanzionatorio lato sensu assimilabili a quelle espressamente previste, si aprirebbe la possibilità di un'inaccettabile estensione della deroga all'effetto devolutivo, tra l'altro in violazione delle norme sulla formalità delle impugnazioni; 4) la mancata menzione delle pene sostitutive tra i «benefici» concedibili di ufficio dal giudice di secondo grado risponde pure al principio riassumibile nell'espressione ubi lex noluit tacuit; 5) non può invocarsi la portata generale dell'art. 58 l. n. 689/81, che attribuisce al giudice il potere discrezionale di sostituire la pena detentiva, per pretendere di trarvi la conseguenza che lo stesso potere sia esercitabile dal giudice di secondo grado, ostandovi il dato testuale secondo cui quel potere va esercitato «nei limiti fissati dalla legge», il che significa non solo che esso non è esercitabile di ufficio in ogni stato e grado, ma anche che incontra un limite nel rispetto dell'ambito della cognizione del giudice di appello segnato dall'effetto devolutivo; 6) la natura di pene autonome delle pene sostitutive determina che il complesso delle questioni che attengono alla concessione delle stesse integra un «punto» della decisione, e cioè una statuizione suscettibile di autonoma valutazione e di autonoma impugnazione, distinto da quello relativo al trattamento sanzionatorio, con la conseguenza che il gravame relativo a quest'ultimo non si estende alle prime, sicchè attribuire carattere omnicomprensivo alla devoluzione del tema del trattamento sanzionatorio sembrerebbe distonico con il combinato disposto degli artt. 581 comma 1, lett. c), 591 comma 1, lett. c) e 597 comma 1, c.p.p., da cui si ricava il principio che la plena cognitio che caratterizza i poteri del giudice di appello si esercita nei limiti dei punti (oltre che dei capi) della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, accompagnati dalle specifiche indicazioni delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto alla base di ogni richiesta, pena l'inammissibilità dell'impugnazione (cfr. Cass. pen., sez. un., 19 gennaio 2017, n. 12872).

Sembra, però, preferibile tale secondo orientamento anche perché né la Riforma Cartabia né il suo decreto correttivo hanno toccato l'art. 597 comma 5, c.p.p., nel senso di prevedere che anche le pene sostitutive, insieme e accanto agli altri benefici ivi previsti, siano applicabili ex officio dal giudice di secondo grado, e, quindi, le considerazioni da ultimo espresse restano tuttora «in piedi».

A ciò va aggiunto che il d.lgs. n. 31/2024, laddove ha inserito nell'art. 598-bis c.p.p. i commi 1-bis e 4-bis ha avuto cura di precisare che resta «fermo» «quanto previsto dall'articolo 597» e si è limitato a disciplinare il momento in cui il consenso dell'imputato alla sostituzione può essere espresso.

I modi nei quali l'interessato deve attivarsi in sede di giudizio di appello, però, vanno necessariamente «ricalibrati» ove in tale sede si sia proceduto con rito cartolare.

In tale ultimo caso, nel caso cioè di giudizio di appello celebrato con trattazione cartolare, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all'applicabilità o meno delle pene sostitutive di cui all'art. 20-bis c.p., in base alla disciplina transitoria contenuta nell'art. 95 d.lgs. n. 150/2022, è necessaria una richiesta in tal senso dell'imputato da formulare con l'atto di gravame o, al più tardi, entro il termine perentorio di cinque giorni prima dell'udienza, previsto dall'art. 23-bis comma 2, d.l.n.137/2020, conv. con modificazioni in l.n.176/2020, per la presentazione delle proprie conclusioni scritte (cfr. Cass. pen., sez. VI, 10 novembre 2023, n. 2106).

Il giudice di secondo grado, poi, anche in difetto di una specifica doglianza, potrà interessarsi della sostituzione delle pene detentive brevi con le pene sostitutive nel caso del tutto peculiare, ora previsto dall'art 598-bis comma 4-ter, c.p.p., inserito dal d.lgs. n. 31/2024, il quale, come già detto, così recita: «Quando, per effetto della decisione sull'impugnazione, è applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni, la corte, se ritiene che ne ricorrano i presupposti, sostituisce la pena detentiva. Se è necessario acquisire il consenso dell'imputato, la corte deposita il dispositivo ai sensi del comma 1, quarto periodo, assegna all'imputato il termine perentorio di quindici giorni per esprimere il consenso e fissa udienza, non oltre trenta giorni, senza la partecipazione delle parti. In tal caso, il processo è sospeso. Se il consenso è acquisito, all'udienza la corte integra il dispositivo altrimenti lo conferma. In ogni caso, provvede al deposito ai sensi del comma 1, ultimo periodo. Quando, pur essendo acquisito il consenso, non è possibile decidere immediatamente, si applicano le disposizioni di cui al comma 1-bis, terzo e quarto periodo. I termini per il deposito della motivazione decorrono, ad ogni effetto di legge, dal deposito del dispositivo, confermato o integrato. Nei casi di udienza partecipata di cui ai commi 2, 3 e 4, si osservano le disposizioni dell'articolo 545-bis, in quanto applicabili».

Il giudice d'appello, parimenti, anche in difetto di una specifica doglianza, potrà interessarsi della sostituzione delle pene detentive brevi con le pene sostitutive nell'ulteriore caso in cui, nel riformare una decisione di proscioglimento, pronunci sentenza di condanna, nel quale caso è tenuto a valutare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle pene sostitutive di pene detentive brevi (cfr. Cass. pen., sez. II, 19 dicembre 2023, n. 2341).

Va, a questo punto, solo precisato che la questione circa l'applicabilità di una pena sostitutiva sottoposta al vaglio del giudice di primo grado potrà essere esaminata dal giudice d'appello anche nel caso in cui l'imputato non abbia inizialmente prestato il consenso, dal momento che non vi è alcuna disposizione che preveda decadenze, preclusioni, irrevocabilità-irretrattabilità del dissenso-consenso.

In conclusione

È ancora presto per fare bilanci.

    

Sicuramente, però, può dirsi che serve un cambiamento di mentalità e più precisamente una vera e propria rivoluzione culturale per dare impulso all'impianto riformatore e per trarre da quest'ultimo tutte le sue effettive potenzialità.

Nella determinazione del trattamento sanzionatorio, un trattamento sanzionatorio il più possibile «cucito su misura» dell'imputato, il giudice non può (più) operare da solo, ma deve procedere con l'aiuto delle parti e degli uffici penali di esecuzione esterna.

    

I risultati saranno tanto più importanti quanto più il momento sia partecipato, anche dall'imputato e dal suo difensore.

    

Del resto, in questa direzione si sono mossi i numerosi protocolli che sono stati stilati presso diversi uffici giudiziari per regolare la procedura di sostituzione delle pene detentive brevi d'intesa tra magistratura giudicante, magistratura requirente, avvocatura, cancellerie e UEPE, che costituiscono il frutto di un confronto fattivo tra i diversi operatori del diretto coinvolti nel procedimento applicativo delle pene detentive brevi, con lo scopo di delineare soluzioni procedurali e organizzative il più possibile condivise, al fine di semplificare il procedimento applicativo delle nuove pene e, dunque, di favorirne l'adozione.

    

Solo dando impulso alle pene detentive brevi e sottolineando la centralità del sistema delle pene sostitutive potrà raggiungersi l'obiettivo perseguito di tracciare un confine tra una penalità a bassa intensità, nella quale è possibile un'espiazione integralmente extra-carceraria e una penalità ad alta intensità, nella quale l'ingresso in carcere, salvo casi eccezionali (età, figli minori, percorsi terapeutici, salute), rimane obbligatorio.

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