La natura supercondominiale del porticato nel complesso residenziale

14 Agosto 2024

Non è richiesta l'originaria appartenenza del bene in Supercondominio al medesimo proprietario dei vari condomini che ne usufruiscono, ben potendosi configurare la predetta natura supercondominiale proprio in funzione del vincolo di asservimento del cespite a diversi edifici.

Il caso

La società beta, proprietaria esclusiva di alcune aree contigue a tre edifici di un complesso (X, Y, e Z), esercitava in relazione ad una porzione del porticato a servizio dei predetti edifici, l'actio negatoria servitutis, evocando in giudizio uno dei tre citati edifici (condominio Y) invocando una sentenza di condanna dello stesso a rimuovere un pozzetto di raccolta delle acque piovane realizzato all'interno del porticato oggetto di causa ed al relativo ripristino.

A seguito di rigetto della domanda, nel successivo grado di giudizio, la Corte territoriale dichiarava inammissibile l'intervento spiegato dai condomini del condominio convenuto, e confermava nel resto la statuizione di rigetto della actio negatoria servitutis. Per giungere a tale conclusione, la Corte di merito ravvisava la natura supercondominiale del bene oggetto di causa.

Avverso il provvedimento in esame, tra i vari motivi, la società ricorrente proponeva ricorso in cassazione contestando la natura supercondominiale.

La costituzione del Supercondominio

Per l'esistenza di un supercondominio non occorre un atto formale, ma è sufficiente che taluni beni vengano di fatto destinati a servizio di diversi edifici, a loro volta costituiti in condominio.

Difatti, al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e ss. c.c., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno di approvazioni assembleari, essendo sufficiente che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, pro quota, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati.

Il porticato del Supercondominio

Nella vicenda in commento, la natura supercondominiale del porticato derivava dai regolamenti dei vari condominii costituiti in relazione ai tre edifici facenti parte del complesso. Dalla documentazione in esame, difatti, era prevista la destinazione all'uso comune ed al transito a favore di tutti i caseggiati, al di là di una precisazione, contenuta nel solo regolamento del condominio Y, che non poteva condurre ad ipotizzare la possibilità che il medesimo bene costituisse, al contempo, bene comune per i partecipanti di uno solo condominio.

Per meglio dire, la riserva di proprietà operata, nei primi atti di cessione, dagli originari costruttori del complesso immobiliare oggetto di causa, riguardava soltanto “il piano terreno” e non anche il porticato esterno, e doveva quindi essere interpretata come riferita ai soli spazi interni al piano terra, e non anche alle aree esterne agli edifici. In base ai regolamenti condominiali dei tre edifici costituenti l'unico complesso denominato, era previsto che il porticato “delimitato e piastrellato ad uso marciapiedi, o sistemato a zona verde”, riguardava l'unitaria area, denominata “porticato”, in quanto destinata al transito a servizio di tutti e tre gli edifici costituenti il complesso residenziale, da ciò la natura supercondominiale.

Esclusione del diritto di servitù

Conformemente al ragionamento dei giudici di merito, la Corte di Cassazione ha escluso che, nella specie, poteva configurarsi un diritto di servitù, ravvisando la natura supercondominiale delle aree di cui è causa, e dunque l'esistenza, su di esse, di una comunione tra i diversi condominii compresi nell'unitario complesso.

Difatti, una volta configurato il diritto di comunione sul cespite, la sua utilizzazione soggiace alle norme in tema di comunione, nei limiti di quanto previsto dall'art. 1102 c.c., onde il comproprietario non è tenuto a fornire alcuna dimostrazione ulteriore rispetto a quella del suo diritto di comunione sulla res.  Inoltre non è possibile ipotizzare l'esistenza di un diritto di servitù a carico di un bene comune, a favore di un diverso bene di proprietà individuale di uno dei contitolari del fondo preteso servente, in funzione del principio del nemini res sua servit, e del fatto che il comproprietario ha comunque diritto di utilizzare la cosa comune nel rispetto delle norme in tema di comunione, e dunque nei limiti previsti dall'art. 1102 c.c.

In conclusione, il ricorso della società è stato rigettato.

(tratto da: dirittoegiustizia.it)

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