Istruzione in carcere e trattamento rieducativo

Lorenzo Cattelan
09 Settembre 2024

La valorizzazione dell'istruzione quale strumento di risocializzazione è dimostrata dal suo inserimento – accanto al lavoro, alla religione e alle attività culturali, ricreative e sportive – fra gli interventi attraverso i quali si attua “principalmente” il trattamento rieducativo.

Inquadramento

A tal riguardo, mentre l'istruzione è impartita da professionisti del sapere, «la cultura può anche essere autogestita; ma la cultura è eventuale, disorganica, frammentaria, passibile di essere interrotta ad libitum, mentre l'istruzione è curata secondo gli ordinamento vigenti, attraverso il canonico flusso di conoscenze dal docente al discente» (Fassone).

L'istruzione non è dunque un fattore che ambisce da solo all'opera rieducativa: gli elementi contemplati dall'art. 15 ord. penit. si inseriscono infatti in una visione più ampia del trattamento rieducativo (basti pensare, in questo senso, all'importanza dell'interazione con la società esterna e con il contesto affettivo di appartenenza).

Rispetto agli imputati e alla possibilità che anch'essi possano essere ammessi alle attività trattamentali l'art. 43 comma 3 reg. esec. prevede che «a tali corsi sono ammessi detenuti ed internati che debbano permanere in esecuzione della misura privativa della libertà per un periodo di tempo non inferiore ad un anno scolastico». La norma sembra così precludere di fatto il diritto allo studio a coloro che siano in attesa di giudizio, al fine di investire su coloro che abbiano la prospettiva di raggiungere un obiettivo (attestato, diploma, laurea). Nonostante il dato letterale, tuttavia, si tende a privilegiare la prospettiva di cui all'art. 15 comma 3 ord. penit. secondo cui l'imputato ha libertà di scelta in ordine alla partecipazione alle attività trattamentali. Qualora intenda beneficiarne, cioè, lo stesso imputato deve avanzare espressa richiesta.

In generale, quindi, la normativa vigente implica che l'accesso ad un percorso di studio sia rimesso alla libera scelta del detenuto (definitivo o meno), ma che a tale facoltà corrisponda l'obbligatorietà in capo ai pubblici poteri, in particolare all'amministrazione penitenziaria, di assicurare ai soggetti ristretti la possibilità di istruirsi.

Nel regolamento carcerario del 1931 era contenuto il preciso obbligo per condannati ed internati di frequentare la scuola e l'atteggiamento del detenuto rispetto a tale imposizione era associato anche a ricompense o punizioni. Nella stessa linea si ponevano le “regole minime per il trattamento dei detenuti” adottate dall'ONU nel 1955 che, all'art. 77 n. 1, qualificavano come inderogabile l'istruzione di analfabeti e giovani. Una linea più morbida è invece adottata dalle “regole penitenziarie europee” del 1987 che utilizzano la forma condizionale per definire l'impegno richiesto all'amministrazione per lo sforzo istruttivo. In questa prospettiva, si inserisce la legge n. 354/1975, a detta della quale i detenuti rimangono liberi di scegliere se fruire o meno delle attività formative. Così, «non è più il detenuto obbligato a ricevere l'istruzione, ma l'amministrazione penitenziaria a profondere l'impegno necessario per assicurare al detenuto la possibilità di istruirsi» (Ruotolo).

Ci si è interrogati sulle ragioni di questo cambio di prospettiva. Si ritiene, in particolare, che l'inversione di tendenza sia volta da un lato a responsabilizzare il detenuto e, dall'altro, a recidere il semplicistico legame tra ignoranza e criminalità (con la conseguenza di negare il valore anti-criminogeno dell'istruzione di per sé sola considerata). Ad ogni buon conto, giova precisare che la facoltatività dell'adesione alla proposta formativa non legittima l'amministrazione a serbare un atteggiamento indifferente, dal momento che «compete agli operatori penitenziari il dovere di motivare i soggetti a beneficiare dei relativi vantaggi» (Di Gennaro-Breda-La Greca).

I giovani adulti, ossia gli infra-venticinquenni, ricevono poi una “particolare cura” nella loro formazione culturale e professionale ai sensi dell'art. 19, comma 2, ord. penit. e dell'art. 23.8 reg. pen. eur. Studi legati allo sviluppo della fase evolutiva hanno infatti evidenziato che questi individui si trovano ancora in una fase adolescenziale (pur in procinto di conclusione), il che li rende protagonisti di un'attenzione ancor più sensibile.

Rispetto agli stimoli forniti dall'ordinamento penitenziario in relazione alle attività d'istruzione:

  •  gli artt. 46 comma 6 e 44 comma 3 reg. esec. prevedono l'esonero dal lavoro, che può essere eventuale oppure automatico a seconda del tipo di corso frequentato;
  • l'art. 43 comma 4 reg. esec. prevede una forma di assistenza scolastica sussidiaria per coloro che, in possesso del titolo di studio, intendano proseguire un corso di istruzione superiore non organizzabile all'interno dell'istituto;
  • l'art. 48 ord. penit. prevede che la semilibertà possa esser concessa per consentire la partecipazione ad attività istruttive;
  • l'art. 54 ord. penit., in punto di liberazione anticipata, contempla tra gli indici utili ad una positiva valutazione del semestre l'impegno dimostrato dal condannato o internato nel trarre profitto dalle opportunità offertegli nel corso del trattamento (v. art. 103 comma 2 reg. esec.);
  • l'art. 76 comma 1 lett. b) contempla la possibilità di assegnare delle ricompense ai ristretti che si siano distinti per particolare impegno e profitto nei corsi scolastici e di addestramento professionale;
  • l'art. 45 reg. esec. prevede infine dei sostegni economici diretti a sostenere la frequenza ai corsi di istruzione. Si tratta sia di rimborsi delle spese sostenute per tasse, contributi scolastici e libri di testo (comma 4) sia di premi di rendimento (comma 6), sussidi (comma 3) e mercede.

La formazione scolastica

L'importanza che il legislatore riserva al ruolo dell'istruzione dei detenuti deriva dalla convinzione che la formazione sia anche occasione di arricchimento complessivo della personalità dell'individuo e che quindi sia in grado di fornire al detenuto un substrato culturale che agevoli il suo ritorno in società.

Ad ogni modo, l'art. 19 ord. penit. utilizza il termine “istruzione” per riferirsi tanto alla formazione culturale quanto a quella professionale (c.d. avviamento al lavoro).

L'apprendimento deve avvenire in conformità agli “ordinamenti vigenti” (art. 19, commi 1 e 3, ord. penit.). Pertanto, i corsi istituiti all'interno degli istituti di pena non sono soggetti ad una disciplina speciale o differenziale. In linea di principio, cioè, i modelli formativi proposti all'interno delle mura penitenziarie devono adeguarsi ai programmi che si svolgono ordinariamente all'esterno [Di Gennaro-Breda-La Greca]. D'altronde, l'art. 34 Cost. prevede che l'istruzione dell'obbligo deve essere accessibile a chiunque e l'art. 41, comma 4, reg. esec., in questo senso, favorisce la più ampia partecipazione possibile al ciclo formativo di base. L'istituzione di corsi di istruzione superiore è invece rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione mentre la possibilità di accedere a studi universitari è solo “agevolato” ai sensi dell'art. 19, comma 4, ord. penit.

Gli operatori penitenziari, tuttavia, non sfuggono di far notare come la riproposizione dell'organizzazione e dei programmi della scuola dell'obbligo all'interno delle carceri sconta il difetto di offrire ad un'utenza adulta un tipo di formazione calibrata su studenti in fase di pre-adolescenza. Ecco, dunque, che le scuole elementari carcerarie” vengono assimilate alle “altre scuole per adulti ai sensi della circolare n. 484642/11-6 del 14 luglio 1976. Ciò consente di organizzare corsi caratterizzati da adattabilità e flessibilità; fattori, questi, indispensabili alla luce della significativa eterogeneità dell'utenza e della diversa durata della pena che ciascun detenuto deve espiare.

Il regolamento carcerario del 1931 prevedeva che l'istruzione ai reclusi venisse impartita “da benemeriti funzionari o cappellani degli stessi istituti”. Diversamente, oggi è il Ministero dell'Istruzione e del merito, d'intesa col Ministero della Giustizia, che impartisce direttive per l'organizzazione dei corsi della scuola dell'obbligo e provvede, su richiesta dell'amministrazione penitenziaria, ad istituire presso determinati istituti apposite succursali di scuole d'istruzione secondaria di secondo grado (art. 43, comma 1, reg. esec.). Lo svolgimento ed il coordinamento di questi avvengono sulla base di protocolli d'intesa tra i richiamati Ministeri. Il PRAP, di concerto con l'ufficio scolastico regionale, ha il compito di individuare e dislocare il tipo di corsi da istituire nell'ambito del provveditorato, tenendo conto delle richieste provenienti dai dirigenti scolastici e dalle direzioni degli istituti e delle esigenze della popolazione detenuta (art. 41, comma 2, ord. penit.). Compete quindi all'amministrazione scolastica curare l'organizzazione didattica e lo svolgimento dei corsi. L'amministrazione penitenziaria, invece, ha il compito di fornire locali e attrezzature idonee (art. 41, comma 3, ord. penit.).

L'accademia universitaria, poi, coopera per consentire ai detenuti di sostenere gli esami (art. 44, comma 2, reg. esec.) mentre la regione è tenuta ad organizzare corsi di addestramento professionale (art. 42, comma 1, reg. esec.).

Nell'ottica di offrire maggiori opportunità di intraprendere studi di livello accademico, si sono istituiti in molte regioni i Poli universitari penitenziari. Si tratta, in particolare, di esperienze realizzate grazie a protocolli d'intesa tra il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (DAP) e/o i Provveditorati Regionali dell'Amministrazione penitenziaria (PRAP) e le diverse sedi universitarie del territorio.

Particolarmente rilevante, infine, è il supporto dei volontari della comunità esterna che, ai sensi dell'art. 78 ord. penit., si inseriscono in questo contesto per rinforzare il supporto pedagogico e formativo fornito dalle istituzioni.

I centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti

Nel contesto sin qui descritto è intervenuto il d.m. 12 marzo 2015, con cui sono state definite le indicazioni per il passaggio al nuovo ordinamento dell'istruzione degli adulti, a norma dell'art. 11 comma 10 d.P.R. 29 ottobre 2012 n. 263, che ha introdotto importanti cambiamenti nell'assetto organizzativo e didattico. Nel dettaglio, i percorsi di scuola primaria e di certificazione linguistica (percorsi di primo livello) vengono assegnati alla competenza dei Centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti (CPIA). I percorsi di istruzione secondaria (percorsi di secondo livello), invece, sono realizzati mediante specifici accordi con le istituzioni scolastiche di secondo grado.

Nell'ambito della loro autonomia e nei limiti delle risorse disponibili i CPIA possono, inoltre, ampliare l'offerta formativa mediante accordi con le Regioni, gli Enti locali ed i soggetti pubblici/privati, in particolare con le strutture formative accreditate dalle Regioni.

Come riportato nella scheda informativa illustrata nel sito del Ministero della Giustizia, i Percorsi di istruzione di primo livello sono articolati in due periodi didattici e finalizzati:

  • al conseguimento, al termine del primo periodo didattico (della durata di 400 ore che possono essere incrementate con ulteriori 200 ore in assenza della certificazione conclusiva della scuola primaria), del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione (ex licenza media inferiore);
  • al conseguimento, al termine del secondo periodo didattico (della durata di 825 ore) della certificazione attestante l'acquisizione delle competenze di base connesse all'obbligo di istruzione di cui al d.m. 139/07 relative alle attività ed agli insegnamenti generali comuni a tutti gli indirizzi degli istituti professionali e tecnici (biennio dei citati corsi di scuola media superiore).

     

Per l'utenza straniera il nuovo assetto didattico prevede lo svolgimento di percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana, finalizzati al conseguimento di una certificazione attestante il raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2 del Quadro comune europeo (art. 4, comma 1, lett. c del Regolamento). La loro durata è di 200 ore, di cui 20 da destinare ad attività di accoglienza, orientamento ed eventuale rinforzo per consentire agli allievi stranieri di fruire efficacemente del corso di studi.

Percorsi di secondo livello sono articolati in tre periodi didattici:

  1. primo periodo didattico finalizzato all'acquisizione della certificazione per l'ammissione al secondo biennio del liceo artistico e/o dei percorsi degli istituti tecnici o professionali, in relazione all'indirizzo scelto dallo studente;
  2. secondo periodo didattico finalizzato all'acquisizione della certificazione per l'ammissione all'ultimo anno del liceo artistico e/o dei percorsi degli istituti tecnici o professionali, in relazione all'indirizzo scelto dallo studente;
  3. terzo periodo didattico finalizzato all'acquisizione del diploma di liceo artistico e/o di istruzione tecnica o professionale, in relazione all'indirizzo scelto dallo studente.

     

Il nuovo sistema intende quindi valorizzare il patrimonio culturale e professionale della persona, mediante la ricostruzione della storia individuale ed il riconoscimento delle competenze acquisite dal singolo. I percorsi di istruzione sono per questo organizzati in modo tale da consentire la personalizzazione dell'iter formativo in base ad un Patto formativo individuale, la cui definizione spetta alla Commissione didattica di cui all'art. 40, comma 6, reg. esec.

L'individualizzazione del patto formativo, ad ogni modo, presuppone la conoscenza da parte dei docenti delle peculiarità del percorso scolastico in carcere. Ecco, dunque, che il Protocollo d'Intesa tra il Ministero dell'Istruzione e il Ministero della Giustizia firmato il 19 ottobre 2020, all'art. 2 comma 1 lettera i), impegna il Ministero dell'Istruzione (oggi Ministero dell'Istruzione e del Merito) e il Ministero della Giustizia a «promuovere attività specifiche di aggiornamento e formazione congiunta del personale dei Centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti (unità amministrativa e unità didattica) dell'Amministrazione penitenziaria e della Giustizia minorile e di comunità su temi di comune interesse, al fine di favorire e diffondere la condivisione di valori e comportamenti professionali coerenti sia con le finalità dei percorsi di istruzione in carcere sia i bisogni formativi dell'utenza».

Possesso di libri in camera di pernottamento: diritto o concessione?

Come noto, durante l'espiazione della pena carceraria i detenuti continuano a godere di tutti i diritti e libertà fondamentali, con la sola eccezione della libertà personale (ex plurimis v. C. cost., 24 gennaio 2017, n. 20; C. cost., 18 ottobre 1996, n. 351; C. cost., 28 luglio 1993, n. 349; Corte EDU, 28 giugno 1984, Campbell e Fell c. Regno Unito, § 69).

Riguardo alla possibilità per il detenuto di trattenere presso la camera di pernottamento dei testi (anche scolastici), vige la regola generale di cui all'art. 18, comma 6, ord. penit., a norma del quale «[i] detenuti e gli internati sono autorizzati a tenere presso di sé i quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita all'esterno e ad avvalersi di altri mezzi di informazione». L'art. 40 reg. esec., poi, stabilisce che i medesimi soggetti possono utilizzare apparecchi radiofonici personali e possono essere autorizzati a disporre di personal computer e di lettori di supporti digitali, qualora tali dispositivi siano necessari a fini di studio o di lavoro.

Un limite alla ricezione della stampa si rinviene nell'art. 18-ter ord. penit., il quale prevede che tale diritto possa essere temporaneamente compresso dal giudice con provvedimento motivato, nel caso in cui sussistano esigenze di indagine o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine della struttura penitenziaria.

Riguardo alla natura della posizione giuridica vantata dal detenuto rispetto alla conservazione nella propria camera di pernottamento di libri e testi scolastici appare rilevante citare la circolare DAP n. 434055 del 16 novembre 2011. Tale fonte normativa, oltre a prevedere per i detenuti soggetti al regime di cui all'art. 41-bis ord. penit. che «qualsiasi tipo di stampa autorizzata (quotidiani, riviste, libri) deve essere acquistato esclusivamente nell'ambito dell'istituto penitenziario», anticipa l'emissione di «opportune disposizioni affinché i reclusi non abbiano la possibilità di accumulare all'interno della camera detentiva un numero eccessivo di testi, anche al fine di agevolare le operazioni di perquisizione ordinaria», ribadendo «la necessità di evitare scambi di riviste o libri tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità». Il tenore letterale di tale disposizione di rango secondario pare proprio qualificare il possesso dei libri da parte del detenuto come una mera aspettativa, suscettibile di essere soddisfatta solo con l'intermediazione favorevole del pubblico potere. Il detenuto, cioè, non avrebbe il diritto di trattenere a piacimento testi (pur scolastici) presso la propria camera di pernottamento, essendo tale possibilità rimessa ad una concessione dell'amministrazione penitenziaria. Sin da subito la formulazione di tale norma è apparsa incostituzionale, ponendo un irragionevole limite allo studio che l'art. 34 Cost., ancor prima della legge 26 luglio 1975 n. 354, qualifica come “diritto” per tutti i consociati. Ad ogni modo, complice anche il dibattito sorto a seguito della pubblicazione della circolare, non sono state pubblicate le “opportune disposizioni” che avrebbero dovuto limitare le occasioni di lettura da parte del detenuto. Pare, così, risolta la questione che conduce a riconoscere un vero e proprio diritto del detenuto a poter approfondire lo studio individuale mediante la consultazione di libri anche all'interno della assegnata camera di pernottamento.

Peraltro, le occasioni di lettura e approfondimento formativo sono valorizzate anche dagli artt. 12 e 18, comma 6, ord. penit. in cui si favorisce l'accesso alle pubblicazioni della biblioteca. La Direzione del carcere, poi, ha il compito di curare l'effettiva attuazione di questa disposizione, anche attraverso la stipula di intese con biblioteche del luogo in cui è situato l'istituto penitenziario. L'art. 21, comma 2, reg. esec. prevede inoltre che i testi a disposizione della biblioteca siano selezionati in modo tale da rispettare il pluralismo esistente nella società esterna (cui si collega il principio della libera scelta delle letture). Alla luce della eterogeneità della popolazione detenuta dovrebbero essere adottati testi che tengano in considerazione anche la diversità linguistica dei soggetti reclusi, in modo da stimolare il pensiero e la cultura di ciascun detenuto (straniero o italiano). Sempre al fine di rendere propositivo il percorso rieducativo, un numero sempre maggiore di istituti di pena sta provvedendo a formare dei gruppi (composti anche da detenuti) volti a suggerire le scelte dei volumi da acquistare.

Vale solo la pena segnalare, in conclusione, un'esperienza di diritto latino-americano in cui non solo il possesso e la lettura di libri è considerato un diritto ma è incentivato da un istituto premiante. In Brasile, Stato con un altissimo tasso di sovraffollamento carcerario, il reembolso atraves da leitura consente la riduzione di quattro giorni di pena, fino ad un massimo di quarantotto giorni all'anno, ad ogni condannato che dimostri di avere letto un libro. Questo dimostra ancor di più come la pratica effettiva della lettura sia considerata incisiva e di particolare impulso per un'autentica riflessione rieducativa del detenuto.

L'accesso a internet da parte degli studenti detenuti

Rispetto agli studenti detenuti si è posta la questione dell'accesso alla rete internet, strumento capace di fornire agli utenti servizi scolastici, fonti di consultazione e di insegnamento on line con le stesse modalità offerte agli studenti liberi nell'attuale sistema scolastico, universitario e della formazione.

L'ordinamento penitenziario vigente nulla dispone nello specifico. A ben vedere, infatti, l'art. 40 reg. esec. contempla la possibilità di tenere ed utilizzare personal computers, lettori di nastri e di compact disk portatili per motivi di studio e lavoro sia nella cella sia nelle sale comuni, con l'autorizzazione del Direttore. L'accesso a internet non è dunque citato dalla norma e, anzi, circolari del DAP degli anni 2000 lo vietavano espressamente, ritenendo che «il collegamento con l'esterno potrebbe rivelarsi pregiudizievole per la sicurezza dell'istituto».

Le Regole penitenziarie europee del 2006 (reg. 5, 6, 26 e 28) hanno riaffermato l'importanza che il trattamento dei detenuti si avvicini il più possibile alle condizioni di vita, di organizzazione del lavoro e di studio delle persone libere. In questo senso, dall'esperienza francese emerge che l'accesso dei detenuti ad internet è autorizzato anche se prevalentemente con delle restrizioni e che esistono diverse soluzioni tecnologiche per garantire un collegamento mirato e controllato, in modo da favorire il lavoro, lo studio, l'accesso ai servizi amministrativi, come anche i colloqui in video e la corrispondenza via e-mail senza con questo inficiare la sicurezza degli istituti.

Nella stessa prospettiva si pone anche il Parere reso dall'Ufficio Studi, ricerche, legislazione e rapporti internazionali del Ministero della Giustizia nel 2015, a detta del quale un sistema penitenziario moderno, rispettoso dei diritti fondamentali quali istruzione, lavoro, accesso alla informazione, alla amministrazione pubblica e della giustizia, seriamente intenzionato a facilitare i percorsi di integrazione sociale e quindi la prevenzione della recidiva, possa e debba trovare le soluzioni tecniche ed organizzative per avvicinare la vita del detenuto a quella del cittadino nella società libera per ciò che attiene alle opportunità di studio e lavoro.

Così, si è stabilito che la necessità dei controlli non deve inficiare la produttività del lavoro e la regolarità degli studi, soprattutto per i detenuti in regime di media sicurezza che, sottoposti a vigilanza dinamica, richiedono una conoscenza diretta da parte degli operatori, fondata sulla loro assunzione di responsabilità e sulla osservazione da parte dell'equipe. A partire dalla scuola dell'infanzia, i soggetti e gli attori sociali utilizzano ed impongono la conoscenza e l'uso di internet e delle ICT sia nel settore pubblico che nel privato, con limitazioni che ad oggi riguardano prevalentemente il rischio di abusi, la commissione di reati, la tutela della privacy ed il rispetto delle regole tecniche stabilite dal codice dell'amministrazione digitale. Le condizioni di vita, studio e lavoro seguono infatti uno sviluppo tecnologico da cui la popolazione detenuta rischia di trovarsi completamente avulsa una volta eseguita la pena. 

Si è così giunti alla Circolare DAP n. 366755 del 2 novembre 2015, a detta della quale:

  • «i detenuti e gli internati possono accedere ad internet solo nelle sale comuni dedicale alle attività trattamentali, con esclusione quindi delle stanze di pernottamento, per consentire un agevole controllo da parte degli operatori;
  • la navigazione è consentita verso siti selezionati, in funzione delle esigenze legate ai percorsi trattamentali individuali, sulla base delle convenzioni/accordi stipulati con i soggetti esterni che offrono opportunità trattamentali. Tali convenzioni devono prevedere in ogni caso modalità di accesso guidale e sicure verso i siti previsti nella convenzione stessa:
  • è consigliabile la presenza di un tutor di sostegno durante le attività, adeguatamente formato dagli operatori specializzati presenti in tutti i Provveditorati Regionali:
  • i controlli sull'hardware, sui software e sulla navigazione devono essere garantiti periodicamente, mediante apposita regolamentazione da parte della Direzione dell'istituto, senza inficiare la produttività del lavoro e la regolarità dei percorsi di studio;
  • l'accesso deve essere effettuato su rete separata rispetto a quella dell'istituto, esclusivamente mediante collegamento via cavo, escludendo wireless, bluetooth e dispositivi USB;
  • l'accesso ad Internet è consentito di regola nei circuiti a custodia attenuala e Media Sicurezza. Per i detenuti appartenenti al circuito Alta Sicurezza o sottoposti a regimi particolari, le Direzioni devono considerare caso per caso le particolari ragioni ed i benefici attesi secondo il progetto d'Istituto ed il programma di trattamento individualizzato, dandone comunicazione al competente Ufficio III della Direzione Generale Detenuti e Trattamento per eventuali osservazioni;
  • non è consentito l'accesso ad Internet ai detenuti sottoposti al regime ex art. 41-bis ord. penit.;
  • i soggetti pubblici e privati (istituzioni, professionisti, imprese e cooperative, università e scuole. Enti locali e terzo settore) che offrono ai detenuti opportunità trattamentali che prevedono l'utilizzo di Internet devono essere informati sulle modalità individuate, ai fini di una verifica sul piano della funzionalità, compatibilità dei sistemi ed essere inoltre informati degli eventuali oneri di spesa;
  • la Direzione dell'Istituto deve assumere tutte le informazioni ed espletare tutte le verifiche sull'affidabilità dei soggetti esterni e dei detenuti ammessi al percorso, richiamando nei contratti, accordi, protocolli d'intesa e altri atti convenzionali, gli obblighi relativi al rispetto delle regole tecniche per l'utilizzo sicuro di Internet, l'obbligo di segnalare alla Direzione l'eventuale trasmissione di contenuti non consentiti e accettazione di controlli a campione o in casi sospetti;
  • qualora i controlli dessero esito positivo, verrà trasmessa tempestivamente una segnalazione al Magistrato di Sorveglianza e/o all'Autorità giudiziaria competente, con la proposta di censura, applicando per analogia l'art. 18-ter ord. penit. relativo alla corrispondenza postale e telegrafica, con le conseguenze e i provvedimenti del caso sia nei confronti del detenuto, sia del soggetto esterno, compresa la risoluzione unilaterale del contratto e/o accordo».

Riferimenti

  • Della Casa-Giostra, Ordinamento penitenziario commentato, Padova, 2019;
  • Di Gennaro-Breda-La Greca, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997;
  • Fassone, in Grevi, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 1981;
  • Flick, i diritti dei detenuti nel sistema costituzionale fra speranza e delusione, in Cassazione Penale, fasc. 4, 1° aprile 2018, pag. 1047;
  • Milani, Il diritto allo studio in carcere: riflessioni sull'effettività della tutela giurisdizionale, in Giur. merito, fasc.7-8, 2010, pag. 1932;
  • Ruotolo, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002.

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