Responsabilità civile
RIDARE

Agosto 2024: liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale e diritto al risarcimento del danno c.d. lungolatente

La Redazione
02 Settembre 2024

Nel mese di agosto 2024, la Suprema Corte si è occupata tra gli altri, di questi temi: responsabilità sanitaria e liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, diritto al risarcimento del danno c.d. lungolatente ai fini della sua quantificazione e danni in conseguenza di incidente stradale con coinvolgimento di veicolo non assicurato.

Danni da fumo passivo nel luogo di lavoro: accertamento del nesso causale

Cass. civ., sez. lav., 1° agosto 2024, n. 21714

In tema di accertamento del nesso causale nella responsabilità civile, il giudice deve applicare i criteri della "probabilità prevalente" e del "più probabile che non" per accertare se un evento è da considerarsi causato da un altro e se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo. Pertanto, è necessario eliminare le ipotesi meno probabili, analizzare le rimanenti ipotesi più probabili e scegliere quella che abbia ricevuto il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto. Inoltre, per rilevare il nesso di causalità, occorre che la condotta sia antecedente necessaria dell'evento e che non sia neutralizzata da un fatto successivo idoneo a determinare l'evento stesso. (Nel caso specifico la lavoratrice lamentava l'insorgere e l'aggravarsi di alcune patologie a seguito dell'esposizione al fumo passivo subito nel luogo di lavoro. Per la Corte d'Appello che riformava la sentenza di primo grado, non era stata raggiunta la prova del danno causale tra il lamentato danno alla salute e la nocività dell'ambiente di lavoro).

Responsabilità sanitaria e liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale

Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2024, n. 22899

La madre di un bambino, nato morto in ospedale a causa della mancata esecuzione del taglio cesareo, veniva risarcita in secondo grado di euro 140mila, detratto quanto eventualmente già corrisposto dall'importo. Ricorreva in Cassazione sottolineando che la liquidazione effettuata dai giudici di appello fosse inadeguata, non consentisse «il ristoro integrale del danno non patrimoniale», non indicasse «i parametri e i criteri utilizzati».

In materia di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale «la lesione va calcolata in ragione della qualità e quantità della relazione affettiva con la persona perduta che, nella peculiarità del caso in esame, trattandosi di un figlio nato morto, tale relazione è solo potenziale (Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2015, n. 12717) e affermando, pertanto, che tra la madre e il figlio ancora in grembo si instauri comunque un rapporto affettivo che si rafforza nel corso della gravidanza, ragion per cui i criteri tabellari possono costituire ad ogni modo un punto di partenza per la liquidazione, pur sempre equitativa, del danno non patrimoniale subito dalla madre». (Nel caso de quo, la Corte di Appello, tuttavia, al momento della liquidazione, pur accennando alle peculiari circostanze della vicenda come «altamente drammatiche» ha liquidato la somma senza dare conto del percorso logico-giuridico seguito con riferimento specifico ai parametri e ai criteri utilizzati per giungere ad indicare il complessivo importo liquidato).

Risarcimento non riconosciuto al padre per il suicidio del figlio

Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2024, n. 22970

Non è attribuibile efficienza causale al “silenzio clinico” laddove riscontrato, come nel caso in esame, se emerge un quadro clinico stazionario e l'assenza di rischio suicidario. Nel caso in questione (un padre chiedeva il risarcimento per i danni non patrimoniali patiti in seguito alla morte del figlio, suicidatosi durante la detenzione presso un ospedale psichiatrico giudiziario) è stato inoltre sottolineato «il difetto di efficienza causale rispetto a generici addebiti di carenze organizzative che il CTU afferma apoditticamente derivare dalla circostanza che sia stato possibile il verificarsi dell'evento suicidario in ora diurna».

Quando nasce il diritto al risarcimento del danno c.d. lungolatente ai fini della sua quantificazione?

Cass. civ., sez. III, 22 agosto 2024 n. 23030

In caso di danno c.d. lungolatente, quale tipicamente quello del caso in esame, il diritto al risarcimento del danno biologico sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell'infezione, in quanto esso non consiste nella semplice lesione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona, sicché, in mancanza di dette conseguenze, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno in re ipsa, privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica tra evento ed effetti dannosi. 

Nel caso in esame, una donna veniva risarcita dei danni patiti per una trasfusione di sangue ospedaliera, in seguito alla quale aveva contratto l'epatite C, HCV correlata. Il Ministero della Salute ricorreva in Cassazione adducendo che la Corte d'appello avesse erroneamente ancorato la quantificazione del risarcimento all'età della vittima al momento del contagio e non, in coerenza con i principi afferenti al regime prescrizionale dei danni lungolatenti, al momento della stabilizzazione, manifestazione e percezione della malattia.

Danni in conseguenza di incidente stradale con coinvolgimento di veicolo non assicurato e assolvimento dell'onere probatorio

Cass. civ., sez. III, 23 agosto 2024 n. 23055

L'allora attore Tizio attribuiva la responsabilità esclusiva del sinistro al conducente del ciclomotore risultato sprovvisto di copertura assicurativa donde la citazione in giudizio di Assicurazioni Generali in qualità di impresa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada. La decisione di primo grado che riconosceva il risarcimento a favore di Tizio, veniva riformata totalmente dalla Corte di Appello che nell'affermare che parte attrice non aveva assolto compiutamente l'onere probatorio su di essa gravante ex art. 2697 c.c. in ordine al “fatto storico in questione”, avrebbe violato - secondo i ricorrenti (eredi dell'originario proponente domanda risarcitoria) - il principio tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c. La Corte ritiene inammissibile il ricorso.

Nel caso in questione, la sentenza impugnata «ha ritenuto "non provato il fatto storico" del sinistro, ciò che rende inammissibile il vizio di violazione degli art. 2054, comma 1 c.c. e 2697 c.c. (censura formulata sul rilievo che fosse la parte convenuta a dover vincere la presunzione di responsabilità prevista in casi di danni da investimento di pedone), giacché essa non coglie l'effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata. Essa, infatti, non ha ritenuto provata la verificazione dell'investimento, ciò che, effettivamente, avrebbe comportato "la presunzione del 100% di colpa in capo al conducente del veicolo" (così, da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 28 gennaio 2019, n. 2241, Rv. 652291 -01), e dunque la necessità per la parte convenuta di fornire la prova contraria. La sentenza, piuttosto, ha escluso la verificazione del sinistro, ritenendolo non provato, sicché la valutazione del giudice di appello si è arrestata - per così dire - in limine rispetto all'applicazione dell'art. 2054, comma 1, c.c., ragion per cui ogni questione relativa alla corretta distribuzione degli oneri probatori in merito alla fattispecie da essa prevista è rimasta estranea al suo decisum».

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