Tempi e modalità per l’esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore

01 Ottobre 2024

L'istituto della prelazione, così come delineato dal legislatore, è posto a tutela dell'avviamento commerciale, ossia della capacità dell'impresa di produrre utili: capacità che, nel caso considerato, discende dalla sua particolare ubicazione sul territorio e dalla conseguente attitudine a mantenere stabile il rapporto con la clientela. In quest'ottica, si consente al conduttore di unire alla titolarità dell'impresa la titolarità del diritto di proprietà ove la stessa fosse gestita: in particolare, l'art. 38 della l. n. 392/1978, da un lato, stabilisce che il locatore debba comunicare al conduttore l'intenzione di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, mediante atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, e che tale atto debba contenere l'indicazione del corrispettivo in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita va conclusa nonché l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione, e, dall'altro, prevede che il conduttore, a fronte di tale denuntiatio da parte del locatore, possa esercitare il proprio diritto di prelazione, che però soggiace a stringenti tempistiche e modalità. 

Introduzione. Il quadro normativo

L'art. 38 della l. n. 392/1978, nei primi due commi, stabilisce che il locatore deve comunicare al conduttore l'intenzione di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, mediante atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, e che tale atto deve contenere l'indicazione del corrispettivo (da quantificarsi in ogni caso in denaro), le altre condizioni alle quali la compravendita deve essere conclusa nonché l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.

Il termine di sessanta giorni per l'esercizio del diritto di prelazione concesso al conduttore di un immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione, ai sensi del citato art. 38, in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, essendo previsto a pena di decadenza, deve considerarsi perentorio (Cass. 11 febbraio 2010, n. 3078: nella specie, si era cassata la pronuncia di merito, la quale aveva ritenuto modesto e non significativo il superamento del termine, in quanto la prelazione era stata esercitata prima della scadenza dell'ulteriore termine previsto per il versamento del prezzo e aveva conseguentemente accolto la domanda con cui il conduttore chiedeva la condanna all'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di stipulare il contratto di compravendita dell'immobile).

Resta inteso che, ove sia scaduto il termine legale di sessanta giorni stabilito a favore del conduttore per esercitare il diritto di prelazione nel caso del suddetto trasferimento, l'eventuale proroga del termine concessa dal proprietario costituisce una sua discrezionale concessione, che lo vincola solo per il periodo per il quale ha ritenuto di impegnarsi, e che non è, quindi, soggetta ad una durata minima legale o ad una valutazione di congruità (Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2005, n. 18783, conseguendone che se, nel termine stabilito nella proposta contrattuale, il destinatario della medesima non accetti le condizioni, o non dichiari, nel termine stabilito dal proponente, di accettarle incondizionatamente, il contratto non si conclude e le eventuali diverse condizioni dal destinatario prospettate configurano una nuova proposta; Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 1987, n. 8027: nella specie, si è confermata la pronuncia di merito, la quale aveva respinto la tesi del conduttore secondo cui la proroga concessa dal locatore dovesse essere di altri sessanta giorni o, almeno, di quindici giorni come per la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c.)

L'accettazione totale

Nel sancire il diritto di prelazione in favore del conduttore di un immobile adibito ad uso non abitativo, l'art. 38 dispone, poi, che tale diritto in tanto può essere validamente ed efficacemente esercitato in quanto il conduttore accetti non solo il prezzo della vendita, ma tutto l'assetto del contratto quale dovrebbe essere concluso secondo la volontà del locatore, che è libero di disporre del suo diritto di proprietà sull'immobile (Cass. civ., sez. III, 18 marzo 1988, n. 2505).

In proposito, non si può sostenere che l'uguaglianza di condizioni richiesta dalla suddetta legge per il valido esercizio della prelazione debba riferirsi alle sole condizioni economiche della compravendita, poiché, altrimenti, il locatore potrebbe frustrare la ratio della norma, ponendo condizioni non economiche, tali da vanificare sostanzialmente il diritto del conduttore.

Nel sancire il diritto di prelazione in favore del conduttore di un immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione, l'art. 38, infatti, prevede, al comma 2, che il locatore, nel comunicare al conduttore la sua volontà di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, debba indicare “il corrispettivo da quantificare in ogni caso in denaro” e “le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa”, e che il conduttore deve esercitare il predetto diritto “offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli”.

Se, pertanto, è invalidamente esercitata la prelazione laddove il conduttore abbia accettato soltanto le condizioni economiche del trasferimento, neppure esercita validamente il predetto diritto il conduttore che, nella dichiarazione, indichi una diversa regolamentazione del pagamento del prezzo (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2007, n. 16070; Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1993, n. 7008).

Parimenti, riguardo all'esercizio della prelazione a condizioni difformi dalla denuntiatio, una volta che essa sia stata inoltrata, ogni possibilità di libera trattativa tra le parti deve essere incondizionatamente esclusa, essendo interdetta al conduttore ogni facoltà di incidere sul contenuto del contratto già predeterminato dal proprietario, pena la declaratoria di invalidità della prelazione (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671; Cass. civ., sez. III, 17 novembre 1998, n. 11551, in relazione ad una vicenda processuale nella quale la denuntiatio del locatore conteneva l'indicazione del prezzo di alienazione nella misura di trentanove milioni, mentre la dichiarazione di esercizio della prelazione da parte del conduttore conteneva una proposta di pagamento pari a lire diciannove milioni, risultando poi offerto in compensazione, quanto alla restante somma di venti milioni, il controvalore monetario dei miglioramenti apportati alla cosa locata).

Il versamento del prezzo

In caso di mancata indicazione del termine per il pagamento del prezzo di acquisto nella denuntiatio, qualora il locatore stesso, sebbene tempestivamente sollecitato dal conduttore, si sia rifiutato, contravvenendo ai doveri di collaborazione e di correttezza ex art. 1175 c.c., di fornirlo, nessun ritardo nel pagamento può essere imputato al conduttore che abbia invitato il locatore davanti al notaio per la stipula del contratto ed il contestuale versamento del prezzo, fissando una data compresa nel termine di novanta giorni dalla denuntiatio ed il locatore si sia ingiustificatamente sottratto all'obbligo della stipula.

Qualora, invece, nonostante il comportamento renitente o reticente del locatore, il prelazionante abbia fissato per la comparizione davanti al notaio una data successiva alla scadenza dei novanta giorni, il locatore non comparso che deduca la verificatasi decadenza del conduttore dall'esercizio del diritto di prelazione, ha l'onere, una volta provata l'operatività nella specie del termine legale di cui all'art. 38, comma 4, ove nel compromesso concluso con il terzo manchi l'indicazione del termine o ne sia indicato uno più breve, di dimostrare il suo interesse all'esatta e tempestiva prestazione di pagamento, da valutarsi con un giudizio comparativo del comportamento delle parti, anche in relazione ai loro pregressi rapporti, agli scopi concretamente perseguiti, al dovere di collaborazione che incombe al creditore ex art. 1206 c.c. ed all'oggettiva entità del ritardo (Cass. civ., sez. III, 7 novembre 1987, n. 8247).

Il conduttore che, ricevuta dal locatore la denuntiatio, abbia esercitato la prelazione di cui all'art. 38, è tenuto a rispettare le condizioni di vendita fissate e comunicate dal proprietario, a meno che esse contrastino con la disciplina specifica dettata dallo stesso art. 38, derivandone, in caso di inadempimento, la perdita del diritto di prelazione e del conseguente diritto di riscatto (Cass. civ., sez. III, 9 marzo 1991, n. 2507).

È importante ricordare, in proposito, che l'art. 8, comma 7, della l. n. 590/1965, il quale, con riferimento alla prelazione agraria prevede la sospensione del termine per il versamento del prezzo nel caso in cui il coltivatore che abbia esercitato il relativo diritto dimostri di avere presentato domanda ammessa all'istruttoria per la concessione del mutuo, non è applicabile analogicamente alla prelazione urbana (Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 1994, n. 8659).

D'altronde, l'art. 38 della l. n. 392/1978 contiene una particolare, dettagliata e completa disciplina dell'istituto della prelazione urbana senza lacune, richiami e possibilità di rinvio ad altra normativa, per cui, in forza di tale esclusiva norma, il prezzo di acquisto deve essere versato, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, entro il termine di trenta giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell'avvenuta notificazione della comunicazione da parte del proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare.

Né può invocarsi, per l'ipotesi di inapplicabilità della normativa dettata dall'art. 8 della l. n. 590/1965, l'incostituzionalità dell'art. 38, stante che i due istituti della prelazione agraria e della prelazione urbana regolano situazioni diverse che giustificano una diversità di disciplina, per cui non è violato l'art. 3 Cost., se solo si consideri che la prima ha la finalità di unificare nella stessa persona la titolarità dell'impresa agraria e la proprietà del fondo in cui si svolge l'attività agricola, mentre, invece, il diritto di prelazione attribuito al conduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione è posto a tutela dell'avviamento commerciale ed a soddisfare l'esigenza sociale della conservazione delle aziende.

Dunque, la denunciata diversità di disciplina dipende da scelte discrezionali e non irragionevoli del legislatore, tenendo conto, peraltro, anche della più modesta condizione economica dei coltivatori di fondi rustici che li rende particolarmente bisognosi di procurarsi il danaro occorrente per l'acquisto dei terreni mediante ricorso al mutuo (per l'inapplicabilità analogica delle norme in materia di prelazione agraria, v., tra le altre, anche Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2003, n. 7185).

Il preliminare di vendita condizionato

La Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 1991, n. 8046) ha statuito che il preliminare di vendita di un immobile urbano ad uso non abitativo, il quale preveda come condizione sospensiva il mancato esercizio del diritto di prelazione, da parte del conduttore, in conformità delle disposizioni dell'art. 38 della l. n. 392/1978, resta caducato dalla dichiarazione del suddetto conduttore di avvalersi della prelazione, senza che tale dichiarazione debba essere accompagnata dal versamento della caparra, prevista nel preliminare e già corrisposta dal promissario acquirente, il quale non può nemmeno far valere la carenza degli ulteriori adempimenti occorrenti al perfezionarsi del trasferimento in favore del titolare della prelazione.

Tale pronuncia si è soffermata sulla rilevanza della circostanza che il conduttore, “offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli”, non presentava altresì, contemporaneamente, al locatore la somma a quello versata dal promissario compratore, ma il dilemma non è stato considerato di seria consistenza, perché il paradigma normativo dell'acquisto in prelazione di cui all'art. 38 si articola in due distinti momenti, ciascuno retto da propria disciplina: quello dell'esercizio del diritto mediante la sola dichiarazione recettizia del conduttore, fatta nei termini e nei modi stabiliti (comma 3), e quello della stipulazione, preliminare o definitiva, e del contestuale pagamento del prezzo (comma 4).

Non è corretto, in diritto, allocare nel primo di quei momenti un onere che può attenere solo al secondo, per cui, qualora l'intenzione del locatore di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato abbia preso corpo in un contratto preliminare con clausola di caparra confirmatoria e la relativa somma sia stata effettivamente versata dal promissario, la dichiarazione di esercizio di prelazione, strettamente correlata al trasferimento ma possibile preludio anche di un contratto preliminare, è di completa autosufficienza ed efficacia e non deve essere integrata con l'offerta, in senso tecnico, della somma suddetta; quest'ultima dovrà essere corrisposta al momento della stipulazione, soltanto ove questa assuma forma preliminare, essendo altrimenti assorbita nel versamento contestuale del prezzo.

In altra occasione, si è ulteriormente chiarito che, nel caso in cui un immobile sia oggetto di un contratto preliminare di vendita subordinato alla condizione sospensiva del mancato esercizio del diritto di prelazione spettante al conduttore, il promittente compratore è legittimato ad opporre il mancato o irrituale esercizio della prelazione nelle forme e nei termini prescritti dall'art. 38, ma non può far valere l'inadempimento delle ulteriori attività dovute dal medesimo conduttore dopo l'esercizio del diritto di prelazione, perché l'avveramento della condizione sospensiva, rendendo inefficace il suo titolo, lo priva di ogni interesse ad interloquire sulle predette successive vicende (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1993, n. 2103, aggiungendo che “la sopravvenuta totale sterilità del suo titolo impedisce, al promissario acquirente relegato nella sfera di indifferenza, propria di un terzo qualsiasi, di interloquire sulle vicende dell'acquisto successive all'esercizio del diritto di prelazione”).

Posto che la vicenda della prelazione urbana si sviluppa in due momenti nettamente distinti, che danno luogo a proprie situazioni di diritto sopra delineate, si è osservato che tale ricostruzione va riguardata anche in relazione al terzo promissario acquirente del medesimo bene, oggetto della prelazione.

Con riferimento alla prima fase, che prevede l'esercizio del diritto di prelazione, va considerato in particolare il “rigore formale” che la caratterizza: da un lato, la denuntiatio del locatore, che va notificata a mezzo dell'ufficiale giudiziario, e, dall'altro, l'esercizio del diritto di prelazione con atto che parimenti va notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, nel termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione del locatore.

Tale rigore formale non si giustificherebbe se esaurisse la sua rilevanza nel rapporto locatore-conduttore; ove una prelazione “formale e tempestiva” fosse prevista nell'esclusivo interesse del locatore e del conduttore, si ammetterebbe, nell'ambito dell'autonomia contrattuale delle parti medesime, tutta una serie di temperamenti, con negative conseguenze in ordine alla certezza dei rapporti giuridici, anche di terzi.

È innegabile l'interesse del promissario acquirente, del medesimo bene, a che l'esercizio della prelazione avvenga “nei termini e modi di legge”, tanto più quando il titolo del promissario prevede, come nella specie, quale clausola risolutiva, l'esercizio del diritto di prelazione; la previsione normativa comporta un accertamento documentale - del fatto della ricezione della denuntiatio e della ricezione in un dato termine dell'atto di esercizio della prelazione - che deve ritenersi nell'interesse non solo del destinatario della dichiarazione ma anche di terzi.

Pertanto, il promissario acquirente del medesimo bene è legittimato ad opporre il mancato o irrituale esercizio del diritto di prelazione; quando, invece, il diritto di prelazione sia stato esercitato nei termini e modi di legge - essendosi già verificata la condizione risolutiva del contratto stipulato dal promissario acquirente - questi rimane estraneo alla vicenda della prelazione e non può più riguardarlo la seconda fase della vicenda medesima.

La rivendita a terzi della cosa locata

Ad avviso della dottrina, l'intento del legislatore, mediante la prelazione legale, di favorire la continuità dell'impresa esercitata nell'immobile locato, non si spinge, tuttavia, al punto di affermare che il conduttore preferito non possa immediatamente rivendere il bene acquistato ad un terzo: infatti, non si ravvisa alcuna invalidità nell'acquisto che il conduttore effettui a seguito dell'esercizio della prelazione e che sia determinato dallo scopo di rivendita, non contenendo la legge divieti di disposizione da imporre al preferito, né ulteriori limiti alla libera circolazione giuridica degli immobili locati.

Anche secondo la giurisprudenza, non è stato considerato (Cass. civ., sez. III, 23 novembre 1990, n. 11325) nullo, per contrasto con norme imperative, l'acquisto effettuato dal conduttore di immobile locato ad uso non abitativo a seguito dell'esercizio del diritto di prelazione di cui è titolare, ove tale acquisto sia stato determinato dallo scopo di rivendere il bene a terzi, in quanto il divieto di rivendita non è espressamente previsto dalla legge dell'equo canone, né può ricavarsi dai principi generali di diritto, non potendo applicarsi, per difetto di analogia, alla prelazione urbana il divieto temporaneo di rivendita stabilito per i fondi rustici.

Viceversa, in tema di prelazione agraria, l'auspicio normativo di sviluppo dell'impresa coltivatrice ha fatto ritenere, talvolta, il dato della coltivazione del fondo un elemento qualificante della posizione del legittimato, tanto da esercitare il diritto anche con riferimento ad una prospettiva futura (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2003, n. 7185; Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1996, n. 3661; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 1984, n. 4249).

D'altronde, si era già affermato (Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1983, n. 6256) che i beni a regime controllato sono sottoposti a sistemi di norme rispettivamente propri di ciascuna categoria, con disposizioni particolari alla natura ed agli interessi specifici di cui il legislatore si è proposta la tutela, onde non è possibile trarre argomento da un sistema per l'indagine ermeneutica dell'altro, né è consentita la trasposizione di norme dell'uno all'altro ordinamento speciale, utilizzando gli ordinari mezzi dell'interpretazione estensiva ed analogica.

Infatti, i terreni agricoli hanno oggettivamente caratteristiche strutturali, morfologiche, produttive ed economiche del tutto diverse da quelle che presentano gli immobili urbani, donde la diversità della finalità perseguita dal legislatore attraverso gli istituti della prelazione e del riscatto che, per i fondi rustici, è quella di conservare e promuovere l'efficienza economica produttiva dell'impresa agricola, mentre, per i fondi urbani adibiti ad uso non abitativo, è quella di favorire l'immedesimazione della proprietà nell'impresa, sicché, una volta raggiunto tale scopo, non si spiegherebbe l'aggiunta dell'ulteriore grave limitazione come quella del divieto di rivendita decennale di cui sopra.

Ad avviso di alcuni, non sarebbe, invece, corretto ravvisare una diversità di scopi tra i due istituti, sforzandosi di individuare nella prelazione urbana lo scopo di protezione della clientela di posizione, e nella prelazione agraria lo scopo di unificare proprietà ed impresa: la funzione difensiva della prelazione del conduttore commerciante sarebbe smentita dal principio emptio non tollit locatum, che rende insensibile la situazione dell'imprenditore alle vicende circolatorie della proprietà dell'immobile.

Né varrebbe sostenere, altresì, che, avendo la prelazione urbana lo scopo di assicurare al conduttore la continuità dell'impresa commerciale a mezzo del conseguimento della proprietà dell'immobile, qualora il conduttore eserciti tale diritto solo per rivendere ad un terzo non avente diritto alla prelazione, ossia per fini diversi da quelli per i quali il diritto alla prelazione è stato istituito, il contratto sarebbe nullo, atteso che va esclusa l'esistenza della violazione di norme imperative che possano comportare la nullità del contratto, poiché, appunto, l'imperatività non sussiste, stante che il divieto di rivendita del bene locato ad uso non abitativo non è stato espressamente sancito dalla legge, né esso può ricavarsi dai principi generali di diritto.

Il patto di prelazione in favore di un terzo

Il patto di prelazione stipulato dal proprietario con un terzo non prevale sulla prelazione legale in oggetto, ma è destinato ad avere effetti obbligatori tra gli stipulanti a condizione che non sussista o che non venga esercitata la prelazione legale stessa, in una situazione di compatibilità necessariamente subordinata (Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2002, n. 14645, la quale ha disatteso la tesi del ricorrente, secondo il quale il giudice avrebbe dovuto considerare che, avendo il proprietario locatore accordato a suo favore la prelazione convenzionale in caso di alienazione dell'immobile locato, lo stesso, al fine di consentire ad esso istante di realizzare l'acquisto del bene, aveva l'obbligo di impedire, anche corrispondendo l'eventuale indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, la rinnovazione del rapporto di locazione con il conduttore, in modo che, dalla cessazione del contratto, potesse derivare la conseguente perdita del diritto alla prelazione ex art. 38).

Peraltro, la stipulazione del patto di prelazione non impone al locatore di determinare, alla prima scadenza utile, la cessazione della locazione, sì da provocare il venir meno del diritto di prelazione in capo al conduttore; ove anche le parti non avessero condizionato la prelazione convenzionale al mancato esercizio di quella legale del conduttore, comunque il suddetto effetto avrebbe costituito la conseguenza ex lege del principio della compatibilità residuale del patto con la preferenza legale del conduttore.

Nella stessa prospettiva, si è, più di recente, rilevato che l'obbligo di vendita dell'immobile assunto dal locatore in forza di patto fiduciario stipulato con un terzo, anche anteriormente alla conclusione del contratto di locazione, non è idoneo a sopprimere il diritto di prelazione del conduttore, che trova fondamento nella salvaguardia del suo interesse - dotato di riflessi pubblicistici - alla prosecuzione dell'attività svolta per tutta la durata del rapporto, così che il diritto di prelazione del conduttore prevale sull'interesse delle parti del negozio fiduciario (Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 2016, n. 27180: nella specie, nel ritenere opponibile al conduttore il trasferimento dell'immobile concesso in locazione, da parte del locatore, in favore di un terzo, siccome promesso in vendita prima della stipulazione della locazione, il giudice di merito si era erroneamente discostato dal suddetto principio di diritto).

Il principio suddetto era stato espresso in precedenza anche dagli stessi giudici di legittimità (Cass. 31 marzo 2008, n. 8288), aggiungendo che il fatto secondo cui la fattispecie oggetto della controversia avesse riguardo ad un obbligo di vendita derivante dalla precedente stipulazione di un patto fiduciario (anziché dalla conclusione di un formale contratto preliminare di compravendita) non valeva a modificare i termini sostanziali del principio di diritto in precedenza richiamato, tenuto conto che la limitata incidenza del fenomeno circolatorio del bene locato sul piano della sola rilevanza formale dell'intestazione (come avviene nel caso del trasferimento fiduciario) appariva comunque tale da condizionare in modo decisivo il governo degli effetti giuridici prodotti dall'esercizio dell'autonomia negoziale; e ciò, tanto rispetto alla tutela degli affidamenti legittimamente suscitati nei terzi (e segnatamente del conduttore), quanto in relazione all'esigenza di scongiurare l'eventuale agevole frustrazione del già menzionato interesse del conduttore (dotato di obiettivi riflessi d'indole pubblicistica) a garantire la prosecuzione dell'attività svolta nell'immobile locato per tutto il tempo del rapporto locativo.

Del resto, il promittente venditore di un bene non locato ben può evitare l'insorgenza del diritto di prelazione ex art. 38, astenendosi dal concedere il bene in locazione, ma, una volta che sia sorto tale rapporto, a nulla rileva l'avvenuta stipula del preliminare, dovendosi aver riguardo all'effettivo trasferimento dell'immobile nel corso della locazione.

In conclusione

Per completezza, va accennato alla questione se il conduttore possa o meno rinunciare preventivamente al diritto di prelazione.

In effetti, l'art. 79 della l. n. 392/1978 sanziona con la nullità le pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto, o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello legalmente dovuto, oppure ad attribuire al locatore “altro vantaggio” in contrasto con le disposizioni della legge c.d. dell'equo canone: peraltro, la richiamata disposizione è diretta a sanzionare le sole convenzioni tendenti ad escludere preventivamente i diritti del conduttore, ma non esclude la possibilità, per il conduttore, di disporre dei suoi diritti, eventualmente rinunciando ad essi, una volta che questi siano sorti e possano essere fatti valere.

Pertanto, non è ammessa la rinuncia del conduttore al diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 prima che gli sia pervenuta la denuntiatio da parte del locatore, posto che, solo da tale momento il diritto di prelazione diviene attuale, mentre se la denuntiatio è omessa, diviene operativo il succedaneo diritto di riscatto previsto dall'art. 39 (Cass. civ., sez. III, 24 settembre 1996, n. 8444; tra le pronunce di merito, si segnalano: Trib. Milano 30 maggio 1994; App. Napoli 26 settembre 1990; Trib. Bassano del Grappa 8 novembre 1989; App. Brescia 8 gennaio 1986; Trib. Milano 15 dicembre 1980).

Non rileva, in proposito, la mera circostanza che il rapporto sia in corso di svolgimento, ma occorre accertare, caso per caso, che il diritto oggetto della rinuncia sia già sorto; non è, cioè, sufficiente la previsione in astratto del diritto - alla prelazione, all'indennità per la perdita dell'avviamento, alla rinnovazione del contratto - in quanto potenzialmente inerente al tipo legale del rapporto in atto, ma occorre che il diritto sia concretamente sorto e possa essere fatto valere.

In particolare, il diritto alla prelazione e quello, succedaneo, di riscatto, astrattamente pertinenti ad un rapporto di locazione di immobile adibito ad uso che benefici di tale forma di tutela, si concretizzano, divenendo attuali, solo nel momento in cui si verificano i presupposti previsti dagli artt. 38 e 39, e devono essere esercitati nelle forme e nei termini ivi prescritti.

Dall'art. 38 emerge che il diritto di prelazione è riconosciuto al conduttore mediante la previsione dell'obbligo, per il locatore che intenda alienare l'immobile a titolo oneroso, di darne comunicazione al conduttore, indicando il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, e le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa: tale comunicazione, quale atto unilaterale di adempimento di un obbligo legale, è destinata a rendere attuale il diritto soggettivo del conduttore.

Il diritto di prelazione diviene, quindi, attuale nel momento in cui perviene al conduttore la denuntiatio, mentre non ha modo di attualizzarsi se la denuntiatio è omessa; consegue che è affetta da nullità una rinuncia preventiva a ricevere la denuntiatio, ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione, in riferimento ad un'ipotesi di vendita non attuale e della quale non siano determinate le condizioni economiche; nullità che consegue, pertanto, alla previsione di cui all'art. 79, atteso che la rinuncia in questione produce un effetto sfavorevole per il conduttore, che si priva del diritto di prelazione, ed un vantaggio per il locatore, che viene esonerato dall'osservanza di un obbligo legale.

Anche la dottrina concorda nel ritenere applicabile l'art. 79 della l. n. 392/1978 alla rinuncia preventiva alla prelazione da parte del conduttore, per l'innegabile vantaggio che al locatore deriverebbe dalla rimozione all'ostacolo alla libera circolazione del bene locato.

In altre occasioni, il Supremo Collegio - sulla premessa che, in tema di locazione di immobile ad uso non abitativo, vige il principio della libertà di determinazione del canone - ha opinato, però, che l'art. 79 della l. n. 392/1978 tende a garantire l'equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, sicché non sono stati imposti limiti all'autonomia negoziale riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivantigli dal contratto di locazione, relativamente alla prelazione e, conseguentemente, al riscatto, oltre che all'indennità di avviamento commerciale (nel senso che la rinuncia preventiva da parte del conduttore ad uno dei predetti diritti può trovare il suo corrispettivo sinallagmatico all'interno del contratto stesso di locazione, v. Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2005, n. 14611; Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1995, n. 10907).

Tale conclusione è stata oggetto di critiche da una parte della dottrina, la quale ha evidenziato come fosse comune convinzione, finora - anche sulla scorta di un principio generale desumibile dagli artt. 458, 597 e 2937 c.c. - che la rinuncia fosse configurabile esclusivamente in relazione a diritti già sorti al momento della dichiarazione di rinuncia, reputandosi, specialmente per i diritti dei quali non fosse certa la loro futura esistenza, che non ricorresse una vera a propria rinuncia in senso tecnico, per la convincente considerazione che l'attuale inesistenza del suo oggetto (che, peraltro, potrebbe non venir mai ad esistenza) impedisce intuitivamente la produzione dell'effetto tipico della rinuncia, non potendosi realizzare alcuna modificazione, giuridicamente apprezzabile.

In quest'ordine di concetti, si è sottolineato che il diritto di prelazione, al momento della conclusione del contratto, non solo non è ancora sorto, ma nemmeno è certo che esso possa sorgere in futuro, essendo condizionato - ricorrendone, ovviamente, i presupposti - dall'intenzione del locatore di vendere l'immobile locato e dalla comunicazione al conduttore di tale sua intenzione; al momento della conclusione del contratto e della contestuale rinuncia al diritto di prelazione, sussiste, quindi, incertezza assoluta sia sull'an, sia di quale dei due diritti (prelazione o riscatto) possa costituire effettivo oggetto di rinuncia, perché la nascita dell'uno (prelazione o riscatto) esclude, automaticamente, l'esistenza dell'altro (rispettivamente, riscatto o prelazione).

La maggioranza degli interpreti ritiene, dunque, irrinunciabile in via preventiva dal conduttore il diritto di prelazione, giungendo a tale conclusione “proprio in considerazione dell'interesse collettivo che l'istituto mira a tutelare”.

Diverso, invece, il caso (esaminato da Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4714) in cui le parti definiscano transattivamente le liti giudiziarie tra loro pendenti circa la durata od altri aspetti del rapporto, stabilendo, tra l'altro, la data del rilascio dell'immobile ed il corrispettivo per il suo ulteriore godimento, atteso che il nuovo rapporto, che si viene ad instaurare per effetto dell'accordo transattivo, ancorché di natura locatizia, trova la sua inderogabile regolamentazione nell'accordo medesimo, restando sottratto alla speciale disciplina di cui alla l. n. 392/1978, sicché, in caso di vendita dell'immobile successiva alla stipulazione della transazione, salvo diversa pattuizione, deve escludersi la configurabilità in capo al conduttore del diritto di prelazione previsto dall'art. 38.

Riferimenti

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Izzo, Superabile l'imperatività della legislazione delle locazioni?, in Giust. civ., 1996, I, 2676;

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De Cupis, In tema di rinuncia del conduttore all'indennità di avviamento commerciale, in Giust. civ., 1986, I, 1756;

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