La Corte costituzionale, con sentenza n. 135 del 2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal GIP di Firenze sull'art. 580 c.p. «nella parte in cui subordina la non punibilità di chi agevola l'altrui suicidio alla condizione che l'aiuto sia prestato a una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale».
La Corte costituzionale sull'aiuto al suicidio
Fra i primi commenti: P. Veronesi, A primissima lettura: se cambia, come cambia e se può ulteriormente cambiare il fine vita in Italia dopo la sentenza n. 135 del 2024, in Biodiritto; A. Ruggeri, La Consulta equilibrista sul fine vita, in Consultaonline, 2024; U. Adamo, La Corte costituzionale ritorna ancora sull'aiuto al suicidio, ma non scrive l'ultima parola, in Lecostituzionaliste.
L'inconsueto intervento di moltissimi amici curiae, nel processo dinanzi alla Corte costituzionale, è un segno del forte interesse etico-politico su un problema sentito molto importante da entrambi i fronti, favorevoli o contrari all'accoglimento della questione.
La nuova sentenza non muta il contesto normativo. Ribadisce la posizione messa a fuoco dalle precedenti decisioni (ordinanza n. 207 del 2018 e sentenza n. 242 del 2019) intermedia fra l'assolutizzazione del divieto indirettamente paternalistico dell'aiuto al suicidio, e l'antipaternalismo radicale dell'ordinanza di rimessione della Corte d'assise di Milano, secondo la quale «nel caso di malattia il diritto a decidere di lasciarsi morire è stato espressamente riconosciuto» dalla legge 22 dicembre 2017, n. 219, su consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento. La questione di legittimità costituzionale, proposta nel 2018 dalla Corte d'assise milanese, è partita dalla presa d'atto che anche la nuova legge «non ha riconosciuto il diritto al suicidio assistito secondo le modalità scelte dai singoli».
Preso atto del silenzio del legislatore di fronte all'ordinanza del 2018 (sulla quale cfr. Il caso cappato. Rilievi a seguito dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 207 del 2009, a cura di F.S. Marini e C. Cupelli, Napoli 2019), la Corte costituzionale ha dichiarato (sentenza n. 242 del 2019) l'illegittimità costituzionale parziale dell'art. 580 c.p., con un dispositivo particolarmente complesso: illegittimità costituzionale parziale dell'art. 580 c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e/o psicologiche assolutamente intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. (Sulla sentenza cfr. La Corte costituzionale e il fine vita. Un confronto interdisciplinare sul caso Cappato-Antoniani, a cura di G. D'Alessandro e O. Di Giovine, Torino 202).
Facendo riferimento agli artt. 1 e 2 della legge n. 219/2017, la Corte costituzionale ha così argomentato: «se il fondamentale rilievo del valore della vita non esclude l'obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l'interruzione dei trattamenti sanitari – anche quando ciò richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi … – non vi è ragione per la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all'accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento conseguente all'interruzione dei presidi di sostegno vitale». Da ciò la conclusione che, con riguardo a tale specifico ambito, «il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare ingiustificatamente nonché irragionevolmente la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2,13 e 32, comma 2, Cost.». Il paziente è costretto a subire «un processo più lento, in ipotesi non corrispondente alla propria visione delle dignità nel morire e più carica di sofferenze per le persone che gli sono care».
La non punibilità dell'aiuto al suicidio è stata agganciata a presupposti sia sostanziali (la situazione di grave sofferenza della persona che chiede aiuto) sia procedurali, in ragione di esigenze di controllo sui presupposti giustificativi della richiesta d'aiuto. L'ordinanza parlava genericamente di procedura medicalizzata, la sentenza del 2019 la ha affidata al servizio sanitario nazionale e alla valutazione di comitati etici. C'è l'esigenza – dice la Corte nella motivazione, alla luce del parere rilasciato il 18 luglio 2019 dal Comitato nazionale per la bioetica – di opportune cautele per evitare il rischio di una «prematura rinuncia, da parte delle strutture sanitarie, a offrire concrete possibilità di accedere a cure palliative diverse dalla sedazione profonda continua. “Resta affidato alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato».
È stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale (sentenza n. 50 del 2022) la richiesta di referendum abrogativo dell'art. 579 c.p.: «Eliminando la fattispecie meno severamente punita di omicidio consentito e limitando l'applicabilità delle disposizioni sull'omicidio comune alle sole ipotesi di invalidità del consenso (quelle indicate nel testo vigente) il testo risultante dall'approvazione del referendum escluderebbe implicitamente, ma univocamente, a contrario sensu, la rilevanza penale dell'omicidio del consenziente in tutte le altre ipotesi, sicché la norma verrebbe a sancire, all'inverso di quanto attualmente avviene, la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo». Discipline come quella del vigente art. 579 «possono essere modificate o sostituite dal legislatore con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate, perché non verrebbe in tal modo preservato il minimo di tutela della vita, valore di cardinale rilievo». Fra i numerosi commenti F. Viganò, Il principio di laicità e le recenti sentenze della Corte costituzionale in materia di aiuto al suicidio e favoreggiamento della prostituzione, in Sistema penale, 22 dicembre 2022. Per la riflessione sui problemi del fine vita è d'interesse (al di là dei discutibili e discussi profili processuali) l'affermata esigenza di preservare il minimo di tutela della vita, valore di cardinale rilievo.
Il problema dei trattamenti di sostegno vitale
Nella sentenza del 2024 la Corte costituzionale ha escluso che il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale determini irragionevoli disparità di trattamento dei pazienti: «il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale – che pure rappresenta un unicum nell'orizzonte comparato, come sottolineato da tanti amici curiae – svolge, in assenza di un intervento legislativo, un ruolo cardine nella logica della soluzione adottata con l'ordinanza n. 207 del 2018, poi ripresa nella sentenza n. 242 del 2019». La ratio della dichiarazione d'illegittimità costituzionale parziale non si estende a pazienti che non dipendano da trattamenti di sostegno vitale, i quali non hanno (o non hanno ancora) la possibilità di lasciarsi morire semplicemente rifiutando le cure (§. 7.1 della sentenza).
Sulla nozione di trattamenti di sostegno vitale, la motivazione della sentenza mette a fuoco un problema d'interpretazione, da risolvere in conformità alla ratio della dichiarazione d'illegittimità costituzionale parziale. Nel §. 8 fa riferimento a procedure che (come l'idratazione, l'alimentazione o la ventilazione artificiale, l'evacuazione manuale) «possono essere legittimamente rifiutate dal paziente, il quale ha già, per tal via, il diritto di esporsi a un rischio prossimo di morte, in conseguenza di questo rifiuto. In tal caso, il paziente si trova nella situazione contemplata dalla sentenza n. 242 del 2019, risultando pertanto irragionevole che il divieto penalmente sanzionato di assistenza al suicidio nei suoi confronti possa continuare a operare». Ciò, ovviamente, presuppone la sussistenza di tutti i presupposti additati dalla Corte costituzionale, fra i quali una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e/o psicologiche assolutamente intollerabili.
La sentenza chiude rinnovando l'auspicio che sia assicurata dal legislatore e dal servizio sanitario nazionale «concreta attuazione ai principi fissati da quelle pronunce, oggi ribaditi e ulteriormente precisati dalla presente decisione, ferma restando per il legislatore la possibilità di dettare una diversa disciplina, nel rispetto dei principi richiamati dalla presente pronuncia».
Morte assistita, tra diritto di libertà e obiezione di coscienza
Una proposta teorica sul diritto alla morte assistita come diritto di libertà è presentata dal filosofo Giovanni Fornero in un ampio studio su disponibilità e indisponibilità della vita (G. Fornero, Indisponibilità e disponibilità della vita: una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria, Torino 2020. Una trattazione più recente: Id., Il diritto di andarsene. Filosofia e diritto del fine vita tra presente e futuro, Torino 2023. Nella dottrina penalistica più recente, L. Risicato, La scelta di morire come atto di libertà. Leggendo ‘Il diritto di andarsene' di Giovanni Fornero, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2023, p. 1617s). Punto di partenza è il modello giuridico tradizionale, tuttora dominante a livello planetario, che riconosce all'individuo il diritto di rinunciare alle cure e ai dispositivi life sustaining, ma non il diritto di porre fine alla propria vita con l'aiuto o l'azione dei medici. Traguardo indicato sul piano del dover essere è un sistema giuridico in cui il diritto alla morte assistita sia esplicitamente e formalmente riconosciuto come diritto di liberà. Di ciò sarebbe condizione strutturale ineludibile la possibilità fattuale di compiere libere e consapevoli scelte di morte adeguatamente ponderate, reiterate, autonome, responsabili (G. Fornero, op. cit., p. 60, 767, 772).
L'esercizio di questo diritto di libertà «ha bisogno di un corredo di prestazioni statali positive e di una serie di interventi pubblici agevolativi non solo per essere garantiti ma anche per essere fruiti». Qui Fornero introduce un'ultima precisazione: gli operatori sanitari non possono essere costretti a sopprimere o aiutare a sopprimere altri, sia pure dietro loro esplicita richiesta. Si tratta di «evitare la cosiddetta logica assolutistica dei diritti fondamentali mutuamente escludentisi e di garantire in modo ragionevole la simultanea coesistenza di quelle esigenze basiche che sono il riconoscimento, al paziente, del ‘diritto' di libertà (o di non impedimento) alla morte assistita e il riconoscimento, ai medici, del ‘diritto' di libertà (o di non impedimento) di eseguire, oppure di non eseguire, tali pratiche». «Per poter funzionare nella realtà, questo articolato paradigma presuppone che non tutti i medici e gli operatori sanitari siano contrari alla morte assistita e che il paziente, il quale si trovi nelle condizioni previste dalla legge, possa comunque trovare soddisfazione alla propria richiesta di morte da parte di medici e operatori sanitari favorevoli ad accoglierla» (G. Fornero, op.cit., p. 776-777).
Partendo da una difesa filosofica dell'eutanasia, Fornero è arrivato a proporre una soluzione che tiene conto di ragioni contrapposte, in un'ottica di laicità politica. Da un lato le ragioni di chi chieda aiuto a morire con dignità e senza sofferenza, dall'altro lato il rispetto della integrità e libertà del destinatario della richiesta (che potrebbe avere profonde convinzioni antieutanasiche: S. Maffettone, Il valore della vita, Roma 2016, p. 273).
La libertà di rifiutare di eseguire una prestazione ritenuta non coerente con le proprie concezioni morali è stata riconosciuta dal Tribunale costituzionale tedesco nella sentenza del 2020 che ha affermato espressamente il diritto auf selbstbestimmtes Sterben (autodeterminazione nel morire) e ha invalidato il residuo ambito di incriminazione di attività professionalmente organizzate per l'assistenza al suicidio (§. 217 StGB, novellato nel 2015) (M. Romano, Suicidio assistito e Corti costituzionali italiana e tedesca, in Riv. it. dir. proc. pen. 2021, p. 65s.; N. Recchia, Il suicidio medicalmente assistito tra Corte costituzionale e Bundesverfassungsgricht. Spunti di riflessione in merito al controllo di costituzionalità sulle scelte di incriminazione, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, n. 2/2020, p. 63).
Una rassegna sulle decisioni di Corti supreme in diversi ordinamenti: F. Viganò, Diritti fondamentali e diritto penale al congedo della vita: esperienze italiane e straniere a confronto, in Sistema penale, 12 gennaio 2023. Un'amplissima bibliografia in A. Ruggeri, Fine-vita (problemi e prospettive), in Consulta online 2023 fasc.1.
Salvare il pluralismo nella riflessione bioetica
Le discussioni sui problemi del morire e dell'assistenza al morire sono espressione del pluralismo in bioetica; del confronto fra concezioni comprensive diverse che si confrontano nello spazio pubblico di società liberali.
Salvare il pluralismo nella riflessione bioetica è un'esigenza che riguarda la dimensione valoriale, affidata al dialogo fra linguaggi morali diversi, ma non incomunicabili e intraducibili, che possono raggiungere mediazioni tra prospettive diverse, non qualificabili come mediocri concessioni reciproche, ma come autentiche soluzioni condivise. Soluzioni vincolanti, sul piano della integrazione sociale, sono affidate al diritto, sul presupposto di una differenziazione sistemica del diritto e della morale. La ricerca di forme di integrazione morale resta un compito aperto su un piano pregiuridico, affidata a prassi comunicative (Così un autorevole filosofo cattolico: F. D'Agostino, Bioetica; Questioni di confine, Roma, 2019, p. 40s).
Concezioni bioetiche ‘comprensive' fanno parte dello scenario sociale e culturale in cui si pongono i problemi di costruzione e di interpretazione di norme giuridiche; interessano come espressione delle concezioni etiche che dialogano e si confrontano (o si scontrano) nella società. Il diritto non può proporsi l'obiettivo di dirimere controversie bioetiche, sì invece quello di risolvere problemi di disciplina, là dove siano richieste o appaiano opportune soluzioni vincolanti e coercibili. Di fronte a disaccordi (più o meno ragionevoli) può andare alla ricerca di auspicabili consensi per intersezione su soluzioni concrete di problemi bioetici, a partire da premesse anche divergenti.
Le discussioni si concentrano su punti su cui c'è contrasto, in particolare fra bioetiche laiche e bioetica cattolica. Ciò rischia di far velo all'esistenza di un consenso di fondo nel nostro orizzonte di civiltà, innanzi tutto (ma non solo) sul riconoscimento dei valori della vita e della salute.
L'idea di sacertà della vita, che evoca un orizzonte religioso, ha una traduzione laica nell'idea dell'uguale rispetto dovuto ad ogni essere umano; è questo il comune denominatore e fondamento (di radice religiosa e sviluppo illuministico) di qualsiasi etica e bioetica entro il nostro orizzonte di civiltà. Non ha senso che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere (così il laico N. Bobbio, citato dalla cattolica P. Binetti, La vita è uguale per tutti, Milano 2009, p. 56).
La formula della qualità della vita, usata come generico contrassegno d'etica laica, si presta a coprire ideologie diverse, anche molto diverse. In un orizzonte rispettoso dei diritti umani va intesa nel senso che l'attenzione ai livelli di qualità della vita fa parte del campo di problemi delle bioetiche in dialogo.
Legittimità e limiti di una tutela indirettamente paternalistica della vita
Nell‘approccio ai problemi di legittimazione di divieti penali, è normale guardare alla posizione del destinatario del precetto. Divieto di principio dell'uccisione del consenziente e dell'aiuto al suicidio possono giustificarsi con ragioni coerenti con l'idea dell'eguale rispetto e del reciproco riconoscimento di diritti e doveri. Sono norme che possono essere accettate – con deroghe mirate – da persone anche fortemente legate all'ethos liberale.
ll divieto di uccidere o aiutare a morire anche chi lo chieda, protegge lo spazio morale delle relazioni fra persone; protegge anche, paradossalmente, i destinatari del divieto. Non pregiudica alcun loro legittimo interesse. In condizioni normali, nessuno è tenuto a farsi carico di richieste di morte, e nessuno ha il diritto di scaricare su altri un tale problema morale.
Portare in primo piano il problema dell'incidenza del divieto sul suo destinatario significa recuperare il punto di vista usuale, da cui si guarda ai problemi di legittimazione del penale: là dove divieti indirettamente paternalistici non intaccano interessi legittimi dei destinatari, non si pone il principale limite morale all'intervento penale, cioè la protezione dei destinatari dei precetti da ingiustificate restrizioni della loro libertà.
Anche sui problemi relativi all'incriminazione dell'aiuto al suicidio vanno tenuti distinti i piani della costituzionalità e della politica. Sul piano costituzionale si pongono problemi di eventuali limiti al campo di legittima incriminazione e alla misura delle risposte sanzionatorie. Nei delicati terreni del biodiritto le discussioni si concentrano su casi difficili. Le divergenze riguardano aspetti particolari, ma importanti, essenzialmente di contemperamento di interessi o valori diversi. Si confrontano letture contrapposte, coerenti con concezioni comprensive legittimamente sostenibili sul piano etico-politico.
Le questioni di legittimità giuridica non esauriscono le questioni di moralità delle scelte. Nei problemi del biodiritto penale sentiamo in gioco ragioni morali rilevanti, che riteniamo rilevanti per il diritto. Le tante voci intervenute nel processo dinanzi alla Corte costituzionale, in uno o altro senso, segnalano lo sfondo etico-politico dei problemi del biodiritto.
La Corte costituzionale ha sottolineato, ancora nella sentenza n. 135 del 2024, la dimensione politica dei problemi: la Corte non può «sostituirsi al legislatore nella individuazione del punto di equilibrio in astratto più appropriato tra il diritto all'autodeterminazione di ciascun individuo sulla propria esistenza e le contrapposte istanze di tutela della vita umana, sua e dei terzi»; può solo fissare un limite minimo, costituzionalmente imposto alla luce del quadro legislativo oggetto di scrutinio, della tutela di ciascuno di questi principi (punto 7.2).
Presupposti fondamentalmente condivisi sono il riconoscimento del diritto alla vita, della dignità e libertà di ciascuna persona; e il pluralismo come convivenza di concezioni comprensive che hanno diritto a stare sulla scena pubblica in condizioni di uguale, piena libertà di parola, con reciproco rispetto, con la loro ricchezza di contenuti e di potenzialità (positive e/o negative), con tutta la loro forza ideale, e anche con la loro carica conflittuale.
Sulla tutela indirettamente paternalistica della vita è ragionevole tenere aperta la discussione, al là delle personali concezioni morali. La riflessione etica vive del chiedere e dare ragioni nel dialogo fra uomini che vivono insieme in modo discorsivo (H. Arendt, Socrate, Milano, 2015); deve impegnarsi ad «approfondire le premesse della condotta morale, valutare entro cornici teoriche più rigorose le conseguenze delle azioni, comparare le istanze e le soluzioni morali dei vari popoli ed epoche, cercando – sperimentalmente e logicamente – soluzioni praticabili, ma commisurate alla magnitudine dei problemi e alla dimensione dell'umanità». Umanità in un doppio senso: specie umana e dignità degli uomini (R. Bodei, L'etica dei laici, in Le ragioni dei laici, a cura di G. Preterossi, Roma-Bari 2005, p. 25).
Riconoscere uno spazio di non illiceità dell'aiuto al suicidio è una presa d'atto della drammaticità dell'esistenza. È la strada imboccata dalla Corte costituzionale fin dall'ordinanza del 2018. La sentenza n. 135 del 2024 ribadisce i principi già affermati. Offre indicazioni su problemi che restano aperti sul piano applicativo: problemi ermeneutici, relativi al limite segnato dalla dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. Addita, ancora una volta, lo spazio della politica.
Anche sui problemi del fine vita, fare i conti con il pluralismo è nello spirito della laicità politica. «Il tema del fine vita non riguarda solo i singoli individui, le singole vite, ma la cultura condivisa di una intera società …. non si tratta di un problema di diritti individuali, di libertà, ma molto di più, perché è la chiave volta di una civiltà, di una cultura condivisa. Una cultura che non vede semplicisticamente contrapposti cattolici e laici, ma che vede molte posizioni diverse, molte sfumature, paure, speranze» (L. Scaraffia e F. Cancelli, Nella morte a occhi aperti. Cattolici, laici e conflitto di valori, Brescia 2021, p, 189).
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Sommario
La Corte costituzionale sull'aiuto al suicidio
Morte assistita, tra diritto di libertà e obiezione di coscienza
Legittimità e limiti di una tutela indirettamente paternalistica della vita