Esecuzioni. Alternative alla divisione: la separazione in natura e la vendita della quota

Pasqualina Farina
09 Ottobre 2024

Il contributo affronta il tema della divisione quale modalità di liquidazione alternativa rispetto alla vendita della quota indivisa ovvero alla separazione della quota in natura spettante al debitore (o divisione parziaria).

Cenni introduttivi

In passato, l'art. 2077 c.c. del 1865 escludeva, prima della divisione, la subastazione della parte indivisa di un immobile ad istanza di chi non fosse creditore di tutti i comproprietari. Parimenti l'art. 590 c.p.c.nel consentire il pignoramento dei beni mobili e dei frutti indivisi, stabiliva che la vendita potesse aver luogo solo dopo lo scioglimento della comunione.

A tutela delle ragioni del creditore, il legislatore del 1940 ha cambiato impostazione, individuando – sub art. 600 c.p.c. – nella divisione solamente una modalità di liquidazione, alternativa rispetto alla vendita della quota indivisa ovvero alla separazione della quota in natura spettante al debitore (o divisione parziaria). La scelta tra le diverse modalità era rimessa al g.e. che solitamente optava per la più facile e rapida (rispetto al giudizio di divisione), anche se meno proficua, vendita della quota.

Le modifiche apportate dal Legislatore nel 2005

Lo scarso appeal che la liquidazione forzata della quota indivisa esercitava sul mercato di riferimento era dimostrato però dai valori irrisori di aggiudicazione raggiunti, dopo numerosi tentativi di vendita. In questo stato di cose, il legislatore del 2005 - nel tentativo di restituire effettività alla tutela giurisdizionale del credito - ha attuato un restyling dell'istituto attraverso i seguenti snodi.

Il primo. In forza dell'art. 600, comma 2, c.p.c. la separazione della quota in natura è subito disposta dal g.e. se:

  • «possibile» e
  • «chiesta» dal creditore procedente o intervenuto con titolo ovvero dai contitolari non esecutati.

Il secondo. Ove la separazione in natura sia impossibile, ovvero (sia possibile ma) non richiesta, il g.e. è tenuto alla liquidazione della quota indivisa, sempre che da questa si ottenga un importo pari o superiore al valore di stima della quota. Ciò allo specifico scopo di evitare speculazioni al ribasso degli altri comproprietari e, quindi, una vendita a prezzo vile. 

In difetto di tali condizioni il g.e. provvede, ex art. 600 c.p.c., senz'altro alla divisione del bene, sul presupposto che la migliore soddisfazione dei creditori consegue solo alla liquidazione dell'intero rispetto a quella della quota, poiché quest'ultima vincolerebbe l'acquirente alla comunione e ad un eventuale e successivo giudizio di scioglimento.

In sintesi: premesso che la separazione della quota in natura è istituto di rara applicazione, il legislatore ha attribuito alla vendita della quota indivisa (a prezzo non conveniente) carattere recessivo, mentre la divisione giudiziale è diventata la principale modalità con cui realizzare la tutela esecutiva di cui agli artt. 599 ss. c.p.c.

Il terzo nodo nevralgico della riforma del 2005 è diretta conseguenza della nuova centralità attribuita al giudizio di divisione endoesecutiva che ha imposto anche la ristrutturazione dell'art. 181 disp. att. c.p.c. Ed infatti, per semplificare e rendere più celere l'introduzione e la conclusione di tale (autonomo) giudizio, tale norma attribuisce al medesimo g.e. la competenza funzionale e, quindi, esclusiva.

L'altro passaggio fondamentale cui dobbiamo accennare è dato dal nuovo assetto consegnato dal legislatore del 2005 all'art. 181 disp. att. c.p.c. su richiamato: se tutti gli interessati non sono presenti all'udienza di cui all'art. 600 c.p.c., il giudice - mediante ordinanza con cui dispone la divisione - fissa davanti a sé l'udienza per la comparizione delle parti, concedendo termine per l'integrazione del contraddittorio mediante la notifica dell'ordinanza (di contro, in passato il g.e. fissava termine perché la parte più diligente, nel rispetto delle norme sulla competenza proponesse la domanda di divisione nelle forme ordinarie).

L'udienza e la discrezionalità del g.e.

Il potere-dovere del g.e. di adottare i provvedimenti di cui all'art. 600 c.p.c., configuranti atti esecutivi in senso proprio, è governato, dunque, dai criteri fissati da tale norma. Sicché, sentiti gli interessati, il g.e. dispone in prima battuta la separazione della quota in natura, in presenza delle condizioni poc'anzi richiamate; in difetto, la scelta ricade sulla vendita della quota ad un prezzo conveniente (almeno pari o superiore al valore della stessa determinato ex art. 568 c.p.c.).  Se non appare probabile la vendita a prezzo conveniente la scelta è necessariamente quella della divisione, da disporsi con un ordine del medesimo g.e. di trattazione ed istruzione della causa davanti a sé (quale giudice istruttore), ove la competenza spetti all'ufficio giudiziario al quale appartiene (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2005, n. 10334).

I diversi (e alternativi) percorsi a disposizione del g.e. presidiano il diritto di credito del procedente e degli intervenuti e (indirettamente) del debitore (ad ottenere dall'espropriazione della quota la “migliore” liberazione dai propri debiti), ma anche degli altri contitolari (e dei relativi creditori) che in sede di liquidazione vanno salvaguardati da lesioni o comunque limitazioni alle proprie posizioni soggettive. In questo stato di cose, le determinazioni del g.e. tengono necessariamente conto sia della possibilità obiettiva di utilizzare una specifica modalità di realizzo sia dell'effettiva convenienza della stessa per tutte le parti coinvolte nell'esecuzione, senza arrecare pregiudizio agli altri comproprietari.

Si aggiunga che la separazione e la vendita della quota, a differenza della divisione, non incidono sulla comunione tra i quotisti non debitori.

Segnatamente, la separazione attua una divisione parziale, posto che la parte del debitore, previamente individuata, viene concretamente separata da quelle degli altri contitolari, all'interno del processo esecutivo ed è proprio sul diritto di proprietà (esclusivo) costituito – in capo al debitore - sulla porzione del bene che proseguirà l'esecuzione secondo le forme ordinarie.

La vendita (competitiva) della quota prevede, invece, la sostituzione dell'aggiudicatario nella quota astrattamente spettante al debitore, con una celere soddisfazione dei creditori sul ricavato dalla vendita. Anche questa modalità si svolge nell'ambiente esecutivo e il relativo atto è «puramente esecutivo», trattandosi di mera sostituzione dell'aggiudicatario nella posizione del debitore.

La divisione, invece, comporta la sospensione ex lege del processo esecutivo (art. 601 c.p.c.) in attesa dello svolgimento del processo di cognizione disciplinato dagli artt. 784 ss. che determinerà la cessazione della comunione nei confronti di tutti i comproprietari.

Il g.e. adotta i provvedimenti di cui all'art. 600 c.p.c. (la separazione della quota o l'introduzione del giudizio di divisione o la vendita della quota indivisa) solo se tutti gli interessati risultano presenti o siano stati convocati alla udienza appositamente fissata; in difetto di regolare convocazione ordina la integrazione del contraddittorio e fissa ulteriore udienza. Se alla nuova udienza il contraddittorio non risultasse integro, si determina l'improcedibilità dell'espropriazione.

Resta fermo che l'adozione dei provvedimenti previsti dall'art. 600 c.p.c. senza che gli interessati siano stati invitati a comparire è illegittima, ma il relativo vizio va censurato con il rimedio ex art. 617 c.p.c.

Ovviamente qualora gli interessati fossero comunque comparsi, il vizio verrebbe ex se sanato.

La separazione in natura

La separazione in natura è una soluzione particolarmente vantaggiosa per la procedura.

Si tratta, come anticipato, di una divisione parziaria, poiché sul resto della massa – che viene liberato dall'esecuzione – persiste la comunione. Le forme sono quelle propriamente esecutive, senza necessità di un giudizio di divisione ex artt. 784 ss. c.p.c.

La separazione in natura non può disporsi d'ufficio, occorrendo l'istanza del creditore procedente o di un comproprietario non esecutato che , pur essendo litisconsorte necessario nell'eventuale giudizio di divisione (art. 784 c.p.c.), non ha interesse a provocare dal g.e. il provvedimento che consente la prosecuzione immediata o mediata del processo espropriativo.

E proprio l'attribuzione del potere d'istanza ai singoli comproprietari ed al creditore, esclude la necessità del consenso di tutti; in questa prospettiva la norma garantisce la partecipazione all'udienza dei comproprietari (che vanno “sentiti”) e detta condizioni, assai rigorose, per giungersi alla separazione, libero poi il comproprietario insoddisfatto di impugnare il provvedimento. Essa è difatti opponibile ex art. 619 c.p.c. quante volte la separazione abbia violato il diritto del contitolare sul bene indiviso, ad esempio attribuendo al debitore esecutato più di quanto gli sarebbe spettato avuto riguardo alla misura della quota di cui è titolare

In altri termini, il legislatore conferisce all'ufficio esecutivo – in caso di istanza di parte - la facoltà di operare la divisione parziale, malgrado il dissenso dei contitolari non obbligati, per un rapido ed utile compimento dell'espropriazione.

La separazione deve essere «possibile», sia da un punto di vista materiale (anche in relazione ad una istanza di attribuzione dell'intero da parte di un comproprietario ex art. 720 c.c.) sia giuridico, vale a dire quando operi il patto di rimanere in comunione per un certo tempo ex art. 1111 c.c. ovvero si tratti di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso al quale sono destinate ex art. 1112 c.c., ma anche quando la divisione, sebbene realizzabile materialmente, produca un notevole deprezzamento della cosa da dividere ovvero importi pesi, limitazioni o servitù per il godimento delle quote: si pensi al frazionamento di un terreno che lo renda inedificabile (Cass. civ. n. 2413/1960).

Sulla possibilità del giudice di raccogliere l'accordo raggiunto dalle parti sulla separazione, superando le difficoltà di tipo materiale o comunque le questioni legate alla convenienza, la dottrina ha risposto positivamente invocando l'art. 601, comma 1, c.p.c., a mente del quale la sospensione permane finché sulla stessa non sia sopraggiunta la sentenza ovvero «non sia intervenuto un accordo», purché sussista il consenso del debitore.

La separazione in natura ha per lo più ad oggetto beni mobili, e soprattutto cose determinate solo nel genere. Ciononostante, nel tentativo di salvaguardare l'ambito di applicazione dell'istituto anche per gli immobili, si è affermato che la preesistente autonoma individuazione catastale della parte separanda è conditio sine qua non per la concreta fruibilità della «separazione in natura» e consente di vagliare le maggiori o minori possibilità di successo di tale soluzione .

In riferimento agli immobili, assume particolare rilievo l'apporto dell'esperto che spesso è chiamato non solo a valutare l'intero compendio, le quote, ecc, ma anche l'effettiva divisibilità del singolo cespite fino a realizzare una ipotesi di divisione, con attribuzione di un autonomo identificativo catastale, realizzazione di divisori, recinzioni, sempre nel rispetto della normativa urbanistica ed edilizia.

L'ordinanza che dispone la separazione, impugnabile - come visto - ex art. 617 c.p.c., va, ai sensi dell'art. 2646 c.c., trascritta. In seguito alla separazione della quota, il giudice disporrà la vendita del bene ormai “autonomo” in base alla normativa ordinaria.

La vendita della quota indivisa: le prassi

In caso di mancata richiesta di separazione oppure di impossibilità a realizzarla, il legislatore si limita a prevedere che la vendita della quota indivisa, come anticipato, è subordinata alla ravvisata sussistenza da parte del g.e. della probabilità di raggiungere un prezzo superiore o almeno pari al valore della quota, determinato a norma dell'art. 568 c.p.c.

L'unico dato rilevante per il g.e. è, quindi, la convenienza della vendita intesa come appetibilità/commerciabilità di quel particolare bene sul mercato. Posto che è raro, ad eccezione dei comproprietari, rinvenire interessati all'acquisto di una quota di un bene indiviso, in molte corti di merito ha preso piede una passi che fa leva su un'appetibilità “di tipo soggettivo”. Cioè, il giudice dispone la vendita della quota solamente in presenza di un'offerta irrevocabile di acquisto, per un prezzo almeno pari a quello di stima, accompagnata dal versamento di una cauzione, pari al 10% del valore di stima (Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 1999, n. 13619) .

Più precisamente, come previsto per la divisione “ordinaria”, si consente al comproprietario l'istanza ex art. 720 c.c. direttamente all'udienza deputata all'audizione degli interessati e all'assunzione dei provvedimenti ex art. 600 c.p.c. nei termini di cui s'è detto poc'anzi, cui seguirà l'ordinanza di vendita/delega, l'avviso di vendita, la pubblicità.

L'offerta irrevocabile d'acquisto assurge, quindi, ad indice esteriore di quella «convenienza» richiesta dal legislatore e, al contempo, il subprocedimento di vendita della quota è destinato a subire degli adattamenti.

Così, innanzitutto, non opera la disciplina dell'offerta minima. Ciò non solo perché al momento del deposito dell'offerta non c'è ancora l'ordinanza di vendita di cui all'art. 569 c.p.c. che legittima l'offerta ribassata ex art. 571 c.p.c., ma soprattutto perché il dato normativo (art. 600, comma 2, c.p.c.) richiama espressamente – in relazione alla convenienza che il g. e. deve valutare - la «probabilità» che la vendita della quota indivisa avvenga «per un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell'articolo 568». Si tratta, a nostro parere, di una prescrizione che vincola in maniera stringente la discrezionalità del g.e. nel vaglio della “effettiva” convenienza della vendita della quota in alternativa al giudizio di divisione.

Non a caso il legislatore del 2016 ha adottato una formulazione analoga (sempre basata sul concetto di un “probabile” valore di aggiudicazione ancorato ad una soglia predeterminata) nel corpo dell'art. 569, comma 3, ultimo periodo, c.p.c., per espungere – di fatto – dalla disciplina della espropriazione immobiliare la modalità della vendita ai pubblici incanti di cui agli artt. 576 c.p.c e ss.. Se così è, la prevista probabilità (e non la possibilità) dell'aggiudicazione della quota a prezzo pieno escluderebbe la legittimità di quelle prassi in cui il g.e. - ove il comproprietario manifesti un interesse, anche in assenza di un'offerta seria (e cioè cauzionata) ed irrevocabile - dispone un rinvio dell'udienza per consentirgli la presentazione dell'offerta.

Ora, è vero che tale prassi risponde alla necessità di evitare il giudizio divisorio, incidendo sui tempi e sulla fruttuosità dell'espropriazione dei beni indivisi, tuttavia disattende l'interesse al celere svolgimento della procedura comprovato dall'assetto dell'espropriazione forzata in cui il g.e. rinvia solo in casi tassativamente determinati e solo col consenso delle parti (v. ad es. l'art. 624-bis c.p.c., l'art. 161-bis disp. att. c.p.c.). Pertanto, in difetto di una seria e “concreta” offerta d'acquisto, ci pare che il rinvio possa disporsi solo in presenza del consenso dei creditori pignoranti e muniti di titolo.

Tornando al procedimento, v'è ancora da dire che la presentazione di un'offerta seria e irrevocabile presuppone che essa sia almeno pari al valore di perizia; sicché lo stimatore valuta il totale e poi ne astrae la porzione proporzionale alla quota di cui è titolare l'esecutato.

Tuttavia, il valore dell'immobile subisce, in forza dell'art. 568 c.p.c., una decurtazione a causa degli oneri per le spese condominiali, che l'aggiudicatario si vedrà vincolato a corrispondere in solido col debitore, in relazione agli ultimi due esercizi (art. 63, comma 4, disp. att. c.c.) e dell'assenza della garanzia dai vizi, tipica della vendita forzata (art. 2922 c.c.); nonché della necessità di opere o di procedimenti amministrativi volti a “regolarizzare” il bene dal punto di vista urbanistico-edilizio e/o catastale. Nel caso che ci occupa, l'offerta proviene non da un terzo, ma da uno o più comproprietari non esecutati, già tenuti in quanto tali a pagare le spese condominiali arretrate, oltre che coautori degli abusi o delle irregolarità urbanistico-edilizie dei beni staggiti. Da qui la necessità di una decurtazione minore nella determinazione del prezzo rispetto a quella che l'art. 568 c.p.c. richiede rispetto agli offerenti terzi.

Calcolato così il prezzo-base cui va parametrata l'offerta irrevocabile d'acquisto e più a monte la convenienza che ha consentito la pronuncia dell'ordinanza di vendita della quota, resta da accennare alle altre “deviazioni” rispetto al subprocedimento “ordinario” di vendita forzata.

Se è vero che l'offerta è legittima se raggiunge il prezzo base, va giocoforza esclusa l'ammissibilità di istanze d'assegnazione ex artt. 572 e 573 c.p.c.: l'assegnazione trova difatti applicazione solo se la migliore offerta pervenuta è inferiore al prezzo base e, nel caso che ci occupa, l'offerta è necessariamente pari o superiore a tale valore. Resta ferma la possibilità del creditore procedente o intervenuto (ed eventualmente anche comproprietario) di formulare egli stesso un'offerta irrevocabile d'acquisto (Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2022, n. 15912) , conformemente a quanto previsto nella specifica ordinanza di vendita. Ed infatti la vendita della quota indivisa per quanto presenti delle peculiarità non può avvenire in spregio alle regole di competitività minime previste dall'art. 490 c.p.c. né è esente dall'adozione di modalità telematiche, dalla disciplina della vendita diretta o della delega ex art. 591 bis c.p.c. ecc.

Il g.e. deve, inoltre, tenere in considerazione oltre alle prelazioni che solitamente vanno rispettate (beni storici, promissario acquirente ecc.) anche quella a favore dei coeredi già avvisati ed invitati a comparire ex artt. 599 s. c.p.c., prelazione che dovrà essere riportata, sia nella ordinanza sia nell'avviso di vendita.

Da un punto di vista pratico è ragionevole, inoltre, presumere che l'offerta d'acquisto presentata dal comproprietario sia destinata a rimanere unica, quindi raramente si porrà il problema della gara tra gli offerenti; in caso di decadenza dell'aggiudicatario il giudice disporrà un nuovo tentativo di vendita, essendo tenuto invece alla sospensione dell'esecuzione ed all'introduzione del giudizio di divisione, in difetto della “probabile” convenienza di cui all'art. 600, ult. comma c.p.c.

Resta fermo che l'ordinanza di vendita della quota è opponibile ex art. 617 c.p.c. dal creditore, dal debitore e dagli altri interessati di cui all'art. 600, comma 1, c.p.c.; tuttavia l'oggetto della censura sarà o la violazione della prelazione ereditaria ovvero la presunta insussistenza della maggior convenienza della vendita della quota di cui all'art. 600 c.p.c; in quest'ultimo caso i comproprietari ed i creditori di questi dovrebbero essere privi di legittimazione perché terzi rispetto all'espropriazione forzata ed ai suoi risultati e, quindi, privi di uno specifico interesse.

Riferimenti

  • CARDINO A., Comunione di beni ed espropriazione forzata, Torino, 2011
  • CRIVELLI A., L’espropriazione dei beni indivisi, in AA.Vv., Espropriazione forzata immobiliare e attività notarile, a cura di Bevivino e Giordano, Milano 2021, 71
  • DI COLA L., L’oggetto del giudizio di divisione, Milano2011
  • LOMBARDI R., Contributo allo studio del giudizio divisorio. Provvedimenti e regime di impugnazione, Napoli, 2009
  • Id., Le connessioni tra divisione ed esecuzione forzata,in Riv. dir. proc., 2019, 550
  • Id., Profili problematici dell’espropriazione di beni indivisi, in Riv. dir. proc., 2012, 63
  • TOTA G., L’espropriazione di beni indivisi, in Manuale degli ausiliari dell’esecuzione forzata, a cura di F. De Stefano, R. Giordano, Milano 2024, 912
  • VIGORITO F., L’espropriazione di beni indivisi, in Riv. esec. forz., 2004, 551.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario