Trattamento dei dati personali: il dipendente può usare in giudizio la conversazione registrata tra colleghi ai fini della propria difesa
08 Novembre 2024
Il caso I dirigenti coinvolti a loro insaputa nelle registrazioni depositate in giudizio da alcuni dipendenti propongono reclamo al Garante per la protezione dei dati personali I lavoratori di Alfa Spa, nell'ambito di alcuni contenziosi aventi a oggetto le rispettive posizioni lavorative, hanno depositato in giudizio un file audio contenente la registrazione di una conversazione intrattenuta da un altro dipendente con alcuni rappresentanti della società datrice di lavoro, nel contesto di una riunione indetta dalla dirigenza diversi anni prima. I dirigenti coinvolti a loro insaputa nelle registrazioni avevano proposto reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, in base all'articolo 77 del regolamento UE 2016/679 (GDPR), per la cancellazione o la distruzione dei file. Il Garante per la protezione dei dati personali aveva rigettato la richiesta di cancellazione, ritenendo che la registrazione fosse legittima perché necessaria alla difesa in giudizio. Tuttavia, il Tribunale di Venezia ha ribaltato questa decisione, dichiarando illegittimo l'uso del file e ordinandone la distruzione, condannando i lavoratori ad una sanzione pecuniaria. Contro la predetta Sentenza hanno presentato controricorso i dirigenti della società e il Garante Privacy ha proposto controricorso in adesione ritenendo erronea la sentenza del Tribunale chiedendo la Cassazione della sentenza impugnata. La questione Ci si domanda se è legittimo utilizzare la registrazione di una conversazione tra terzi e quali sono i possibili casi di esclusione del consenso alla registrazione In quali casi può essere utilizzata la registrazione di una conversazione tra terzi? Ci sono dei casi in cui è possibile escludere la richiesta del consenso alla registrazione? Le soluzioni giuridiche La Corte di Cassazione ha stabilito che, in presenza di un diritto fondamentale come quello della difesa in giudizio, è legittimo l’utilizzo di registrazioni non consensuali tra terzi La Corte di Cassazione, ribaltando il provvedimento impugnato, ha riaffermato la validità della posizione del Garante. La Corte ha infatti stabilito che, in generale, l'utilizzo di dati personali senza il consenso dell'interessato è lecito quando è finalizzato alla difesa di un diritto fondamentale, pertanto, l'utilizzo di registrazioni non consensuali può essere considerato legittimo, subordinando la tutela della privacy alle esigenze di giustizia. La giurisprudenza della Corte ha precisato che il diritto di difesa in giudizio consente, ai sensi dell'articolo 24, lettera f), del codice privacy, di prescindere dal consenso della parte interessata, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al suo perseguimento, e non è limitato alla pura e semplice sede processuale, ma si estende a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata instaurata formalmente. Ciò che rileva, pertanto, non è come e da chi sia stata eseguita la registrazione, né se vi fossero esigenze difensive del suo autore materiale, ma per quali scopi sia stata utilizzata la conversazione registrata e le informazioni in essa contenute per le quali finalità le abbia utilizzate l'odierna ricorrente. È poi evidente che per poter utilizzare dei dati in giudizio è necessaria una preventiva attività di ricerca e raccolta degli stessi, la cui liceità si valuta in ragione dell'uso fattone. In linea generale, l'utilizzazione dei dati, pur senza il consenso dell'interessato, è ritenuta lecita quando si tratti di difendere un diritto fondamentale e, inoltre, quando i dati siano stati utilizzati in giudizio, come nella specie, è il giudice di quel giudizio a dover bilanciare gli interessi in gioco ad ammettere o meno le prove che comportano il trattamento dei dati di terzi posto che la titolarità del trattamento spetta in questo caso all'autorità giudiziaria e in tal sede vanno composte le diverse esigenze, rispettivamente di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione nel processo. In questo caso, la responsabilità del trattamento ricade sull'autorità giudiziaria, che deve conciliare le esigenze di riservatezza con quelle di una corretta esecuzione del processo. Né a conclusioni diverse si giunge ove si consideri il quadro normativo dato dal GDPR. Occorre tener presente quanto esposto nel considerando 4 del Regolamento europeo, laddove si legge che il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell'uomo. Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità. Ancora, il considerando 47 precisa che i legittimi interessi di un Titolare del trattamento, compresi quelli di un titolare del trattamento a cui i dati personali possono essere comunicati o di terzi, possono costituire una base giuridica del trattamento, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e la libertà fondamentali dell'interessato, tenuto conto delle ragionevoli aspettative nutrite dall'interessato in base alla sua relazione col Titolare del trattamento. Inoltre, si deve tenere presente il considerando 20 che si esprime, non è opportuno che rientri nella competenza delle autorità di controllo il trattamento di dati personali effettuato dalle autorità giurisdizionali nell'adempimento delle loro funzioni giurisdizionali, al fine di salvaguardare l'indipendenza della magistratura nell'adempimento dei suoi compiti giurisdizionali, compreso il processo decisionale. La Cassazione ha sottolineato che non può essere negato il diritto di difendersi in giudizio, soprattutto quando la controversia riguarda diritti fondamentali legati alla dignità della persona, come nel caso dei diritti dei lavoratori, protetti dall'articolo 36 della Costituzione. Gli articoli 17 e 21 del GDPR rendono palese che, nel bilanciamento degli interessi in gioco, il diritto a difendersi in giudizio può essere ritenuto prevalente sui diritti dell'interessato al trattamento dei dati personali, in particolare l'articolo 17, comma 3, lettera a) del Regolamento dispone che i paragrafi 1 e 2 (diritto alla cancellazione) non si applicano nella misura in cui il trattamento sia necessario per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria dell'articolo 21 (diritto di opposizione) consente al Titolare del trattamento di dimostrare l'esistenza di motivi legittimi cogenti per procedere al trattamento che prevalgono sugli interessi, sulle libertà dell'interessato oppure per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria. Più specificatamente la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza del 2 marzo 2023 ha chiarito che qualora dati personali di terzi vengano utilizzati in un giudizio e il giudice nazionale che deve ponderare con piena cognizione di causa e nel rispetto del principio di proporzionalità gli interessi in gioco, che tale valutazione può, se del caso, indurlo a autorizzare la divulgazione completa o parziale. Alla controparte dei dati personali che gli sono stati così comunicati, qualora ritenga che una siffatta divulgazione non ecceda quanto necessario al fine di garantire l'effettivo godimento dei diritti che i soggetti dell'ordinamento traggono dall'articolo 47 della Carta. In termini anche la giurisprudenza nazionale è consolidata nel ritenere che l'uso di dati personali non è soggetta all'obbligo di informazione dalla previa acquisizione del consenso del titolare, quando i dati stessi vengano raccolti e gestiti nell'ambito di un processo, in esso, infatti, la titolarità del trattamento spetta all'autorità giudiziaria e in tal sede vanno composte le diverse esigenze rispettivamente di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo, per cui, se non coincidenti, e il codice di rito regola le modalità di svolgimento e giudizio del diritto di difesa, se è così affermato che il trattamento dei dati personali in ambito giudiziario, anche nel vigore della disciplina del codice privacy, non è soggetta all'obbligo di informazione e alla previa acquisizione del consenso, purché i dati siano inerenti al campo degli affari e delle controversie giudiziarie che ne scrimina la raccolta, non siano utilizzati per finalità estranee a quella di giustizia in ragione delle quali ne è avvenuta l'acquisizione e sussiste il provvedimento autorizzatorio. Inoltre, questa Corte ha ritenuto che nella vigenza del GDPR vadano confermati i considerati principi in ordine alla legittimità del trattamento di dati personali senza il consenso dell'interessato, purché effettuata nel rispetto del criterio della minimizzazione, ove sia indispensabile, per la tutela di interessi vitali della persona che li divulga o della sua famiglia. Ha, quindi, errato il tribunale una volta accertato che della registrazione si era fatto uso in un processo a ritenere che tale comportamento violasse la normativa sul trattamento dei dati personali, sovrapponendo così indebitamente la propria valutazione a quella del giudice del processo ove questi dati erano stati utilizzati. Peraltro, facendo riferimento a parametri inconferenti, come la circostanza che la registrazione fosse stata effettuata da un soggetto diverso da quelli che l'avevano utilizzata, senza tenere conto che al momento in cui la registrazione fu effettuata vigeva una normativa diversa da quella richiamata nella sentenza Impugnata, e che la successiva utilizzazione era avvenuta per finalità difensive, peraltro in un contenzioso di lavoro che, in linea tendenziale, è improntato alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale, alla tutela giurisdizionale del lavoratore subordinato. Osservazioni Chiunque ormai ha a disposizione dispositivi quali smartphone e pc che consentono di effettuare registrazioni audio e video con estrema facilità e, pertanto, è essenziale comprendere la loro utilizzabilità nell'ambito dei procedimenti giudiziari e la loro legittimità. Molto spesso il lavoratore che viene minacciato o semplicemente ha il timore di subire dei soprusi al lavoro o vuole agire per ottenere i propri diritti si chiede se può registrare le conversazioni con il datore di lavoro o anche solo con i colleghi e se rischia di essere sanzionato qualora venisse scoperto ed ancora se poi possa in un futuro utilizzare le registrazioni come prove in giudizio. Le registrazioni audio di nascosto altrimenti dette occulte sono quelle effettuate all'insaputa degli interlocutori, ma esclusivamente con la presenza della persona che effettua la registrazione. Infatti, qualora il dipendente pensasse di celare un dispositivo per poter registrare riunioni alle quali non partecipa, si configurerebbe non più una registrazione occulta, ma una intercettazione illecita e vietata, costituente un vero e proprio reato (art. 615-bis c.p.). E' quindi indispensabile che l'autore della registrazione sia presente e sia autorizzato ad assistere alla riunione, in tal caso, come già chiarito dalla giurisprudenza, le registrazioni non costituiscono reato, nel senso che non sono sottoposte ai limiti ed alle formalità delle intercettazioni. La questione principale, in tema di legittimità della registrazione, è costituita dalla normativa in materia di tutela della riservatezza e del trattamento dei dati personali È infatti pacifico in linea generale che la registrazione di una conversazione, senza aver acquisito il preventivo consenso degli interessati all'acquisizione dei dati ed al loro trattamento, possa rappresentare una grave violazione del diritto alla riservatezza, tale da poter configurare addirittura una grave violazione disciplinare legittimante il licenziamento. Tuttavia, l'art. 21 del GDPR in materia di opposizione al trattamento dei dati permette di prescindere dal consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati sia reso necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario per il loro perseguimento. Si può pertanto affermare che l'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente o i colleghi sui luoghi di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione della prevalenza del diritto alla difesa ed alla tutela giurisdizionale dei diritti rispetto al diritto alla riservatezza. In sintesi, prevale il diritto costituzionale alla difesa dei diritti rispetto al diritto alla riservatezza per cui le registrazioni audio di nascosto possono ritenersi lecite se effettuate per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova. La registrazione, per essere legittima, deve rispondere – nel bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e quello di difesa – al requisito della pertinenza, cioè, deve essere necessariamente strumentale rispetto alla finalità dell'esercizio del diritto di difesa. Deve quindi esserci una stretta connessione ad una specifica e realistica, seppur potenziale, prospettiva di contenzioso. Ne consegue che non potrà ritenersi corretta una prassi che veda il lavoratore procedere di default a registrare il proprio superiore o i colleghi in assenza di una vera e propria legittima ragione di esercizio del diritto di difesa, ma unicamente per tenere traccia, a futura memoria, di quanto accaduto senza tuttavia l'esistenza – al momento della registrazione – di una situazione, seppur potenziale, di conflittualità. Come sopra evidenziato, qualora la registrazione sia dettata dall'esercizio di un diritto di difesa per procurarsi un mezzo di prova e nei limiti anzidetti, la condotta non costituisce un illecito disciplinare. E l'irrilevanza disciplinare si ha anche nel caso in cui non sia ancora sussistente alcuna lite giudiziaria. Infatti, il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata. Pertanto, se la condotta risponde alle necessità conseguenti al legittimo esercizio d'un diritto, risulta coperta dall'efficacia scriminante dell'art. 51 c.p., precetto di portata generale nell'ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico, per cui la registrazione audio di nascosto sarà assolutamente lecita. Una volta effettuata la registrazione, dobbiamo però comprendere se la possiamo produrre nel giudizio e se può essere utilizzata dal Giudice a fondamento della decisione. Sul punto è principio pacifico e confermato dalla giurisprudenza che le registrazioni sia audio che video sono ammissibili nel procedimento civile e, a maggior ragione, nel processo del lavoro, in cui principio cardine è l'accertamento della verità materiale. Sotto il profilo della prova, le registrazioni rientrano nel genere delle c.d. riproduzioni meccaniche previste dall'art. 2712 Codice civile secondo cui “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. È pertanto una piena prova che, se non disconosciuta, può anche da sola formare il convincimento del giudice. Spetterà alla parte contro cui è prodotta procedere a disconoscerne la conformità ai fatti rappresentati, ma non sarà sufficiente un disconoscimento generico, ma dovrà essere chiaro, circostanziato ed esplicito. È ovvio che, se si tratti di un file audio, la parte potrà sostenere la non genuinità della voce. Nel caso di disconoscimento, la registrazione assumerà comunque il valore di presunzione semplice, per cui il lavoratore dovrà fornire ulteriori elementi probatori per fondare la propria domanda. Come visto sopra, le registrazioni occulte, soprattutto se audiovideo, possono rappresentare in molti processi del lavoro una prova fondamentale per ottenere il riconoscimento dei propri diritti, ma, per poter essere utilizzate, devono essere state raccolte con il rispetto dei principi sopra evidenziati, in particolare: il lavoratore deve essere presente durante l'intera registrazione; la registrazione deve essere strumentale per l'esercizio del diritto di difesa al fine di tutelare o far accertare un proprio diritto nell'ambito di una specifica e realistica, seppur potenziale, prospettiva di contenzioso; i dati così raccolti devono essere conservati per il solo tempo strettamente necessario per perseguire le predette finalità di attività difensiva. Ripetuto, pertanto, che non sarà lecita una vera e propria attività di spionaggio, consistente nella costante e continua registrazione di ogni conversazione in assenza di una specifica ragione di difesa, appare utile sottolineare che in commercio si possono reperire, a costi contenuti, veri e propri registratori audio-video sotto le sembianze di smartwatch o di smart band che consentono in modo del tutto discreto rispetto ad uno smartphone di effettuare registrazioni audio di nascosto o, meglio ancora, audio e video, per poi riversare i file per un successivo utilizzo in pc. |