Inattività delle parti
03 Ottobre 2018
Inquadramento
Il processo civile soggiace al cd. principio di impulso di parte. La tematica della necessità o meno che l'inizio e la prosecuzione del processo siano retti da un costante impulso di parte e non siano rimessi all'impulso ufficioso costituisce una scelta legislativa ispirata alle esigenze pubblicistiche di contenimento dei tempi di durata del processo, di deflazione del contenzioso e, a monte, di responsabilizzazione delle parti processuali, alla cui libertà di iniziativa e autodeterminazione processuale viene affidato l'iter del giudizio. In questa prospettiva, va analizzato l'istituto dell'estinzione del processo collegata all'inattività delle parti, ovvero al mancato compimento di un atto processuale di impulso che, in quanto essenziale all'iter processuale,deve essere posto in essere nei termini e con le modalità prefissate dal legislatore. L'inattività delle parti può essere deliberata (giacché ad esempio le parti abbiano trovato un accordo in via stragiudiziale) o frutto negligenza (ove, ad esempio, una parte ometta il compimento di un atto di impulso sottoposto a rigorosi termini di decadenza): in ogni caso, ad essa consegue la conclusione del giudizio in via anticipata senza che venga pronunciata la sentenza definitiva (con effetti diversi a seconda del grado di giudizio in cui si verifica) ovvero la perdita del potere processuale riconosciuto alla parte dalla norma violata. Ci si riferisce, per tali ultime ipotesi, alle decadenze cd. processuali, che si verificano allorquando il potere riconosciuto alla parte non venga esercitato nei modi e nei termini di legge. La norma che sancisce l'estinzione del giudizio per inattività delle parti è contenuta all'art. 307 c.p.c., nell'ambito del quale è possibile distinguere omissioni di atti processuali cui consegue l'immediata estinzione del giudizio ed omissioni di atti che, ove compiuti, avrebbero rimediato a precedenti omissioni. a) Le ipotesi della cd. doppia omissione. Tali ipotesi vengono in rilievo nella prima fase del giudizio: ovvero quando, dopo la notificazione della citazione, nessuna delle parti si sia costituita in giudizio nel termine assegnato con la conseguente mancata iscrizione a ruolo della causa e quando, pur dopo la costituzione in giudizio, il Giudice, quando ciò sia previsto dalla legge, abbia ordinato la cancellazione della causa dal ruolo. Perché in tali ipotesi all'inattività delle parti segua l'estinzione del giudizio, alla prima omissione deve aggiungersene una seconda: la mancata riassunzione del giudizio nel termine perentorio di tre mesi, che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell'art. 166 c.p.c. o dalla data del provvedimento di cancellazione. Come è evidente, in tali ipotesi, le parti possono rimediare alle inziali omissioni mediante riassunzione del giudizio nel termine perentorio di tre mesi. Il processo, cioè, entra in fase di stasi in attesa delle determinazioni delle parti in ordine alla sua prosecuzione. Conferma l'assunto la natura dello stesso atto di riassunzione il quale non introduce un nuovo procedimento, ma espleta esclusivamente la funzione di consentire la prosecuzione di quello già pendente, con la conseguenza che per la sua validità il giudice di merito deve apprezzarne l'intero contenuto, onde verificarne la concreta idoneità a consentire la ripresa del processo. E infatti, come chiarito dalla Suprema Corte, la nullità dell'atto di riassunzione non deriva dalla mancanza di uno o più dei requisiti di cui all'art. 125 disp. att. c.p.c., bensì dall'impossibilità del raggiungimento dello scopo a causa della carenza di elementi essenziali quali: il riferimento esplicito alla precedente fase processuale; l'indicazione delle parti e di altri elementi idonei a consentire l'identificazione della causa riassunta; le ragioni della cessazione della pendenza della causa stessa; il provvedimento del giudice che legittima la riassunzione; la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo (Cass. civ., sez. I, sent., n. 11193/2018). É utile a questo punto rammentare come, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., il quale esige la previsione di tempi e termini contenuti, con la l. n. 69/2009 il termine per la riassunzione è stato ridotto da un anno all'attuale di tre mesi.
b) Le omissioni cui consegue l'estinzione immediata. Costituiscono invece omissioni che conducono all'estinzione immediata del giudizio quelle sancite agli artt. 181, 290 e 307, commi 2 e 3, c.p.c.. L'ipotesi di cui al primo comma dell'art. 181 c.p.c. contempla la mancata comparizione delle parti a due udienze consecutive, ovvero alla prima udienza di comparizione e a quella di rinvio fissata dal Giudice e comunicata dalla Cancelleria alle parti. Alla mancata comparizione anche alla udienza di rinvio consegue la cancellazione della causa dal ruolo e l'immediata estinzione del giudizio. Analoga previsione deve ritenersi applicabile ai casi di cui all'art. 309 c.p.c. che, a differenza dell'art. 181 c.p.c., riguarda la mancata comparizione delle parti alle udienze successive alla prima. Anche in questo caso deve evidenziarsi l'intervento del legislatore del 2008 (l. n. 133/2008) che, modificando in parte qua la norma ha previsto che contestualmente alla cancellazione della causa dal ruolo, il Giudice dichiari l'estinzione del giudizio. Nella formulazione precedente invece, rimaneva nella facoltà delle parti la possibilità di riassumere il giudizio, seppur cancellato, nei termini di cui all'art. 307 c.p.c. (1 anno o tre mesi, ratione temporis). É evidente che anche tale modifica normativa si pone nel solco degli interventi normativi volti ad accelerare i processi, impedendo fasi di stasi protratti per lunghi periodi. L'ipotesi di estinzione contemplata al secondo comma dell'art. 181 c.p.c., rimette alla volontà del convenuto la scelta di rimediare all'omissione dell'attore non comparso in prima udienza. Ed infatti, solo ove il convenuto non chieda che si proceda in assenza dell'attore (costituito ma non comparso) il giudice rinvierà ad altra udienza la prima comparizione delle parti e, se neppure a tale udienza l'attore comparirà e il convenuto darà impulso al processo (chiedendo di procedersi in assenza dell'attore), ordinerà la cancellazione della causa dal ruolo e dichiarerà l'estinzione del giudizio. Altra ipotesi in cui è rimessa al convenuto la facoltà di proseguire il giudizio è contemplata all'art. 290 c.p.c.: al pari di quanto avviene per il caso della mancata comparizione dell'attore alla prima udienza (ipotesi ex art. 181, comma 2, c.p.c.), nel caso di sua mancata costituzione nei termini di cui all'art. 171 c.p.c., il convenuto può chiedere che si proceda in sua contumacia. Ove non faccia tale richiesta, il Giudice ordinerà la cancellazione della causa dal ruolo e il giudizio si estingue. Appartengono sempre alla categorie delle omissioni – che potremmo definire – con effetti estintivi immediati, le ipotesi di cui all'art. 307, commi 2 e 3, c.p.c.. Di pronta disamina sono quelle di cui al secondo comma della citata norma: il processo si estingue tutte le volte in cui, una volta riassunto a mente del I comma della stessa norma, nessuna delle parti si costituisca tempestivamente o se il Giudice ordini la cancellazione della causa dal ruolo. Trattasi, come è evidente, delle medesime omissioni sanzionate al primo comma, alle quali il legislatore collega l'effetto estintivo immediato per la loro ripetizione, scorgendovi – evidentemente – il sostanziale e conclamato (per quanto implicito) disinteresse delle parti alla prosecuzione del giudizio. Infine, il terzo comma dell'art. 307 c.p.c., sanziona con l'estinzione immediata del processo il mancato compimento di atti processuali indispensabili perché la pronuncia nel merito possa essere tecnicamente utile e/o non colpita da vizi che ne inficino la validità, tramutandosi in motivi di appello. In questa prospettiva si spiega perché, secondo la disposizione citata, il processo si estingue qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo. Numerose sono le ipotesi di legge costituenti esplicazione del disposto di cui all'art. 307, comma 3, c.p.c.. Si pensi al disposto di cui all'art. 102 c.p.c., a mente del quale il Giudice, ove ritenga sussistente un'ipotesi di litisconsorzio necessario in un giudizio nel quale non tutti i litisconsorti siano stati convenuti, ordina l'integrazione del contraddittorio assegnando un termine perentorio. Ove nessuna delle parti provveda alla ordinata integrazione, troverà applicazione l'art. 307, comma 2, c.p.c. e il processo di estinguerà. Non è superfluo a questo punto evidenziare come il Giudice non sia affatto tenuto ad indicare la parte in capo alla quale porre l'ordine di integrazione, potendo dunque provvedere una qualunque parte che vi abbia interesse. Ed è chiaro che l'interesse, in questo caso, non va valutato in senso sostanziale (ovvero con riguardo alla posizione giuridica assunta dai litisconsorti) ma più genericamente quale interesse alla prosecuzione del processo e, dunque, ad evitare la sanzione dell'estinzione. Altra ipotesi specifica che vale a riempire di contenuti la norma di cui all'art. 307, comma 3, c.p.c., si rinviene all'art. 182 c.p.c., il quale prevede l'estinzione del processo ove le parti non provvedano, nel termine perentorio assegnato dal Giudice, a sanare il difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione rilevato dal Giudice nel corso della verifica della regolare costituzione delle parti, ovvero quando non provvedano a munirsi di valida procura alle liti o alla sua rinnovazione, nel caso in cui il Giudice rilevi la sussistenza di un vizio di nullità della procura stessa. La panoramica proposta degli effetti dell'inattività delle parti, con particolare riguardo all'estinzione del giudizio, non può non annoverare le ipotesi di sospensione e di interruzione del processo. La sospensione del processo consiste in un arresto dell'iter processuale a causa di un determinato evento e fino alla sua cessazione. La disciplina generale della sospensione va individuata – salve le ipotesi specifiche espressamente disciplinate dalla legge – dall'art. 295 e ss. c.p.c.. Sia nel caso di sospensione volontaria (art. 296 c.p.c.), sia nl caso di sospensione per pregiudizialità cd necessaria (art. 295 c.p.c.) è fatto onere alle parti, ove col provvedimento di sospensione non sia stata fissata l'udienza per la prosecuzione del giudizio, di chiedere al Giudice di fissare l'udienza di prosecuzione, entro tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione e, in caso di sospensione per pregiudizialità dal passaggio in giudicato della sentenza. Ove nessuna delle parti provveda in tal senso, troverà applicazione il disposto di cui al comma 3 dell'art. 307, c.p.c. (trattasi di ipotesi da ricondurre al paradigma della prosecuzione del giudizio), con la conseguente estinzione immediata del giudizio. L'istituto dell'interruzione analogamente a quello della sospensione consiste in un arresto dell'iter processuale a causa di determinati eventi espressamente previsti dal legislatore, ovvero: la morte della parte (ed eventi alla stessa assimilabili, quali ad esempio, il fallimento, l'estinzione della persona giuridica, la morte presunta, la scomparsa della persona fisica), la perdita della capacità processuale della parte, la morte o perdita della capacità processuale del legale rappresentante della parte; la cessazione della rappresentanza legale, la morte, la radiazione e la sospensione dall'albo del difensore della parte. A fronte di tali eventi, l'effetto interruttivo è automatico e prescinde dalla dichiarazione che la parte faccia agli atti di causa per i soli eventi che colpiscono il difensore e per il caso di fallimento; mentre l'effetto interruttivo, nel caso di evento che colpisca la parte, si verifica solo nel caso in cui il suo difensore ne faccia dichiarazione agli atti di causa. Come per il caso della sospensione, anche in caso di interruzione è previsto un termine di tre mesi per riassumere il giudizio. Tale termine, a seconda, dell'evento interruttivo verificatosi, decorre da momenti diversi. E così, nell'ipotesi di morte o perdita della capacità della parte costituita, la dichiarazione dell'evento interruttivo può essere validamente effettuata dal difensore della parte colpita da esso al difensore della controparte, ai sensi del combinato disposto degli artt. 170 e 300 c.p.c., ed il termine per la riassunzione decorre da tale data, nella quale si realizza la conoscenza legale dell'evento interruttivo, e non da quella della formale dichiarazione di interruzione del processo (in questo senso, cfr. Cass. civ.,sez. VI-III, ord., n. 21375/2017). In questa ipotesi, quindi, a prescindere dal provvedimento di estinzione del Giudice, il termine per riassumere il giudizio decorre dalla dichiarazione dell'evento interruttivo da parte del difensore. Abbiamo già sottolineato come gli eventi interruttivi che riguardano il difensore della parere producano automaticamente l'interruzione del processo. Ora dobbiamo aggiungere il necessario corollario a tale affermazione: la morte del procuratore produce l'interruzione automatica del processo dal momento del suo verificarsi, indipendentemente dalla conoscenza che dell'evento abbiano le parti o il giudice, sicché, ha affermato la Sprema Corte, la conoscenza legale del fatto interruttivo, intervenuta in altro processo, è idonea a far decorrere il termine per la riassunzione anche in relazione a distinti giudizi, pendenti tra le medesime parti, in cui la parte era patrocinata dallo stesso difensore colpito dal suddetto evento (Cass. civ.,sez. VI-III, ord., n. 13900/2017). Infine, in caso di interruzione del processo determinata, ipso iure, dall'apertura del fallimento, giusta l'art. 43, comma 3, l.fall. (aggiunto dall'art. 41 del d.lgs. n. 5/2006), al fine del decorso del termine trimestrale per la riassunzione è necessaria la conoscenza "legale" dell'evento interruttivo, acquisita cioè non in via di fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell'evento che determina l'interruzione del processo, assistita da fede privilegiata (in questi termini Cass. civ.,sez. VI-I, ord., n. 8640/2018).
Più volte si è già sottolineato come l'estinzione, a seguito della riforma di cui alla l. 69/2009, opera di diritto ed è dichiarata anche d'ufficio dal Giudice. In particolare, l'attuale formulazione dell'art. 307, ultimo comma c.p.c. prevede che l'estinzione opera di diritto ed è dichiarata con ordinanza del giudice istruttore, ovvero con sentenza del collegio, mentre la formulazione precedente, pur prevedendo l'operatività di diritto, ne subordinava la dichiarazione all'eccezione della parte interessata da sollevarsi prima di ogni altra sua difesa. Ancora una volta, l'intervento del legislatore risulta finalizzato a delimitare e limitare i poteri delle parti di incidere sulla durata dei processi, conferendo il potere ufficioso al Giudice. É evidente la natura pubblicistica della norma in esame (come riformulata) nella parte in cui, sottraendo alla disponibilità delle parti la facoltà di “rinunciare” all'effetto estintivo già verificatosi, attua e si pone in lapalissiana continuità con la riduzione dei termini per la riassunzione e, a monte, con il principio di ragionevole durata del processo. Infine, una notazione merita la forma del provvedimento di estinzione. L'art. 307, ultimo comma, c.p.c. fa esplicito riferimento alla ordinanza del giudice istruttore e alla sentenza del collegio. Resta da chiedersi quale sia la forma del provvedimento di estinzione del Giudice che operi in funzione di giudice unico. Posto che l'ordinanza di estinzione emessa dal giudice istruttore è reclamabile al collegio e che la sentenza di estinzione pronunciata dal collegio è soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, deve certamente convenirsi sulla necessità che anche il provvedimento di estinzione emesso del giudice unico sia suscettibile di impugnazione. Sul punto, deve osservarsi che, per quanto c'è unanimità di vedute sull'assoggettabilità di tale ultimo provvedimento agli ordinari mezzi di impugnazione, secondo alcuni la forma del provvedimento è quella dell'ordinanza, secondo altri, invece, quella della sentenza. Tale ultima opzione appare preferibile perché maggiormente coerente con il sistema, ove si consideri che, spesso, le questioni in fatto e in diritto sottese all'estinzione del giudizio comportano il vaglio delle diverse posizioni difensive assunte dalle parti e quindi la risoluzione di una controversia, seppur limitata all'accertamento della intervenuta estinzione. Quanto agli effetti dell'estinzione nei vari gradi di giudizio, può sinteticamente evidenziarsi che l'estinzione del giudizio di primo grado non estingue il diritto sotteso al processo, sicché la domanda sarà riproponibile in altro giudizio. L'estinzione del giudizio di appello comporterà il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado e così l'estinzione del giudizio di Cassazione porterà al giudicato la sentenza di appello. Un'ultima notazione concerne il giudizio di primo grado di opposizione a decreto ingiuntivo, la cui estinzione condurrà al “passaggio in giudicato” del decreto ingiuntivo opposto.
Si è sin qui detto degli effetti processuali dell'inattività delle parti nella specifica prospettiva della chiusura anticipata del giudizio senza che lo stesso giunga ad una decisione che definisca il merito delle pretese e del rapporto dedotto in lite, ma si concluda con una pronuncia, in rito, di estinzione. E tuttavia non può non evidenziarsi come l'inattività delle parti possa, nei termini che diremo, incidere sull'iter processuale e sui contenuti dello stesso giudizio pur non comportandone l'estinzione. Ci si riferisce a quelle inattività che si concretizzano nell'omesso o tardivo esercizio di facoltà processuali riconosciute alle parti ma scandite con rigidi termini di decadenza e preclusioni. Iniziando la disamina sin dalle fasi inziali del processo, e tralasciando la tematica relativa al meccanismo delle allegazioni e della non contestazione, le prime preclusioni che vengono in rilievo attengono alla costituzione del convenuto. Essa deve avvenire almeno 20 giorni prima della prima udienza a pena di decadenza dalla facoltà di svolgere domanda riconvenzionale e chiamare in causa il terzo. Con riferimento alla posizione dell'attore la prima preclusione che in capo allo stesso si matura concerne la facoltà di chiamare in causa il terzo. Ove tale esigenza sorga dalle difese del convenuto, l'attore alla prima udienza, a pena di decadenza, deve dichiarare di voler chiamare in causa il terzo e chiedere al Giudice l'autorizzazione. Segue alla fase iniziale del giudizio la previsione di stringenti e perentori termini processuali per introdurre e fissare definitivamente il thema decidendum eil thema probandum.Trattasi delle preclusioni assertive e probatorie di cui all'art. 183 c.p.c.. E così, le parti, ove omettano o tardino il deposito delle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., il Giudice non ammetterà alcuna prova costituenda (orale) e riterrà inammissibili i documenti tardivamente prodotti. Tali omissioni processuali, pur non comportando l'estinzione del giudizio, incidono sullo svolgimento dello stesso (nel senso che avrà un'istruttoria più o meno significativa) e sui suoi contenuti sino a refluire nella decisione di merito. Riferimenti
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