Il decreto ingiuntivo nel contenzioso bancario: quadro di sintesi

08 Novembre 2024

Il decreto ingiuntivo è uno strumento rapido e sommario, ampiamente utilizzato dalle banche per il recupero di crediti derivanti da vari rapporti contrattuali, quali mutui, finanziamenti, scoperti di conto corrente e altre forme di credito. In questo contributo, si fornirà un'analisi sintetica delle peculiarità del decreto ingiuntivo nel contesto del contenzioso bancario, esaminando la disciplina normativa di riferimento (in particolare l'art. 50 TUB), i presupposti per l'ottenimento del provvedimento monitorio, le contestazioni più comuni (l'opposizione a decreto ingiuntivo) nonché le recenti pronunce giurisprudenziali in materia.

Il decreto ingiuntivo: aspetti introduttivi

Il decreto ingiuntivo è uno strumento giuridico di carattere sommario che permette a un creditore di ottenere un titolo esecutivo in tempi rapidi, senza dover affrontare un processo ordinario; nel contenzioso bancario è largamente utilizzato dalle banche per il recupero di crediti, derivanti da vari rapporti contrattuali, come mutui, finanziamenti, scoperti di conto corrente e altre forme di credito concesse al cliente.

Come noto, il decreto ingiuntivo è regolato dagli articoli 633 e ss. c.p.c. Esso consente al creditore (in questo caso la banca) di rivolgersi direttamente al giudice per ottenere un'ingiunzione di pagamento nei confronti del debitore (cliente o garante) in base a crediti che risultano certi, liquidi ed esigibili.

Riguardo ai predetti requisiti,

a) certezza del credito: il credito deve derivare da un titolo valido che ne attesti l'esistenza. Nel contenzioso bancario, la certezza del credito si fonda prevalentemente su documenti scritti, come il contratto di mutuo o estratti conto certificati, che rappresentano il saldo a debito del cliente;

b) liquidità del credito: la somma dovuta deve essere determinata o determinabile con un semplice calcolo. Ad esempio, in un finanziamento bancario, la somma debitoria può essere facilmente calcolata considerando il capitale residuo, gli interessi contrattuali maturati e le eventuali spese;

c) esigibilità del credito: il credito deve essere scaduto e, quindi, esigibile al momento della richiesta del decreto ingiuntivo. Nel caso di mutui o finanziamenti, ciò si verifica quando il cliente non rispetta il piano di rimborso o i termini di restituzione pattuiti.

Una volta emesso, il decreto ingiuntivo deve essere notificato al debitore, il quale ha 40 giorni per fare opposizione. Le contestazioni più frequenti nel contenzioso bancario riguardano il calcolo degli interessi (spesso il debitore contesta l'applicazione di interessi usurari o anatocistici), la invalidità delle clausole contrattuali ovvero la violazione della disciplina di Trasparenza bancaria (Titolo VI del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, di seguito TUB).

L'art. 50 TUB

L'articolo 50 del Testo Unico Bancario (TUB), rappresenta una norma di particolare rilievo per il recupero crediti nel contesto del contenzioso bancario, facilitando il procedimento di decreto ingiuntivo per le banche e gli intermediari finanziari. La disposizione stabilisce, infatti, che «La Banca d'Italia e le banche possono chiedere il decreto d'ingiunzione previsto dall'art. 633 c.p.c. anche in base all'estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido».

L'articolo 50 TUB introduce, a beneficio della banca, una significativa semplificazione probatoria: l'estratto conto emesso dalla banca e certificato conforme alle scritture contabili è considerato prova valida per ottenere il decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 633 c.p.c., senza ulteriori accertamenti documentali.

Di regola, a corredo del ricorso per decreto ingiuntivo la banca dovrà allegare, nei conti correnti, il contratto di finanziamento e l'estratto conto (non il saldaconto, v. appresso) certificato da un dirigente, come richiesto dall'art. 50 TUB. Nei mutui, invece, è sufficiente la produzione del contratto e il piano di ammortamento, unitamente ad un estratto debitorio delle rate insolute. Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, l'estratto conto ex art. 50 TUB non è necessario nel caso in cui il credito azionato con decreto ingiuntivo tragga origine da un contratto di mutuo, risultando sufficiente la produzione del solo contratto e del piano finanziario (Trib. Campobasso 13.12.2017, che richiama anche Trib. Foggia 9.2.2017; Trib. Lecce 18.2.2021; Trib. Roma 21.7.2022: laddove il credito azionato tragga origine da un contratto di finanziamento concesso a titolo di mutuo, la prova del credito è raggiunta attraverso la semplice produzione in giudizio del titolo negoziale e l'allegazione dell'inadempimento del mutuatario, gravando su quest'ultimo l'onere di provare il fatto estintivo del credito o di una sua parte; Trib. Busto Arsizio 5.7.2022: ai fini dell'emissione di un decreto ingiuntivo in relazione a rapporti di mutuo, la semplice produzione del contratto e del relativo piano di ammortamento può considerarsi sufficiente a ritenere provato il credito vantato dalla banca, in quanto tale documentazione consente di determinarne con sufficiente grado di certezza il quantum azionato; Trib. Napoli 25.10.2022 n. 13324).

In entrambe le circostanze (mutui e conti correnti) rilevano anche, secondo le situazioni, le comunicazioni (recettizie) della banca inerenti alla risoluzione del rapporto, alla decadenza del beneficio del termine, al recesso e alla intimazione di pagamento.

L'estratto conto ex art. 50 TUB

L'estratto conto, richiesto dall'art. 50 TUB per la concessione del decreto ingiuntivo a favore della banca, deve essere una indicazione analitica dei movimenti che portano come risultato finale al saldo, mentre il saldaconto (previsto dalla precedente normativa) è solo l'espressione numerica del saldo che scaturisce da diverse annotazioni in dare e in avere del conto. Come infatti chiarito da Cass., Sez. Un., n. 6707/1994, il saldaconto è affatto diverso dall'estratto di conto corrente. Quest'ultimo documento riproduce integralmente i dati annotati nella scheda del conto e relativi a tutte le operazioni affluite sullo stesso nel periodo al quale l'estratto si riferisce (addebiti, accrediti, rimesse di terzi, interessi attivi e passivi, etc.), con il saldo alla data di chiusura, ed è trasmesso al correntista per consentirgli di controllare l'esattezza delle annotazioni; il saldoconto è, invece, un documento nel quale viene indicato soltanto il saldo debitore del conto, senza che sia riportata l'evoluzione delle operazioni attive e passive che l'hanno determinato.

La Cassazione ha censurato la circostanza che, decenni dopo l'abrogazione dell'art. 102 della vecchia legge bancaria (l. n. 141/1938), nella prassi sia ancora impropriamente utilizzato il ‘saldaconto' in luogo del più dettagliato estratto conto ossia, ex art. 119 TUB, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto. Deve dunque prendersi definitivamente atto che l'estratto di saldaconto, di mera natura riassuntiva del debito finale, idoneo nel vigore del previgente art. 102 della legge bancaria del 1938, non è più sufficiente ai sensi dell'art. 50 TUB, che richiede anche in monitorio un vero e proprio estratto conto con la registrazione delle varie partite in dare e avere (Cass. n. 29577/2020, che richiama i precedenti di Cass. n. 13542/2017; Cass. n. 12935/2017; Cass. n. 12936/2017).

In definitiva, l'estratto conto certificato ex art. 50 TUB deve dunque contenere tutte le voci a credito e a debito ricadenti nell'arco di tempo considerato, ivi compresi i diritti di commissione, le spese e le operazioni effettuate, gli interessi attivi e passivi maturati, le ritenute fiscali (Cass. n. 13542/2017; Cass. n. 12935/2017; Cass. n. 12936/2017; per la giurisprudenza di merito, tra le altre, Trib. Torino 28.5.2013; Trib. Verona 2.12.2015).

Strettamente connesso a quanto sin qui esposto è se, in sede monitoria, sia necessaria la produzione di tutti gli estratti conto dall'inizio alla fine del rapporto. Parte della giurisprudenza, anche di legittimità, ha stabilito che in tema di prova del credito azionato da una banca mediante ricorso per decreto ingiuntivo, l'art. 50 TUB non richiede, stando al suo tenore letterale, la specificazione analitica di tutte le operazioni succedutesi sul conto durante l'intero arco del rapporto, giacché trattasi di norma improntata ad esigenze di semplificazione e agevolazione probatoria che risultano soddisfatte dalla mera esposizione del saldo finale, pur sempre portato da un estratto conto, per di più virtualmente ma efficacemente suffragata, per effetto della certificazione del dirigente, da tutte le scritturazioni dell'istituto relative al rapporto (Cass. 2.8.2013, n. 18541: nella fase monitoria è possibile produrre solo gli estratti conto relativi all'ultima fase di movimentazione del conto ai sensi dell'art. 50 TUB; App. Milano 4.4.2003; Trib. Verona 2.12.2015; Trib. Ravenna 8.3.2018; Trib. Siracusa 27.2.2020).

In tempi più recenti, la Cassazione, rimeditando il proprio precedente (la predetta decisione n. 18541 del 2013), ha osservato che la formulazione dell'art. 50 TUB non offre appigli, almeno espliciti, all'opinione secondo cui essa si riferirebbe all'ultimo estratto conto: a meno di non voler valorizzare il troppo esile rilievo che «l'estratto conto» è citato al singolare. Semmai, sembra preferibile ritenere che la facoltà delle banche di chiedere il decreto d'ingiunzione previsto dall'articolo 633 c.p.c. «anche in base all'estratto conto», ossia ad «una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto», richieda la produzione di quegli estratti conto dai quali sia possibile ricostruire, nello sviluppo temporale del rapporto, la sussistenza del credito fatto valere con il ricorso per ingiunzione (Cass. n. 29577/2020).

Di particolare impatto operativo è anche la circostanza che, in base al combinato disposto degli artt. 4, comma 1, l. n. 130/1999 e 58, comma 3, TUB, è stata estesa anche ai cessionari di crediti acquistati nelle operazioni di cartolarizzazione exlegge n. 130/1999 la speciale prerogativa concessa dal legislatore all'art. 50 TUB alle banche, allo scopo di dotarle di strumenti rapidi ed efficaci che consentano di contenere gli immobilizzi e le perdite su crediti (Cass. n. 31577/2019; Cass. n. 20626/2021: la natura speciale dell'art. 50 TUB non rappresenta in alcun modo un elemento ostativo all'esperimento dell'azione monitoria da parte di soggetti non aventi natura bancaria nell'ipotesi in cui questi si siano resi cessionari del credito derivanti da rapporti bancari in virtù di operazioni di cartolarizzazione disciplinate dall'art. 4, comma 1, legge n. 130 del 1999, ovvero siano mandatari di tali cessionari. In particolare, nessun elemento ostativo si pone nel caso in cui la legittimazione ad agire del soggetto non bancario trovi la propria fonte nel mandato con rappresentanza conferitogli dalla stessa banca e sulla base di una certificazione ex art. 50 TUB emessa dall'istituto di credito presso cui era stato aperto il conto corrente; Trib. Firenze 27.9.2024 n. 3001).

L'opposizione a decreto ingiuntivo

Nell'opposizione a decreto ingiuntivo il debitore della banca, ossia l'ingiunto, contesta il saldo della banca sia per l'applicazione di indebiti, sia semplicemente nel suo ammontare effettivo, di regola in quanto determinato dall'applicazione di clausole contrattuali asseritamente invalide. In esito a tali contestazioni, si instaura un autonomo giudizio di cognizione, rispetto al quale valgono le medesime “regole” processuali generali: il ricorrente (attore sostanziale: banca) dovrà assolvere, in primo luogo, gli oneri di puntuale allegazione e, in secondo luogo, dovrà provvedere a supportare la domanda giudiziale con prove documentali sufficienti a provare l'esistenza del credito. L'opponente (attore formale: cliente) è il convenuto sostanziale, e secondo le previsioni ordinarie incombe a lui l'onere di provare i fatti estintivi, impeditivi o modificativi.

Come risaputo, il giudizio di opposizione ha per oggetto non il riesame delle condizioni per l'emissione del decreto ingiuntivo, ma l'accertamento del diritto sostanziale sottostante il ricorso monitorio, sulla base delle prove acquisite nella fase a cognizione piena (ex multisCass. n. 7961/2018; Cass. n. 3908/2016). Le Sezioni Unite hanno chiarito che l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non è una "actio nullitatis" o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore - anche se eventuale - del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo (Cass., Sez. Un., n. 927/2022).

In materia di opposizione a decreto ingiuntivo vige dunque il principio secondo cui l'onere probatorio incombe sulla banca (creditore opposto) la quale, dovendo provare il credito ingiunto, deve produrre in giudizio, a) il contratto di finanziamento, dal quale si evincono la data di stipula e le condizioni pattuite; b) la documentazione relativa alle eventuali modificazioni delle pattuizioni contrattuali ex art. 118 TUB nonché c) tutte le scritture contabili (estratti conto) dall'inizio del rapporto dal quale scaturisce il saldo debitorio, senza poter invocare l'onere di conservazione della predetta documentazione per un periodo massimo di dieci anni, ai sensi degli artt. 2220 c.c. e 119TUB. La Cassazione, infatti, ha reiteratamente stabilito che superata la fase monitoria, in cui è possibile produrre solo gli estratti conto relativi all'ultima fase di movimentazione del conto ai sensi dell'art. 50 TUB, nel successivo giudizio a cognizione piena la banca è tenuta a produrre gli estratti conto a partire dall'apertura del conto anche oltre il decennio, perché non si può confondere l'obbligo di conservazione della documentazione contabile con l'onere di fornire prova in giudizio del proprio credito. La produzione di estratti conto per un periodo temporale unilateralmente determinato dalla banca è inidonea ad assolvere completamente l'onere probatorio a carico della stessa (ex multisCass. n. 1892/2023; Cass. n. 11543/2019; Cass. n. 14640/2018; Cass. n. 28945/2017; Cass. n. 1584/2017; Cass. n. 7972/2016).

L'opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c. ai sensi della sentenza delle Sezioni Unite n. 9479/2023

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza 6 aprile 2023, n. 9479), conformandosi alle pronunce della Corte di Giustizia del 17.05.2022 (rese in cause riunite C-693/19 e C-831/19, SPV Project e Banco di Desio, in causa C-600/19 Ibercaja Banco Sa, in causa C-725/19 Io c. Impuls Leasing e in causa C-869/19 L. c. Unicaja Banco) ha sostanzialmente disposto un vero e proprio "vademecum" per il giudice del monitorio sulle clausole abusive nei contratti consumeristici,  prevedendo in estrema sintesi che: a) nella fase monitoria il giudice deve svolgere, d'ufficio, il controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all'oggetto della controversia, con relativo potere di impulso ai fini della richiesta del contratto medesimo nonché di eventuali chiarimenti, al fine di verificare la sussistenza dell'abusività di clausole a danno del consumatore, con le relative conseguenze; b) nella fase esecutiva, in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, il giudice avrà il dovere - da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito - di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo e di avvisare il debitore esecutato che entro 40 giorni potrà proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per far accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, con effetti sull'emesso decreto ingiuntivo.

Tale pronuncia impone, pertanto, sia ai giudici della cognizione per la fase monitoria sia ai giudici dell'esecuzione l'esame delle clausole contenute nei contratti stipulati con il consumatore, peraltro riguardanti trasversalmente un numero indeterminato di materie (diritto bancario, vendita di beni di consumo, appalti, somministrazione, ecc.).

Come sancito dalla CGUE nelle sentenze gemelle del 17.05.2022 e dalla Cass., Sez. un., n. 9479/2023, lo svolgimento e l'esito del controllo di vessatorietà deve essere esplicitato dal Giudice del monitorio nel decreto ingiuntivo con motivazione succinta.

In definitiva,  «l'opposizione ex art. 650 c.p.c. […] è idonea a rimettere in discussione il risultato di condanna conseguito dal creditore con il decreto ingiuntivo non opposto proprio in ragione del carattere abusivo della clausola del contratto fonte del diritto azionato in via monitoria, così da poter determinare la caducazione di quel decreto ovvero la riduzione del suo importo quale conseguenza della dichiarazione della natura abusiva di una o più clausole, con sentenza – come detto – suscettibile di passare in giudicato formale e con attitudine al giudicato sostanziale» (Cass., Sez. un., n. 9479/2023).

Opposizione a decreto ingiuntivo e mediazione obbligatoria

La mediazione obbligatoria è una condizione di procedibilità in materia di «contratti assicurativi, bancari e finanziari» (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010). L'istanza di mediazione deve essere presentata presso l'Organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia.

Le Sezioni Unite n. 19596/2020, risolvendo il contrasto giurisprudenziale esistente, hanno stabilito (adducendo ragioni di carattere testuale, logico e sistematico) che l'onere di attivare il procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è a carico del creditore opposto (banca), enunciando il seguente principio di diritto: «Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo»

La ‘riforma Cartabia' ha introdotto una specifica norma riguardante l'opposizione a decreto ingiuntivo. Il nuovo art. 5 bis del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 prevede, infatti, che quando l'azione menzionata nell'articolo 5, comma 1, viene avviata tramite un ricorso per decreto ingiuntivo, nel procedimento di opposizione il compito di presentare la domanda di mediazione spetta alla parte che ha fatto ricorso al decreto ingiuntivo (la banca creditrice). Se la mediazione non è stata fatta nei tempi previsti, il giudice procede a dichiarare l'improcedibilità dell'azione avviata con la presentazione del ricorso per decreto ingiuntivo, revocando anche il decreto opposto in sede di opposizione e decidendo sulle spese di lite.

In conclusione

Il decreto ingiuntivo rappresenta uno strumento centrale per il recupero crediti in ambito bancario, agevolando il recupero di somme dovute grazie a procedure semplificate, in particolare attraverso l'applicazione dell'art. 50 TUB. La giurisprudenza ha svolto un ruolo cruciale nel chiarire l'applicazione delle norme, contribuendo a bilanciare le esigenze di tutela del creditore con quelle del debitore. In questo contesto, l'opposizione a decreto ingiuntivo, soprattutto a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 9479/2023 relativamente alle clausole abusive nei contratti consumeristici, si rivela uno strumento fondamentale per garantire un accertamento completo della legittimità del credito.

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