Questioni in tema di tempestività dell’intervento nella procedura esecutiva

19 Novembre 2024

E' tempestivo l'intervento di un creditore - già in precedenza intervenuto tempestivamente in virtù di sentenza non definitiva di condanna provvisionale - che richieda, dopo l'emissione dell'ordinanza di vendita, di partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita in virtù della sentenza definitiva che ha condannato il debitore ad un importo superiore rispetto alla provvisionale?

Massima

Non può considerarsi tempestivo l’intervento con il quale un creditore - già in precedenza intervenuto tempestivamente nella procedura in virtù di sentenza non definitiva, recante la previsione di una condanna provvisionale – richieda, dopo l’emissione di ordinanza di vendita, di partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita in virtù della sentenza definitiva recante l’esatta quantificazione del credito risarcitorio: non si configura, infatti, tale sentenza definitiva, come una “integrazione” o un “completamento” della precedente condanna generica resa in via non definitiva, venendo piuttosto in rilievo due autonomi titoli (quello recante la condanna al pagamento di una provvisionale e quello recante la definitiva quantificazione del danno), in relazione ai quali occorre svolgere distinte valutazioni in punto di tempestività dell’intervento.

Il caso

La questione all’esame della Cassazione ha ad oggetto una opposizione agli atti esecutivi, proposta contro l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Termini Imerese aveva accolto le osservazioni svolte da un creditore contro il progetto di distribuzione predisposto, all’esito di una procedura esecutiva di espropriazione immobiliare, dal professionista delegato.

Nella sentenza si dà conto dell’articolato iter processuale che ha condotto alla pronuncia da ultimo resa dai giudici di legittimità (con una prima sentenza di rigetto dell’opposizione resa dal Tribunale di Termini Imerese, che veniva tuttavia cassata in sede di legittimità per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di alcuni litisconsorti necessari, nonché in una successiva pronuncia di rigetto resa dal predetto Tribunale, con infine un nuovo approdo in Cassazione).

La vicenda all’origine del ricorso esaminato dalla Cassazione, può sintetizzarsi come segue: nel corso di una procedura esecutiva per espropriazione immobiliare pendente dinanzi al Tribunale di Termini Imerese veniva spiegato un primo intervento, da ritenersi tempestivo, da parte di un creditore, in virtù di una sentenza non definitiva di condanna generica con previsione del pagamento di una provvisionale, seguito poi da altro intervento, spiegato nella stessa procedura dal medesimo creditore successivamente alla emissione di ordinanza di vendita, sulla base di sentenza definitiva che aveva quantificato il danno, in precedenza riconosciuto solo in modo generico, pervenendo alla liquidazione di un importo sensibilmente superiore alla somma in precedenza determinata in sede di provvisionale.

Mentre il professionista delegato, nel predisporre bozza di progetto di distribuzione, aveva ritenuto che tale secondo intervento fosse tardivo, con il conseguente effetto di non poter trovare soddisfazione nella procedura, il giudice dell’esecuzione, nel recepire le osservazioni svolte dal creditore intervenuto, aveva ravvisato tale tempestività, approvando il progetto di distribuzione così modificato.

Contro tale decisione veniva spiegata opposizione agli atti esecutivi dal creditore procedente, che veniva respinta in due diverse occasioni (come accennato in precedenza) dal Tribunale di Termini Imerese, approdando infine in Cassazione.

La questione

La questione sulla quale si soffermano i giudici di legittimità nella sentenza in commento concerne la tematica della tempestività dell’intervento spiegato in corso di procedura.

In particolare, l’argomento controverso sul quale si erano incentrate le due pronunce del Tribunale di Termini Imerese rese in precedenza e sul quale si sofferma, ribaltando la posizione espressa dal predetto Tribunale, la Cassazione, concerne la possibilità di ritenere un intervento, seppure spiegato successivamente alla emissione dell’ordinanza di vendita, come tempestivo, laddove il titolo sul quale il medesimo si fondi tale secondo intervento si ponga, per così dire, in continuità, con il titolo posto a base del primo intervento, al punto da potersi configurare, nella prospettazione fatta propria dal Tribunale di Termini Imerese, una vera e propria complementarità fra i due titoli posti a base dei due diversi interventi.

Ebbene, mentre il Tribunale di Termini Imerese aveva ritenuto, a più riprese, sulla base di tale ravvisata complementarità tra i due titoli, tempestivo tale secondo intervento, la Cassazione ritiene di non condividere, sulla base di un iter argomentativo accurato e rigoroso, tale conclusione.

Le soluzioni giuridiche

Si è già dato conto, molto succintamente, delle circostanze in fatto all'origine del ricorso esaminato dalla Cassazione.

Tale ricorso viene fondato su quattro distinti motivi, ma appare opportuno soffermarsi sull'assorbente motivo che ha condotto al suo accoglimento.

Con tale motivo si deduceva la «violazione degli artt. 278 c.p.c., 499 c.p.c. e 563 c.p.c. (vecchia formulazione) del codice di rito, per avere la gravata sentenza qualificato il secondo intervento (…), compiuto in forza di sentenza definitiva di condanna al risarcimento di danni, come una integrazione del primo intervento, spiegato in virtù di una sentenza generica» (si veda la pronuncia in commento).

Sul punto, la Cassazione evidenzia come la pronuncia del giudice di prime cure sia viziata da errore laddove ha «ascritto alla sentenza di condanna generica ex se apprezzata (cioè a dire, considerata separatamente rispetto alla contestuale condanna provvisionale) natura di titolo idoneo per far valere in via esecutiva, poiché ritenuto accertato nell'an, l'intero credito poi riconosciuto e determinato nel quantum con la sentenza definitiva» (si veda ancora la pronuncia che si annota).

In proposito, i giudici di legittimità evidenziano come la sentenza non definitiva di condanna generica non solo non sia provvista, a norma dell'art. 278 c.p.c., di efficacia esecutiva, ma neppure documenti l'esistenza di un credito risarcitorio certo, al punto che «al giudice della liquidazione non è precluso negare la sussistenza del danno e dichiarare infondata la pretesa risarcitoria, anche in ipotesi di passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica» (si veda ancora sentenza Cass. civ., sez. III, 20 settembre 2024, n. 25261).

Da ciò consegue che una «sentenza di condanna generica non può essere considerata titolo abilitante a dispiegare intervento nell'esecuzione forzata a tutela del credito risarcitorio, poiché da essa non accertato» e ciò, puntualizza ancora la Cassazione, anche in vigenza della formulazione dell'art. 499 c.p.c. anteriore alle modifiche apportate per effetto del d.l. n. 35/2005, convertito in l. n. 80/2005, con modificazioni.

Da ciò deriva la «non corretta la declinazione in termini di "integrazione", "specificazione" o "completamento" della relazione tra il secondo intervento (proposto nel 2006) ed il primo intervento (formulato nel 1999)».

Ciò che viene in rilievo, allora, nel presente caso, non è affatto una unicità di titoli, in rapporto di complementarità uno con l'altro, ma piuttosto l'esistenza di due distinti atti di intervento, fondati su due distinti titoli esecutivi, il primo costituito dalla condanna al pagamento di una provvisionale ed il secondo costituito dalla sentenza definitiva che ha liquidato la somma complessivamente dovuta a titolo risarcitorio.

Indubbiamente, osserva ancora la Cassazione, tra i due titoli in questione, succedutisi nel tempo, esiste una stretta relazione, ma tale rapporto non va letto in termini di integrazione, specificazione o completamento, ma piuttosto come «una successione di titoli esecutivi, segnata da una differente quantificazione del credito da soddisfare», con conseguente «assorbimento del titolo temporalmente anteriore (cioè, la condanna provvisionale) in quello successivo (la condanna definitiva)».

E così, osserva ancora la Corte, proprio come avviene nel caso di pronuncia esecutiva di primo grado che venga parzialmente riformata, in sede di appello, in punto di quantum debeatur, la richiesta di riscossione, in sede esecutiva, della maggior somma eventualmente liquidata con il secondo titolo, dovrà necessariamente essere formalizzata mediante un nuovo atto di intervento, che non potrà che sottostare alle regole dettate in tema di tempestività dell'intervento in sede esecutiva.

Ecco, allora, che in considerazione di quanto precede, il secondo atto di intervento, formalizzato sulla base della sentenza di condanna definitiva, essendo stato spiegato successivamente alla emissione della ordinanza di vendita, non poteva che considerarsi tardivo a norma dell'art. 565 c.p.c.

Osservazioni

La decisione assunta dalla Corte di Cassazione risulta condivisibile.

La tesi sostenuta nella sentenza del Tribunale oggetto di ricorso, per quanto suggestiva (consistente nel ritenere l'intervento fondato sulla sentenza definitiva come una integrazione di quanto già richiesto nel primo intervento, fondato su sentenza di condanna generica), viene smentita sulla base di un percorso argomentativo chiaro e serrato, che evidenzia il carattere non esecutivo di tale pronuncia di condanna generica e finanche l'impossibilità di ritenere tale sentenza non definitiva come una sicura anticipazione della liquidazione di un danno in via definitiva.

Ne deriva, come esposto in precedenza, che unici titoli utilmente “spendibili” in sede esecutiva saranno, nel caso sottoposto all'esame di legittimità, quello recante la condanna al pagamento di una provvisionale e quello reso in via definitiva, recante la liquidazione delle somme complessivamente dovute a titolo risarcitorio, i quali certamente sono in stretta relazione fra loro, ma in un rapporto indubbiamente differente da quello ipotizzato dal giudice di merito.

La decisione in questione, peraltro, si pone in continuità - sia pur tenendo conto della peculiarità del caso esaminato nella sentenza in commento (costituito dalla esistenza di una precedenza sentenza non definitiva di condanna generica, con comminatoria di una provvisionale) - con una pronuncia di soli pochi mesi precedente, che nell'esaminare il caso di una procedura esecutiva avviata sulla base di un titolo giudiziale reso in primo grado e successivamente riformato in appello solo in punto di quantum debeatur, aveva evidenziato la necessità, nel caso si intendesse far valere nella medesima procedura il maggior credito riconosciuto in sede di appello, di formalizzare atto di intervento in relazione a tale maggior somma (si veda Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2024, n. 16664. In termini analoghi, peraltro, già si esprimeva Cass. civ., sez. III, 7 aprile 1986, n. 2406).

Alle scarne considerazioni che precedono può aggiungersi un cenno sulle disposizioni applicabili alla fattispecie esaminata dalla Cassazione, quanto meno con riferimento agli elementi che è possibile evincere dal contenuto della stessa.

Veniva in rilievo, infatti, una procedura esecutiva introdotta nell'ormai lontano 1997.

Tuttavia, le disposizioni di riferimento ai fini della distinzione fra intervento tempestivo e intervento tardivo, non sono mutate, dal momento che l'art. 565 c.p.c., nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate per effetto del d.l. n. 35 del 2005 (convertito, con modificazioni, in L. n. 80/2005) prevedeva che «i creditori chirografari che intervengono oltre l’udienza indicata nell’art. 563 secondo comma, ma prima di quella prevista nell’art. 596, concorrono alla distribuzione di quella parte della somma ricavata che sopravanza dopo soddisfatti i diritti del creditore pignorante e di quelli intervenuti in precedenza».

Ne deriva, allora come ora, che l'intervento fondato su credito chirografario spiegato, nella procedura esecutiva immobiliare, successivamente all'emissione dell'ordinanza di vendita (in tal senso dovendo intendersi, secondo la prevalente interpretazione della norma, il riferimento alla «udienza indicata nell'art. 563 secondo comma» e, nella formulazione dell'art. 565 c.p.c. oggi vigente, «udienza indicata nell'art. 564») deve ritenersi irrimediabilmente tardivo, con l'effetto di potersi soddisfare unicamente su quanto residui, una volta dedotte le spese di procedura, all'esito della soddisfazione dei creditori muniti di diritto di prelazione e dei creditori chirografari tempestivi.

Ecco, allora, che le indicazioni ermeneutiche ricavabili dalla sentenza in commento appaiono ancora attuali ed utili a districarsi in una materia sempre insidiosa, quale l'intervento nella procedura esecutiva.

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