Buoni pasto per i lavoratori: un diritto di natura assistenziale riconosciuto dalla contrattazione collettiva
20 Novembre 2024
Massima Il diritto alla fruizione del buono pasto non ha natura retributiva ma costituisce un'erogazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore; proprio per la suindicata natura, il diritto al buono pasto è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono. Il caso Le condizioni per l'erogazione dei buoni pasto Con ricorso depositato avanti al Tribunale di Roma alcuni lavoratori, premettendo di aver fornito la prestazione tipica su turni per quattro giorni su sei alla settimana, deducevano di non aver mai percepito i buoni pasto. Secondo i ricorrenti, l'articolazione oraria osservata (in forza della quale i dipendenti prestavano servizio su turni di sei ore e mezzo per quattro giorni alla settimana) era tale da comportare il diritto al buono pasto: veniva perciò richiesta la condanna del datore di lavoro al pagamento di una somma di denaro pari al valore nominale dei buoni mai erogati a partire dall'anno 2019. La questione L'articolazione dell'orario di lavoro e le modalità di fruizione del servizio di mensa La parte datoriale si difendeva deducendo di aver attivato il servizio di mensa per mezzo di convenzioni con vari esercizi commerciali, nel rispetto del contratto collettivo applicato ai rapporti di lavoro. Il datore inoltre contestava la turnazione indicata in sede di ricorso ed il valore nominale attribuito dalla controparte ai buoni pasto asseritamente non corrisposti. Il Tribunale di Roma era dunque chiamato a decidere se l'articolazione oraria della prestazione lavorativa eccedente le sei ore giornaliere fosse di per sé argomento sufficiente per fondare il diritto all'erogazione del buono pasto. Le soluzioni giuridiche Il ruolo del CCNL ai fini del riconoscimento del diritto al buono pasto Il Giudice del lavoro constata, innanzitutto, che la consistenza dei turni lavorativi non era stata provata dai ricorrenti. A fronte della puntuale contestazione della datrice di lavoro, i lavoratori non avevano prodotto alcun documento a sostegno della propria allegazione, né avevano formulato istanze istruttorie sul punto. Già a fronte di ciò, nota il Tribunale, la domanda avrebbe dovuto essere rigettata. La sentenza in commento preferisce comunque soffermarsi sui presupposti del diritto all'erogazione dei buoni pasto, richiamandosi in proposito alla giurisprudenza più affermata. Nel dettaglio, il Tribunale si riporta alla recente ordinanza della Corte di Cassazione 5 luglio 2024 – 31 luglio 2024, n°21440, secondo cui “il diritto alla fruizione del buono pasto non ha natura retributiva ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore; proprio per la suindicata natura il diritto al buono pasto è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono”. La fonte del diritto in questione – chiosa il Giudice del lavoro – va dunque individuata nelle previsioni del contratto collettivo da applicare al rapporto. Nel caso di specie la parte ricorrente non era riuscita a individuare alcuna norma collettiva che statuisse la ricorrenza del diritto in esame, nonostante un mero richiamo all'art. 29 del CCNL 20 settembre 2001 cui però non era seguita una più puntuale descrizione del contratto evocato né tanto meno la produzione del testo contrattuale. Al contrario, la parte resistente aveva prodotto il contratto collettivo applicato ai rapporti di lavoro dedotti in giudizio (si trattava del CCNL Servizi Ambientali del 10 luglio 2016) e gli accordi nazionali del 2021 e del 2022. L'attenzione del Giudicante si concentrava dunque sull'art. 32, lett. H, del citato contratto, a mente del quale “Nelle Aziende in cui non opera il servizio di mensa interna, saranno individuate adeguate soluzioni alternative, ivi comprese convenzioni con attività di ristoro esterne, previo esame congiunto con i soggetti sindacali competenti individuati nell'art. 1 del presente CCNL. L'irrealizzabilità del servizio mensa non può determinare la corresponsione di indennità sostitutive”. Per il Tribunale, la lettera della norma collettiva è tale da escludere l'attribuzione di un diritto al buono pasto, prevedendo invece l'istituzione di un servizio mensa interno all'impresa oppure eseguito con modalità alternative: nella specie, la parte datoriale aveva proprio dimostrato di aver istituito convenzioni con altri esercizi per garantire la fruizione dei pasti. La pronunzia in commento si sofferma poi sulla tesi dei lavoratori secondo cui il diritto al buono pasto si fonderebbe sull'art. 8 del d.lgs. n°99/2003: questa argomentazione non è condivisa, dal momento che la norma testé richiamata regola il diverso tema del diritto alla pausa. Allo stesso modo il Giudice del Lavoro non accoglie il rinvio dei ricorrenti alla giurisprudenza pronunciatasi in materia di “diritto al pasto” dei dipendenti delle aziende sanitarie. Il parallelo non è ritenuto convincente, dal momento che tali sentenze intervenivano nel contesto di rapporti lavorativi regolati da una contrattualistica collettiva ben diversa, soffermandosi in particolare sul punto della “particolare articolazione dell'orario” che a mente dell'art. 29, comma 2, del CCNL integrativo Santità attribuisce il diritto alla mensa ai dipendenti presenti in servizio. Sulla scorta di quanto precede il Tribunale di Roma rigetta la domanda di accertamento al diritto del buono pasto. Viene anche rigettata la domanda di condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'illegittimo comportamento datoriale, anche alla luce della mancanza di allegazioni e prova del danno patito sia sotto il profilo dell'an che del quantum. Osservazioni La natura del buono pasto, il diritto alla pausa e la “guida” costituita dalla contrattualistica collettiva La sentenza in commento interviene sul tema del diritto al buono pasto scegliendo di dare continuità ad un orientamento giurisprudenziale piuttosto consolidato, ripercorrendo da vicino gli snodi argomentativi della recente pronunzia della Corte di Cassazione 31 luglio 2024, n°21440. L'ordinanza di legittimità appena richiamata era infatti tornata ad affermare la natura assistenziale del buono pasto, escludendo che questa tipologia di erogazione costituisca un elemento della retribuzione. Si tratta, come si diceva, di un punto che appare alquanto definito presso gli interpreti. La dazione di cui si discute non è dunque un corrispettivo obbligatorio della prestazione resa dal lavoratore: manca la corrispettività della relativa prestazione rispetto a quella lavorativa e manca un collegamento causale tra la fruizione della mensa (o del buono pasto) ed il lavoro prestato, dunque sussiste un nesso meramente occasionale tra buono pasto e rapporto di lavoro (così si esprimeva già Cass., Sez. Lav., 1° dicembre 1998, n°12168). Il carattere di occasionalità dell'erogazione comporta che il diritto al buono pasto sia strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono. Per tale ragione, tanto la sentenza del Tribunale di Roma quanto la sopra richiamata ordinanza della Suprema Corte hanno concentrato la loro attenzione sui CCNL regolatori del rapporto. Nel caso portato all'attenzione del Giudice del Lavoro romano, peraltro, si constatava come i ricorrenti avessero omesso di produrre la fonte collettiva, eseguendo un mero richiamo all'art. 29 “del CCNL 20 settembre 2001”, mentre la parte resistente aveva depositato in atti il CCNL Servizi Ambientali del 10 luglio 2016, quello concretamente applicato ai rapporti dedotti in giudizio. La fattispecie decisa dalla Corte di Cassazione invocata dai ricorrenti ruotava invece attorno all'art. 29 del CCNL del comparto sanità del 20 settembre 2001: sì che non pare azzardato concludere come la parte ricorrente nel giudizio deciso dalla sentenza del Tribunale di Roma avesse in effetti tentato (impropriamente, vista la differenza dei campi di applicazione delle due fonti) di riportarsi al dettato di quest'ultimo contratto. Ed in effetti la decisione del Giudice del lavoro di Roma non trascura di evidenziare come i riferimenti compiuti dalla parte ricorrente alla giurisprudenza espressasi a proposito del diritto al pasto dei dipendenti delle aziende sanitarie non fosse calzante, alla luce delle differenze esistenti tra i contratti collettivi applicabili a settori lavorativi così diversi tra loro. Ad ogni modo, l'esame dell'art. 32, lett. H, del CCNL Servizi Ambientali – che afferma, tra l'altro, la necessità di individuare “adeguate soluzioni alternative” nelle aziende in cui non opera il servizio di mensa interno – conduce il Tribunale di Roma ad escludere che la contrattazione collettiva attribuisca al lavoratore il diritto al buono pasto. A titolo di confronto, l'art. 29 del CCNL comparto Sanità, modificato dal CCNL 31 luglio 2009 ed analizzato dalla decisione di legittimità n°21440 del 2024, afferma il diritto alla mensa di tutti i dipendenti nei giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare articolazione dell'orario ribadendo che spetta alle aziende istituire il servizio di mensa, in relazione al proprio assetto organizzativo ed alle risorse disponibili, e precisando come l'onere aziendale in parola ricomprenda la garanzia dell'esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive. Per vero la formulazione del CCNL Servizi Ambientali non sembra molto piana, dato che a fianco dell'apertura a “soluzioni alternative” al servizio mensa interno – locuzione che di per sé parrebbe potenzialmente tale da ammettere il ricorso anche al buono pasto quale strumento alternativo per il lavoratore onde fruire del pranzo – prevede la netta esclusione del diritto alla corresponsione di indennità sostitutiva per i casi di irrealizzabilità del servizio mensa. Indubbiamente, ai fini della decisione del caso concreto, si rilevava decisiva la circostanza per cui la parte datoriale, pure impossibilitata ad attivare una mensa interna, aveva effettivamente implementato una soluzione alternativa, stipulando convenzioni ad hoc con alcuni esercizi. Si è già detto come il Tribunale di Roma abbia rilevato l'impossibilità di estendere alla fattispecie soggetta al suo esame i principi giurisprudenziali espressi a proposito del diritto all'erogazione del buono pasto nel settore della sanità; la sentenza in esame rileva che una simile opzione interpretativa è resa impossibile dalla diversa struttura della norma collettiva, aggiungendo che il più volte citato art. 29 del CCNL del comparto Sanità mette in relazione il diritto alla mensa con la particolare articolazione dell'orario del personale, mentre il CCNL Servizi Ambientali non prevede simili contenuti. Nello sviluppare questo argomento il Tribunale afferma che il diritto al buono pasto non può essere fondato sull'art. 8 del d.lgs. n°66 del 2003, in quanto tale disposizione regola il diverso istituto del diritto alla pausa. Se tale affermazione è naturalmente corretta, pare però che essa sia al tempo stesso sin troppo tranchant: sul tema l'ordinanza della Suprema Corte n°21440 del 2024 ha avuto modo di svolgere più estese ed interessanti considerazioni. L'art. 8 del d.lgs. n°66 del 2003 dava attuazione nel nostro ordinamento alle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro. Detta norma – afferma la Corte di Cassazione – prescrive che il lavoratore il cui orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore debba beneficiare di un intervallo per la pausa “ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto”. La durata e la modalità di fruizione dell'intervallo debbono essere regolate dalla contrattualistica collettiva ma, in assenza di previsioni in tal senso, lo stesso art. 8 statuisce che la pausa non può durare meno di dieci minuti e deve essere collocata tenendo conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo. Per la Suprema Corte, dunque, le fonti normative accreditano il collegamento tra la consumazione del pasto e la pausa dal lavoro, nel senso che la prima è collocata all'interno della seconda. Già con la sentenza di legittimità 28 novembre 2019, n°31137, il buono pasto veniva qualificato come “un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell'ambito dell'organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita – laddove non sia previsto un servizio mensa – la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall'Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell'attività lavorativa, nelle ipotesi in cui l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio”. Proprio in forza di ciò, la decisione da ultimo evocata sottolineava come l'istituto del buono pasto trovasse riscontro nella disciplina UE dell'organizzazione dell'orario di lavoro collegata alla promozione del miglioramento dell'ambiente di lavoro, nel senso di garantire un più elevato livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori: una disciplina che ricomprende le direttive a cui il d.lgs. n°66 del 2003 ha dato attuazione. Per queste ragioni la Suprema Corte ribadiva che il buono pasto non rappresenta un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, in quanto la sua corresponsione dipende dalla sussistenza di un nesso meramente occasionale con il rapporto di lavoro, secondo la relativa configurazione della contrattazione collettiva, cioè con la struttura dell'orario di lavoro ivi stabilito per la fruizione dei buoni pasto, nella cornice indicata dall'art. 8 del d.lgs. n°66 del 2003. Si può dunque concludere notando come l'art. 8 in parola costituisca – se non proprio il fondamento, come giustamente affermato dal Tribunale di Roma – quantomeno l'addentellato normativo alla base del riconoscimento del buono pasto. Resta però fermo che l'effettiva erogazione del buono rimane ancorata all'individuazione di un collegamento con la prestazione lavorativa e che tale collegamento può essere ravvisato attraverso l'esame della contrattualistica collettiva: la sentenza in commento ribadisce questa conclusione scegliendo di dar seguito alla giurisprudenza dominante. Giurisprudenza Cass., sez. lav., 31 luglio 2024, n°21440; Cass., sez. lav., 28 novembre 2019, n°31137; Trib. Venezia, sez. lav., 8 luglio 2020, n°3463; Cass., sez. lav., 1° marzo 2021, n°5547; Cass., sez. VI, 4 giugno 2021, n°15629, Trib. Cuneo, sez. lav., 28 marzo 2023, n°140; Trib. Roma, sez. lav., 20 settembre 2023, n°8008. Dottrina Comandè, Daniela, L'erogazione dei buoni pasto in regime di smart working: ratio e ragionevolezza di un'esclusione, in Riv. It. Dir. Lav., 2020, pagg. 651 ss. Donini, Annamaria, Nessun diritto al buono pasto per chi ha lavorato da casa durante il lockdown?, in Dir. Rel. Indust., 2021, pagg. 857 ss. Patrizio, Paolo, L'attribuzione del buono pasto nel pubblico impiego privatizzato: il diritto alla mensa è diritto alla pausa, in Ius Lavoro (ius.giuffrefl.it). Protopapa, Venera, Diritto al buono pasto e diritto alla pausa, in Riv. It. Dir. Lav., 2023, pagg. 790 ss. |