Quando è esclusa la presunzione di condominialità di una scala?
09 Dicembre 2024
Massima Per stabilire se sussiste un titolo contrario alla presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto. Il caso Due coniugi, comproprietari di immobili adibiti a civile abitazione, citavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di La Spezia, il Condominio confinante con la loro proprietà, sostenendo che questo aveva posto e mantenuto, nella zona di confine, alcune piante, al solo fine di arrecare loro molestia, in quanto detti alberi limitavano la vista del panorama e i relativi rami, debordando sulla scala di proprietà degli attori, rappresentavano una fonte di pericolo per coloro che la utilizzavano. I coniugi, quindi, chiedevano fosse accertata l'illegittimità, ex art. 833 c.c., della presenza di tali alberi e condannato il Condominio al risarcimento dei danni. Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto, chiedendo il rigetto delle domande attoree e proponendo domanda riconvenzionale volta all'accertamento della proprietà comune della scala in questione, costituente un accesso secondario del condominio, e di condanna degli attori a ripristinare la ringhiera a confine della scala, così come configurata in origine o comunque a dotarla di corrimano, ad arretrare una pianta a distanza legale o comunque entro i confini di proprietà degli attori e, infine, stabilire la misura del contributo di questi alla manutenzione della scala. Il Tribunale ha ritenuto ammissibile la domanda proposta dal condominio volta ad accertare la natura condominiale della scala oggetto di causa e ha dichiarato che la stessa è di esclusiva proprietà condominiale e che su di essa grava il diritto di servitù di passo pedonale a favore della proprietà confinante degli attori. Pertanto, i coniugi, potendo vantare unicamente un diritto di servitù sulla scala in esame, erano tenuti, ai sensi dell'art. 1069 c.c. a contribuire alle spese di manutenzione della scala come indicato dalla CTU espletata, ossia in misura pari a 2/3. I coniugi, originari attori, hanno impugnato la sentenza chiedendo, in riforma del provvedimento, di respingere le pretese del condominio in merito alla scala. Il Condominio ed i condomini intervenuti in corso di causa si sono costituiti in giudizio, chiedendo il rigetto dell'appello proposto e la condanna degli attori ai sensi dell'art. 96 c.p.c. La questione Si trattava di stabilire se fosse di proprietà comune una scala che costituiva accesso secondario del condominio e che raggiungeva prima anche la proprietà di due coniugi, comproprietari di immobili adibiti a civile abitazione, confinante con lo stesso condominio. Le soluzioni giuridiche La Corte d'appello di Genova ha respinto l'appello proposto e confermato la sentenza del Tribunale, condannando gli appellanti a rifondere agli appellati le spese di lite. Non ha, invece, ritenuto sussistenti i presupposti per una condanna degli appellanti ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Gli appellanti hanno, innanzitutto, sostenuto che il condominio, avendo proposto unicamente una domanda volta ad accertare la proprietà comune della scala in oggetto o, comunque, la natura di bene comune, aveva inteso affermare che la stessa fosse in comproprietà tra tutte le parti in causa, mentre, ad avviso del Tribunale, il termine comune doveva essere riferito esclusivamente ai condomini. La Corte territoriale si richiama alla giurisprudenza secondo la quale il giudice, nell'interpretare una domanda è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa, alla luce dei fatti dedotti in giudizio ed a prescindere dalle formule adottate, tenendo conto quindi anche delle domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in modo da ricostruire il contenuto e l'ampiezza della pretesa, secondo criteri logici che permettano di rilevare l'effettiva volontà della parte in relazione alle finalità concretamente perseguite dalla stessa. Tenuto conto di ciò, giunge a ritenere che le argomentazioni seguite dal giudice di prime cure per l'interpretazione della domanda del condominio rispondano a una lettura globale delle difese dello stesso. Pertanto, la Corte afferma che il termine “comune” possa essere inteso come sinonimo di condominiale, essendo il condominio una comunione di diritti, ma possa essere riferito anche ad una comunione tra le parti processuali in causa. Osserva ancora la Corte che, con i rogiti notarili stipulati negli anni Ottanta, l'originario proprietario dell'edificio, che poi sarebbe diventato condominiale, aveva trasferito ai singoli acquirenti/condomini oltre agli appartamenti, anche i beni condominiali, descritti nell'art. 1117 c.c., tra i quali era compresa la scala in esame, gravata da un diritto di servitù di passo a favore della proprietà degli appellanti. I coniugi avevano invece sostenuto che la scalinata descritta non era quella oggetto di causa - che invece sarebbe stata costruita solo successivamente, negli anni Novanta - ma che si trattava di un manufatto demolito successivamente per fare spazio a box auto. Per la Corte, la tesi sostenuta da parte attrice non è supportata da prove, non risultando alcun collegamento tra la planimetria prodotta in giudizio dalle parti e il rogito notarile che non la menziona. Inoltre, da una CTU espletata in un'altra causa tra le stesse parti e prodotta in giudizio in primo grado dal condominio, la scala in oggetto risultava esistere già negli anni Settanta, ma fino alla sanatoria era abusiva e non era rappresentata correttamente nei documenti ufficiali. Pertanto, alla luce della documentazione prodotta in giudizio, la scala era stata realizzata a fine anni Settanta - e non negli anni Novanta, come invece sostenuto dagli appellanti - e coincideva con la scala secondaria risultante dai rogiti suddetti. Con i contratti di compravendita conclusi negli anni Ottanta, l'originario costruttore dello stabile aveva trasferito ai singoli acquirenti, poi condomini, anche la scala oggetto di causa, ex art. 1117 c.c. Pertanto, i giudici liguri ritengono del tutto irrilevanti gli atti negoziali successivi dai quali dovrebbe desumersi che l'originario costruttore si era riservato la proprietà della scala che poi aveva provveduto a trasferire agli attuali appellanti. Si tratta, infatti, di atti successivi alla costituzione del Condominio che, dunque, era divenuto già proprietario della scala nei primi anni Ottanta con i rogiti innanzi menzionati. Osservazioni Dunque, se la scala fosse stata ceduta successivamente dall'originario proprietario, si sarebbe trattato di un acquisto a non domino. Giova ricordare che il condominio di edifici sorge ipso iure et facto, senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, nel momento in cui l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano aliena a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, così perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell'edificio. Conseguentemente, una volta costituito il Condominio, l'originario costruttore non può disporre come proprietario unico di detti beni, divenuti comuni. La giurisprudenza ha avuto modo di affermare, in più occasioni, che l'art. 1117 c.c. non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali. La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 ss. c.c., si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall'originario unico proprietario ad altro soggetto (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2024, n. 1615; Cass. civ., sez. II, 6 luglio 2022, n. 21440; Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2018, n. 20693; Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2011, n. 11812). Per vincere in base al titolo contrario la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell'edificio condominiale indicate dall'art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario unico proprietario ad altro soggetto, indagando se la previa delimitazione unilaterale dell'oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti e se, dunque, da esso emerga o meno l'inequivocabile volontà delle parti di riservare al costruttore/venditore la proprietà di quei beni che, per ubicazione e struttura, sarebbero potenzialmente destinati all'uso comune. Ne deriva che, nel caso in cui in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell'ambito dei beni comuni risultasse riservata ad uno solo dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni (Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2011, n. 11812; Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2018, n. 20693). Qualora non intervenga una volontà derogatoria degli interessati sul regime di appartenenza, i beni e i servizi elencati dall'art. 1117 c.c., in virtù della relazione di accessorietà o di collegamento strumentale con le singole unità immobiliari, sono attribuiti ex lege in proprietà comune per effetto dell'acquisto della proprietà dei piani o porzioni di piano. Dunque, ai fini dell'esclusione della presunzione di proprietà comune, non è necessario che il contrario risulti in modo espresso dal titolo, essendo sufficiente che da questo emergano elementi univoci in contrasto con la reale esistenza di un diritto di comunione, dovendo la citata presunzione fondarsi sempre su elementi obiettivi che rivelino l'attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo. Ne consegue che viene meno il presupposto della suddetta presunzione quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una sola parte dell'immobile, oggetto di un autonomo diritto di proprietà, o risulta comunque essere stato a suo tempo destinato dall'originario proprietario dell'intero immobile ad un uso esclusivo, così da rivelare - sulla base di elementi oggettivi, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice di merito - che si tratta di un bene dotato di propria autonomia e perciò non destinato a servizio dell'edificio condominiale (Cass. civ., Sez. II, 24 aprile 2018, n. 10073). Deve, altresì, aggiungersi che l'esclusione della condominialità risulta spesso contenuta nel regolamento contrattuale, ossia quello predisposto dal costruttore e richiamato nei singoli atti di acquisto, ove si potrà indagare se da esso emerga o meno la volontà delle parti di riservare ad uno o più condomini la proprietà di beni che, per ubicazione e struttura, sono destinati all'uso comune. La deroga alla detta presunzione inserita all'interno del regolamento condominiale è efficace solo qualora il predetto regolamento sia stato predisposto dall'originario unico proprietario del bene e sia allegato all'atto costitutivo del condominio, ovvero qualora, dopo la costituzione del condominio, tutti i condòmini manifestino la volontà di escludere alcuni beni dalla comunione, limitando i diritti e i connessi obblighi su quei beni. Non può invece costituire “titolo” il regolamento c.d. assembleare, approvato a maggioranza e non all'unanimità dei condomini. Nel caso in esame, anche se la scala fosse stata ceduta successivamente dall'originario proprietario dell'edificio, quello degli appellanti sarebbe stato un acquisto a non domino, in quanto, come già detto innanzi, una volta costituito il Condominio, l'originario proprietario non può disporre come proprietario unico dei beni divenuti comuni. Riferimenti De Tilla, Sul titolo contrario alla presunzione di proprietà condominiale, in Arch. loc. e cond., 2003, 327; Tortorici, La proprietà esclusiva di beni del condominio, in Immob. & proprietà, 2022, fasc. 10, 571; Celeste - Salciarini, I beni comuni, Milano, 2009, 31. |