Il potere di auto-tutela dell’assemblea: sostituzione e revoca della deliberazione
18 Dicembre 2024
Massima La finalità dell'art. 2377, comma 8, c.c. è quella di far salve le situazioni di fatto ed i diritti acquisiti medio tempore in forza di una deliberazione invalida, poi sostituita ed emendata da una valida. Il disposto dell'art. 2377, comma 8, c.c. non trova applicazione laddove la società si sia limitata a revocare la precedente deliberazione impugnata e ad adottarne un'altra di tenore non coincidente; invero l'assemblea, nella sua autonomia, può revocare una precedente deliberazione, purché non ne siano coinvolti diritti di terzi o diritti ormai acquisiti dai soci, e adottarne una nuova, con la conseguenza che nessun effetto è più prodotto dalla deliberazione revocata ma solo da quella nuova, a partire dalla sua adozione. In caso di revoca di una deliberazione questa è tamquam non esset e il suo annullamento non può rispondere ad alcun interesse apprezzabile, a meno che anche la delibera sostitutiva non sia viziata, ma, in tal caso, occorre che la domanda di annullamento o dichiarazione di nullità sia principalmente diretta contro questa seconda deliberazione, perché solo a seguito del suo accoglimento potrebbe tornare attuale, insieme con la delibera originaria, l'interesse a coltivarne l'impugnazione. Il caso Un socio di società a responsabilità limitata impugnava una deliberazione assembleare di approvazione del bilancio, lamentando la presenza di vizi procedimentali e di contenuto. La società riconosceva la correttezza di alcune censure, ma riteneva che l'adozione di una successiva deliberazione immune da vizi ed ugualmente finalizzata ad approvare il bilancio avesse determinato la cessazione della materia del contendere. L'attore insisteva nelle sue pretese, sostenendo l'illegittimità anche di tale ultima deliberazione. Il Tribunale di Firenze aderiva alla ricostruzione della società: considerato, tra l'altro, che l'attore non aveva impugnato la deliberazione con la quale l'assemblea aveva revocato quella viziata, ma soltanto quest'ultima, il medesimo dichiarava la cessazione della materia del contendere. La questione La principale questione giuridica affrontata nel provvedimento in esame si colloca nell'ambito del complesso tema dei poteri di auto-tutela dell'assemblea, ovvero della sua facoltà di deliberare in merito ad aspetti sui quali la stessa ha già assunto una decisione, allo scopo di emendare eventuali vizi. Più in particolare, il provvedimento distingue tra la sostituzione della deliberazione annullabile ex art. 2377, comma 8, c.c., e la sua revoca. Le soluzioni giuridiche In conformità a quanto osservato dalla sentenza in commento, nell'ambito dei poteri di auto-tutela dell'assemblea, si distingue l'ipotesi della sostituzione di una deliberazione ex art. 2377, comma 8, c.c. da quella della sua revoca. Quanto alla prima di tali ipotesi, l'ordinamento consente di sostituire una deliberazione assembleare annullabile con altra conforme alla legge ed all'atto costitutivo, facendo salve le situazioni di fatto ed i diritti assunti in ragione della stessa. Gli effetti della “nuova” deliberazione (valida) retroagiscono al momento dell'assunzione di quella annullabile (sull'efficacia ex tunc della deliberazione di cui all'art. 2377, comma 8, c.c.: Mirone, Il sistema tradizionale: l'assemblea, in Diritto commerciale, a cura di M. Cian, Torino, 2024, 470; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, a cura di M. Campobasso, 2, Torino, 2020, 349. In giurisprudenza v. Cass., 12 dicembre 2012, n. 22762; Trib. Roma, 28 novembre 2017, n. 22268, in questo portale; Trib. Milano, 7 febbraio 2006, in Società, 2007, 1269 s.s.; Trib. Monza, 15 gennaio 2004, in Giur. comm., 2004, II, 551 ss.). Si tratta, evidentemente, di un potere concesso in via eccezionale dall'ordinamento e, dunque, ammissibile poiché previsto espressamente dalla legge (in tal senso cfr. già Revigliono, La “sostituzione” delle deliberazioni invalide dell'assemblea di società per azioni, Milano, 1995, 35 ss.; Zanarone, L'invalidità delle deliberazioni assembleari, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 3**, Torino, 1993, 372 ss.). La ratio della regola in esame è facilmente rintracciabile nella necessità di garantire la conservazione/stabilità delle deliberazioni assembleari e, quindi, l'efficienza della funzione sociale; principi questi enfatizzati dalla riforma del diritto societario del 2003 (sul punto sia sufficiente rinviare ad Angelici, La società per azioni. Principi e problemi, Milano, 2012, 339. In giurisprudenza cfr., ad esempio, Cass., 27 settembre 2021, n. 26199). Come emerge chiaramente dalla lettera dell'art. 2377, comma 8, c.c., la “sostituzione” della deliberazione è ammissibile soltanto qualora la stessa sia stata impugnata, oppure laddove i termini per procedere in tal senso siano pendenti (Visentini, L'assemblea della società per azioni, Roma, 2017, 342; Rordorf, sub art. 2377, in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da d'Alessandro, Roma, 2010, 863 ss. V. anche Trib. Monza, 15 gennaio 2024, cit.). Diversa da quella appena esposta, è l'ipotesi della “revoca”, che si realizza quando l'assemblea, nell'ambito della sua autonomia, decide di tornare su una deliberazione già assunta, per eliminarla. Tale potere è esercitabile in qualsiasi momento (e, dunque, anche se la deliberazione revocata si è ormai “cristallizzata” ed è divenuta inoppugnabile, essendo trascorso inutilmente il termine dell'art. 2377, comma 6, c.c.). La revoca della deliberazione, del resto, non dispiega effetti retroattivi e, di conseguenza, può riguardare unicamente deliberazioni non eseguite o che non hanno determinato l'insorgenza di alcun diritto soggettivo dei soci o dei terzi (v., ad esempio, Libertini-Mirone-Sanfilippo, L'assemblea di società per azioni, Milano, 2016, 389; Lener, sub art. 2377, in Società di capitali, commentario a cura di Niccolini e Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, 557. In giurisprudenza cfr., ancora, Trib. Monza, 15 gennaio 2004, cit.). Come riportato nella pronuncia in commento, la deliberazione revocata è tamquam non esset e, pertanto, è inoppugnabile. È invece ovviamente contestabile la validità della deliberazione di revoca, se viziata. Soltanto qualora la relativa impugnazione sia accolta, la precedente deliberazione torna attuale, ugualmente all'interesse ad ottenerne l'annullamento o la dichiarazione di invalidità. Osservazioni In questa recente sentenza, il Tribunale di Firenze distingue opportunamente la sostituzione della deliberazione assembleare ex art. 2377, comma 8, c.c., dalla sua revoca, individuando il principale elemento differenziale tra le due nella capacità della prima (e non della seconda) di retroagire, “sanando” ex tunc i vizi di una deliberazione invalida. In una prospettiva più ampia, tra i poteri di auto-tutela dell'assemblea si annoverano altre fattispecie il cui collocamento nell'ambito dell'ordinamento societario è più complesso di quello dei rimedi appena richiamati. Tra le stesse rientrano, ad esempio, la ratifica, la conferma e l'auto-annullamento della deliberazione assembleare; ipotesi queste i cui caratteri, in assenza di una disciplina organica al riguardo, spesso si sovrappongono e rendono particolarmente difficile la questione dei limiti in cui le medesime sono ammissibili (sul tema cfr., ad esempio, Libertini-Mirone-Sanfilippo, op. cit., 389; Visentini, op. cit., 341). L'approfondimento di tali problematiche esula dagli scopi del presente scritto. Nel tentativo di agevolare la ricostruzione della disciplina sul tema - la quale, in assenza di una regolamentazione espressa al riguardo, deve avvenire sul piano interpretativo – può tuttavia essere utile ribadire alcuni principi normativi pacificamente acquisiti (principi questi sui quali, del resto, si fonda la sentenza in commento). i) Nell'equilibrare le istanze, da una parte, di legalità dell'azione sociale e, dall'altra, di stabilità/conservazione ed efficienza della stessa, l'ordinamento tende chiaramente a privilegiare queste ultime; ii) all'eccezionalità del rimedio ex art. 2377, comma 8, c.c., consegue l'esigenza di ritenere che le deliberazioni assembleari dispieghino i loro effetti soltanto pro-futuro; iii) nonostante le categorie dell'invalidità civilistica e di diritto societario siano formalmente le medesime (nullità/annullabilità), la rilevante differenza tra la disciplina prevista per le prime e quella concernente le seconde impone di interpretare in modo peculiare quest'ultima, evitando un'acritica ed automatica applicazione di regole rispondenti ad esigenze differenti da quelle che caratterizzano l'ordinamento delle organizzazioni economiche. |