Fondo patrimoniale tra funzione economico-sociale e famiglia “nucleare”
19 Dicembre 2024
Massime
Il caso Con atto notarile ricevuto in data 27 novembre 2013, i coniugi Tizio e Tizia costituivano un fondo patrimoniale avente ad oggetto beni immobili di loro titolarità. In esso, la figlia Caia contestualmente conferiva la piena proprietà della quota indivisa di sua spettanza sull'unità abitativa e sull'autorimessa in comunione ordinaria con l'ex convivente Caio, dalla relazione sentimentale dei quali, terminata nel 2010, era nata Sempronia. Sei anni dopo, in sede di regolamentazione giudiziale del regime di affidamento di quest'ultima, ancora minore d'età, i suddetti immobili venivano assegnati a Caia, in quanto genitore collocatario della stessa. Con sentenza del 2017, il Tribunale di Vicenza respingeva il ricorso proposto da Caio nei confronti dell'ex compagna e dei di lei genitori, diretto a demandare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1102,1324 e 1418 c.c., la declaratoria di nullità e/o inefficacia del predetto atto costitutivo per mancanza e/o illiceità della causa o del motivo, nonché per mancanza del soggetto e dell'oggetto. Riteneva, infatti, il giudice di primo grado che in fondo patrimoniale fosse stata costituita da Caia la sola quota indivisa di sua titolarità sui beni in oggetto, senza in alcun modo interessare la residua metà del compendio di titolarità di Caio, e che l'azione promossa dal ricorrente fosse carente d'interesse, dal momento che costui avrebbe potuto far valere i propri diritti di comproprietario proponendo domanda di scioglimento della comunione ordinaria. Peraltro, si rilevava come Caio non avrebbe nemmeno potuto dolersi del mancato godimento degli immobili de quo, avendo riconosciuto alla ex convivente l'uso esclusivo dell'unità abitativa in forza di accordo in sede giudiziale. Caio adiva, così, la Corte d'Appello di Venezia - la quale, con sentenza n. 1974/2021, ne accoglieva l'impugnazione - lamentando:
Accoltosi, dunque, in secondo grado il gravame dell'appellante e dichiaratosi nullo l'atto costitutivo del fondo patrimoniale per mancanza di causa, con ordine di trascrivere la sentenza presso il competente Ufficio del Territorio, Caia, Tizio e Tizia proponevano ricorso dinnanzi alla Corte di Cassazione adducendone tre motivi, e precisamente:
Parimenti erronea si riteneva essere, inoltre, l'asserita compromissione del diritto di quest'ultimo di costituire l'immobile in garanzia, dal momento che, ai sensi dell'art. 1108 c.c., l'ipoteca su di un bene comune può essere consentita dalla maggioranza dei partecipanti che rappresentino almeno due terzi del valore complessivo dello stesso. Il tutto, oltre alla considerazione per cui la convenzione matrimoniale de quo è pur sempre modificabile. In buona sostanza, si lamentava che si fosse tutelato l'interesse del solo Caio a disporre dell'intero immobile e che si fosse del tutto trascurato, invece, l'interesse - attuale e concreto - di Caia a tutelare la figlia minore Sempronia. La questione La vertenza in commento affronta essenzialmente due questioni, e precisamente:
Le soluzioni giuridiche L'istituto del fondo patrimoniale, disciplinato dagli artt. 167-171 c.c., è stato introdotto nel nostro codice civile con la riforma del diritto di famiglia di cui alla L. 151/1975. Più precisamente, ai sensi dell'art. 167 c. 1 c.c., ciascuno od entrambi i coniugi, per atto pubblico, ovvero un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale destinando determinati beni immobili, mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito a far fronte ai bisogni della famiglia. Trattasi, dunque, di un regime di cogestione da parte dei coniugi di uno o più cespiti sui quali viene impresso un vincolo di indisponibilità - avente efficacia erga omnes - che si innesta su di un regime patrimoniale base (comunione legale o separazione dei beni), nonché di un patrimonio di destinazione, privo di soggettività autonoma, e separato, i beni oggetto del quale sfuggono alla regola generale della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. L'istituto in commento può essere costituito per atto tra vivi ovvero per testamento: nel primo caso, è prescritta la forma dell'atto pubblico (art. 167 c. 1 c.c.) con la necessaria presenza di due testimoni (art. 48 L.N.), mentre nel secondo caso si è posta la questione del se il legislatore avesse inteso riferirsi al solo testamento pubblico, ma - stante il c.d. principio di equipollenza delle forme testamentarie - si sono all'uopo ritenuti idonei anche il testamento olografo, il testamento segreto e i testamenti speciali. In particolare, la costituzione inter vivos del fondo patrimoniale ha natura di convenzione matrimoniale, come tale soggetta alle disposizioni di cui all'art. 162 c.c. e, dunque, all'accettazione da parte di entrambi i coniugi (così, Cass. 27 novembre 1987 n. 8824 e Cass. SU 13 ottobre 2009 n. 21658), mentre la disposizione costitutiva mortis causa scaturente da un lascito a favore di uno solo o di entrambi questi ultimi necessita, per il suo perfezionamento, della volontà del testatore espressa nel testamento e di quella dei coniugi da esprimersi in atto pubblico dopo l'apertura della successione. Quanto all'oggetto, invece, la norma in commento reca un'elencazione tassativa, nel senso che deve trattarsi di («determinati») beni immobili, mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, i quali - in quanto tali - grazie al sistema di pubblicità loro proprio risultano idonei ad essere assoggettati ad un vincolo reale di destinazione come quello derivante dal fondo patrimoniale. Detti beni possono essere personali del singolo coniuge, di cui lo stesso sia pieno ed esclusivo proprietario o contitolare con terzi (c.d. costituzione da parte di un solo coniuge), ma è parimenti ammissibile la costituzione da parte di entrambi i coniugi, sia mediante conferimento di beni facenti parte della comunione legale tra gli stessi vigente (nel qual caso ne saranno estromessi, venendo assoggettati alla sola disciplina del fondo patrimoniale), che di beni in comunione ordinaria tra loro. Nel caso di costituzione da parte di un terzo, poi, ove effettuata per testamento, la “determinatezza” richiesta dalla legge (art. 167 c. 1 c.c.) porta a compiere l'attribuzione a mezzo di disposizione a titolo particolare (legato, sia esso con effetti reali, o modale, o di contratto di fondo patrimoniale), ovvero, se a titolo di eredità, institutio ex re certa (art. 588 c. 2 c.c.) o divisione fatta dal testatore (art. 734 c.c.), con o senza predeterminazione di quote. Ai sensi dell'art. 168 c. 1 c.c., l'ipotesi tipica è che la titolarità di quanto conferito nel fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi. Detta “clausola di salvezza”, però, rende possibile la diversa previsione da parte dell'atto costitutivo, cosicché il costituente - sia esso un terzo, piuttosto che uno od ambo i coniugi - può riservarsi la proprietà dei beni ivi destinati, sui quali - pertanto - questi ultimi vanteranno uno speciale diritto di godimento di natura reale. Ancora, si ammette anche la possibilità che il terzo costituisca in fondo patrimoniale la piena proprietà di un bene attribuendola ad un coniuge soltanto. Ai sensi del terzo comma di quest'ultima norma, l'amministrazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale è regolata dalle norme relative all'amministrazione della comunione legale (art. 180 c.c.), rinvio - questo - inderogabile. Conseguentemente, gli atti di ordinaria amministrazione - ai quali soltanto si riferisce, secondo la dottrina preferibile, l'art. 168 c.c. - possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun coniuge, mentre gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, tutti ritenuti compresi - oltre a quelli espressamente indicati - nell'art. 169 c.c., richiedono - per la loro conclusione, nei soli casi di necessità od utilità evidente - il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, l'autorizzazione del giudice con provvedimento emesso in camera di consiglio. Consenso congiunto e autorizzazione giudiziale, cui - secondo la tesi preferibile (Trib. Roma 27 giugno 1979; Trib. Bergamo 18 maggio 2006; Trib. Roma 14 marzo 2002; Trib. Roma 27 giugno 1979, Trib. Trapani 26 maggio 1994; Trib. Minorenni Roma 9 giugno 1998; Trib. Verona 30 maggio 2000; Massima n. 9 della Commissione Civile 2 del Consiglio Notarile del Triveneto) - è possibile derogare, per espressa esclusione della relativa necessità, nell'atto costitutivo o in un successivo apposito atto modificativo. Ai sensi dell'art. 170 c.c., inoltre, l'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti degli stessi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Ciò posto, delle obbligazioni assunte dai coniugi - il cui criterio identificativo si ritiene debba essere ricercato non tanto nella relativa natura, quanto nella relazione esistente tra il corrispondente fatto generatore e, appunto, le esigenze familiari stesse - risulta possibile tracciare le seguenti tre distinte categorie:
Su tale tema, peraltro, una piccola parentesi merita il parallelo con il diverso istituto giuridico, disciplinato dall'art. 2645 ter c.c., del vincolo di destinazione, anch'esso comportante una segregazione patrimoniale dei beni del disponente. In effetti, in tale ultima fattispecie l'espropriazione forzata dei beni destinati alla realizzazione dell'interesse meritevole di tutela è consentita (solo) allorché l'obbligazione contratta fosse finalizzata proprio allo scopo di destinazione stesso, cosicché la disposizione in esame potrebbe dirsi analoga a quella di cui all'art. 170 c.c. Tuttavia, mentre nel vincolo di destinazione l'esecuzione per debiti estranei è oggettivamente preclusa, nel fondo patrimoniale - come anticipato sub 2) - è invece consentita in caso di buonafede del creditore, dal che deriva come in tale secondo caso la legge prevede un elemento “soggettivo” in più, cioè la conoscenza avutane da parte di quest'ultimo, e, dunque, come i beni vincolati in fondo patrimoniale risultino in posizione deteriore rispetto ai beni vincolati ex art. 2645 ter c.c. Venendo, invece, al regime di pubblicità dell'istituto in commento, se ne distinguono due forme, e precisamente:
Nel caso in cui, poi, accanto alla costituzione del vincolo si realizzi anche una vicenda traslativa con attribuzione di diritti reali immobiliari, a quella appena menzionata dovrà aggiungersi la trascrizione ex art. 2643 n. 1 e 2 o 2683 n. 1 e 2 c.c., a carico del costituente il fondo patrimoniale e a favore del coniuge o dei coniugi. Un ulteriore cenno merita, infine, l'ipotesi - analoga a quella oggetto della sentenza in commento - di conferimento in fondo patrimoniale di una quota di comproprietà e di successivo atto di divisione: sul punto, alcuni autori osservano come ciò che viene a mutare con lo scioglimento della comunione non è il diritto di proprietà del compartecipe, quanto piuttosto il relativo oggetto, dal momento che successivamente alla divisione la quota indivisa sarà “sostituita” da una porzione del bene medesimo. Ciò posto, occorre allora domandarsi se una tale fattispecie realizzi una modificazione dell'oggetto del fondo patrimoniale, e la risposta pare essere positiva, rientrando nell'ambito di applicazione dell'art. 169 c.c. Il quesito se esista un fenomeno di surrogazione reale in caso di divisione di beni la cui quota indivisa sia oggetto del patrimonio di destinazione in commento, però, si è rivelato piuttosto problematico. In proposito, in dottrina si è sostenuto che in una simile fattispecie potrebbe applicarsi per analogia l'art. 2825 c.c., ai sensi dei cui primi due commi l'ipoteca (e, dunque, il vincolo derivante dal fondo patrimoniale) costituita da uno dei partecipanti alla comunione sulla propria quota di comproprietà produce effetto rispetto a quei beni o a quella porzione di beni che gli sono assegnati in sede di divisione, e se con essa vengono assegnati beni diversi da quello ipotecato (o, dunque, vincolato in fondo patrimoniale), l'ipoteca si trasferisce su di essi. Il trasferimento del vincolo, pertanto, sarebbe automatico e con effetti retroattivi al momento della sua costituzione, stante la natura dichiarativa - se non altro, secondo l'opinione prevalente - della divisione, ma l'accoglimento di una tale ricostruzione non è del tutto pacifico, non mancando chi nega che la surrogazione reale possa assumere portata generale, cosicché, in mancanza di un orientamento dottrinale univoco e stante l'assenza di pronunce giurisprudenziali sul punto, l'adesione alla ricostruzione prospettata in merito all'applicabilità analogica dell'art. 2825 c.c. e, più in generale, alla tesi favorevole ad ammettere un fenomeno di surrogazione reale nel contesto del fondo patrimoniale non può che essere rimesso alla sensibilità del notaio. Osservazioni In relazione al primo motivo di ricorso, nella sentenza in commento la Corte di Cassazione afferma che la funzione economico-sociale della costituzione del fondo patrimoniale - come del resto recita lo stesso art. 167 c. 1 c.c. - è quella di «far fronte ai bisogni della famiglia», per tali intendendosi le esigenze di vita dei suoi componenti, a partire dalle primarie necessità di abitazione, mantenimento, educazione, cure mediche et similia, sino ai bisogni relativi allo sviluppo della stessa ed al potenziamento della sua capacità lavorativa. In altri termini, come anche osservato in dottrina, il riferimento operato dalla sopra citata norma è alle esigenze connesse con il ménage domestico familiare secondo le condizioni economiche e sociali della famiglia stessa, interpretate anche alla luce di quanto i coniugi abbiano in concreto voluto attuare, ivi compresi, altresì, i bisogni individuali dei relativi membri. Bisogni, che vanno determinati con riguardo, in primo luogo, all'indirizzo della vita familiare concordato tra i coniugi ai sensi dell'art. 144 c.c., e, in subordine, alle loro condizioni economiche, al ceto sociale cui appartengono ed ai principi morali cui s'ispirano. Ebbene, dette esigenze sono da intendersi non in senso restrittivo, come riferite alla necessità di soddisfare quanto sia indispensabile per l'esistenza della famiglia, bensì nel senso di ricomprendere anche quelle dirette al suo pieno mantenimento ed armonico sviluppo, restandone esclusi solo i bisogni voluttuari o caratterizzati da intenti meramente speculativi (in questo senso, Cass. 7 gennaio 1984 n. 134, Cass. 7 luglio 2009 n. 15862 e Cass. 11 luglio 2014 n. 15886). L'art. 167 c.c., peraltro, non si riferisce alla c.d. famiglia «parentale», bensì a quella «nucleare», in cui si trovano compresi i figli - naturali ed adottivi - minori d'età o maggiorenni, ancora a carico dei genitori e non economicamente autonomi, nonché, come anche sostenuto in dottrina, gli affiliati ed i minori in affido temporaneo. Del resto, come già affermato dalle Sezioni Unite del 2009 (Cass. SU 13 ottobre 2009 n. 21658), richiamando a loro volta precedenti giurisprudenziali (Cass. n. 8824/1987), la costituzione del fondo patrimoniale è soggetta alle disposizioni di cui all'art. 162 c.c., con ciò ribadendosi come l'istituto in commento rientri tra le convenzioni matrimoniali, ed ecco che, allora, lo stesso può costituirsi soltanto a beneficio dei componenti della famiglia (nucleare) fondata sul matrimonio o sull'unione civile. Principio, peraltro già affermato anche in Cass. 8 agosto 2014 n. 17811, la quale ha ritenuto di ricomprendervi anche i figli solo concepiti, e in Cass. 4 settembre 2009 n. 22069, secondo cui i figli - in quanto beneficiari del fondo patrimoniale - sono legittimati ad agire in giudizio in relazione agli atti dispositivi eccedenti l'ordinaria amministrazione che incidano sulla destinazione dei beni del fondo. Il che si ricava, comunque, anche dal disposto dell'art. 171 c.c., ai sensi del quale la destinazione del fondo termina con il venir meno del vincolo matrimoniale, proprio a conferma di come il legislatore abbia inteso tutelare, con l'istituto in commento, i bisogni del solo nucleo familiare rappresentato da coniugi e loro figli. Sul punto, si è pronunciata anche la dottrina, parte della quale ha precisato che deve trattarsi di figli - anche maggiorenni, aventi o meno diritto al mantenimento, purché conviventi - di entrambi i coniugi, e non anche di uno solo di essi, ancorché introdotti nella famiglia. Ciò premesso, il giudice di secondo grado, rilevando come nell'atto costitutivo in esame non vi fosse riferimento alcuno alla piccola Sempronia, aveva escluso che lo stesso fosse stato costituito per far fronte ai bisogni della famiglia di Caia, e a tal proposito il Supremo Collegio rileva anche che il fondo patrimoniale non può essere costituito in relazione ai bisogni di famiglie (nucleari) diverse. In effetti, nella specie l'unico ad essere tutelato risultava essere il nucleo composto dai coniugi Tizio e Tizia e dalla loro figlia, cosicché il conferimento, da parte di quest'ultima, della sua quota indivisa sull'abitazione in comunione ordinaria con l'ex convivente si rivelava privo di causa. Quanto al secondo motivo, la Corte di Cassazione ritiene che il giudice di secondo grado abbia pronunciato una decisione viziata da extra petizione, essendo stato dichiarato nullo, per mancanza di causa, l'intero atto costitutivo del fondo patrimoniale, anche per ciò che atteneva i beni immobili conferiti dai coniugi Tizio e Tizia, nonostante la domanda di declaratoria in tal senso dell'appellante riguardasse la sola quota indivisa di titolarità di Caia. Per giunta, nemmeno dalla motivazione della sentenza impugnata poteva evincersi che la clausola relativa all'atto di conferimento da parte di costei fosse in rapporto di interdipendenza ed inscindibilità con le restanti pattuizioni dei suoi genitori. Il c.d. principio di conservazione degli atti giuridici sotteso agli artt. 1419, 1420 e 1446 c.c., infatti, mira ad evitare la caducazione degli effetti di un atto perfezionato, oltre alla considerazione per cui l'estensione della nullità all'intero contratto deve essere eccepita dalla parte in tal senso interessata, mentre non può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Più precisamente, l'art. 1419 c.c. stabilisce - in via del tutto eccezionale - che la nullità parziale del contratto o di singole clausole del medesimo importi la nullità del tutto solo ove risulti che i contraenti non ne sarebbero addivenuti alla conclusione senza la parte viziata medesima. Ciò posto, nella specie i ricorrenti sostenevano che i coniugi Tizio e Tizia avrebbero ugualmente costituito il fondo patrimoniale, avente ad oggetto beni di loro comproprietà, anche ove la figlia non avesse conferito il potere dispositivo della sua quota di comproprietà immobiliare. Quanto, infine, al terzo motivo, la Suprema Corte ritiene non specificato il fatto decisivo di cui si asseriva l'omesso l'esame da parte della Corte d'Appello, anche considerato che la motivazione è «apparente», e la sentenza nulla per error in procedendo, solamente quando - benché sussistente - non renda percepibile il fondamento della decisione, recando - al contrario - argomentazioni obiettivamente inidonee a condurre al ragionamento seguito dal giudice. Di qui, il rigetto da parte della Corte di Cassazione del primo e del terzo motivo di ricorso, accolto invece il secondo, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione.
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